Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 6 marzo 2015, n. 1142

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE QUARTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8886 del 2013, proposto da:

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del Ministro p.t. e Provveditorato Generale alle Opere Pubbliche Calabria, in persona del Provveditore p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici, ope legis, domiciliano in Roma, Via (…);

contro

Ug.D’A., rappresentato e difeso dall’avv. Ma.La., con domicilio eletto presso Ge.Pi. in Roma, viale (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Calabria – Sez. Staccata di Reggio Calabria n. 00514/2013, resa tra le parti, concernente risarcimento del danno per la mancata stipula del contratto di committenza di un’opera d’arte.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ugo D’A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 gennaio 2015 il Cons. Nicola Russo e uditi per le parti gli avvocati Ge.Pi. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il Ministero dei Lavori Pubblici – Provveditorato Generale alle Opere Pubbliche per la Calabria, con bando pubblicato in data 2 maggio 1997 sulla Parte III del BURC n. 19, indiceva un concorso nazionale fra artisti per l’acquisizione di opere d’arte da collocare in alcuni nuovi edifici pubblici ricadenti nel territorio della Regione Calabria, ai sensi della legge n. 717 del 29 luglio 1949.

Il sig. Ug.D’A. partecipava al concorso per la realizzazione dell’opera n. 9 (“pannello decorativo in ceramica”) destinata ad adornare la Questura di Reggio Calabria, per un compenso previsto di trentotto milioni di lire.

All’esito della procedura di gara, il sig. D’A. risultava aggiudicatario provvisorio, come da verbale della commissione giudicatrice del 12 novembre 1998.

In seguito, il Provveditorato Generale alle Opere Pubbliche per la Calabria sollecitava il Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale dei Servizi Tecnico logistici – Servizio Lavori A.F.P. I div. Sez. 1 del Ministero dell’Interno al pagamento delle somme necessarie alla collocazione delle opere artistiche oggetto del concorso nazionale.

Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale dei Servizi Tecnico logistici – Servizio Lavori A.F.P. I div. Sez. 1 del Ministero dell’Interno, tuttavia, comunicava l’impossibilità di finanziare le opere artistiche menzionate, in quanto detti oneri non erano stati compresi in alcuno dei capitoli di bilancio gestiti dall’ufficio.

Il rifiuto di finanziamento delle opere veniva comunicato al sig. D’A. in seguito alla diffida ad adempiere da questi inoltrata al Provveditorato Generale alle Opere Pubbliche per la Calabria. Successivamente, il sig. D’A. proponeva ricorso per il risarcimento del danno conseguente alla mancata stipula del contratto di committenza dell’opera d’arte.

Il T.A.R. per la Calabria, sezione di Reggio Calabria, con sentenza n. 514 del 28 agosto 2013, respinta l’eccezione preliminare di merito relativa alla prescrizione, sollevata dalla difesa erariale, accoglieva il ricorso, sulla base della ritenuta responsabilità precontrattuale dell’amministrazione e, per l’effetto, condannava il Provveditorato Generale alle Opere Pubbliche per la Calabria al risarcimento del danno nei confronti del ricorrente, liquidandolo in euro 6.000 più accessori nonché alle spese di giudizio.

Con il presente gravame, il Provveditorato Generale alle Opere Pubbliche per la Calabria impugna con tre diversi motivi la sentenza del T.A.R. per la Calabria, chiedendone altresì la sospensione cautelare.

Innanzitutto, viene censurata la decisone del giudice di prime cure per non aver rilevato l’intervenuta prescrizione quinquennale cui è soggetta la responsabilità precontrattuale.

In secondo luogo, si evidenzia l’insussistenza dei presupposti, oggettivi e soggettivi, sui quali si è fondato l’accertamento della responsabilità in capo al Provveditorato Generale alle Opere Pubbliche per la Calabria.

Infine, vengono contestati i criteri di liquidazione del risarcimento adottati dal giudice di prime cure.

Si è costituito in giudizio il sig. D’A. che, con compiuta memoria, ha eccepito l’infondatezza dei motivi di appello dell’Avvocatura, concludendo per il rigetto dell’appello e dell’istanza di sospensione.

Chiamata all’ udienza pubblica dell’8 gennaio 2015, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

DIRITTO

1. La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne la verifica relativa alla sussistenza dei presupposti della responsabilità precontrattuale in capo al Provveditorato Generale alle Opere Pubbliche per la Calabria.

