Il rinnovo della concessione presuppone, la sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo abilitativo, verificatasi ex se in via diretta con l’infruttuoso decorso del termine prefissato, con la conseguenza che l’eventuale dichiarazione di decadenza ha natura vincolata, meramente ricognitiva del venir meno degli effetti del titolo per inerzia del titolare, ed ha decorrenza ex tunc. La proroga, invece, è disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale, che si traduce nella verifica delle condizioni oggettive che la giustificano, secondo i presupposti espressamente indicati nella norma, di stretta interpretazione, costituendo una deroga alla disciplina generale in tema di edificazione
Consiglio di Stato
sezione IV
sentenza 4 luglio 2017, n. 3283
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3781 del 2007, proposto da Lo. An., rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Fe. Vi. e Gi. Ge., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Vi. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Liguria – Sezione I – n. 100 del 30 gennaio 2007, resa tra le parti, concernente diniego di rinnovo di concessione edilizia
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la memoria difensiva depositata dalla parte appellante;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 giugno 2017 il Cons. Giuseppa Carluccio e udito per la parte ricorrente l’avvocato S. Vi. su delega di L.F. Vi.;
FATTO e DIRITTO
1.Nel 1998, il signor An. Lo. ottenne una concessione edilizia per la realizzazione, su un’area di proprietà nel Comune di (omissis), di un edificio a due piani con destinazione residenziale. A sua richiesta, l’ultimazione dei lavori fu prorogata sino al 14 gennaio 2003.
1.1. Nell’agosto del 2003, entrò in vigore il nuovo Piano Urbanistico Comunale.
1.2. La richiesta di rinnovo della concessione, presentata il 25 giugno 2004, fu rigettata dall’amministrazione, all’esito del relativo procedimento, con il provvedimento dirigenziale del 4 aprile 2006.
2. Il signor Lombardo impugnò il provvedimento di diniego con ricorso dinanzi al Tar.
Secondo il ricorrente, il Comune si sarebbe inutilmente dilungato a dimostrare un dato scontato, costituito dalla scadenza del permesso, che costituiva proprio il presupposto della domanda di rinnovo. Invece, non avrebbe spiegato perché il rinnovo non era possibile sulla base delle nuove norme. Inoltre, il provvedimento sarebbe stato illegittimo nella parte in cui non aveva spiegato perché la regola della applicabilità al rinnovo del titolo abilitativo delle nuove norme sopravvenute, in astratto corretta, non poteva subire un temperamento in presenza di una situazione di fatto legittimata dal precedente permesso, ma incompatibile con la nuova localizzazione dei fabbricati secondo il nuovo strumento urbanistico.
3. Il primo giudice, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato il ricorso.
3.1. Il Tar ha affermato, in linea di principio, la correttezza della tesi del ricorrente, secondo la quale, in sede di rinnovo del permesso di costruire, si deve tener conto della situazione di fatto legittimata dal precedente titolo abilitativo; con la conseguenza, che andrebbe esaminata la conformità alle nuove norme a partire dallo stato concreto dei lavori e che l’istante dovrebbe farsi parte attiva nel proporre modifiche al progetto originario idonee ad escludere il sopravvenuto contrasto.
3.2. Ma, in concreto, il Tar ha ritenuto tale principio non invocabile nella specie.
In particolare, ha dato atto che:
a) l’amministrazione aveva accertato in fatto quanto sino ad allora realizzato sulla base della originaria concessione, consistente essenzialmente nelle fondazioni e in cinque pilastri del piano terra, a fronte di un progetto di due piani;
b) l’amministrazione aveva rilevato un lungo elenco di contrasti con le nuove norme; dall’indice edificatorio, all’insufficiente asservimento di aree, alla disciplina delle distanze;
c) l’istante non aveva neppure ipotizzato soluzioni atte a ridurre il più possibile tale contrasto.
3.3. In conclusione, secondo il Tar, il livello qualitativo e quantitativo delle difformità, riscontrate tra le norme sopravvenute e la limitata consistenza delle opere realizzate, escludevano l’applicazione del principio invocato dall’appellante e non rendevano viziata l’attività della amministrazione, che aveva adeguatamente accertato quanto in essere ed esplicato le ragioni.
