Consiglio di Stato
sezione IV
sentenza 16 giugno 2015, n. 2975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUARTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3199 del 2013, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. Gi.Ma., con domicilio eletto presso Fe.Pe. in Roma, via (…);
contro
Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Lazio – Sez. staccata di Latina: Sezione I n. 00706/2012, resa tra le parti, concernente perdita del grado per rimozione
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa – Direzione Generale per il Personale Militare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 52, commi 1 e 2 del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 maggio 2015 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti l’avv. Gi.Ma. e l’avvocato dello Stato Am.El.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
A seguito di fatti verificatisi nella notte fra il 15 e il 16 agosto 2001, in relazione ai quali è stato accertato l’uso di sostanze stupefacenti, la Direzione generale del personale militare, all’esito di un procedimento disciplinare, ha inflitto al signor -OMISSIS-, vice brigadiere dell’Arma dei Carabinieri, la sanzione della perdita del grado per rimozione a norma dell’art. 60 della legge 31 luglio 1954, n. 599.
Il signor -OMISSIS- ha impugnato il provvedimento espulsivo, proponendo un ricorso che il T.A.R. per il Lazio – Latina, sez. I, ha respinto con sentenza 1 ottobre 2012, n. 206.
Il Tribunale regionale ha ritenuto ammesso l’uso occasionale di droga e ha ritenuto la sanzione inflitta indenne dalle censure di difetto di ragionevolezza e proporzionalità.
Il signor -OMISSIS- ha interposto appello contro la sentenza e ne ha anche chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva, formulando una domanda cautelare che la Sezione ha respinto con ordinanza 5 giugno 2013, n. 2141.
Nel merito, l’appellante sostiene che dal parallelo giudizio penale, instaurato per i medesimi fatti, sarebbe emerso un consumo solo occasionale di sostanza stupefacente. La valutazione di tale comportamento andrebbe storicizzata e, di recente, avrebbe portato a giudizi diversi da parte di organi di comando di forze armate, in specie delle forze di polizia, che, riguardo a una condotta del tutto assimilabile a quella contestata al signor -OMISSIS-, avrebbero inflitto la meno grave sanzione disciplinare della sospensione dall’impiego per dodici mesi.
Non avendo adeguatamente motivato il provvedimento impugnato, l’Amministrazione sarebbe incorsa in vizio della funzione cui – a seguito del ricordato diverso orientamento della prassi – si aggiungerebbe la disparità di trattamento, sintomo ulteriore dell’eccesso di potere.
L’Amministrazione della difesa si è costituita in giudizio per resistere all’appello, senza svolgere difese.
L’appellante ha quindi depositato copia della sentenza della Corte di cassazione, sez. III, 28 gennaio 2015, pronunciata nell’ambito del ricordato processo penale.
All’udienza pubblica del 12 maggio 2015, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
In via preliminare, la Sezione osserva come la ricostruzione in fatto, come sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non sia stata contestata dalle parti costituite per cui, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.
In termini di fatto, l’appellante non nega di avere fatto uso di droga, pur sostenendone il carattere occasionale e allegando le particolari circostanze in cui si sarebbe venuto a trovare (si veda la pag. 2 del ricorso in appello).
Ciò ammesso, null’altro si deve aggiungere a fondamento della legittimità del provvedimento espulsivo adottato dall’Amministrazione a seguito dell’episodio riferito.
A questo proposito, la parte privata ha contestato la ragionevolezza e la proporzionalità della sanzione della perdita del grado per rimozione. Al riguardo, tuttavia, va richiamato il consolidato orientamento – al quale il Collegio ritiene di aderire in assenza di particolari ragioni di segno contrario – secondo cui è incontestabile l’ampia discrezionalità che connota le valutazioni dell’Amministrazione in ordine alla sanzione disciplinare da infliggere a fronte delle condotte accertate (cfr. per tutte Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 2012, n. 1452, ove riferimenti ulteriori, ai quali adde almeno sez. IV, 31 ottobre 2012, n. 5582; sez. IV, 19 dicembre 2012, n. 6540).
Su tale premessa, non è né illogica né irragionevole la scelta di infliggere una sanzione destitutoria al militare dell’Arma dei carabinieri che risulti avere fatto uso di sostanze stupefacenti. Infatti, la condotta rimproverata è del tutto inammissibile, perché, alla luce dei compiti istituzionali dell’Arma e per la contiguità con soggetti operanti nell’illegalità che l’assunzione di stupefacenti inevitabilmente comporta, pregiudica la relazione fiduciaria con l’Amministrazione di appartenenza, costituisce una violazione con gli obblighi assunti con il giuramento prestato e rende del tutto irrilevante qualunque considerazione circa l’esito negativo di altri accertamenti o l’assenza di sintomi di tossicodipendenza.
Ciò detto e ammesso – come detto – il consumo di sostanze stupefacenti da parte dell’appellante, non sarebbe di alcuna utilità attendere l’esito del processo penale instaurato riguardo agli stessi fatti che hanno portato al provvedimento sanzionatorio impugnato. La relativa istanza di sospensione, formulata in udienza dal difensore della parte, non può dunque essere accolta.
Il vizio di disparità di trattamento, per altro verso, è prospettato in termini talmente generici da non poter essere preso in esame.
Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è infondato e va perciò respinto, con conferma della sentenza di primo grado.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
Tenuto conto della natura della controversia, le spese di giudizio possono essere compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa fra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti previsti dall’art. 52, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all’oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi dell’appellante, manda alla Segreteria di procedere all’annotazione di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 52, nei termini indicati.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 maggio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi – Presidente
Nicola Russo – Consigliere
Fabio Taormina – Consigliere
Andrea Migliozzi – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore
Depositata In Segreteria il 16 giugno 2015.
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