L’istituto della decadenza del dipendente che esercita il commercio, l’industria o un’altra attività professionale incompatibile con lo status di pubblico dipendente non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro. Il deconvenzionamento costituisce la risposta dell’ordinamento all’ipotesi in cui la stessa condotta, ritenuta incompatibile con il rapporto di impiego del medico ospedaliero al punto da determinarne la cessazione, venga posta in essere dal medico universitario con il quale l’ente non intrattiene un rapporto di impiego
Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 15 giugno 2017, n. 2933
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8385 del 2015, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Al.Lo., Is.Lo., con domicilio eletto presso lo studio legale Lo. in Roma, via (…);
contro
– Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Vi.Au.Pa., con domicilio eletto presso lo studio An.De.An. in Roma, via (…);
– Università degli Studi di Bari, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in persona dei legali rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– Comitato dei Garanti, Regione Puglia, non costituiti in giudizio;
nei confronti di
-OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Puglia, Sede di Bari, Sez. III, n. 953/2015, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Ospedaliera Universitaria Consorziale Policlinico di Bari e di Università degli Studi di Bari e Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2017 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti gli avvocati Al.Lo., Vi.Au.Pa. e l’avvocato dello Stato Ma.Vi.Lu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La complessa controversia in esame, sviluppatasi in primo grado attraverso un ricorso introduttivo e dieci ricorsi per motivi aggiunti, ha avuto avvio mediante l’impugnazione dinanzi al TAR Puglia della delibera dell’Azienda Ospedaliera Universitaria consorziale – Policlinico di Bari -OMISSIS-, con cui l’odierno appellante, F.I., ricercatore presso l’Università di Bari, è stato allontanato in via definitiva dall’attività assistenziale per comportamenti ritenuti incompatibili con la status di dirigente medico del reparto universitario di odontoiatria del Policlinico.
2. In data 30 dicembre 2011 tra le parti è intervenuta una transazione, rispetto a tale impugnazione (nel frattempo integrata con due motivi aggiunti) e alle pretese oggetto di altro giudizio pure pendente dinanzi al TAR, che ha condotto alla reintegra dell’appellante nel servizio assistenziale presso il Policlinico.
3. Tuttavia, su successiva segnalazione dell’Azienda, la Guardia di Finanza, con nota in data 16 luglio 2012 prot. 6346/DG, ha comunicato che l’appellante – dal 2011 al 2005 (quando era in regime di intra moenia), dal 2006 al 2008 (quando era in regime di extra moenia) e dal 2008 al 2011 (quando, perdurante il regime di extra moenia, era sospeso dall’attività assistenziale) – aveva svolto attività libero professionale e ricoperto il ruolo di Responsabile dell’unità operativa di day surgery per chirurgia maxillo facciale presso la -OMISSIS-casa di cura convenzionata con il SSN.
4. Avviato un procedimento ex art. 5, comma 14, del d.lgs. 517/1999, l’Azienda, con provvedimento n. 1293 in data 9 novembre 2012, ha sospeso l’appellante a tempo indeterminato dall’attività assistenziale, precisando poi, con provvedimento n. 1388 in data 22 novembre 2012, che il provvedimento doveva intendersi quale allontanamento definitivo e deconvenzionamento (ovvero, di cancellazione dall’elenco del personale medico dell’Università di Bari in convenzione con l’A.O.).
5. Detti provvedimenti sono stati impugnati dall’appellante con motivi aggiunti.
6. All’accoglimento dell’istanza cautelare (ai fini del riesame) mediante ordinanza del TAR n. 29/2013, ha fatto seguito una nota dell’A.O. in data 22 gennaio 2013, che ha ribadito l’efficacia del deconvenzionamento fino all’eventuale riesame, ed è stata parimenti impugnata con motivi aggiunti.
7. In esito al riesame, con delibera-OMISSIS-in data 11 marzo 2013, su conforme parere del Comitato dei garanti, l’A.O. ha confermato la cancellazione/deconvenzionamento dall’elenco del personale Universitario impegnato nell’attività medico assistenziale presso il Policlinico, e l’allontanamento dal servizio dell’appellante (oltre a revocargli l’incarico di referente per l’attività di chirurgia orale – assistenza disabili), ed ha disposto la restituzione delle somme da lui percepite dall’Università per l’attività assistenziale dal 2001 al 2005, nonché dei proventi percepiti presso la -OMISSIS-. dal 2006 al 2011.
Avverso detto provvedimento ed i precedenti, sono stati proposti ulteriori ricorsi per motivi aggiunti.
8. Con ulteriori distinti motivi aggiunti sono state impugnate la nota -OMISSIS-in data 13 marzo 2014, con cui l’Azienda ha richiesto all’Università ed all’appellante la restituzione di somme da lui percepite per la prestazione di attività assistenziale, e la nota -OMISSIS-in data 11 novembre 2014, con cui l’Azienda ha respinto l’istanza di revisione del provvedimento di sospensione e di deconvenzionamento, presentata dall’appellante dopo che il GIP di Bari, con decreto in data 8 settembre 2014, aveva archiviato il procedimento penale avviato in ordine agli stessi fatti.
9. Il TAR Bari, con la sentenza appellata (II, n. 953/2015), dopo aver dichiarato improcedibili i ricorsi aventi ad oggetto le questioni oggetto di transazione, ha definito gli altri, respingendoli, tranne che per quanto concerne il profilo di impugnazione relativo al calcolo delle somme da recuperare (che il TAR ha convenuto doversi effettuare al netto delle imposte già versate).
10. Nell’appello vengono riproposte gran parte delle censure disattese dal TAR.
11. Resiste all’appello, controdeducendo puntualmente, l’Azienda Ospedaliera Universitaria intimata.
12. Si è altresì costituita in giudizio l’Università di Bari.
13. Con ordinanza n. 1996/2015, la causa, passata in decisione in precedente udienza, è stata rimessa sul ruolo, per consentire alle parti di definire una transazione che all’epoca sembrava possibile (cfr. verbale relativo alla riunione tenutasi il 22 aprile 2016 presso la sala del Senato Accademico dell’Università di Bari, alla quale hanno partecipato il Direttore Generale ed il Direttore Amministrativo del Policlinico di Bari con il Prorettore, il Direttore Generale e gli altri funzionari dell’Università, in presenza dei legali).
Sono seguiti poi ulteriori rinvii, per lo stesso motivo.
