È da accogliere la domanda di risarcimento del danno all’immagine di un Consigliere di amministrazione dell’Istituto Superiore di Sanità, che era stato dichiarato decaduto dalla carica a seguito di un provvedimento dichiarato illegittimo.
Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 3 novembre 2016, n. 4615
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3037 del 2016, proposto da:
Ministero della Salute e Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
– Pa. Di. Lo., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Ba. C.F. (omissis), con domicilio eletto presso Ar. Po. in Roma, via (…) – anche appellante incidentale;
– Al. Co., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III QUATER, n. 00213/2016, resa tra le parti, concernente decadenza degli organi dell’Istituto Superiore di Sanità;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Pa. Di. Lo.;
Visto l’appello incidentale di Pa. Di. Lo.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 settembre 2016 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato Fi. De. su delega di An. Ba. e l’avvocato dello Stato Wa. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con decreto del Ministro della Salute, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in data 10 luglio 2014 è stata disposta la decadenza del Presidente del Consiglio di Amministrazione, del Consiglio di Amministrazione e del Comitato Scientifico dell’Istituto Superiore di Sanità, ed è stato nominato un Commissario per l’espletamento dei compiti connessi al ripristino dell’equilibrio finanziario dell’Istituto.
2. Il commissariamento risulta disposto ai sensi dell’art. 15, comma 1-bis, del d.l. 98/2011, convertito con modificazioni nella legge 111/2011, ravvisandosi il presupposto, ivi contemplato, di un ente pubblico che “presenti una situazione di disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi”.
3. L’incarico commissariale è stato prorogato per ulteriori sei mesi con decreto in data 21 gennaio 2015.
4. Il provvedimento di commissariamento e la proroga sono stati impugnati dinanzi al TAR del Lazio dall’ing. Di. Lo. e dal dott. Co., due dei consiglieri di amministrazione (a suo tempo nominati per un quadriennio con decreto in data 28 marzo 2013 e) decaduti.
5. Il TAR del Lazio, con ordinanza n. 1504/2015, ha disposto una verificazione volta ad accertare l’esistenza dei presupposti applicativi della misura decadenziale, ed in particolare della situazione di disavanzo di competenza così come definito dalle disposizioni vigenti, demandandone l’espletamento ad un professore di prima fascia esperto nella materia, nominato dal Rettore dell’Università La. Sa..
6. Nella relazione depositata in data 23 luglio 2015, il verificatore, prof. Ga. (ordinario di Economia aziendale), ha in particolare affermato che “il commissariamento presuppone profili di criticità dell’ente tali – sotto il profilo economico, finanziario e patrimoniale – da non poter essere recuperate con strumenti di gestione ordinari e la minaccia di dissesto concreta ed effettiva. Nel caso di ISS, in base alla valutazione complessiva delle condizioni economiche, patrimoniali e finanziarie risultanti dai Rendiconti dell’Istituto per gli anni 2011 e 2012 non emerge una situazione di crisi tale da non poter assicurare l’assolvimento delle funzioni indispensabili ovvero non consentire all’ente di fare fronte ai debiti liquidi ed esigibili nei confronti dei terzi”, concludendo che “non appare quindi sussistere in capo all’Istituto Superiore di Sanità negli anni 2011 e 2012 la situazione di disavanzo di competenza così come definito dalle disposizioni normative vigenti e dalle circolari richiamate in atti quali presupposti applicativi della misura decadenziale ex art. 15, comma 1 bis D.L. n. 98/2011 convertito in L. n. 111/2011”.
