Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 16 giugno 2017, n. 2951

Il rilascio del titolo abilitativo (anche in sanatoria) fa comunque salvi i diritti dei terzi e non interferisce, pertanto, nell’assetto dei rapporti fra privati, ferma restando la possibilità per l’Amministrazione di verificare la sussistenza di limiti di matrice civilistica, per la realizzazione dell’intervento edilizio da assentire.

Consiglio di Stato

sezione IV

sentenza 16 giugno 2017, n. 2951

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quarta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale n. 4046 del 2007, proposto dai signori Ch. Da. e altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Er. Co. e Ma. Co., con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, viale (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Sa. Gn., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);

nei confronti di

So. Ro., rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Se., Fr. So. e An. So., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Se. in Roma, via (…);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per l’EMILIA-ROMAGNA – sede di PARMA, n. 00053/2007, resa tra le parti, concernente il rilascio di concessione edilizia;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e del signor So. Ro.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 aprile 2017 il Cons. Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati M. Co. e G. Pa. (su delega dell’avvocato S. Gn.);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.La presente controversia riguarda il ricorso proposto dai signori Ch. Da. e altri per l’annullamento della concessione edilizia n. 22402/2002 del 7 aprile 2003, rilasciata dal Comune di (omissis) al signor So. Ro., con la quale è stata assentita l’esecuzione dei lavori di ampliamento di pubblico esercizio, relativi all’immobile sito nel medesimo comune, alla piazza (omissis).

2. Il Tar per l’Emilia Romagna, sede di Parma, con la sentenza 53 del 21 febbraio 2007 ha:

a) in parte dichiarato inammissibile ed in parte rigettato il ricorso;

b) condannato i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese di lite liquidate in euro 2000,00 ciascuno, oltre accessori di legge, nei confronti del Comune di (omissis) e nei confronti del signor So. Ro..

3. I signori Ch. Da., e altri hanno impugnato la sentenza censurando il ragionamento logico-giuridico seguito dal giudice di prime cure e riproponendo tutte le censure esperite nel primo grado del giudizio.

4. Si è costituito il Comune di (omissis) chiedendo pronunciarsi l’irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità e/o infondatezza dell’appello.

5. Si è altresì costituito il controinteressato signor So. Ro. instando anch’esso per la declaratoria di irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità e/o infondatezza dell’appello, vinte le spese di lite.

6. Le parti hanno insistito nelle rispettive argomentazioni attraverso il deposito di memorie difensive (parte appellante il 23.2.2017, il Comune di (omissis) il 6.3.2017) e di replica (parte appellante il 14.3.2017).

7. All’udienza pubblica del 6 aprile 2017 la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

8. L’appello è infondato e non merita accoglimento per i seguenti motivi.

8.1. Col primo motivo gli appellanti assumono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 10 del 1977 per avere, il Comune di (omissis), rilasciato al signor So. Ro. l’impugnato titolo edilizio sul falso presupposto, dal medesimo dichiarato, che egli fosse unico proprietario dell’area cortiliva antistante il suo negozio posto al piano terreno, angolo sud ovest del fabbricato condominiale ove essi hanno acquistato, ognuno separatamente, gli appartamenti di rispettiva proprietà, nonché in assenza di qualsivoglia accertamento istruttorio in ordine alla effettiva sussistenza di tale circostanza.

A sostegno della propria pretesa essi precisano che il signor So. è soltanto comproprietario (a seguito di atto di donazione di nuda proprietà dal padre So. Ar.) del suddetta area cortiliva, avente natura di bene condominiale, e che, pertanto, nonostante tale area risulti (dai singoli atti di acquisto) concessa in uso esclusivo al proprietario del retrostante negozio, il Comune non avrebbe potuto rilasciare l’impugnato titolo edilizio senza avere accertato l’unanime consenso di tutti gli altri condomini all’utilizzo del bene medesimo.

8.1.1. Il motivo è destituito di fondamento.

8.1.2. Risulta per tabulas che in tutti gli atti di acquisto degli appartamenti siti all’interno del fabbricato condominiale per cui è causa è stata riportata la seguente espressa pattuizione: “Il negozio al piano terreno angolo sud ovest del fabbricato venduto con il citato atto Bo. potrà essere adibito ad uso caffè-bar, gelateria, tavola calda, pasticceria e servizi similari. L’area cortiliva sul lato ovest di tale negozio è in uso esclusivo del negozio medesimo”.

In sede di istanza per il rilascio della concessione edilizia per l’ampliamento del negozio (ora adibito a pizzeria-ristorante) il signor So. ha dichiarato di essere proprietario del bene.

Ora, a parte l’erroneità, da un punto di vista strettamente giuridico, della qualificazione della propria posizione soggettiva in termini di titolarità del diritto reale, assoluto, di proprietà, va adeguatamente apprezzata la specifica relazione di fatto esistente tra la detta area cortiliva e il proprietario del negozio retrostante l’area medesima, riportata in tutti i rogiti notarili come area posta ad esclusivo uso del negozio medesimo.