All’udienza del 2 marzo 2017, constatata la mancanza di serie prospettive di definire una transazione su tutte le questioni controverse, l’appello è passato nuovamente in decisione.
14. Il Collegio esamina partitamente i dieci motivi di appello, in relazione ai singoli profili di impugnazione proposti in primo grado ed alle relative valutazioni del TAR.
Una prima questione fondamentale concerne la natura ed i limiti del potere del direttore generale dell’Azienda Ospedaliera di sospendere e allontanare il personale medico universitario dall’attività assistenziale, ai sensi dell’art. 5, comma 14, del d.lgs. 517/1999.
14.1. Il TAR ha ritenuto che:
– la lettera dell’art. 5, comma 14, cit. (“Ferme restando le sanzioni ed i procedimenti disciplinari da attuare in base alle vigenti disposizioni di legge, nei casi di gravissime mancanze ai doveri d’ufficio, il direttore generale previo parere conforme, da esprimere entro ventiquattro ore dalla richiesta, di un apposito comitato costituito da tre garanti, nominati di intesa tra rettore e direttore generale per un triennio, può sospendere i professori ed i ricercatori universitari dall’attività assistenziale e disporne l’allontanamento dall’azienda, dandone immediata comunicazione al rettore per gli ulteriori provvedimenti di competenza. Qualora il comitato non si esprime nelle ventiquattro ore previste, il parere si intende espresso in senso conforme.”) non ammette dubbi sul fatto che, se non la sospensione, almeno l’allontanamento, possa avere effetti definitivi;
– proprio perché al procedimento apertosi ai sensi dell’art. 5 non necessariamente fa seguito il procedimento disciplinare da parte dell’Università, non può ritenersi che la sospensione e l’allontanamento disposti dall’Azienda sanitaria abbiano effetti solo temporanei e siano destinati quindi a perdere efficacia; tanto equivarrebbe ad ammettere che l’intesa negoziale fra i due enti avrebbe efficacia derogatoria dell’art. 5, comma 14, da ritenersi invece norma imperativa siccome posta a presidio dell’autonomia organizzativa dell’A.O. e della efficienza del SSN;
– la disposizione va letta dunque nel senso che alla sospensione debba poter seguire l’allontanamento definitivo disposto dalla medesima Autorità procedente, ferma restando la possibilità che per gli stessi fatti l’Università possa procedere in sede disciplinare anche ai sensi dell’art. 12 del protocollo d’intesa stipulato con l’A.O., potendo incidere in tal caso sul rapporto di impiego in essere, laddove il provvedimento impugnato adottato dall’A.O. ha ad oggetto il diverso rapporto di servizio fra questa e il medico dipendente dall’Università.
14.2. Con il primo motivo di appello, l’appellante ribadisce la propria tesi secondo la quale:
– il rapporto di lavoro del medico universitario in convenzione per l’assistenza è unico e fa capo all’Università, il potere disciplinare relativo è di competenza dell’Università, e quindi l’art. 5, comma 14, del d.lgs. 517/1999 non costituisce norma eccezionale e derogatoria, bensì norma attributiva al d.g. dell’Azienda di un potere complementare di natura cautelare (cfr. Cons. Stato, III, n. 2528/2013);
– la norma non prevede che le determinazioni assunte dal d.g. possano incidere in modo definitivo né sulla convenzione né sul rapporto di lavoro del medico universitario; viceversa la sospensione e l’allontanamento del medico universitario sono consentiti in via provvisoria, per un periodo ragionevole, ovvero per il tempo occorrente agli organi disciplinari di esperire gli accertamenti del caso e comminare l’eventuale sanzione;
– seguendo l’opposto ragionamento del TAR, si giungerebbe all’assurda conclusione per cui il d.g. sarebbe dotato di un arbitrario potere non procedimentalizzato, in forza del quale, senza un pieno contraddittorio, potrebbe allontanare dall’assistenza in via definitiva medici universitari, privandoli conseguentemente della fondamentale possibilità di svolgere ricerca e didattica.
14.3. Il Collegio osserva che non si ravvisano specifiche confutazioni delle argomentazioni con cui il TAR ha sostenuto la tesi contraria.
Tali argomentazioni appaiono condivisibili.
Pertanto, deve ribadirsi che la conseguenza della tesi prospettata dall’appellante è che l’Azienda, una volta trascorso il “periodo ragionevole” di cui parla l’appellante, senza che sia stato avviato o comunque concluso in senso conforme un procedimento disciplinare, dovrebbe rimettere al suo posto il professore nei cui confronti ha riscontrato “gravissime mancanze ai doveri d’ufficio”. In altri termini, come ha sottolineato il TAR, il mantenimento dell’efficacia di ogni valutazione dell’Azienda sarebbe subordinata all’adesione dell’Università, e ciò significa che, per evitare di incidere (unilateralmente) sull’assetto preesistente, si finirebbe con l’incidere sull’autonomia organizzazione dell’Azienda, presso cui si svolge l’attività del soggetto coinvolto.
Tuttavia, rispetto alle scelte che riguardano (come, indubbiamente, nelle ipotesi in questione) l’organizzazione, e quindi la funzionalità dell’Azienda, in caso di contrasto di valutazioni rispetto all’Università, deve ritenersi preminente la volontà della prima; pertanto, è preferibile ritenere che il convenzionamento del singolo medico non possa costituire un obbligo indissolubile (a meno che ciò consegua ad un procedimento disciplinare, di competenza dell’Università e gestito da organi universitari, anche se, per gli inadempimenti assistenziali, con la partecipazione di un componente nominato dal d.g. dell’Azienda – cfr., nel caso in esame, art. 12 del Protocollo d’intesa), e che invece l’allontanamento disposto in applicazione dell’art. 5, comma 14, costituisca una sorta di recesso parziale, riguardante la posizione di un professore convenzionato (e salva la facoltà dell’Università di reintegrare il contingente dei medici conferiti in convenzione, sostituendo quello allontanato).
Un simile evento, può dar luogo a negoziazioni tra le parti della convenzione (per cercare di superare il problema, approfondendo la questione, e, alla fine, sostituendo il professore convenzionato o trovando una soluzione alternativa; ma, comunque), sempre nel rispetto della volontà dell’Azienda, che deve avere preminenza, posto che si tratta di valutazioni in primis concernenti la funzionalità delle prestazioni da essa erogate
Può aggiungersi che anche la sentenza invocata dall’appellante (Cons. Stato, III, n. 2528/2013), ha affermato la natura non disciplinare, bensì cautelare e complementare al procedimento disciplinare, del potere previsto dall’art. 5, comma 14, cit., e quindi non ha espresso un orientamento antitetico rispetto a quello sotteso alla sentenza appellata.