7. Con decreto in data 26 novembre 2015 è stato nominato un nuovo consiglio di amministrazione dell’ISS.
8. Il TAR del Lazio, con la sentenza appellata (III-quater, n. 213/2016), decisa in udienza cinque giorni dopo l’adozione di detto ultimo provvedimento:
(a) – ha dichiarato la domanda di annullamento improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, non avendo i ricorrenti impugnato il successivo provvedimento di nomina del nuovo consiglio di amministrazione;
(b) – ha quindi proceduto ad accertare l’illegittimità dei provvedimenti impugnati ai fini risarcitori, e, “uniformandosi” alle conclusioni del verificatore, ha ritenuto fondate le doglianze dei ricorrenti sull’insussistenza dei presupposti del commissariamento ed ha ravvisato altresì la sussistenza della colpa dell’Amministrazione;
(c) – ai fini dell’individuazione delle voci di danno risarcibile, ha respinto ogni pretesa in relazione al danno all’immagine, ritenendo generica la sua prospettazione;
(d) – ai fini della quantificazione del lucro cessante, ha escluso che dovessero essere decurtati i guadagni che ciascun ricorrente aveva conseguito a seguito dello svolgimento di un’altra attività lavorativa nelle more del commissariamento, osservando che incombeva in capo a parte resistente dimostrare o l’incompatibilità di componente del Consiglio di amministrazione dell’ISS con lo svolgimento di altre attività lavorative ovvero che l’impegno richiesto per lo svolgimento delle funzioni de quibus era tale da precludere tout court per i ricorrenti lo svolgimento di qualsiasi altra attività lavorativa, e che detto onere probatorio non era stato assolto;
(e) – ha conseguentemente condannato i Ministeri soccombenti al risarcimento del danno, affermando che spettano ai ricorrenti i medesimi emolumenti che sarebbero stati loro corrisposti se non fossero stati adottati i provvedimenti di commissariamento e di proroga del commissariamento, da calcolare tenendo conto: i) della durata complessiva del commissariamento, comprensivo anche del periodo di proroga; ii) dell’indennità di componente del Consiglio di amministrazione che ciascun ricorrente avrebbe conseguito durante il predetto periodo; iii) dei gettoni di presenza che i suddetti ricorrenti avrebbero ottenuto considerando sempre per il periodo de quo due sedute al mese dell’organo di cui facevano parte; iv) che sulle somme di cui sopra dovranno essere altresì riconosciuti gli interessi legali dalla data di esigibilità fino al soddisfo.
9. La sentenza è stata appellata dai due Ministeri resistenti.
9.1. In ordine alla sussistenza dei presupposti del commissariamento, gli appellanti principali prospettano che:
– la norma si limita ad esigere che il bilancio dell’ente non presenti un disavanzo di competenza per due esercizi, e non autorizza alcuna valutazione discrezionale in merito all’indice di gravità della situazione di sofferenza contabile;
– la norma non esplicita su quale aspetto della gestione ci si deve soffermare e dunque per le amministrazioni vigilanti ha assunto rilievo la sola competenza finanziaria, che mostra indiscutibilmente per il 2011 e per il 2012 un disavanzo di gestione (cfr. anche i pareri della Ragioneria Generale dello Stato in ordine ai consuntivi, di cui alle note prot. 62210 in data 16 luglio 2012 e 50269 in data 11 giugno 2013);
– rispetto a detti dati, il verificatore ha opposto l’effetto attenuatore dell’esistenza di un avanzo di amministrazione capace di assorbire eventuali saldi negativi, ma il ragionamento è stato contestato dalle Amministrazioni resistenti (l’ipotetica idoneità dell’avanzo di amministrazione avrebbe richiesto una verifica circa l’effettiva esigibilità dei crediti, la presenza di una sufficiente liquidità di cassa, tenendo conto dell’inutilizzabilità ai fini della quantificazione dell’avanzo di talune voci contabili caratterizzate da vincoli specifici), senza che sul punto sia stata spesa una riga di motivazione
– tant’è che (dopo aver rilevato, con la circolare n. 33 in data 28 dicembre 2011, che “un disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi non è sinonimo di per sé di squilibrio finanziario della gestione e non comporta l’automatica applicazione della norma… qualora l’ente abbia raggiunto il pareggio di bilancio utilizzando quote di avanzo di amministrazione già effettivamente realizzato e disponibile”) la stessa R.G.S., nelle note prot. 7523 in data 27 gennaio 2014 e 19610 in data 6 marzo 2014, ha affermato che “l’avanzo di amministrazione dell’ente… non appare né effettivo né disponibile, tenuto conto dei saldi negativi, per entrambi gli esercizi, tra il fondo cassa e la massa dei residui passivi”;
– per quanto attiene alla valutazione del verificatore sulla insussistenza di profili di criticità tali da non poter essere recuperati con strumenti di gestione ordinari, la Corte dei Conti in sede di controllo enti ha rilevato che “…la presenza di una massa così elevata di residui appare sintomo di una insufficiente capacità di riscossione da parte dell’ente e di una non celere azione amministrativa contrassegnata da un divario temporale eccessivo fra impegni e gli effettivi pagamenti…” (determinazione n. 86 in data 15 ottobre 2016);
9.2. Per quanto concerne i presupposti del risarcimento, lamentano che, in ogni caso, in ragione delle difficoltà interpretative di una normativa relativamente nuova e di contenuto innegabilmente complesso, in mancanza di ausilio interpretativo da parte della giurisprudenza o della dottrina, ed in presenza delle valutazioni della R.G.S. e della Corte dei Conti nel senso della sussistenza dei presupposti per il commissariamento, appare evidente che avrebbe dovuto riconoscersi l’errore scusabile.
