Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 24 maggio 2018, n. 3124.
La massima estrapolata:
Non sussiste in capo all’Amministrazione un onere di specifica controdeduzione in merito alle osservazioni presentate dal privato essendo sufficiente che ne abbia dato conto in modo sintetico.
L’Amministrazione deve esporre sin dal preavviso i motivi che prospetta a base del futuro provvedimento, l’annullamento in autotutela conferma e articola più dettagliatamente, sotto il profilo dell’interesse pubblico, il contenuto dell’avviso di avvio del procedimento.
Sentenza 24 maggio 2018, n. 3124
Data udienza 1 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7984 del 2012, proposto da Va. Ca., rappresentata e difesa dagli avvocati Fi. Ci. e Vi. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Br. Ta. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ni. Pa., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per l’Abruzzo – sede staccata di Pescara, sezione I, 20 giugno 2012, n. 312.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1° marzo 2018 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Uditi per le parti gli avvocati Pa., su delega dell’avvocato Ci., e Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. In data 15 giugno 2010, il Comune di (omissis) ha rilasciato alla signora Va. Ca. il permesso di costruire n. 40, per la realizzazione di una villa unifamiliare su un’area ricompresa in zona B4 secondo il vigente strumento urbanistico.
2. In date 6 ottobre e 17 novembre 2010 la signora Ca. ha dato comunicazione di inizio lavori (il 12 ottobre, per le sole opere di allestimento e preparazione del cantiere; il 18 novembre, quanto al resto).
3. Con provvedimento n. 52544 del 30 ottobre 2011 il Comune – nella mancanza della notifica preliminare prevista dall’art. 99 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e del certificato di regolarità contributiva dell’impresa – ha sospeso l’efficacia del permesso ai sensi dell’art. 20 del decreto legislativo 6 ottobre 2004, n. 251.
4. Con provvedimento n. 18625 del 19 aprile 2011, adottato previa comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento, il dirigente del settore urbanistica e territorio del Comune ha disposto l’annullamento in autotutela del titolo edilizio. Questo sarebbe stato rilasciato sulla base di una errata valutazione degli atti progettuali presentati poiché – secondo quanto emerso dall’esame istruttorio di un’altra pratica edilizia – per ogni trasformazione urbanistica nella zona B4 l’art. 97, lett. A), delle N.T.A. al P.R.G. richiederebbe, nelle condizioni date, la previa approvazione di un piano attuativo di iniziativa pubblica o privata.
5. La signora Ca. ha impugnato il provvedimento comunale nonché le N.T.A., ove necessario, chiedendone l’annullamento con il risarcimento del danno derivante dall’adozione dell’atto di autotutela ovvero, in subordine, del danno conseguente all’incolpevole convincimento, generato dall’Amministrazione, di poter legittimamente procedere alla edificazione.
5. Con sentenza 20 giugno 2012, n. 312, il T.A.R. per l’Abruzzo – sede staccata di Pescara, ha respinto il ricorso, compensando fra le parti le spese di giudizio.
6. La signora Ca. ha interposto appello avverso la sentenza n. 312/2012 riproponendo le proprie censure nell’ordine logico seguito dal Tribunale regionale:
a) violazione e falsa applicazione dell’art. 97 delle N.T.A. Erroneamente il primo giudice si sarebbe rifatto all’intervento indiretto disciplinato dalla lett. A) (ormai svuotata di ogni vigenza, avendo l’area perso l’originaria caratterizzazione ed essendo pienamente urbanizzata), laddove di fatto sussisterebbero tutte le condizioni previste dalla lett. B) per l’intervento diretto trattandosi di edificazione su un lotto intercluso e parzialmente edificato con collegamento diretto con una strada di piano, dotato di tutte le opere di urbanizzazione primaria. Tali circostanze emergerebbero da una perizia di parte, che il T.A.R. non avrebbe esaminato, e da un atto di citazione notificato all’appellante per la richiesta di oneri corrisposti per realizzare l’impianto fognario, il che dimostrerebbe l’esistenza di permessi di costruire rilasciati dal Comune nella medesima zona per casi identici a quello dell’appellante;
b) violazione dell’art. 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, ed eccesso di potere sotto diversi profili. Il provvedimento impugnato sarebbe motivato in termini generici omettendo la necessaria comparazione fra l’interesse pubblico (che non potrebbe consistere nella sola reintegrazione dell’ordine giuridico violato) e l’interesse privato (l’appellante avrebbe ottenuto il permesso dopo una istruttoria di due anni e avrebbe già iniziato i lavori) e sarebbe intervenuto dopo il decorso di un termine assai apprezzabile e non ragionevole, quando ormai si era consolidato l’affidamento dell’appellante producendo una situazione stabile;
c) violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 10 bis della legge n. 241/1990, di norme costituzionali e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo a tutela proprietà; ancora eccesso di potere. La motivazione del provvedimento sarebbe identica a quella del preavviso e nulla direbbe circa le osservazioni presentate avverso il preavviso;
d) diritto al risarcimento del danno. Senza fondamento il T.A.R. avrebbe sostenuto l’inganno della signora Ca. a base del rilascio del titolo annullato. L’Amministrazione sarebbe il soggetto nella migliore condizione per conoscere le modalità di edificazione della zona e – ferma la legittimità dell’edificazione diretta – sarebbe in colpa per l’errata valutazione della vocazione della zona. Nell’ipotesi di accoglimento del gravame, l’appellante avrebbe dunque diritto al risarcimento del danno da ritardo; nell’ipotesi di reiezione, il Comune incorrerebbe in responsabilità aquiliana per l’incolpevole affidamento ingenerato con il rilascio – in tesi, illegittimo – del titolo abilitativo, con un comportamento che non consisterebbe nell’esercizio di un potere pubblico ma nella violazione dei doveri di diligenza e correttezza. Per la liquidazione dell’importo preteso l’appellante si rifà alla perizia di prime cure e, in subordine, chiede disporsi consulenza tecnica d’ufficio.