15. Altro profilo di impugnazione investe la tardività del deconvenzionamento, in quanto sarebbe intervenuto quando il termine per la conclusione del procedimento era ormai scaduto.
15.1. Il TAR ha disatteso la censura, sottolineando che la decisione non fa capo alla delibera n. 1388 in data 22 novembre 2012, adottata dopo lo spirare del termine a provvedere, ma alla nota in data 9 novembre 2012, adottata entro detto termine, che dispone la sospensione a tempo indeterminato e l’allontanamento del ricorrente dall’attività assistenziale.
Ha poi precisato che, una volta accertata la tempestività della conclusione del procedimento culminata con il provvedimento del 9 novembre 2012, tutte le altre questioni di merito ad esso relative sono improcedibili perché detto provvedimento è stato oggetto di riesame con il provvedimento dell’11 marzo 2013, adottato su impulso dell’ordinanza cautelare n. 29/2013, avverso il quale si radica l’interesse del ricorrente.
15.2. L’appellante non contesta le (assai analitiche) argomentazioni del TAR sul contenuto sostanziale degli atti in questione e sulla natura, meramente esplicativa della precedente, della delibera n. 1388/2012.
Riguardo a tale parte della sentenza, con il secondo motivo, ribadisce che, nella denegata ipotesi che non si riconosca natura cautelare al potere esercitato, questo non può che essere governato dai principi che regolano il licenziamento per giusta causa, ovvero per perdita del rapporto fiduciario – valutazione della gravità dei fatti, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, della proporzionalità della sanzione inflitta, dell’idoneità della mancanza commessa a ledere il rapporto fiduciario in modo tanto grave da esigere una sanzione espulsiva – elementi assimilabili ai principi amministrativi di proporzionalità, ragionevolezza, parità di trattamento, legittimo affidamento, e che nel caso in esame sono stati violati.
15.3. Il Collegio osserva che il riferimento al licenziamento (ed alla relativa giurisprudenza della Corte di Cassazione) appare improprio, posto che il c.d. deconvenzionamento e l’allontanamento dall’attività assistenziale non incidono sulla permanenza del rapporto di lavoro universitario, anche se ne limitano di fatto le potenzialità.
Peraltro, anche la violazione dei principi amministrativi suddetti non sembra riscontrabile, per quanto si dirà in prosieguo in relazione alle singole censure con le quali ne viene lamentata la violazione.
16. Le ulteriori censure riguardano il provvedimento-OMISSIS-in data 11 marzo 2013, con cui, in esito al riesame disposto dal TAR in sede cautelare, l’Azienda ha “riaffermato” la decisione di allontanamento dell’appellante.
Un primo profilo di impugnazione riguarda la omessa comunicazione di avvio del procedimento di riesame.
16.1. Il TAR ha giudicato infondata la censura, sottolineando che il ricorrente sapeva che tale procedimento sarebbe stato avviato, e che una formale comunicazione di avvio del procedimento non avrebbe aggiunto nulla di più a quanto doveva essere ed era già noto al ricorrente.
16.2. Con il terzo motivo, l’appellante ribadisce che la violazione delle regole partecipative ha inficiato il riesame, determinandone l’inutilità e vanificando la finalità di arricchire l’istruttoria con una serie di elementi, anche documentali, del tutto ignorati dall’Azienda.
16.3. Il Collegio osserva che, come ha sottolineato il TAR, una formale comunicazione di avvio del procedimento non avrebbe aggiunto nulla di più a quanto doveva essere ed era già noto al ricorrente in merito all’attività di riesame e dunque sussistevano tutte le condizioni perché fosse soddisfatta la finalità di informazione ai fini della partecipazione attiva dell’interessato che la legge, disponendo la comunicazione di avvio del procedimento, intende perseguire.
Del resto, non viene confutato dall’appellante che, con ordinanza n. 107/2013, il TAR avesse stabilito il termine di conclusione del procedimento di riesame e indicato gli elementi da considerare in fase istruttoria (“… tenendo conto non solo dei motivi del ricorso e dell’ordinanza cautelare n. 29/2013, ma anche della documentazione prodotta in giudizio ed in particolare delle risultanze degli accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza, la cui relazione è allegata alla nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ispettorato della Funzione Pubblica, depositato in giudizio in data 11/2/2013 dal difensore dell’intimata Amministrazione; “), e che il responsabile del procedimento, il cui nominativo deve essere indicato nella comunicazione di avvio del procedimento, che avrebbe proceduto al riesame sarebbe stato lo stesso che aveva adottato il provvedimento di primo grado, come è regola per i procedimenti di secondo grado.
In sintesi, il riesame costituiva l’esito della fase cautelare e le ragioni dell’appellante erano state esposte in giudizio e considerate dal TAR.
Anche detto profilo di censura è pertanto infondato.
17. Viene poi contestata la tardività del procedimento, in quanto avviato dopo cinque anni dal momento in cui l’A.O. aveva avuto conoscenza, mediante nota del Servizio ispettivo interno in data 5 dicembre 2008, degli addebiti successivamente mossi all’appellante.
17.1. Secondo il TAR, stante la natura di atto di gestione del rapporto di servizio da attribuirsi all’allontanamento del medico universitario ex art. 5 comma 14, cit., l’eventuale ritardo nell’apertura del procedimento non comporta la consunzione del potere, in mancanza di una esplicita comminatoria di legge.
Se anche se si volesse riconoscere natura disciplinare al procedimento in esame, basta considerare che l’A.O. nel 2008 era informata che il ricorrente aveva prestato attività lavorativa presso la -OMISSIS- dal 2005 al 2007, mentre il provvedimento impugnato contempla un periodo ben più lungo, che va dal 2001 al 31 maggio 2011.
17.2. L’appellante, con il quarto motivo, ribadisce che il tempo trascorso dalla conoscenza dell’attività svolta presso -OMISSIS-, e l’assenza per anni di qualsiasi forma di contestazione, ha contribuito a determinare l’affidamento dell’appellante nella piena correttezza del proprio operato, e ciò doveva essere considerato, quanto meno sotto il profilo della effettività compromissione del rapporto fiduciario. Sostiene poi che il maggior periodo oggetto di contestazione dipende anzitutto dall’inerzia del Policlinico nell’approfondire una situazione nota dal 2008 e da allora rimasta immutata.