9.3. Circa la quantificazione del danno risarcibile, sostengono che:
– il gettone di presenza non va commisurato a due riunioni al mese, dato che il decreto 27 giugno 2001 (Regolamento sulle modalità di funzionamento del consiglio di amministrazione e del comitato scientifico) prevede che gli organi si riuniscono in seduta ordinaria una sola volta al mese;
– prima ancora, il gettone di presenza costituisce un corrispettivo per il concreto impegno profuso nella partecipazione alle sedute, e quindi non può essere riconosciuto laddove tale impegno in concreto non vi sia stato;
– a fini cautelativi, si aggiunge che l’appellato Co. non può chiedere danno curriculare, atteso che la sua nomina (d.m. 11 dicembre 2014) è addirittura successiva al commissariamento.
10. Si è costituito in giudizio uno soltanto degli appellati, l’ing. Di. Lo., ed ha controdedotto puntualmente, chiedendo il rigetto dell’appello principale.
11. L’ing. Di. Lo. ha anche proposto appello incidentale.
11.1. In ordine alla erronea declaratoria di improcedibilità della domanda di annullamento, per sopravvenuta carenza di interesse, lamenta che il TAR non ha correttamente verificato la sussistenza dell’interesse ad agire, posto che non era affatto precluso il conseguimento del bene della vita cui mirava l’impugnazione, in quanto:
– con ricorso cumulativo, aveva impugnato il decreto di commissariamento anche il Dott. Al. Co., il quale, al contrario dell’Ing. Di. Lo., veniva confermato nella carica di consigliere di amministrazione dell’I.S.S. dal nuovo decreto del 26 novembre 2015; pertanto, allo stesso non rimaneva altro che impugnare il decreto di nomina del nuovo Consiglio di amministrazione con ricorso autonomo e non già con ricorso per motivi aggiunti essendo le posizioni sostanziali dei singoli ricorrenti relative al nuovo provvedimento tra loro incompatibili;
– in ogni caso, non potrebbe neanche farsi valere quale prova di rinuncia tacita all’impugnazione del decreto di nomina del nuovo organo e, quindi, idonea a dimostrarne la definitività, neppure la mancata impugnazione con ricorso per motivi aggiunti nell’ambito del medesimo procedimento (anziché con separato ricorso, tempestivamente proposto – n. 1550/2016 – e tuttora pendente), posto che, ai sensi dell’art. 43 c.p.a., la proposizione di nuove domande mediante motivi aggiunti è una possibilità, non un onere;
11.2. In ordine al mancato riconoscimento a titolo di lucro cessante dell’indennità di carica per l’intera durata del mandato, lamenta che:
– nell’indicare alle amministrazioni resistenti i criteri in base ai quali quantificare il suddetto danno, il TAR stabiliva come periodo di riferimento, sulla base del quale calcolare l’indennità di carica ed i gettoni di presenza spettanti esclusivamente il periodo di “durata complessiva del commissariamento, comprensivo anche del periodo di proroga”, così erroneamente omettendo di considerare che il danno subito e subendo non si sarebbe arrestato di certo al momento di scadenza del commissariamento e della relativa proroga, bensì si sarebbe protratto per l’intero periodo di durata del mandato di consigliere di amministrazione (28 marzo 2017), mandato che l’odierno appellante incidentale non avrebbe potuto portare a termine a suo unico scapito e a prescindere da qualsivoglia sua responsabilità.