4. Avverso la suddetta sentenza il signor Lombardo ha proposto appello affidato ad un unico complesso motivo (che ha successivamente esplicato mediante deposito di tempestiva memoria).
4.1. Il Comune non si è costituito.
5. Con l’unico motivo di impugnazione, si prospetta la violazione dell’art. 15, del Testo unico in materia edilizia, unitamente a difetto di motivazione e travisamento, e si invoca anche la violazione dell’art. 112 c.p.c., con argomentazioni che, sostanzialmente riproponendo le censure svolte in primo grado, si snodano attraverso due profili strettamente collegati.
5.1. Sotto un primo profilo, l’appellante sostiene che il giudice avrebbe ritenuto legittimo il diniego di rinnovo integrando la motivazione di questo con l’acquisizione in giudizio della relazione del Comune; così rimediando all’originario difetto di istruttoria e integrando illegittimamente la motivazione del provvedimento.
5.2. Sotto un secondo profilo, riprende la censura proposta dinanzi al Tar, secondo la quale il Comune si sarebbe inutilmente soffermato sulla circostanza della decadenza dell’originario titolo abilitativo – costituente piuttosto il presupposto della richiesta di rinnovo – e non avrebbe invece affrontato il tema sul se il contrasto con le nuove previsioni urbanistiche fosse tale da impedire il completamento di quanto già assentito sulla base di quanto legittimamente realizzato. Si duole che tale mancata valutazione da parte dell’amministrazione non sia stata rilevata dal primo giudice; tanto più dopo che lo stesso giudice aveva riconoscimento in astratto la correttezza del principio invocato.
6. L’appello è totalmente privo di pregio e va rigettato.
6.1. Emerge inequivocabilmente dagli atti, che il provvedimento di diniego di rinnovo è stato emesso all’esito di un procedimento, durante il quale è stato acquisito un argomentato parere della Commissione edilizia, incentrato sul contrasto fra le norme urbanistiche sopravvenute e l’originario progetto (assentito e decaduto per decorrenza del termine perentorio iniziale pure prorogato).
Tale parere – portato a conoscenza dell’istante (che controdedusse con argomentazioni giustificative delle ragioni che avevano indotto lo stallo dei lavori ed invocando una valutazione dello stato delle opere realizzate, ai fini di una deroga alla conformità della disciplina sopravvenuta) – è stato espressamente richiamato nel provvedimento di diniego dove è stata evidenziata la necessità che, in sede di rinnovo, si facesse riferimento esclusivamente alla disciplina sopravvenuta.
Quanto, nello stesso provvedimento finale, si riferisce al non contestato stato iniziale dei lavori e agli elementi ostativi alla prosecuzione degli stessi, precedenti alla scadenza del termine prorogato, si collega con la opportunità e necessità dell’amministrazione di argomentare rispetto alle osservazioni che la parte aveva svolto durante il procedimento.
In definitiva, il giudice non ha provveduto ad alcuna illegittima integrazione del provvedimento impugnato; piuttosto, ha coerentemente inserito il provvedimento finale nel procedimento che aveva portato alla sua formazione.
6.2. A fondare la legittimità del diniego di rinnovo di una concessione edilizia irrimediabilmente scaduta è idoneo e sufficiente il rilevato e, incontestato, contrasto tra l’originario titolo abilitativo e la disciplina urbanistica, sopravvenuta alla originaria concessione dopo la sua scadenza.
6.2.1. In diritto, l’interpretazione dell’art. 15 cit. è univoca nel senso che il rinnovo della concessione implica il rilascio di un nuovo ed autonomo titolo, subordinato ad una nuova ed autonoma verifica dei presupposti richiesti dalle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio (tra le tante, Cons. Stato, ordinanza cautelare, Sez. IV, n. 966 del 2005). Salvo, naturalmente, che le opere ancora da eseguire rientrino tra quelle realizzabili mediante segnalazione certificata di inizio attività (che nella specie pacificamente non ricorre).