17.3. Il Collegio osserva che l’appellante lamenta che il TAR non abbia dato rilevanza al tempo trascorso prima che fosse adottata la sospensione, quasi addossando all’Azienda la responsabilità del protrarsi della situazione oggetto di contestazione.
Tuttavia, per quanto si dirà, è ben difficile sostenere che l’appellante avesse maturato un affidamento incolpevole in ordine alla legittimità del proprio comportamento.
In ogni caso, non può ritenersi che una reazione non immediata da parte dell’Azienda, precludesse l’esercizio del potere.
18. Altra questione riguarda la rilevanza dell’omissione della diffida a cessare la situazione di incompatibilità, quale elemento ostativo all’adozione del provvedimento di allontanamento/deconvenzionamento.
18.1. Nella sentenza appellata, si afferma che:
– la necessità della diffida con assegnazione di un termine per cessare dall’incompatibilità deve ritenersi superata con l’entrata in vigore dell’art. 1, comma 63, della legge 662/1996, che, ad inasprimento della disciplina repressiva dei correlati fenomeni di assenteismo (cfr. Cons. Stato, VI n. 3628/2011), ha fissato il termine del 1 marzo 1997 per la rimozione di situazioni d’incompatibilità d’impieghi;
– l’obbligo della diffida era imposto a tutela per il futuro del buon andamento del servizio pubblico, tant’è che se il destinatario non vi avesse ottemperato, sarebbe sopravvenuta la decadenza ex lege dall’impiego, salve – in caso di opzione per il rapporto di p.i. – le eventuali sanzioni disciplinari irrogabili per il comportamento contrario all’obbligo di esclusività del rapporto di impiego; la disposizione, evidentemente di portata generale, riguardava il rapporto di pubblico impiego e il contemperamento dei contrapposti interessi, pubblico al buon andamento e privato alla conservazione del rapporto di impiego, tanto che la legge prescriveva l’obbligo di previa diffida a scegliere fra l’una e l’altra attività.
18.2. Con il quinto motivo, l’appellante ribadisce che:
– la necessità della diffida a cessare dalla situazione di incompatibilità è sancita in tutti i casi dall’art. 63 del t.u. 3/1957, richiamato per tutti i dipendenti pubblici dall’art. 53, comma 1, del d.lgs. 165/2001;
– il richiamo all’art. 1, comma 63, della legge 662/1996 è inconferente, poiché la disposizione si riferisce ai rapporti di pubblico impiego e l’appellante non è dipendente del Policlinico, e comunque presuppone che si tratti di attività non autorizzate dall’ente di appartenenza, mentre nel caso in esame l’appellante, in ragione delle convenzioni sottoscritte dall’Università di Bari con -OMISSIS- e afferenti a progetti di didattica e di ricerca in campo chirurgico con previsioni di studio di casi clinici, non era in condizione di ritenere la propria condotta contraria ai doveri d’ufficio;
– in ogni caso, delle due l’una: o il d.g. del Policlinico non ha alcuna competenza a rilevare eventuali violazioni afferenti al rapporto d’impiego (che è instaurato con l’Università); oppure, detto potere deve essere esercitato nell’ambito del relativo procedimento, con le previste garanzie (e l’Università ha ritenuto che l’attività non abbia comportato violazioni disciplinarmente rilevanti).
18.3. Il Collegio condivide quanto affermato dal TAR.
Non è stato specificamente contestato che, come affermato dal TAR, dall’art. 1, comma 63, cit., discenda una deroga all’onere di previa contestazione e diffida a far cessare la situazione di incompatibilità.
L’appellante si limita a contestare la non pertinenza della norma al rapporto di servizio esistente, ma tale tesi, come esposto, non è fondata.
Infatti, la situazione di incompatibilità ha valenza non soltanto nei confronti del rapporto di impiego con l’Università, ma anche del rapporto di servizio assistenziale, che scaturisce dal primo, con l’Azienda; è di questa incompatibilità che – ferme restando le decisioni assunte dall’Università per quanto concerne il rapporto con essa – si è occupato il Policlinico, traendo le conseguenze dallo svolgimento per lunghi anni dell’attività incompatibile.
D’altro canto, la cessazione del rapporto di servizio dei medici dipendenti delle Università esercenti attività assistenziale presso le strutture sanitarie pubbliche non esige il suddetto contemperamento tra gli interessi, in quanto manca il rapporto di impiego fra la struttura sanitaria e il medico universitario. Per questo motivo è previsto il diverso procedimento di cui all’art.5 comma 14 del d.lgs. 517/1999, che non prevede diffida, ed il cui esito non è comunque in grado di intaccare il rapporto di impiego con l’Università (le cui sorti dipendono invece esclusivamente dall’Università di Bari).
All’Università, peraltro – come le Aziende sanitarie con riferimento al rispetto del principio di incompatibilità (in caso di intra moenia) e unicità (extra moenia) del rapporto assistenziale con il SSN – spetta di vigilare sul rispetto del dovere di esclusività della prestazione lavorativa stabilito per i rapporti di pubblico impiego dall’art. 53 d.lgs. 165/01.
19. Il sesto motivo di appello è dedicato alla omessa valutazione della cessazione del rapporto libero professionale con la -OMISSIS- alla data dell’8 novembre 2012, ai fini della gradazione della sanzione da applicare.
19.1. Il TAR ha sostenuto che, dalla natura non disciplinare del potere dell’A.O. di gestione del rapporto di servizio del medico universitario, in caso di gravissime mancanze ai doveri di ufficio, deriva che la misura da adottarsi non è soggetta a gradazioni dipendenti dalla gravità del comportamento considerato, non essendo prevista la conservazione del rapporto assistenziale.
19.2. L’appellante replica che il potere è certamente graduabile, come dimostrano gli stessi provvedimenti a termine precedentemente adottati nei suoi confronti.
19.3. Il Collegio ritiene che il potere sia graduabile, come sostiene l’appellante.
Tuttavia, osserva che la stessa sentenza ha precisato la questione, sottolineando che il sindacato del giudice può spingersi a verificare se l’allontanamento sia manifestamente irragionevole o illogico o basato su presupposti non veritieri, ambigui o contraddittori, e quindi ha spostato l’attenzione sulla sussistenza o meno di una situazione di gravissima mancanza ai doveri d’ufficio, oggetto di altre censure.
Il Collegio, pur non condividendo l’assolutezza della premessa del TAR, e quindi ammettendo che una mancanza ai doveri d’ufficio pur definibile “gravissima” per il contenuto del precetto violato, possa poi in concreto, in ragione del contesto in cui è avvenuta e del comportamento successivo, ritenersi compatibile con una sospensione a tempo determinato, non ritiene che nel caso in esame sia censurabile la scelta finale di non applicare una sospensione a tempo determinato.
Giova sottolineare fin d’ora che solo in data 8 novembre 2012, vale a dire alla vigilia dell’adozione del provvedimento di allontanamento e deconvenzionamento, l’appellante ha risolto il contratto di ricerca e lavoro con la -OMISSIS-; ma in precedenza, nel 2010 c’era stato il primo provvedimento di allontanamento definitivo -OMISSIS-, e poi, riaperto il procedimento, il provvedimento-OMISSIS-in data 30 dicembre 2010, recante sospensione cautelare per dodici mesi. Dunque, l’appellante ha atteso anni, da quando ha avuto piena consapevolezza dell’esigenza di far cessare l’attività incompatibile, per provvedere a cessare l’attività incompatibile e lo ha fatto soltanto alla vigilia dell’adozione dell’ennesimo provvedimento che dalla perdurante esistenza della situazione di incompatibilità traeva non irragionevoli conseguenze.
20. L’appellante, con il settimo motivo, lamenta l’omesso accertamento delle finalità di ricerca e didattica dell’attività svolta dal ricorrente presso la -OMISSIS-, nonché della connessa mancanza di rilevanza e di gravità della pretesa infrazione.
20.1. La sentenza di primo grado ha posto in evidenza che:
– il provvedimento richiama gli accertamenti svolti dalla Guardia di finanza, che descrivono l’attività prestata dal ricorrente dal 1 luglio 2005 al 31 maggio 2011 presso la -OMISSIS- in esecuzione di 7 contratti di prestazione libero professionale in veste di Responsabile dell’Unità operativa di day surgery per chirurgia maxillo facciale e le note dell’Università che escludono che la -OMISSIS- e l’Università avessero intrapreso una collaborazione per progetti di ricerca e didattica da svolgere congiuntamente (nota dell’Università in data 12 febbraio 2013);
– è difficile peraltro immaginare che l’apicale di reparto di chirurgia si limiti alla supervisione dei casi clinici dei ricoverati
– si tratta evidentemente dello svolgimento a favore di un ente convenzionato con il SSN della stessa attività che il medico universitario (sia pure in regime di extramoenia) presta presso una struttura del SSN, e pertanto ricorre la violazione del divieto sancito dall’art. 1 comma 5, della legge 662/1996;
– detta violazione costituisce un comportamento di rilevante gravità, tale da giustificare il deconvenzionamento impugnato, e lo si desume dall’art. 1, comma 61, della legge 662/1996, che la prevede come giusta causa di recesso o causa di decadenza dall’impiego;
– ne consegue che il deconvenzionamento dall’attività assistenziale non costituisce una misura sproporzionata in caso di violazione del regime di incompatibilità da parte del medico universitario posto che analoga misura è prevista per i medici ospedalieri che incorrono nella stessa infrazione.
Il TAR ha anche precisato che l’istituto della decadenza del dipendente che esercita il commercio, l’industria o un’altra attività professionale incompatibile con lo status di pubblico dipendente non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro (cfr. Cons. Stato, III n. 6225/2013; V, n. 6841/2004; Cass., lav., n. 18608/2009). E che, dunque, è evidente, anche sul piano della parità di trattamento, che il deconvenzionamento costituisce la risposta dell’ordinamento all’ipotesi in cui la stessa condotta, ritenuta incompatibile con il rapporto di impiego del medico ospedaliero al punto da determinarne la cessazione, venga posta in essere dal medico universitario con il quale l’ente non intrattiene un rapporto di impiego.
20.2. L’appellante ribadisce che:
(a) – non sussiste alcuna violazione, posto che l’appellante (in regime di extra moenia) dal 2006 al 2012 è stato responsabile di progetti di didattica e ricerca realizzati d’intesa tra l’Università di Bari e la -OMISSIS-; la presenza dell’appellante si attesta in circa 4 giorni al mese, generalmente di sabato e domenica, senza interferire sui turni lavorativi e non si è tradotta in interventi su pazienti;
– contrariamente a quanto afferma il TAR, l’Università non ha mai smentito la collaborazione con -OMISSIS- per progetti di ricerca e didattica con responsabile l’appellante; -OMISSIS- ha attestato la finalizzazione dei contratti con l’appellante sia all’acquisizione di dati utili per la ricerca scientifica, sia all’organizzazione didattica del master in implantoprotesi, ovvero ai progetti di ricerca e didattica svolti con l’Università; il ruolo di responsabile di day surgery attribuito all’appellante costituisce soluzione di natura formale alla necessità di garantire l’accesso a tutte le cartelle cliniche per svolgere i compiti di supervisione, mentre i contratti visionati dalla Guardia di Finanza sono contratti standard inidonei a dimostrare lo svolgimento di interventi su pazienti (e da qui deriva l’archiviazione in sede penale);
– pertanto, l’appellante non ha mai svolto attività assistenziale presso -OMISSIS-, ed era onere dell’Azienda dimostrare il contrario;
(b) – quanto alla gravità dell’addebito, il TAR non considera che l’art. 53, comma 7, del d.lgs. 165/2011 legittima lo svolgimento di incarichi retribuiti previamente autorizzati, e che l’art. 6, commi 10-12, della legge 240/2010, consente ai professori universitari a tempo definito di svolgere attività libero-professionali, purché non determinino situazioni di conflitto di interesse; dette disposizioni sanciscono, anche in ragione del rapporto convenzionale tra Università e -OMISSIS-, la piena legittimità dell’attività svolta;
– la richiesta in data 22 settembre 2012 di continuare a svolgere l’attività presso la -OMISSIS-e era protesa alla prosecuzione delle attività didattiche e di ricerca;
(c) – quanto alla pretesa violazione del regime di intra moenia (2001-2005), nel 2000, su ricorso proposto anche dall’appellante, l’invito all’opzione era stato sospeso dal TAR Lazio (ordinanza n. 9059/2000 – poi riformata in appello da Cons. Stato, VI, n. 6489/2000, cui è seguito un nuovo invito [nota prot. 3818 in data 26 aprile 2001 – raccomandata della cui ricevuta l’Università, con la relazione in data 16 dicembre 2013, ha attestato la mancata restituzione], ma l’appellante era, o quanto meno ragionevolmente confidava di essere, in extra moenia, e pertanto ha esercitato l’opzione solo al termine del giudizio, nel 2006;
– è pertanto erronea la valutazione di inammissibilità per tardività delle relative censure, posto che le predette circostanze risultano descritte dall’Università e – quanto alla tardività dei motivi aggiunti con cui sono state fatte valere – si tratta di dati agevolmente acquisibili dal Policlinico, che avrebbe dovuto provvedere per tempo a documentarsi, e non poteva delegare all’appellante alcun riscontro istruttorio per accuse relative a fatti risalenti a molti anni prima.
20.3. Il Collegio osserva che il settimo motivo di appello conduce al cuore della controversia, investendo il presupposto sostanziale dell’allontanamento /deconvenzionamento.
20.3.1. Al riguardo, si può osservare che, come evidenziato dal TAR e ribadito dalla difesa dell’Azienda Ospedaliera:
– con nota prot. 321/IIISD in data 28 gennaio 2013, il preside della Facoltà di Medicina, in riscontro di richiesta dell’A.O., ha affermato che “non risultano agli atti di questa Presidenza di Facoltà documenti o quanto altro riconducibile alle prestazioni svolte dal Prof. [l’appellante] a favore della -OMISSIS-….” e che “per quanto risulta agli atti di questa Presidenza, le prestazioni eseguite dal Prof. [l’appellante] a favore della -OMISSIS-quali ri silevano dai contratti allegati alla Vostra citata nota, non sono ricomprese tra quelle previste negli Accordi conclusi tra l’Università di Bari e la suddetta -OMISSIS-fatto salvo quanto dovesse diversamente risultare da atti sottoscritti dall’Amministrazione centrale dell’Università di Bari”;
– con nota -OMISSIS-in data 212 febbraio 2013, il Rettore ha confermato che “questa Università non ha mai autorizzato (né prima né tantomeno dopo) il prof. [l’appellante] ad intrattenere i rapporti di cui ai contratti allegati alla nota che si riscontra, né in relazione agli incarichi svolti da parte del docente interessato in favore della Casa di Cura -OMISSIS-. e di cui alla nota prot. n. IFP RA 0001247P in data 16.7.2012 della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica – Ispettorato Funzione Pubblica”.
L’A.O. ha ribadito nella memoria finale gli elementi oggettivi che differenziano i contratti di ricerca tra Università e -OMISSIS- e quelli sottoscritti con l’appellante, per quanto concerne le parti, l’oggetto, il periodo, il percettore del compenso (nel secondo caso, l’appellante), l’esistenza di 45 fatture emesse dall’appellante.
Ed ha puntualizzato che gli accordi di collaborazione didattica tra Università e -OMISSIS- riguardano un Master attivato con d.r. -OMISSIS-in data 29 luglio 2012, di cui sono stati selezionati i corsisti solo successivamente ai fatti per cui è causa.
20.3.2. A fronte di tali risultanze, l’appellante, in sostanza, ribadisce di non aver mai svolto attività assistenziale, ed in particolare di non aver svolto alcun intervento diretto sui pazienti, essendo i contratti da lui sottoscritti meri “contratti standard”, ed il ruolo di responsabile di day surgery di maxillo facciale soltanto una soluzione di natura formale per garantirgli l’accesso a tutte le cartelle cliniche, necessario per poter svolgere il compito di supervisione finalizzata a didattica e ricerca.
20.3.3. Il Collegio osserva che, a superare la portata univoca di contratti e fatture sottoscritti dall’appellante, e delle attestazioni dell’Università di Bari (rispetto alle quali, come sottolineato dal TAR, le dichiarazioni della -OMISSIS- non comportano, a ben vedere, alcuna smentita), non sono sufficienti le asserzioni dell’appellante, che, anche sul piano logico, non convincono; infatti, l’attribuzione di un ruolo formale comportante ampie responsabilità, appare un modo francamente singolare (in quanto suscettibile di portare con sé tutta una serie di effetti ultronei, si presume “indesiderati”) per garantire il semplice risultato dell’accesso alle cartelle cliniche.
Senza contare che già il TAR ha puntualmente messo in luce come, che vi sia stato o no intervento diretto (attività chirurgica) sui pazienti, e che la supervisione di casi clinici sia stata o meno esclusivamente orientata a finalità di ricerca e didattica, ciò non impedisce che comunque si tratti della stessa attività di pratica medica (consulenza su casi clinici concreti) che il medico universitario svolge presso le strutture sanitarie e poi impiega nelle strettamente connesse attività di ricerca e didattica.
20.3.4. D’altra parte, può anticiparsi (per quanto tale aspetto sia al centro di altro motivo di appello, esaminato in prosieguo) che l’archiviazione disposta dal GIP in data 8 settembre 2014 risulta originata in parte, per i fatti relativi al periodo 2001-2005, dalla prescrizione, e comunque, anche per i fatti relativi al periodo successivo, comporta soltanto l’accertamento che “non sussistono o, quanto meno, non assumono rilevanza penale” (decreto GIP, che richiama le conclusioni del PM “per l’insussistenza di fatti penalmente rilevanti”).
Vale a dire, l’insussistenza è stata affermata riguardo alla fattispecie penale alla base dell’ipotesi di reato.
Ciò, tuttavia, non esclude che i fatti, nella loro consistenza oggettiva (documentale), ancorché penalmente non rilevanti, assumano rilevanza sotto il distinto profilo dell’illecito civile ed amministrativo.
20.3.5. L’appellante insiste sulla mancanza di gravità del proprio comportamento, anche alla luce dell’affidamento che riponeva nella sua legittimità.
Il Collegio condivide le valutazioni del TAR sul significato attribuibile al disposto dell’art. 1, comma 61, della l. 662/1996.
Va ribadito che l’appellante, al quale il regime dell’incompatibilità stabilito dall’art. 1 comma 5, della legge 662/1996 si estende ai sensi del successivo comma 6, ha dunque reiterato, per un periodo di oltre 10 anni, un comportamento che giustifica sul piano generale il recesso o la decadenza dal rapporto di impiego.
Non rileva la possibilità in astratto di svolgere attività libero professionale non incompatibile previa autorizzazione, in quanto la questione si è posta proprio per la mancanza di un’autorizzazione, stante la non riconducibilità dell’attività svolta ai progetti universitari convenzionati.