2. Si può prescindere dall’esame della questione relativa alla prescrizione, sollevata in via di eccezione preliminare di merito in primo grado dalla difesa dell’Amministrazione, respinta dal giudice di primo grado e riproposta quale primo motivo di impugnazione nel presente grado di giudizio, in quanto l’appello dell’Amministrazione è fondato nel merito.

Con il secondo motivo di appello, la difesa erariale censura la decisione del giudice di primo grado per aver ritenuto che, nel caso di specie, sussiste la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione: in particolare, il T.A.R. ha affermato che, sotto il profilo oggettivo, il comportamento lesivo del Provveditorato si sarebbe sostanziato nell’assenza di qualsivoglia giustificazione alla mancata conclusione della procedura di gara; mentre, sotto il profilo soggettivo, non sarebbe necessaria la dimostrazione della colpevolezza della pubblica amministrazione, in quanto il recepimento della normativa comunitaria in materia ha svincolato il diritto di ottenere un risarcimento dei danni per violazione delle norme in materia di appalti pubblici, dal carattere colpevole della stessa. Tra l’altro, il giudice di prime cure ha rilevato che, nel caso in esame, il carattere colpevole dell’amministrazione sarebbe comunque ravvisabile nell’aver ingenerato nel sig. D’A. un legittimo affidamento circa il positivo esito del procedimento di aggiudicazione: il Provveditorato, a seguito dei solleciti inoltrati, avrebbe prospettato all’odierno appellato la possibilità di un mero rinvio della conclusione dell’iter procedimentale, senza, tuttavia, mai addivenirvi.

2.1 Secondo parte appellante tali assunti non sono condivisibili poiché l’amministrazione ha comunicato, subito dopo averne preso atto, l’impossibilità di addivenire alla stipulazione del contratto a causa dell’indisponibilità finanziaria: tale assenza di risorse assurgerebbe, dunque, a causa ostativa alla positiva conclusione del procedimento, non conosciuta al momento dell’indizione del pubblico concorso e, comunque, non imputabile all’amministrazione appellante.

La buona fede e la correttezza nel comportamento del Provveditorato risulterebbero dalla immediata comunicazione al sig. D’A. delle informazioni circa lo scambio epistolare intercorso con il Ministero dell’Interno e delle cause ostative alla stipulazione del contratto.

2.2 Il motivo è fondato.

Al riguardo va innanzitutto ribadita l’applicabilità dei presupposti della responsabilità precontrattuale all’azione della pubblica amministrazione.

Risulta, infatti, pacifica in giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 5 settembre 2005, n. 6; Cass. S.U. 12 maggio 2008, n. 11656) l’applicazione anche ai soggetti pubblici – sia nell’ambito di trattative negoziali condotte senza procedura di evidenza pubblica, sia nell’ambito di procedure di gara – dell’obbligo di improntare la propria condotta al canone di buona fede e correttezza sancito nell’art. 1337 c.c.. Occorre, cioè, evitare di ingenerare nella controparte privata affidamenti ingiustificati ovvero tradire, senza giusta causa, affidamenti legittimamente ingenerati. La buona fede e la correttezza si specificano in una serie di regole di condotta, tra le quali l’obbligo di valutare diligentemente le concrete possibilità di positiva conclusione della trattativa e di informare tempestivamente la controparte dell’eventuale esistenza di cause ostative rispetto a detto esito.

Nelle procedure ad evidenza pubblica, le regole di condotta in esame non possono essere riconducibili soltanto ad una o più singole fasi in cui si suddivide una gara: in effetti, ogni fase, pur essendo astrattamente riconducibile, da un lato, alla parte pubblicistica e, dall’altro lato, alla parte privatistica della gara, necessita di una lettura unitaria e consequenziale. Ciascuna singola fase, seppur distinta da quella successiva e da quella precedente, tende all’unico fine della stipulazione del contratto: di conseguenza, prima della sottoscrizione del contratto, l’amministrazione sarà obbligata al rispetto dei principi della buona fede e correttezza nelle trattative. L’applicabilità delle disposizioni civilistiche deriva dalla equiparazione dell’amministrazione ad un contraente privato nella procedura volta alla conclusione di un contratto: tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, infatti, si pongono quale strumento di formazione progressiva del consenso contrattuale e, pertanto, il rispetto dei principi di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. non può essere circoscritto al singolo periodo successivo alla determinazione del contraente.

2.3 Confermata l’applicabilità dei canoni di buona fede e correttezza alle procedure ad evidenza pubblica, occorre individuare i presupposti della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione.

Al riguardo si ritiene che la fattispecie risarcitoria della culpa in contraendo possa ravvisarsi qualora ricorrano due elementi, uno positivo e l’altro negativo: l’affidamento incolpevole ingenerato dal comportamento della stazione appaltante e l’assenza di una giusta causa alla mancata conclusione del procedimento.

Quanto al primo aspetto, va ricordato che la sua valutazione implica l’esame di diversi parametri, fra i quali la specifica fase della procedura in cui si versa ed il comportamento tenuto dalla stazione appaltante.

Sul punto, si deve evidenziare che, nonostante ogni singolo provvedimento adottato durante la gara sia astrattamente idoneo – in virtù di specifiche circostante ricorrenti nel caso concreto – ad ingenerare nel concorrente il legittimo affidamento sulla positiva conclusione del procedimento, secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza l’aggiudicazione provvisoria costituisce “un atto endoprocedimentale ad effetti ancora instabili e del tutto interinali” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 7 luglio 2014, n. 3449) che si inserisce nell’ambito della scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo. Infatti la definitiva individuazione del concorrente cui affidare l’appalto risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva: l’aggiudicatario provvisorio, dunque, vanta soltanto un’aspettativa – la cui lesione non può costituire presupposto della responsabilità precontrattuale – alla conclusione positiva del procedimento.

Ulteriore parametro finalizzato a verificare la sussistenza di un legittimo affidamento ingenerato nel concorrente di una procedura ad evidenza pubblica è costituito dall’atteggiamento complessivamente tenuto della pubblica amministrazione nel corso delle trattative: si ritiene, infatti che “ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, non si deve tener conto della legittimità dell’esercizio della funzione pubblica cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma della correttezza del comportamento complessivo tenuto dall’amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto, alla luce dell’obbligo delle parti di comportarsi secondo buona fede” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 gennaio 2014, n. 142).

Viene in tal modo ribadita la necessità di valutare, caso per caso, le caratteristiche dell’azione amministrativa al fine di verificarne la compatibilità con i criteri sanciti dall’art. 1337 e 1338 c.c..

2.4 Occorre a questo punto evidenziare i motivi per i quali, nel caso oggetto del presente giudizio, il T.A.R. ha ritenuto erroneamente sussistenti i presupposti della responsabilità precontrattuale in capo al Provveditorato.

In primo luogo, il riferimento al legittimo affidamento ingenerato nel sig. D’A. non può essere giustificato dalla semplice pubblicazione di un bando di gara avente ad oggetto la realizzazione di opere per le quali la l. n. 717/1949 prevede specifiche riserve di finanziamento. Priva di fondamento risulta l’asserita assenza di giustificati motivi circa la mancata stipula del contratto con il sig. D’A.. Infine, non può dirsi sussistente una specifica posizione qualificante in capo al sig. D’A. in virtù dell’aggiudicazione provvisoria determinata in suo favore.

Sotto quest’ultimo profilo va ribadito che la possibilità che ad un’aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva è un evento del tutto fisiologico e plausibile, ai sensi degli art. 11 co. 11 e 12 del d. lgs. n. 163/2006, in quanto la prima costituisce un atto inidoneo di per sé ad ingenerare qualunque affidamento tutelabile con conseguente obbligo risarcitorio, qualora non sussista nessuna illegittimità nell’operato della pubblica amministrazione (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 luglio 2012 n. 4902; id. 6 aprile 2010 n. 1907).

Il passaggio dall’aggiudicazione provvisoria a quella definitiva e, quindi, alla sottoscrizione del contratto, non costituisce un obbligo della pubblica amministrazione appaltante, né un diritto dell’aggiudicatario provvisorio: questi al più può sollevare dubbi circa la legittimità della decisione di non addivenire alla stipula del contratto, ma risulta titolare di una semplice aspettativa a che l’aggiudicazione divenga definitiva.

Il sig. D’A., pertanto, avrebbe potuto sollevare dubbi circa la validità dei presupposti in base ai quali l’amministrazione ha deliberato di non pervenire alla stipulazione del contratto: tuttavia, è stato fatto erroneamente riferimento alla sua posizione di aggiudicatario provvisorio, al fine di giustificare il ricorso ai meccanismi risarcitori previsti dall’ordinamento.

Risulta, altresì, inconferente il richiamo alle riserve finanziarie previste dalla l. n. 717/1949 nella materia oggetto del concorso nazionale in esame.

A ben vedere, l’art. 11 del d.lgs. n. 163/2006, che rientra fra i principi generali regolatori della materia, afferma non soltanto che “le procedure di affidamento dei contratti pubblici hanno luogo nel rispetto degli atti di programmazione delle amministrazioni aggiudicatrici”, ma anche che al fine dell’avvio delle procedure di affidamento dei contratti, le amministrazioni “decretano o determinano a contrarre”.

La fase iniziale di ogni procedura ad evidenza pubblica, cioè, presuppone un impegno di spesa, nel rispetto della programmazione economico-finanziaria del singolo ente, senza il quale ogni gara sarebbe connotata da una rilevante alea circa il suo buon esito: ogni gara presuppone, dunque, il vincolo di destinazione di una determinata somma per poter essere avviata.

In ultima analisi, è irragionevole ritenere che soltanto le procedure previste nella l. n. 717/1949 – e in altre determinate disposizioni legislative – impongano riserve finanziarie: in effetti la richiamata disciplina di cui al d. lgs. n. 163/2006 costituisce applicazione della normativa europea e necessita, come è noto, di una rigorosa applicazione. Deriva da ciò che ogni procedura ad evidenza pubblica è diretta ad affidare un contratto pubblico e supportata da un impegno di spesa che evidenzi la serietà nella programmazione dell’amministrazione.

Occorre, da ultimo, evidenziare l’infondatezza della negligenza rilevata nella condotta del Provveditorato, dovuta all’assenza di giustificazioni circa la mancata conclusione del procedimento.

In effetti, come risulta dalla documentazione in atti, l’amministrazione, già nel corso della procedura ad evidenza pubblica, aveva chiesto informazioni in merito alla sostenibilità finanziaria dell’intera opera oggetto del concorso nazionale: quando è stata resa edotta dell’impossibilità di copertura finanziaria delle opere artistiche, con lettera ricevuta il 13 maggio 1999, ha tempestivamente chiesto informazioni al competente ufficio del Ministero dell’Interno, anche in virtù degli impegni assunti precedentemente.

Il Provveditorato, dopo aver ricevuto la diffida ad adempiere, ha informato il sig. D’A. della “annosa problematica relativa all’apposizione delle opere d’arte nella Questura di Reggio Calabria” (Provveditoriale n. 2108 dell’11 aprile 2005, in atti) e, nonostante ciò, ha continuato ad attivarsi nei confronti della Direzione Centrale dei Servizi tecnico-logistici del Ministero dell’Interno per ottenere informazioni circa le “iniziative che si intende intraprendere in merito alla problematica di che trattasi, la cui definitiva soluzione appare ormai improcrastinabile” (Provveditoriale n. 328 del 14 febbraio 2007).

Risulta dunque evidente che il Provveditorato ha comunicato in modo esauriente e tempestivo i motivi ostativi alla conclusione del procedimento volto alla stipulazione del contratto con il sig. D’A.: l’insostenibilità dell’impegno economico, derivante dal passaggio dall’aggiudicazione provvisoria a quella definitiva, è già stata ritenuta motivo sufficiente a sostenere la legittimità della’azione amministrativa in relazione a provvedimenti di secondo grado (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 31 gennaio 2014, n. 467).

Tra l’altro, nel caso di specie, non si è nemmeno in presenza di un provvedimento di revoca dell’aggiudicazione, idoneo a determinare l’insorgere di un diritto all’indennizzo ai sensi dell’art. 21 quinquies l. n. 241/1990: l’amministrazione ha soltanto comunicato l’impossibilità di concludere il procedimento a causa della carenza di fondi. Poiché, infatti, la procedura si è arrestata alla fase dell’aggiudicazione provvisoria e non c’è mai stata l’adozione di un “provvedimento amministrativo ad efficacia durevole”, difettano i presupposti richiesti dalla legge per potersi avere una revoca in senso tecnico e concedere il diritto ad un indennizzo (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 28 febbraio 2014, n. 942; id. 11 luglio 2012, n. 4616).

