Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 3 luglio 2015, n. 3310

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9572 del 2014, proposto da Ga.At. in proprio e quale legale rappresentante dell’omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dagli avv. Fe.La. e Fr.Ca., con domicilio eletto presso il primo in Roma, (…);

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri – Commissariato di governo per l’ emergenza brucellosi negli allevamenti bufalini nella provincia di Caserta e zone limitrofe; il Ministero dell’Interno – U.T.G. – Prefettura di Caserta, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio presso la sede della stessa in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I n. 07375/2014, resa tra le parti, concernente restituzione delle somme erogate per la concessione dell’indennizzo per l’abbattimento di capi bufalini infetti

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Commissariato di governo per l’ emergenza brucellosi negli allevamenti bufalini nella provincia di Caserta e zone limitrofe e del Ministero dell’Interno – U.T.G. – Prefettura di Caserta;

Viste le note a difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 aprile 2015 il consigliere Bruno Rosario Polito e uditi per le parti l’ avvocati La. ed altri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso proposto avanti al T.A.R. per il Lazio il sig. At.Ga., in proprio e quale titolare di azienda agricola zootecnica sita in Casal di Principe (CE) esercitata in forma di ditta individuale, proponeva azione impugnatoria avverso i provvedimenti del Commissario straordinario per l’emergenza brucellosi in Provincia di Caserta e zone limitrofe n. 0001264 del 18 maggio 2010, con i quali era disposta la restituzione di somme già liquidate al ricorrente a titolo di indennizzi relativi agli abbattimenti di capi bufalini infetti, e il diniego dell’erogazione degli ulteriori indennizzi richiesti.

Quanto precede in base all’ informativa della Prefettura di Caserta del 4 gennaio 2010, n. 2171/12.b.16/ANT/AREA 1^, di accertamento nei confronti del ricorrente delle cause interdittive di cui all’art. 4 del d.lgs. 8 agosto 1994, n. 490.

Con successivi motivi aggiunti l’azione di annullamento era stata estesa anche avverso detta informativa, gli atti ivi richiamati e ad essa preordinati, al piano operativo approvato con decreto commissariale n. 4 del 6 maggio 2008, nella parte in cui subordina l’erogazione degli indennizzi in parola all’insussistenza delle cause interdittive ex art. 4 del d.lgs. n. 490/94 ai decreti commissariali n. 147 del 28 aprile 2009 e n. 540 del 2 dicembre 2009.

Con sentenza n. 7375 del 2014 il T.A.R. adito respingeva il ricorso.

Il primo giudice – dopo avere affermato l’applicabilità alle provvidenze de quibus delle misure di prevenzione previste dal d.lgs. n. 490 del 1994 secondo l’indirizzo segnato dalle decisioni dell’ Adunanza Plenaria nn. 19 e 20 del 2012 – riconosceva corrette le conclusioni cui era pervenuto il Prefetto, sulla base dell’istruttoria effettuata, in ordine all’emersione del pericolo di infiltrazione mafiosa con valenza condizionante delle scelte e degli indirizzi della ditta del ricorrente.

Appella il sig. Ga. che ha contrastato le conclusioni del T.A.R. insistendo per l’annullamento – in riforma della sentenza impugnata – dei provvedimenti impugnati.

Si sono costituiti in resistenza la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’ Interno e il Commissario per di Governo per l’ emergenza brucellosi.

All’ udienza del 23 aprile 2015 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

2. L’appello è fondato.

2.1. Il provvedimento di interdittiva è motivato con rinvio alla relazione redatta in data 18 dicembre 2009 dai rappresentanti delle forze dell’ordine incaricati di procedere alle verifiche di cui all’art. 10 del d.P.R. n. 252 del 1998 nei confronti della ditta Ga.At. operante in Casal del Principe.

Si legge in detta relazione – a sostegno della proposta di applicazione della misura di prevenzione antimafia – che il sig. “Co.Pa., convivente del titolare (della ditta) Ga.At., avendo sposato (la di lui) sorella Ga.Gi., nata ad Aversa il 13.04.1980, annovera numerosissimi controlli di polizia con personaggi affiliati al clan camorristico dei casalesi”.

Il T.A.R., con la sentenza che si impugna, ha qualificato detti riscontri idonei ad integrare l’esistenza di un quadro indiziario di tutto rispetto, idoneo a sostenere il giudizio dell’ Amministrazione circa la sussistenza di tentativi di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi della società ricorrente.

Le conclusioni del T.A.R. recedono a fronte dei motivi di appello.

Il ricorrente con un primo ordine di considerazioni, ulteriormente illustrato in sede di note di udienza, correttamente contesta l’atto impugnato nei profili di eccesso di potere per inadeguatezza dell’ istruttoria e del tessuto motivazionale posto a sostegno dello stesso.

La relazione del Comando Provinciale dei Carabinieri di Caserta in data 25 maggio 2009 reca una ricognizione cronologica di incontri del sig. Co.Pa. – indicato come cognato e convivente del sig. Ga.At., titolare dell’ omonima ditta – con soggetti gravati da precedenti penali e di polizia, di cui due in rapporto di contiguità o appartenenza a clan camorristico. La relazione è stata inviata agli altri organi di polizia (Questura, Nucleo di Polizia Tributaria, D.I.A.) con invito “ad integrare le informazioni di competenza sul conto della società e degli amministratori e soci in oggetto riferendo direttamente all’ U.T.G. di Caserta”.