11.3. Al fine di dimostrare l’erroneità del rigetto della domanda di risarcimento del danno all’immagine, prospetta che:
– per giurisprudenza costante della Corte di Cassazione e del Giudice Amministrativo (si veda ex multis, Cass.civ., III, 28/09/2012 n. 16543, nonché Cons. Stato, V, 24 febbraio 2011, n. 1195) la lesione di diritti attinenti alla personalità protetti dalla Costituzione comporta ex se un danno di autonoma rilevanza patrimoniale, suscettibile, in quanto tale, di riparazione per equivalente; la lesione di diritti della personalità invero determina una perdita comparabile per analogia a quella prevista dall’art. 1223 c.c., poiché comporta una diminuzione o privazione del valore, sebbene di natura non patrimoniale, della persona umana in quanto tale, in rapporto alla quale deve essere commisurato il risarcimento del relativo danno; il diritto all’immagine e alla reputazione personale sono diritti soggettivi perfetti riconosciuti e tutelati dagli artt. 2 e 3 della Costituzione quali diritti della personalità alla cui lesione sorge il diritto del titolare al risarcimento del danno patrimoniale, ex art. 2043 c.c., e del danno non patrimoniale, ex art. 2059 cc., e ciò senza che sia necessaria la prova dell’esistenza del danno una volta che sia stato già provato il fatto lesivo;
– in ogni caso, in ragione del rilievo dato dai media al commissariamento dell’I.S.S. e del giudizio di disvalore sull’operato degli amministratori, nonché della figura professionale dell’appellante, è fuor di dubbio che effettivamente la vicenda abbia arrecato un ingente danno all’immagine e alla reputazione – personale e professionale – dell’appellante, poiché allo stesso è stata del tutto illegittimamente attribuita, sebbene non possa essere ascritta al periodo di carica svolto, la responsabilità, quanto meno di fronte all’opinione pubblica, della situazione di declino dell’Istituto di cui era amministratore.
12. Le Amministrazioni appellanti principali non hanno ulteriormente controdedotto.
13. Ad avviso del Collegio, l’appello principale è infondato e deve pertanto essere respinto.
14. Ad avviso del Collegio, le considerazioni del verificatore nominato dal TAR non consistono in mere valutazioni discrezionali, come tali non sovrapponibili a quelle di segno contrario svolte dalla R.G.S. e sostanzialmente recepite nel provvedimento di commissariamento. Al contrario, il verificatore, muovendo dalla esposizione di quella che ha ritenuto essere una corretta applicazione dei principi contabili rilevanti (ed in particolare, di cosa debba intendersi per “disavanzo” ai fini dell’applicazione dell’art. 15, comma 1-bis, del d.l. 98/2011), così come declinati attraverso circolari ed atti del massimo organo ministeriale del settore, appunto la R.G.S., giungono motivatamente a conclusioni opposte a quelle presupposte dal commissariamento.
L’art. 15, comma 1-bis, del d.l. 98/2011 prevede l’adozione di misure straordinarie (decadenza degli organi dell’ente e contestuale commissariamento) al verificarsi, tra le altre, di una “situazione di disavanzo di competenza per due esercizi consecutivi”, situazione che, così come interpretata in via autentica dalla citata circolare, “non è sintomo di per sé di squilibrio finanziario della gestione e non comporta l’automatica applicazione della norma in esame, qualora l’ente abbia raggiunto il pareggio di bilancio utilizzando quote di avanzo di amministrazione già effettivamente realizzato e disponibile”.
14.1. Quanto al predetto profilo dell’effettiva realizzazione degli avanzi di amministrazione, può richiamarsi quanto affermato dal verificatore nella relazione finale (pagg. 30-33): “gli elementi dimostrativi in ordine alla effettiva realizzazione e alla reale disponibilità delle risorse (avanzo di amministrazione dell’anno precedente) devono risultare dalle relazioni che accompagnano i documenti contabili; inoltre il Collegio dei revisori deve verificare l’effettiva sussistenza dell’equilibrio finanziario della gestione accertando quanto indicato (al riguardo) nelle relazioni che accompagnano i documenti contabili. Nel caso in esame gli avanzi di amministrazione 2010 e 2011 appaiono effettivamente realizzati in quanto sono stati accertati con i Rendiconti Generali degli esercizi 2010 e 2011, regolarmente deliberati ed approvati. […]Gli avanzi di amministrazione 2010 e 2011 sono stati applicati agli esercizi successivi con il parere favorevole del Collegio dei Revisori dei Conti (Cfr. verbali del Collegio dei Revisori n. 182/2012 e n. 195/2013) previa specifica verifica, in particolare dei residui, come esposto nel seguente prospetto […].In questo quadro la procedura di riaccertamento dei residui, predisposta dal Direttore Generale, approvata dal Consiglio di Amministrazione e attestata dal Collegio dei Revisori (ai sensi dell’art. 41 c.5, 6 e 7 del Regolamento concernente la disciplina amministrativa contabile di ISS) certifica, in sede di approvazione del Rendiconto, l’effettiva realizzazione dell’avanzo di amministrazione dell’anno precedente.”.