7. Il Comune di (omissis) ha resistito all’appello con controricorso di stile, sviluppando le proprie difese con memoria depositata il 28 gennaio 2018.
8. All’udienza pubblica del 1° marzo 2018, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
9. Il primo motivo dell’appello è infondato.
9.1. Il Collegio ritiene di condividere l’interpretazione dell’art. 97 delle N.T.A. fatta propria dal Tribunale territoriale – che l’appellante neppure direttamente contesta, limitandosi a sostenere un asserito venir meno del contenuto precettivo della lett. A) in ragione dell’attuale stato dei luoghi – nel senso che la disposizione prescriva comunque la preventiva approvazione di un piano attuativo per l’edificazione, in zona B4, di lotti di superficie libera pari o superiore a mq. 5.000, senza in questo caso possa trovare spazio di applicazione la specifica e residuale previsione della lett. B).
9.2. In particolare, premesso che il principio generale è quello ribadito dall’art. 9, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, per cui, al di fuori delle deroghe indicate, sono di regola vietati interventi edilizi “nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto per l’edificazione”, nel caso di specie l’art. 97 delle N.T.A. impone in via generale un divieto di edificazione in difetto di strumenti attuativi in zona B4; tale divieto, infatti, è esplicitamente previsto alla lett. A) ma implicitamente presupposto anche dalla previsione di cui alla lett. B), che, presupponendo il divieto, consente una deroga nel caso di fondo intercluso.
9.3. In tale contesto la previsione di cui alla lett. A) può assume una autonoma valenza e utilità solo ove la si intenda come diretta ad escludere in assoluto la possibilità di edificazione in carenza di strumenti attuativi quando ricorrano le ipotesi di cui a tale lettera; in particolare, nelle ipotesi di cui alla lett. A) non è ammessa alcuna deroga a tale divieto, neppure nella fattispecie di cui alla lett. B).
9.4. La signora Ca. neppure effettivamente contesta – se non in termini vaghi e apodittici (“la superficie libera è abbondantemente al di sotto della soglia di 5.000 mq.”) – il risultato dei calcoli che il T.A.R. dichiara di avere fatto sulla base degli atti da lei stessa versati in giudizio (superficie territoriale di 12.620 mq. e lotti edificati estesi per 2.710 mq.), mentre la perizia allegata al ricorso di prime cure si limita ad affermare genericamente che “parte dei lotti sono stati già edificati”.
9.5. Di conseguenza, non è sostenibile la tesi della possibilità di ricorrere all’intervento diretto ex lett. B), che è incompatibile con la ricostruzione della normativa di piano nei termini di cui si è detto e con la dimensione degli spazi edificabili nell’area per quanto definitivamente accertato in primo grado.
10. Con il secondo motivo dell’appello, la signora Ca. si duole della violazione dell’art. 21 nonies della legge n. 241/1990 sotto diversi profili.