Le note a riscontro degli organismi di polizia interpellati danno tutte atto dell’insussistenza di elementi che possano costituire mende o pregiudizi a carico della Ditta nei cui confronti era stato attivato il procedimento.

Il ricorrente correttamente pone in rilievo l’insufficienza del quadro istruttorio posto a sostegno della misura di rigore, ove si consideri che lo stesso Comando dei Carabinieri aveva formulato l’esigenza di integrazione degli elementi dallo stesso raccolti, con specifico riferimento alle posizioni degli amministratori e dei soci della ditta interessata, e non aveva formulato, sulla scorta delle proprie acquisizioni, alcun giudizio sul pericolo di condizionamento mafioso della ditta Ga.

L’insufficienza delle risultanze istruttorie si riflette sulla congruità e adeguatezza della motivazione del provvedimento del Prefetto di Caserta che – anche se espressione di un’ ampia sfera di discrezionalità quanto all’elevazione della soglia di prevenzione dei fenomeni di condizionamento criminale di attività economiche finanziate con risorse economiche dello Stato o di altri organismi pubblici – deve, in ogni caso, delineare un sufficiente quadro che renda significativo , anche se su un piano i solo indiziario, il pericolo di condizionamento e di infiltrazione mafiosa.

Quanto al dato oggettivo della situazione di convivenza con il sig. Co. il ricorrente documenta la sua limitata durata temporale (circa tre mesi) e la cessazione della convivenza stessa il 18 marzo 2009, in data antecedente a quella del 4 gennaio 2010 di adozione della misura interiettiva, venendo quindi meno la comunanza di vita quale condizione agevolativa del condizionamento mafioso. Va aggiunto che la stessa relazione dei Carabinieri non attribuisce al periodo di convivenza valore significativo agli effetti predetti.

2.2. Con riguardo alla rilevanza del rapporto di parentela (nella specie di affinità) con soggetti che si affermano appartenenti o in rapporto di contiguità con la criminalità organizzata, agli effetti dell’inibitoria della costituzione di rapporti contrattuali e di sovvenzioni da parte di enti che utilizzano risorse pubbliche, la prevalente giurisprudenza è orientata nel senso che il mero rapporto di parentela, in assenza di ulteriori elementi, non è di per sé idoneo a dare conto del tentativo di infiltrazione. Non può, infatti, configurarsi un rapporto di automatismo tra un legame familiare, sia pure tra stretti congiunti, ed il condizionamento dell’impresa, che deponga nel senso di un’attività sintomaticamente connessa a logiche e ad interessi malavitosi (Cons. St., Sez. III, n. 96 del 10 gennaio 2013; n. 4995 del 5 settembre 2011; sez. VI, n. 5880 del 18 agosto 2010; n. 3664 del 23 luglio 2008; n. 3707 del 27 giugno 2007).

Se è infatti vero, in base alle regole di comune esperienza, che il vincolo di parentela o di affinità può esporre il soggetto all’influsso dell’organizzazione, se non addirittura imporre (in determinati contesti) un coinvolgimento nella stessa, tuttavia l’attendibilità dell’interferenza dipende anche da una serie di circostanze ed ulteriori elementi indiziari che qualifichino, su un piano di attualità ed effettività, una immanente situazione di condizionamento e di contiguità con interessi malavitosi.

Nessuno di siffatti elementi e circostanze si rinviene nell’atto impugnato che, come in precedenza illustrato, a sostegno della misura interdittiva, rinvia ob relationem al rapporto di polizia recante il solo elenco di incontri del cognato del ricorrente con soggetti malavitosi. In ogni caso l’ applicazione automatica della misura interdittiva rappresenterebbe un irragionevole ostacolo al ripristino di un regime di vita lavorativa improntato al rispetto della legge nelle aree geografiche del Paese contraddistinte dalla forte presenza di organizzazioni criminali (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 5866 del 25 novembre 2009).

Per le considerazioni che precedono l’appello va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado e va annullato il decreto del Prefetto della Provincia di Caserta del 4 gennaio 2010 ed ogni atto successivo di implicita conferma dello stesso; il provvedimento del Commissario straordinario per l’emergenza brucellosi in Provincia di Caserta e zone limitrofe n. 1264 del 18 maggio 2010, con il quale si dispone la restituzione di somme corrisposte per l’abbattimento coatto di capi di bestiame per fronteggiare il rischio sanitario, nonché i successi provvedimenti commissariali recanti il diniego di contribuzione.

In relazione ai profili della controversia e agli interessi coinvolti spese e onorari dei due gradi di giudizio possono essere compensati fra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti con essi impugnati come indicati al punto 2.2. della motivazione

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Salvatore Cacace – Consigliere

Bruno Rosario Polito – Consigliere, Estensore

Angelica Dell’Utri – Consigliere

Depositata in Segreteria il 3 luglio 2015.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *