Consiglio di Stato
sezione IV
Sentenza 14 ottobre 2015, n. 4759
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE SESTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2120 del 2015, proposto da:
Ma.Lo., rappresentata e difesa dall’avvocato Ma.Fo., con domicilio eletto presso Gu.Le. in Roma, (…);
contro
Ministero per i beni e le Attività culturali, in persona del Ministro e legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, Via (…);
Comune di Sicignano degli Alburni;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – SEZ. STACCATA DI SALERNO: SEZIONE I n. 1192/2014, resa tra le parti, concernente diniego di compatibilità paesaggistica
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 settembre 2015 il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Di. per delega dell’avvocato Fo. e l’avvocato dello Stato Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- La signora Ma.Lo. impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania 4 luglio 2014 n. 1192 che ha respinto il ricorso dalla stessa proposto avverso il provvedimento del 2 agosto 2013 n. 22472, col quale la Soprintendenza per i beni architettonici e Paesaggistici di Salerno e Avellino ha espresso parere contrario sull’istanza dell’odierna appellante finalizzata ad ottenere una sanatoria paesaggistica di alcune opere edilizie realizzate in parziale difformità rispetto al permesso di costruire n. 23 del 19 giugno 2008 rilasciato dal Comune di Sicignano degli Alburni (Sa) su un immobile sito in località Acquafredda.
L’appellante si duole della erroneità della impugnata sentenza che, sul rilievo della compiutezza della motivazione addotta dall’autorità preposta alla tutela paesaggistica a sostegno dell’impugnato diniego, ha respinto il ricorso di primo grado essendo precluso, ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 (recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio), il rilascio del titolo paesaggistico in sanatoria se l’intervento ha comportato la realizzazione di nuove superfici e nuovi volumi.
Si è costituita in giudizio l’appellata amministrazione centrale per resistere all’appello e per chiederne la reiezione.
Le parti hanno depositato memorie in vista dell’udienza di discussione del ricorso.
All’udienza pubblica del 22 settembre 2015 la causa è stata trattenuta per la sentenza.
2.- L’appello è fondato e va accolto nei sensi di cui appresso.
Giova premettere una rapida ricostruzione in fatto della vicenda contenziosa.
La ricorrente, in data 16 luglio 2007, depositava presso il Comune di Sicignano degli Alburni (Sa) una richiesta di permesso di costruire per lavori di ristrutturazione edilizia consistenti nella demolizione e nella ricostruzione di un proprio immobile sito alla località Acquafredda.
Il Comune assentiva l’intervento, rilasciando il permesso di costruire n. 23 del 19 giugno 2008.
L’immobile in questione sorge in area tipizzata come “B” dal PRG vigente nel prefato Comune; in ragione di tanto, il procedimento autorizzatorio per l’esecuzione dell’intervento non necessitava, all’epoca di presentazione dell’istanza, del parere della competente Soprintendenza, ancorchè l’area rientrasse nel perimetro del Parco nazionale del Cilento (ai sensi di quanto disponeva l’art. 142, comma 2 del d.lgs. n. 42 del 2004 vigente all’epoca di presentazione dell’istanza di permesso di costruire).
Tuttavia, all’epoca del rilascio del titolo edilizio, per effetto dell’entrata in vigore del d.lgs n. 63 del 2008 recante modifiche, tra l’altro, al testo del citato art. 142, comma 2, anche nelle zone B ricomprese nei parchi era divenuta necessaria la previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica: il Comune nondimeno aveva rilasciato il titolo edilizio senza avvedersi dell’assenza di tale atto presupposto (appunto, il preventivo parere positivo della Soprintendenza).
Solo in occasione di una nuova richiesta di titolo edilizio in sanatoria, resosi necessario in ragione di talune varianti in corso d’opera realizzate dalla odierna parte appellante in difformità rispetto al pregresso permesso a costruire, la competente Soprintendenza adottava il parere negativo oggetto della impugnazione di primo grado. Con tale atto, l’Autorità preposta alla tutela paesaggistica rilevava, oltre alla parziale carenza della documentazione prevista dal dpcm 12 dicembre 2005 per esprimere con compiutezza le proprie valutazioni, di non poter in ogni caso rilasciare parere favorevole in ragione del carattere “originariamente”abusivo dell’immobile, in quanto le volumetrie e le superfici realizzate in forza del titolo edilizio non erano mai state assentite sul piano della loro compatibilità paesaggistica.
In altri termini, a base del parere negativo, la Soprintendenza competente per le province di Avellino e Salerno ha posto l’accento sul carattere “originariamente” abusivo dell’immobile (quantomeno sul piano paesaggistico) e sull’impossibilità consequenziale di rilasciare un titolo paesaggistico a sanatoria in presenza di nuove cubature e superfici, ostandovi il disposto del già richiamato art. 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
3. Ciò premesso in fatto, il Collegio è dell’avviso che le censure d’appello, con le quali si lamenta la lesione dell’affidamento riposto nella legittimità del titolo edilizio ottenuto a seguito di regolare istanza, siano meritevoli di favorevole apprezzamento nei limiti di seguito indicati.