14.2. Quanto al profilo attinente alla disponibilità degli avanzi di amministrazione, nella verificazione risulta affermato che gli avanzi di amministrazione, oltreché realizzati, erano da considerarsi anche disponibili, posto che dalla documentazione contabile analizzata emergeva con chiarezza la presenza, nelle casse dell’Istituto, di risorse liquide ampiamente sufficienti a far fronte agli impegni dell’Ente, con riferimento ad entrambi gli esercizi in questione (pagg. 35-36 della relazione finale); peraltro, il verificatore ha anche precisato che il requisito della disponibilità non sarebbe venuto meno neanche nel caso in cui si fossero sottratti agli avanzi di amministrazione la quota dei medesimi che risultava vincolata a finalità specifiche, e che quindi non era concretamente utilizzabile a copertura del disavanzo di competenza.
14.3. Il verificatore ha preso in considerazione il metodo adottato nelle note n. 7523/2014 e n. 19610/2014, invocate dalle Amministrazioni appellanti, ed ha precisato che “Il criterio utilizzato dal MEF, volto a ritenere utilizzabile l’avanzo solo se la cassa è superiore ai residui passivi non trova fondamento né giuridico né tecnico ed è soprattutto privo di motivazione. Ed anzi pare addirittura in contrasto con la normativa: infatti l’art. 186 del D.Lgs. 267/2000 stabilisce che il Risultato contabile di amministrazione (avanzo di amministrazione) disponibile per la copertura del disavanzo finanziario di competenza <<è pari al fondo cassa aumentato dei residui attivi e diminuito dei residui passivi>>” (pag. 36).
Come sottolinea l’appellato Di. Lo., va aggiunto in contrario che residui attivi potevano ben concorrere a costituire l’avanzo di amministrazione disponibile, specialmente nel caso dell’Istituto Superiore di Sanità, i cui residui attivi erano composti per il 90% da crediti verso lo Stato, i quali sono certi ed esigibili per definizione.
14.4. L’appellato sottolinea altresì che l’Amministrazione statale, in sede di contradditorio, con nota del 16 luglio 2015, proponeva un ulteriore e diverso criterio di valutazione in ordine alla disponibilità degli avanzi di amministrazione, vale a dire utilizzando il principio secondo il quale non possono essere utilizzate le risorse destinante a spese in conto capitale per la copertura di spese correnti; e che tale criterio veniva preso in esame e approvato dallo stesso verificatore il quale, tuttavia, rilevava che “il criterio in questione non è stato considerato dal MEF al momento del commissariamento e che la connessa analisi si fonda su dati e documenti oggi a disposizione del Ministero, quale soggetto vigilante su ISS, e come tali messi a disposizione in sede di Verificazione” (pag.39). Tale criterio, portava, in ogni caso, il Ministero a riconoscere il fatto che l’avanzo del 2010 era sufficiente a garantire l’equilibrio dell’esercizio 2011, mentre quello del 2011 non avrebbe potuto garantire l’equilibrio dell’esercizio 2012; queste conclusioni del MEF vengono così evidenziate dal verificatore: “Pertanto nel biennio oggetto di verificazione (2011 e 2012) la condizione per il commissariamento si sarebbe comunque realizzata solo in uno dei due prescritti esercizi” (pag. 39).
14.5. Quanto ai rilievi contenute nella determinazione della Corte dei Conti n. 86/2016, occorre osservare che una insufficiente capacità di riscossione non implica di per sé l’esistenza attuale di un disavanzo, e che comunque, in relazione alla capacità di riscossione, assume rilevanza la predetta natura della maggior parte dei crediti che l’Istituto non riesce a riscuotere tempestivamente.
15. Le valutazioni del verificatore si sottraggono alle censure dedotte, e di conseguenza resta fermo l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento operato dal TAR.
16. Anche in ordine alla mancanza dell’elemento della colpa, ai fini risarcitori, la tesi dell’appello, che sostiene la sussistenza di un errore scusabile, non può essere accolta.