10.1. Avendo riguardo alla disposizione nel testo vigente al momento in cui è stato adottato l’annullamento in autotutela, nessuno di tali profili è fondato perché il Comune:
a) ha motivato sull’interesse pubblico, che è stato riposto non solo nella generica esigenza di ripristino della legalità violata, ma nello specifico obiettivo di garantire, attraverso l’intervento indiretto, le aree necessarie a soddisfare gli standard nella misura del prevista del 34%;
b) ha valutato il contrapposto interesse privato, stimato correttamente recessivo, in quanto l’allegato inizio dei lavori consisterebbe solo nella posa in opera di 17 pali di fondazione, come attestato dal risultato del sopralluogo compiuto nei luoghi dalla Polizia municipale in data 13 aprile 2001, esposto in una relazione corredata di documentazione fotografica, non contestata dalla parte privata;
c) ha rispettato un termine ragionevole fra l’atto originario e l’annullamento, fra i quali sono intercorsi 10 mesi (e non oltre un anno, come sostiene l’appellante), vale a dire un lasso di tempo che non pare affatto eccessivo sia perché è persino inferiore al termine di 18 mesi richiesto – con un intento evidentemente più garantistico e restrittivo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 gennaio 2017 n. 341) – dalla più recente versione dell’art. 21 nonies, sia perché ha rilievo anche la circostanza che già nel novembre 2010 il dirigente del settore aveva inviato la comunicazione di avvio del procedimento di autotutela, immediatamente dopo avere ricevuto la comunicazione di inizio dei lavori, e sospeso l’efficacia del titolo. Attesa la modestia dell’intervallo temporale, non vi è neppure ragione per richiamare i principi enunciati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato 17 ottobre 2017, n. 8, che riguardano l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio in sanatoria, intervenuto ad una distanza temporale considerevole dal provvedimento annullato, e sarebbero stati comunque in concreto rispettati.
11. Con il terzo motivo dell’appello, la parte privata censura il difetto di una effettiva motivazione e la violazione delle garanzie partecipative, perché le motivazioni del preavviso e dell’atto conclusivo del procedimento di autotutela sarebbero coincidenti e non replicherebbero puntualmente alle osservazioni presentate.
11.1. Neppure tale motivo ha pregio in quanto:
a) in linea di principio, come già rilevato nella sentenza di primo grado, non sussiste in capo all’Amministrazione un onere di specifica controdeduzione in merito alle osservazioni presentate dal privato essendo sufficiente che ne abbia dato conto in modo sintetico (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 12 febbraio 2014, n. 682);
b) la signora Ca. non ha svolto alcuna particolare difesa procedimentale (è solo in atti la nota del 5 aprile 2011, con la quale il difensore dell’appellante ha chiesto l’archiviazione del procedimento);
c) fermo restando che, in linea di principio, l’Amministrazione deve esporre sin dal preavviso i motivi che prospetta a base del futuro provvedimento (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere 25 marzo 2015, n. 80), l’annullamento in autotutela conferma e articola più dettagliatamente, sotto il profilo dell’interesse pubblico, il contenuto dell’avviso di avvio del procedimento.
12. Respinta la domanda di annullamento, nei termini sopra esposti, appare infondata e parimenti da respingere la domanda di risarcimento da danno da ritardo, giacché l’appellante non aveva alcuna posizione giuridica tutelabile rispetto al bene della vita (il permesso di costruire) che reclama.
13. Quanto alla pretesa risarcitoria del danno prodotto dalla lesione dell’affidamento a poter legittimamente edificare sul fondo, anzitutto è da dirsi consolidata ex art. 9 c.p.a. nel presente processo la giurisdizione del G.A., non essendo stata riproposta in questa sede di appello la relativa eccezione di difetto di giurisdizione, dedotta nel primo grado e rigettata dal T.A.R. (secondo le Sezioni unite della Corte di cassazione la giurisdizione in materia apparterrebbe al G.O.: ordinanze “gemelle” 23 marzo 2011, n. 6594, n. 6595 e n. 6596, che il T.A.R. ha consapevolmente disatteso; nello stesso senso, in seguito, le ordinanze delle SS.UU. 22 gennaio 2015, n. 1162, e 4 settembre 2015, n. 17586).
13.1. Ciò posto, il Collegio – con il primo giudice – esclude che la signora Ca. possa vantare un affidamento tutelabile, posto che il rilascio del titolo abilitativo è avvenuto a seguito di una scorretta rappresentazione della realtà circa la diretta edificabilità del suolo, fatta nella relativa domanda, che ha indotto il Comune in un errore peraltro prontamente corretto. Il comportamento dell’appellante, dunque, ha avuto efficacia causale determinante ed esclusiva nella produzione del danno, il che esclude – in applicazione degli artt. 30, comma 3, c.p.a. e 1227 c.c. – che la parte possa chiedere il risarcimento di un pregiudizio comunque asserito in termini del tutto generici e non concretamente dimostrato.
14. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e va perciò respinto.
15. Le spese del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza, secondo la legge, e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida nell’importo di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge (15% a titolo di rimborso delle spese generali, I.V.A. e C.P.A.).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Troiano – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore
Alessandro Verrico – Consigliere
Leave a Reply