Anzitutto, appare indubbio che il permesso di costruire n. 23 del 19 giugno 2008 ( mai ritirato in autotutela dalla Amministrazione comunale) abbia ingenerato nella parte privata istante un legittimo affidamento in ordine alla conformità dell’intervento non solo sul piano urbanistico-edilizio ma anche su quello paesaggistico posto che, all’epoca di presentazione dell’istanza, il procedimento autorizzatorio non contemplava – come detto- la previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica nelle aree del territorio comunale tipizzate come “B” dallo strumento urbanistico. Che poi la normativa sia medio tempore mutata – nei sensi anzidetti, prima della data di adozione del permesso di costruire – è circostanza che non elide il profilo dell’affidamento riposto dal privato riguardo alla sua pretesa ad ottenere il titolo a costruire, come in effetti avvenuto.
Ed invero, per un verso appare contrario ai principi di lealtà e buona fede richiedere ad un cittadino che abbia richiesto ed ottenuto il rilascio di un provvedimento favorevole sulla base di una situazione di fatto e di diritto esistente all’epoca della sua domanda di verificare ex se se quel provvedimento possa considerarsi legittimo sulla base delle modifiche normative intervenute dopo la presentazione della sua domanda ma prima dell’ adozione dell’atto. Doveva essere, al più, il Comune a non rilasciare il titolo edilizio senza aver prima acquisito il parere favorevole della competente Soprintendenza ( che è atto presupposto rispetto al permesso di costruire, cfr. art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004) ovvero, ricorrendone i presupposti, a ritirarlo in un termine ragionevole nell’esercizio del potere di autotutela decisoria.
Per altro verso, sarebbe contrario ai canoni dell’equità prima ancora che del diritto che un soggetto possa subire le conseguenze pregiudizievoli di un ritardo nell’adozione del provvedimento imputabile ad altri ( in realtà, tra la data della istanza ed il provvedimento comunale di assenso è decorso quasi un anno) quantomeno sotto il profilo di non ritenere illegittimo l’affidamento dallo stesso riposto nella conformità del titolo alla disciplina normativa applicabile alla fattispecie (tenuto vieppiù conto della presunzione di legittimità che assiste ogni atto amministrativo): se il Comune avesse tempestivamente provveduto sull’istanza, avrebbe rilasciato un provvedimento immune da vizi.
Da tanto discende che l’attività edilizia posta in essere dalla odierna appellante è stata ab origine supportata da un titolo edilizio apparentemente idoneo a legittimare il suo intervento anche sul piano paesaggistico (in considerazione, appunto, della specificità del caso in esame, contraddistinto dall’intervenuta modifica legislativa dopo la presentazione della domanda dell’interessata e del rilascio del titolo a notevole distanza dalla predetta domanda). Non senza ragione, pertanto, l’odierna appellante richiama il suo stato di affidamento legittimo in relazione all’attività edilizia posta in essere sulla base del titolo edilizio ottenuto e censura, con la impugnata sentenza, il parere negativo della Soprintendenza che non tiene conto del fatto inerente alla cristallizzazione del titolo edilizio e della sua portata scriminante, anche agli effetti paesaggistici (per quanto si è testè detto), rispetto a quella parte di attività edilizia posta in essere in senso conforme al titolo.
Per quanto detto, i profili di fondatezza dell’appello e, con esso, del ricorso di primo grado risiedono nell’erronea valutazione, da parte dell’autorità paesaggistica, che quanto realizzato dalla odierna appellante sulla base del permesso di costruire n. 23 del 2008 non possa ritenersi – come in concreto avvenuto – ostacolo insuperabile alla valutazione di compatibilità paesaggistica, tenuto conto che l’odierna appellante versava – per quanto fin qui esposto – in una situazione di buona fede soggettiva in occasione della realizzazione sulla base del titolo edilizio ottenuto del suo intervento in zona “B”.
E’ evidente che, da tale punto di vista, nessun ostacolo avrebbe per converso incontrato l’autorità soprintendentizia ad appuntare il suo scrutinio sui soli profili afferenti alla non conformità degli interventi edilizi eseguiti rispetto al titolo edilizio, posto che in tale ambito l’odierna appellante non avrebbe potuto giovarsi ( per radicare il suo affidamento) dello scudo giuridico del permesso di costruire. Ma non è giustappunto questo il tipo di esame che quella autorità ha inteso compiere sul complessivo intervento edilizio realizzato dalla appellante, giudicato nel suo insieme insanabile sul piano paesaggistico proprio perché inficiato dal predetto vizio “originario” e dalla avvenuta realizzazione di volumi e superfici costituenti ostacolo legale (ai sensi del richiamato art. 167 cit.) ai fini del rilascio del parere di compatibilità paesaggistica.
Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va accolto nei sensi di cui in motivazione, restando salvi gli ulteriori provvedimenti delle competenti amministrazioni in ordine a quella parte degli interventi edilizi eseguiti in difformità rispetto al permesso di costruire n. 23 del 2008.
4.- Quanto alle spese del doppio grado di giudizio, ricorrono giusti motivi, in considerazione del particolare epilogo della vicenda, per far luogo alla loro compensazione tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello (RG n. 2120/15), come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza ed in accoglimento del ricorso di primo grado, annulla il provvedimento in quella sede impugnato.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Filippo Patroni Griffi – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere, Estensore
Roberta Bigotti – Consigliere
Carlo Mosca – Consigliere
Depositata in Segreteria il 14 ottobre 2015.
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