Infatti, in primo grado, come rilevato dal TAR, la sussistenza di circostanze integranti gli estremi dell’errore scusabile non è stata prospettata, e pertanto la deduzione deve ritenersi preclusa in appello, ai sensi dell’art. 104, cod. proc. amm.
In ogni caso, non sembra possa ravvisarsi un errore scusabile, in presenza di un’interpretazione del concetto di “disavanzo” che non ha tenuto adeguatamente conto di quella, in qualche misura “autentica” per provenienza e forma dell’atto, contenuta nella circolare n. 33/2011, dalla stessa R.G.S. elaborata tre anni prima dell’adozione del provvedimento di commissariamento, nonché dell’avvenuta approvazione, senza condizioni, del consuntivo 2011 da parte del Ministero della salute con provvedimento prot. 5307-P del 19/09/12.
Tanto è sufficiente per respingere le censure in esame (senza dover considerare l’ipotesi dell’appellato, il quale, anche alla luce della circostanza secondo la quale il commissario è stato poi nominato presidente dell’Istituto, pone il commissariamento in diretta correlazione con il mutamento della compagine governativa e della volontà politica ministeriale).
17. Infine, le censure degli appellanti principali non possono inficiare neanche la delimitazione del danno risarcibile operata dal TAR.
Infatti, se è vero che il gettone di presenza costituisce un corrispettivo per la concreta partecipazione alle sedute, l’argomentazione degli appellanti trascura di considerare che la partecipazione non è potuta avvenire a causa del commissariamento e costituisce essa stessa il danno causato dal provvedimento illegittimo.
Né l’appello ha riproposto la compensatio lucri cum damno, motivatamente esclusa dal TAR in ragione dell’omessa dimostrazione dello svolgimento di attività alternative in regime di incompatibilità.
La commisurazione a due sedute mensili, pur in presenza della previsione del decreto 27 giugno 2002, appare corretta, in quanto il danno da lucro cessante segue una prognosi basata non soltanto sulle previsioni normative, ma anche sull’esperienza passata che sia ad essa conforme, e quindi, non essendo contestata la prassi di tenere, mediamente, due sedute mensili, è corretta la quantificazione che ne ha tenuto conto.
Quanto alla decorrenza del “danno curriculare” riconosciuto al dott. Co., se con l’espressione si intende il danno all’immagine professionale, esso non è stato riconosciuto dalla sentenza appellata, essendo oggetto dell’appello incidentale proposto dal (solo) Di. Lo..
18. Il Collegio aggiunge che le considerazioni dell’appellato Di. Lo. in ordine al quantum del risarcimento dovuto in base ai criteri stabiliti dal TAR, non possono essere valutate, in mancanza di certezza sugli importi dell’indennità di carica e del gettone di presenza stabiliti dalle norme organizzative dell’Istituto.
Pertanto, relativamente a dette voci di danno, la condanna non può assumere un carattere di maggiore specificità di quello assicurato dalla sentenza di primo grado, i cui criteri, peraltro, una volta accertati i parametri di partenza, sono suscettibili di mera applicazione algebrica.
19. L’appello incidentale dell’ing. Di. Lo. è invece fondato, nei sensi e limiti appresso indicati.
20. Quanto alla pronuncia di improcedibilità, ha ragione l’appellante incidentale nel sostenere che l’individuazione della sopravvenuta carenza di interesse deve essere effettuata con criteri rigorosi e restrittivi per evitare che la preclusione dell’esame del merito della controversia si trasformi in un’inammissibile elusione dell’obbligo del giudice di provvedere sulla domanda (cfr., ex multis, Cons. Stato, V, n. 1663/2014; IV, n. 4637/2013). Dovendosi, in particolare, ritenere che (a prescindere dalle ipotesi di sopravveniente costituite da modifiche normative o accadimenti di fatto) solo laddove vi sia stata l’adozione di provvedimenti sopravvenuti ormai non più utilmente impugnabili, il giudice possa dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse, essendo ormai definitiva l’inconfigurabilità di qualsiasi possibile utilità discendente dalla favorevole definizione nel merito della controversia.
20.1. Pertanto, dall’accertamento dell’illegittimità del commissariamento avrebbe dovuto conseguire anche l’annullamento del provvedimento e di quello di proroga; salvi, ai fini del reinsediamento, gli effetti preclusivi della nomina del nuovo consiglio di amministrazione dell’Istituto, la cui legittimità non può essere valutata in questa sede.