Il rinnovo della concessione presuppone, infatti, la sopravvenuta inefficacia dell’originario titolo abilitativo, verificatasi ex se in via diretta con l’infruttuoso decorso del termine prefissato, con la conseguenza che l’eventuale dichiarazione di decadenza ha natura vincolata, meramente ricognitiva del venir meno degli effetti del titolo per inerzia del titolare, ed ha decorrenza ex tunc.
Tale essendo la natura del potere decadenziale e del successivo eventuale rinnovo del titolo edilizio, ben si coglie la contrapposizione con l’istituto della proroga dei termini, quale provvedimento di secondo grado che modifica, ancorché parzialmente, il complesso degli effetti giuridici delineati dall’atto originario, accedendo all’originaria concessione ed operando uno spostamento in avanti del suo termine finale di efficacia.
Conseguentemente, la proroga è disposta con provvedimento motivato sulla scorta di una valutazione discrezionale, che si traduce nella verifica delle condizioni oggettive che la giustificano, secondo i presupposti espressamente indicati nella norma, di stretta interpretazione, costituendo una deroga alla disciplina generale in tema di edificazione (su questi temi, tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, n. 1013 del 2014).
6.2.2. D’altra parte, ai sensi del comma 4, dell’art. 15 cit., l’abilitazione già ottenuta decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data del loro inizio.
6.2.3. La ratio complessiva della disciplina è nell’obiettivo di mantenere il controllo sull’attività di edificazione, ovviamente per sua natura non istantanea, non solo al momento del rilascio del titolo abilitativo ma, anche, successivamente al momento della realizzazione, garantendo solo entro limiti temporali ragionevoli il compimento dell’opera iniziata. Altrimenti, verrebbero messi in discussione la indefettibilità delle sopravvenute previsioni urbanistiche (volte per definizione ad un più razionale assetto del territorio per la soddisfazione degli interessi pubblici e privati coinvolti), ed il correlato principio della esclusione della ultrattività delle normative precedenti e dei provvedimenti con esse compatibili. Da ciò, la natura eccezionale della deroga della salvezza, posta a tutela dell’affidamento dei privati già titolari di abilitazione, oltre che funzionale ad evitare la distruzione di ricchezza che deriverebbe dall’abbandono di progetti in avanzato stato di attuazione.
6.3.Così delineato il perimetro normativo, confortato dalla univoca giurisprudenza, entro il quale la fattispecie in esame è riconducibile, risulta evidente che nessun pregio può avere la tesi del privato, sostenuta nel ricorso e riproposta in appello (cfr. § 5.2.).
Infatti essa è destinata a sollecitare, in sede di rinnovo del titolo abilitativo, una valutazione, da parte dell’amministrazione, dello stato dei lavori – effettuati in conformità col precedente esaurito titolo edilizio ma non completati nei termini – rispetto alle norme urbanistiche sopravvenute, ai fini di una deroga di queste, in funzione del grado di compatibilità dei lavori eseguiti col nuovo progetto, onde tutelare l’affidamento riposto dal privato avuto riguardo alle ragioni che ne avrebbero impedito il completamento.
6.3.1. Né può dirsi che l’astratta adesione in linea di principio da parte del giudice di primo grado al principio invocato abbia inficiato la correttezza delle sue argomentazioni, laddove ha comunque tenuto conto della decadenza dell’originario titolo, dei confini entro cui deve muoversi il rinnovo, della non conformità dell’originario progetto assentito alle nuove previsioni urbanistiche.
7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato in quanto manifestamente infondato.
La manifesta infondatezza rileva, eventualmente, agli effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lett. a) e d) della l. 24 marzo 2001 n. 89, come da ultimo modificato dalla l. 28 dicembre 2015 n. 208.
8. In mancanza di costituzione del Comune, non sussistono i presupposti per la pronuncia sulle spese processuali.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Nulla spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Carlo Schilardi – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Giuseppa Carluccio – Consigliere, Estensore
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