In definitiva, risulta evidente che, nella fattispecie de qua non sussistono i presupposti necessari ai fini della configurabilità di una responsabilità precontrattuale in capo al Provveditorato: il Collegio ritiene, al riguardo, che l’amministrazione abbia adeguatamente motivato in merito alla impossibilità di conclusione della procedura e che in favore del sig. D’A. non possa riconoscersi alcuna posizione qualificante, stante la sospensione della procedura alla fase dell’aggiudicazione provvisoria.

Considerato il comportamento complessivamente tenuto dall’amministrazione nel corso della procedura ad evidenza pubblica, il Collegio ritiene che non siano stati violati i canoni di buona fede e correttezza di cui all’art. 1337 c.c.. In favore del sig. D’A. non è possibile nemmeno accordare una tutela indennitaria, a causa della mancanza dei requisiti previsti dalla legge a tal fine.

Di conseguenza, non risulta utile esaminare il terzo motivo di appello, con cui il Provveditorato ha contestato i criteri di liquidazione del danno individuati nella sentenza impugnata.

3. Le considerazioni circa la fondatezza nel merito dell’appello, consentono al Collegio di ritenere assorbito anche il motivo, sollevato dalla difesa erariale, diretto a censurare la decisione del giudice di prime cure per non aver rilevato l’inammissibilità del ricorso a causa dell’intervenuta prescrizione.

Sul punto va, comunque, evidenziata la contraddittorietà argomentativa del giudice di prime cure che – seppur con il fine di motivare in merito alla giurisdizione del giudice amministrativo – riporta una sentenza di questo Consiglio (Sez. V, 10 novembre 2008, n. 5574) secondo cui “la responsabilità precontrattuale […] costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale con la conseguenza che la prova dell’esistenza e dell’ammontare del danno è a carico del danneggiato”. Nel prosieguo, tuttavia, il T.A.R. afferma che la “responsabilità precontrattuale è soggetta a prescrizione decennale”, al pari, dunque, della responsabilità ex art. 1218 c.c..

Ulteriori dubbi circa la riconducibilità della culpa in contrahendo nell’alveo della responsabilità contrattuale, sorgono in relazione ai parametri di quantificazione del danno accordato al sig. Leone. Il T.A.R., nella sentenza impugnata, afferma che il limite della risarcibilità del danno da responsabilità precontrattuale è costituito dal c.d. “interesse negativo”. Nulla, tuttavia, si afferma in merito alla risarcibilità del c.d. “interesse positivo” che, come è noto, non potrà essere accordato al danneggiato fintantoché si versi nell’ambito della responsabilità extracontrattuale.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha distinto i parametri del risarcimento, affermando che “in tema di responsabilità ex articolo 1337 del c.c., l’ammontare del danno va determinato tenendo conto della peculiarità dell’illecito e delle caratteristiche della responsabilità stessa, la quale, nel caso d’ingiustificato recesso dalle trattative, postula il coordinamento tra il principio secondo il quale il vincolo negoziale sorge solo con la stipulazione del contratto e l’altro secondo il quale le trattative debbono svolgersi correttamente. Pertanto, non essendo stato stipulato il contratto e non essendovi stata la lesione dei diritti che dallo stesso sarebbero nati, non può essere dovuto un risarcimento equivalente a quello conseguente all’inadempimento contrattuale; mentre, essendosi verificata la lesione dell’interesse giuridico al corretto svolgimento delle trattative, il danno risarcibile è unicamente quello consistente nelle perdite che sono derivate dall’aver fatto affidamento nella conclusione del contratto e nei mancati guadagni verificatisi in conseguenza delle altre occasioni contrattuali perdute” (cfr. Cass. Civ., Sez. III 10 giugno 2005, n. 12313).

Dunque, pur senza entrare nel merito del contrasto giurisprudenziale sull’argomento, sembra non potersi condividere l’iter logico-argomentativo esposto dal giudice di prime cure a sostegno della tesi della durata decennale della prescrizione della responsabilità precontrattuale.

4. Alla luce di quanto sin qui esposto, l’appello va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va rigettata la domanda risarcitoria avanzata dal sig. D’A.

5. Le spese del presente giudizio possono essere integralmente compensate fra le parti, stante la complessità della vicenda contenziosa e delle questioni esaminate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 gennaio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Riccardo Virgilio – Presidente

Nicola Russo – Consigliere, Estensore

Fabio Taormina – Consigliere

Raffaele Potenza – Consigliere

Andrea Migliozzi – Consigliere

Depositata in Segreteria il 6 marzo 2015

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