Poi, va rilevato che per il periodo 2001-2006 l’opzione per il regime intra moenia era stata espressamente esercitata, che la tutela cautelare a suo tempo disposta in primo grado è venuta meno in appello già alla fine del 2000, e comunque non ha avuto seguito nella pronuncia di merito.
Pertanto, le censure basate sull’ordinanza cautelare che aveva sospeso l’onere di opzione, come ha precisato il TAR, risultano effettivamente tardive, sulla base della ragionevole presunzione di conoscenza che nasce dalla comunicazione delle ordinanze cautelari al difensore della parte (tanto più che il TAR ha sottolineato che il ricorrente non aveva neppure dedotto che il difensore, finché non gli trasmise – con e-mail del 14 ottobre 2013 – a sua richiesta, una copia dell’ordinanza n. 9059/2000, avesse mancato di informarlo dell’esito dell’istanza di sospensiva).
21. Coerentemente con le menzionate premesse, il TAR ha escluso che vi fosse la necessità di un’intesa fra l’A.O. e l’Università in merito alla decisione di allontanare l’appellante dall’attività assistenziale.
21.1. In particolare, ha sottolineato a tal fine che l’art. 5, comma 1, del d.lgs. 517/1999 dispone che il Direttore generale, prima di sospendere i professori ed i ricercatori universitari dall’attività assistenziale e disporne l’allontanamento dall’Azienda, deve assumere il parere del Comitato dei garanti, nominati di intesa con il Rettore, cui darà immediata comunicazione del provvedimento assunto per gli ulteriori provvedimenti di competenza; e che con nota prot. 22712 del 13 marzo 2013, l’A.O. ha sollecitamente trasmesso all’Università il provvedimento -OMISSIS-, esaurendo così gli adempimenti prescritti dalla legge.
Infatti, l’art. 12 del protocollo d’intesa (che demanda ad un Ufficio di Ateneo, integrato da un membro dell’A.O. l’avvio dei procedimenti disciplinari per violazione di doveri inerenti all’attività assistenziale) si riferisce a provvedimenti, ulteriori e diversi dall’allontanamento previsto dal citato art. 5 del d.lgs. 517/1999 di competenza esclusiva dell’A.O., che l’Università potrà assumere in qualità di datore di lavoro del medico per sanzionare, in seno al rapporto di impiego di cui è parte, il comportamento che ha determinato l’allontanamento dall’attività assistenziale.
21.2. L’appellante, mediante l’ottavo motivo, ribadisce che:
– la convenzione può essere modificata solo attraverso l’intesa tra i vertici degli enti che l’hanno sottoscritta;
– l’accordo che, ai sensi degli artt. 1, comma 1, e 5, commi 1, 2, 5 e 14 del d.lgs. 517/1999, presiede allo svolgimento di attività assistenziale presso le aziende ospedaliere da parte dei medici universitari, non costituisce solo modalità di regolamentazione generale del rapporto tra enti, ma anche strumento per la gestione dei singoli rapporti con i medici universitari;
– l’intesa, pertanto, è condizione di efficacia delle determinazioni assunte dal singolo ente su materie attinenti al rapporto;
– l’Università di Bari ha fatto proprio il documento adottato dalla Conferenza permanente delle Facoltà di Medicina e Chirurgia in data 29 novembre 2012, che indica il Protocollo stipulato tra Regione Siciliana e Università di Palermo come rappresentativo dei contenuti del nuovo schema tipo di protocollo d’intesa da emanare ex lege240/2010 (ed in esso si prevede che i procedimenti disciplinari a carico dei professori universitari siano gestiti dall’organo universitario individuato ai sensi dell’art. 55 del d.lgs. 165/2001, a composizione integrata da un membro nominato dall’Azienda ospedaliera);
– non può ritenersi che i provvedimenti di deconvenzionamento, anche se adottati ex art. 5, comma 14, del d.lgs. 517/1999, sfuggano alla necessità della previa intesa.
21.3. Il Collegio ritiene anche in questo caso condivisibile la valutazione operata dal TAR, sulla base delle considerazioni sopraesposte.
La disciplina invocata dall’appellante concerne in generale la disciplina dei rapporti con i medici universitari, ed in particolare i procedimenti disciplinari.
Ma, una volta ricostruito il potere di cui all’art. 5, comma 14, cit., come potere autonomo e complementare al potere disciplinare spettante agli organi universitari (seppure integrati), in ragione dell’esigenza di non condizionarne la durata (e quindi, in concreto, la possibilità di conseguire il risultato voluto) alla volontà dell’Università, non si può ritenere che il deconvenzionamento di un singolo professore per gravissimi inadempimenti professionali comporti la necessità della previa intesa con l’Università di appartenenza.
22. Ulteriore questione fa leva sulla violazione del dovere di buona fede da parte dell’A.O., a causa dell’avvio del procedimento, dopo la definizione di una transazione, per fatti di cui era già venuta a conoscenza in precedenza.
22.1. Il TAR ha ritenuto che la censura sia inconferente ai fini del sindacato di legittimità del provvedimento impugnato, poiché, non avendo il ricorrente impugnato la transazione, l’eventuale riserva mentale dell’Azienda non lo assolverebbe dalle responsabilità per i fatti per i quali legittimamente è stato adottato il provvedimento gravato.
22.2. Con il nono motivo, l’appellante lamenta che il TAR abbia perso di vista il nocciolo della censura, ovvero l’accanimento del d.g. del Policlinico nei suoi confronti, che ha dato luogo ad una condotta persecutoria.
Lamenta inoltre che, su alcuni aspetti, la sentenza taccia del tutto: colleghi dell’appellante sono stati rinviati a giudizio per fatti gravissimi (relativi alla manomissione dei test di accesso alla facoltà di odontoiatria), ma sono stati allontanati solo provvisoriamente ed oggi sono nuovamente in servizio, mentre l’appellante, dopo anni e sulla base di una relazione della Guardia di Finanza che si assume più rilevante del decreto di archiviazione del procedimento penale che ha fatto scaturire, è stato deconvenzionato.
22.3. Il Collegio osserva che la disparità di trattamento, nella materia in questione, potrebbe inficiare il provvedimento soltanto qualora vi fosse identità della condotta e dei rilievi critici ed omogeneità del contesto in cui è stata accertata. Fuori di tali ipotesi, la risposta data dall’Azienda a gravi inadempimenti (per quanto possa ipotizzarsi insufficiente) non può mettere in discussione la legittimità dell’intransigente esercizio del potere in altre occasioni.