20.2. La pendenza del giudizio in ordine alla legittimità del provvedimento di nomina del nuovo consiglio di amministrazione fa sì che non sia determinabile il periodo di commisurazione del danno da lucro cessante subito dall’appellante incidentale (che, in caso di reiezione del relativo ricorso, potrebbe risultare limitato al periodo del commissariamento, già riconosciuto dal TAR; in caso di accoglimento, potrebbe protrarsi fino al reinsediamento dell’appellante o alla data di scadenza naturale del suo incarico, che cadrebbe a marzo 2017).
Del resto, la pretesa al mantenimento dell’interesse (azionato nel giudizio pendente dinanzi al TAR) alla riassunzione dell’incarico per il periodo residuo contraddice, allo stato, quella alla liquidazione del danno per tutta la durata del mandato.
In conclusione sul punto, in questa sede non può riconoscersi un maggiore periodo di riferimento per il danno da lucro cessante.
21. Resta da esaminare la pretesa al risarcimento del danno all’immagine, negato dal TAR.
21.1. La giurisprudenza riconosce che, nel caso di lesione del diritto all’immagine è risarcibile oltre all’eventuale danno patrimoniale (se verificatosi e se dimostrato) il danno non patrimoniale costituito dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali il danneggiato abbia a interagire (cfr., in ultimo, Cass. civ., I, n. 8397/2016).
Precisa che Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come nel caso di lesione al diritto alla reputazione, non è in re ipsa, ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi ne domandi il risarcimento (cfr., in ultimo, Cass. civ., III, n. 1225/2015; VI, n. 21865/2013). Nello stesso senso le pronunce del giudice amministrativo in materia di risarcimento del danno a seguito di illegittima revoca di incarichi istituzionali (cfr. Cons. Stato, VI, n. 8123/2010; TAR Abruzzo, n. 138/2016; TAR Sicilia, Catania, III, n. 385/2015).
A ben vedere, le pronunce invocate dall’appellante incidentale non affermano che si possa prescindere dalla prova del danno subito, ma soltanto, condivisibilmente, che la lesione di diritti della personalità protetti dalla Costituzione comporta un danno di autonoma rilevanza patrimoniale, suscettibile di riparazione per equivalente (Cons. Stato, V, n. 1195/2011) e che la prova del danno (in quel caso, da diffamazione) può essere data con ricorso al notorio e tramite presunzioni (Cass. civ., III, n. 16543/2012).
21.2. Anche nel caso in esame, ad avviso del Collegio, la prova del danno si può considerare realizzata nell’ultimo modo predetto (così come prospetta, in seconda battura, l’appellante incidentale), se soltanto si considerano il rilievo dato dai media al commissariamento dell’I.S.S. ed il giudizio di disvalore sull’operato degli amministratori che inevitabilmente ad esso si è associato nell’opinione pubblica, in relazione alla circostanza che l’appellante a suo tempo era stato selezionato quale componente del consiglio di amministrazione, in esito ad una valutazione dei curricula e delle professionalità e competenze, proprio in vista del raggiungimento degli obiettivi di efficienza ed economicità previsti dalla riforma dell’ente di cui al d.lgs. 106/2012.
22. Va dunque riconosciuto all’ing. Di. Lo. anche il risarcimento del danno da immagine, che può essere liquidato, in via equitativa, nella misura del 10% degli emolumenti illegittimamente non corrisposti (cfr. sent. n. 1159/2011, cit.).
23. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza,
definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti:
– accoglie l’appello incidentale dell’ing. Di. Lo. nei sensi e limiti indicati in parte motiva;
– respinge l’appello principale dei Ministeri della salute e dell’economia e delle finanze;
-per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso proposto in primo grado anche per quanto concerne la domanda di annullamento ed annulla i provvedimenti impugnati e condanna i suddetti Ministeri al risarcimento in favore dell’ing. Di. Lo. anche del danno all’immagine, secondo quanto indicato in parte motiva.
Condanna i suddetti Ministeri al pagamento in favore dell’ing. Di. Lo. della somma di euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre agli accessori di legge, per le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Carlo Deodato – Consigliere
Manfredo Atzeni – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri – Consigliere
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