L’amministrazione comunale, pertanto, non è incorsa in nessuna violazione o falsa applicazione dell’allora vigente art. 4 della legge n. 10/1997, il quale prevedeva il rilascio della concessione “al proprietario dell’area o a chi abbia titolo per richiederla”, dovendosi correttamente includere, da un punto di vista esegetico, in tale ultima nozione (il soggetto avente titolo) anche colui che, pur non essendone proprietario, ha un titolo che di fatto lo pone in una relazione con la res tale da escludere l’altrui possesso.

Nel caso di specie ricorre proprio tale evenienza: il So. Ro. ha ricevuto in donazione dal proprio padre la nuda proprietà del negozio sito al piano terreno dello stabile condominiale ed è pacifico, documentale e non contestato da alcuna parte che tale negozio gode del favore dell’uso esclusivo della antistante area cortiliva. Pertanto, l’amministrazione comunale non avrebbe potuto negare al medesimo il rilascio del titolo abilitativo, risultando lo stesso unico esclusivo titolare del diritto di godimento del bene, né avrebbe dovuto previamente istruire la pratica edilizia reperendo un qualsivoglia atto recante la manifestazione dell’unanime consenso dei condomini al rilascio del titolo in favore del So..

La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato Consiglio di Stato, infatti, è saldamente orientata nel riconoscere, in relazione a lavori edilizi da eseguirsi su parti comuni di un fabbricato e non concernenti opere connesse all’uso normale della cosa comune, il dovere dell’Amministrazione comunale – ai fini del rilascio della relativa concessione – nel richiedere il consenso di tutti i proprietari, salvo il caso che la realizzazione dell’opera non sia concettualmente riconducibile a quell’utilizzo della cosa comune che l’art. 1102 c.c. consente comunque al partecipante alla comunione, indipendentemente dall’ottenimento del consenso degli altri condomini, in quanto non consente a questi ultimi il pari uso del bene e ne altera la destinazione (Consiglio di Stato sez. IV, sentenza 11 aprile 2007, n. 1654).

Ed ancora: “Ai fini del rilascio d’una concessione edilizia, la disponibilità dell’area oggetto d’intervento non è circoscritta alla dimostrazione della proprietà di quest’ultima, ma indica più propriamente l’esistenza d’una situazione giuridica che abilita il titolare a sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria dell’immobile in questione” (Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 22 giugno 2000, n. 3525).

In tal senso anche Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 26 gennaio 2015, n. 316, secondo cui l’impulso ad effettuare la trasformazione edilizia deve provenire da un soggetto che si trovi in posizione di detenzione qualificata del bene e, in relazione alla necessità del consenso del proprietario del bene oggetto di trasformazione, “il rilascio del titolo abilitativo (anche in sanatoria) fa comunque salvi i diritti dei terzi e non interferisce, pertanto, nell’assetto dei rapporti fra privati, ferma restando la possibilità per l’Amministrazione di verificare la sussistenza di limiti di matrice civilistica, per la realizzazione dell’intervento edilizio da assentire”.

Nel caso di specie nessun diritto sarebbe, neppure astrattamente, invocabile dai terzi condomini, attesa la chiarezza della pattuizione negoziale (riportata in tutti gli atti di acquisto e, quindi, opponibile anche ai successivi acquirenti o aventi causa dei condomini medesimi) che riserva l’uso ed il godimento esclusivo dell’area cortiliva al proprietario del negozio antistante.

8.2. Col secondo motivo gli appellanti assumono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 59.03 delle NTA del vigente PRG e delle norme in materia di distanza dai confini di proprietà e di indice di visuale libera, nonché in materia di indici volumetrici e/o di superficie utile.

8.2.1. Il motivo è inammissibile.

8.2.2. Come correttamente osservato dal giudice di prime cure, la doglianza è stata allegata in modo generico, soltanto apoditticamente affermata e non supportata nemmeno da un principio di prova. Ogni approfondimento istruttorio, pertanto, si rivelerebbe meramente esplorativo. La stessa parte appellante, del resto, finanche nell’atto di appello (pag. 8) ammette che “non si hanno ancora tutti gli elementi per poter essere più precisi, ragion per cui si attende che il comune, nel costituirsi in giudizio, produca gli atti che riguardano la vicenda, assieme ad una relazione che indichi le verifiche effettuate e i conteggi conseguenti”, non assolvendo così all’onere probatorio su di sé gravante secondo gli ordinari criteri di riparto.

9. La regolazione delle spese di lite del presente grado, liquidate come in dispositivo, segue il principio della soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge e, per l’effetto, conferma le statuizioni della sentenza di primo grado.

Condanna gli appellanti, in solido tra di loro, al pagamento delle spese di lite che liquida nella misura di euro 3.000,00 oltre spese generali, IVA e CPA, se dovuti, come per legge in favore di ciascuna parte.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Antonino Anastasi – Presidente

Fabio Taormina – Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere

Giuseppe Castiglia – Consigliere

Daniela Di Carlo – Consigliere, Estensore

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