Non è certo sufficiente a tal fine il semplice e generico riferimento ai suddetti episodi che hanno coinvolto altri medici del Policlinico, posto che le condotte richiamate in chiave comparativa (per quanto possano apparire di estrema gravità) sono evidentemente diverse da quelle addebitate all’appellante e si collocano in un diverso contesto.
Peraltro, non vi sono elementi per poter affermare che vi sia stato un accanimento di carattere personale, o che l’operato dell’Azienda sia stato mosso da fini diversi da quelli che emergono dagli atti. Pertanto, quella che l’appellante denuncia essere una condotta persecutoria, può essere altrimenti interpretata (con maggior aderenza alle risultanze oggettive degli atti) come il frutto della volontà, probabilmente inusuale, di andare fino in fondo nel trarre le conseguenze da una situazione di prolungata incompatibilità, non rimossa dall’interessato nonostante ne fosse da anni consapevole
23. Il decimo motivo di ricorso riguarda il diniego di riesame del provvedimento di deconvenzionamento, opposto dall’Azienda con provvedimento -OMISSIS-in data 11 novembre 2014, alla richiesta dell’appellante, motivata con la sopravvenuta archiviazione dei procedimenti penali pendenti a suo carico sugli stessi fatti.
23.1. Il TAR, nel respingere le censure concernenti i vizi propri dell’ultimo provvedimento impugnato, ha negato la sussistenza di un obbligo di riesame, sottolineando che:
– l’intesa con l’Università, così come non è richiesta per l’adozione del provvedimento ex art. 5, comma 14, del d.lgs. 517/99, parimenti è da escludersi in sede di autotutela a nulla rilevando che l’Università abbia in ipotesi sollecitato, in deroga al parametro normativo, un concerto sull’eventuale decisione da assumere, la quale è e resta di competenza dell’Azienda Ospedaliera;
– l’archiviazione del procedimento penale avente ad oggetto l’accertamento dei fatti oggetto del procedimento amministrativo non interferisce con l’esito di questo, perché nel primo deve accertarsi la riconducibilità a figure di reato della condotta contestata, nel secondo, invece, ciò che rileva e costituisce elemento dirimente per l’adozione dell’allontanamento è la massima gravità delle mancanze ai doveri d’ufficio, indipendentemente dalla rilevanza penale che potrebbero assumere.
23.2. Nell’appello, si ribadisce che il diniego di riesame è stato assunto in contrasto con la volontà dell’Università di Bari (che con note in data 29 settembre 2014 e 26 ottobre 2014, aveva chiesto di riesaminare, per la sopravvenuta archiviazione in sede penale, d’intesa il provvedimento di allontanamento definitivo dall’attività assistenziale) e senza neppure acquisire il parere del comitato dei garanti.
L’appellante ribadisce che l’accertamento giudiziale dell’inesistenza di fatti sanzionabili relativamente alle medesime contestazioni poste a fondamento dei provvedimenti impugnati (violazione dell’intra moenia per gli anni 2001-2005 e violazione dell’unicità del rapporto di lavoro presso il SSN), imponeva un doveroso riesame; ciò discende dai basici principi di civiltà giuridica e di imparzialità della funzione pubblica, e si desume anche dall’art. 653 c.p.p e dall’art. 55-ter, del d.lgs. 165/2001.
23.3. Il Collegio ribadisce che, stante l’autonomia della valutazione amministrativa rispetto a quella compiuta dal GIP di Bari, non sussisteva un obbligo di riesame.
Ed infatti, come analiticamente argomentato dal TAR, nel provvedimento gravato, ciò che viene addebitato al ricorrente è la prestazione di attività libero professionale incompatibile con lo status di medico del SSN dal 2001 al 2005 in violazione dell’obbligo di esclusività, e dal 2006 a 2011 in violazione del divieto di prestare attività libero professionale presso altre strutture convenzionate con il SSN.
In nessun caso la violazione dei precetti posti a presidio del regime di esclusività/incompatibilità assurge a condotta penalmente rilevante, ma nondimeno ad esse l’ordinamento per disposizione positiva di legge, reagisce con misure a tutela del preminente interesse pubblico le quali parimenti non hanno nulla a che fare con le pene criminali e tanto basta per dimostrare che i due procedimenti rimangono su piani diversi e del tutto autonomi.
Né un simile obbligo poteva nascere in concreto dalle note suddette, posto che con esse il Rettore dell’Università di Bari aveva semplicemente chiesto, senza prospettare alcun argomento nel merito, quali provvedimenti l’Azienda intendesse adottare in ordine alla istanza di “revisione del deconvenzionamento” presentata dall’appellante.
24. Deve aggiungersi che l’appellante aveva contestato anche la determinazione delle somme che l’Azienda gli ha ingiunto di restituire, ma la contestazione non era stata accompagnata dai calcoli e dagli elementi analitici necessari a verificarne la fondatezza, così che il TAR si è potuto limitare a sottolineare che gli importi sono stati assunti dalla Guardia di Finanza presso l’Anagrafe Tributaria dai dati forniti dal ricorrente con le dichiarazioni dei redditi.
In appello, non possono essere introdotte nuove censure o prove che siano nella piena disponibilità della parte, e che quindi avrebbero potuto prodursi in primo grado.
Pertanto, eventuali censure sull’importo desumibili dal complesso delle argomentazioni svolte nell’appello, devono ritenersi inammissibili.
Peraltro, risulta dagli atti che l’A.O., in esecuzione dell’accoglimento parziale disposto dalla sentenza appellata, ha rideterminato le somme oggetto di restituzione con provvedimento -OMISSIS-in data 15 marzo 2016, e che detto provvedimento è stato impugnato dall’appellante dinanzi al TAR Puglia (RG n. 656/2017), e dunque ogni questione residua riguardo al quantum potrà essere definita in quella sede.
25. In conclusione, i motivi di ricorso devono ritenersi tutti infondati, potendosi confermare, con le precisazioni esposte, le valutazioni del TAR.
Considerata la natura e la durata della controversia, e la relativa novità di alcuni aspetti delle questioni affrontate, il Collegio ritiene di dover compensare integralmente le spese del grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese del grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante e le persone giuridiche private menzionate nella sentenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 2 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Manfredo Atzeni – Consigliere
Raffaele Greco – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere, Estensore
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