Sussiste il potere del Giudice di appello di rilevare ex officio la esistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado

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[…]

18.4. Il Collegio ritiene che le questioni sopraindividuate vadano esaminate separatamente e che nell’ordine logico debba essere innanzitutto fornita una risposta al quesito individuato sub lett. c).

18.4.1. Sebbene, in realtà la questione non sia di immediata attualità con riferimento alla controversia in esame (laddove è pacifico che l’impresa che aveva impugnato la clausola del bando relativa al criterio di aggiudicazione aveva proposto la domanda di partecipazione alla gara) la ragione logica di tale priorità è evidente: laddove si affermasse sotto il profilo generale che anche il soggetto -pur operatore nel medesimo settore economico- che non ha presentato la domanda di partecipazione alla gara sia legittimato ad impugnare un bando contestandone le clausole (tra le quali, per venire al caso di specie, quella relativa al sistema di aggiudicazione) che pacificamente non rivestono carattere “escludente”, si dovrebbe convenire che per tal via verrebbe sancita una anticipazione della soglia di tutelabilità dell’interesse che renderebbe incomprensibile la regola opposta che, invece, imponesse al soggetto partecipante alla gara di attendere l’esito infausto della selezione per potere proporre la medesima impugnazione.

18.5. L’Adunanza plenaria ritiene che non sussistano ragioni per ritenere che il soggetto che non abbia presentato la domanda di partecipazione alla gara sia legittimato ad impugnare clausole del bando che non siano “escludenti”, dovendosi con tale predicato intendersi quelle che con assoluta certezza gli precludano l’utile partecipazione.

18.5.1. Si osserva in proposito, che:

a) nel ribadire che tale consolidata impostazione è stata seguita puntualmente dalle sezioni del Consiglio di Stato (cfr. da ultimo, Sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 4180; Sez. IV, 25 agosto 2016, n. 3688; Sez. III, 10 giugno 2016, n. 2507; Sez. IV, 20 aprile 2016, n. 1560; Sez. V, 30 dicembre 2015, n. 5862; Sez. V, 12 novembre 2015, n. 5181) va segnalato che essa ha ricevuto l’autorevole avallo della Corte costituzionale (Corte cost., 22 novembre 2016 n. 245 che ha ritenuto inammissibile – per difetto di rilevanza- una questione di legittimità costituzionale promossa dal T.a.r. per la Liguria, nell’ambito di un giudizio in materia di appalti pubblici originato dal ricorso proposto da un’impresa che non aveva partecipato alla gara: secondo la Corte, infatti, la verifica di legittimità costituzionale della disciplina sostanziale indicata dal T.a.r. non potrebbe influire sull’esito della lite, destinata a concludersi con una pronuncia di inammissibilità del ricorso);

b) tale opzione ermeneutica muove dalla condivisibile considerazione secondo cui l’operatore del settore che non ha partecipato alla gara al più potrebbe essere portatore di un interesse di mero fatto alla caducazione dell’intera selezione (ciò, in tesi, al fine di poter presentare la propria offerta in ipotesi di riedizione della nuova gara), ma tale preteso interesse “strumentale” avrebbe consistenza meramente affermata, ed ipotetica: il predetto, infatti, non avrebbe provato e neppure dimostrato quell’”interesse” differenziato che ne avrebbe radicato la legittimazione, essendosi astenuto dal presentare la domanda, pur non trovandosi al cospetto di alcuna clausola “escludente” (nel senso ampliativo fatto proprio dalla giurisprudenza e prima illustrato); ed anzi, tale preteso interesse avrebbe già trovato smentita nella condotta omissiva tenuta dall’operatore del settore, in quanto questi, pur potendo presentare l’offerta si è astenuto dal farlo;

c) anche se si volesse accedere ad una nozione allargata di legittimazione individuando un interesse dell’operatore economico a competere secondo i criteri predefiniti dal legislatore, ugualmente resterebbe insuperabile la considerazione che esso non sarebbe né attuale né “certo”, ma meramente ipotetico.

18.5.2. A quanto sinora rilevato, deve aggiungersi che sembra al Collegio che, anche sul piano del diritto europeo, non si rinvenga alcun riferimento che militi per l’estensione della legittimazione ad impugnare clausole non escludenti contenute nei bandi di gara agli operatori del settore che si siano astenuti dal partecipare alla gara medesima.

18.5.3. Giova precisare, in proposito che:

a) la Corte di Giustizia, Sez. VI, 12 febbraio 2004, in causa C-230/02 ha stabilito che l’operatore economico il quale si ritenga leso da una clausola della legge di gara la quale impedisca la sua partecipazione ha la possibilità (rectius: l’onere) di impugnare in modo diretto tale clausola (affermazione questa, certamente in linea con quella della giurisprudenza nazionale prima citata a partire dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 2003), ma non ha esteso la legittimazione del non partecipante alla gara all’impugnazione di clausole non certamente preclusive della propria partecipazione;

b) più di recente la Corte di Giustizia (CGUE, Sez. 21 dicembre 2016 in causa C-355/15 -Bietergemeinschaft Technische Gebäudebetreuung GsmbH) ha espresso il principio secondo cui “l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a che a un offerente escluso da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico con una decisione dell’amministrazione aggiudicatrice divenuta definitiva sia negato l’accesso ad un ricorso avverso la decisione di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui trattasi e la conclusione del contratto, allorché a presentare offerte siano stati unicamente l’offerente escluso e l’aggiudicatario e detto offerente sostenga che anche l’offerta dell’aggiudicatario avrebbe dovuto essere esclusa”;

c) se, quindi, seppur a particolari condizioni, può non essere riconosciuta la legittimazione all’impugnazione in capo ad un soggetto, pur partecipante alla gara ma che ne sia stato definitivamente escluso, a fortiori non si vede perché essa dovrebbe essere riconosciuta al soggetto che, pur potendo partecipare alla gara (in quanto il bando non recava clausole escludenti, discriminatorie, etc), si sia astenuto dal presentare un’offerta: va semmai rilevato che la posizione dell’impresa che non abbia partecipato ab imis alla procedura appare ancor meno meritevole di considerazione, sul piano dell’interesse, rispetto a quella dell’impresa che pur abbia manifestato in concreto la volontà di partecipare alla procedura, rimanendo però esclusa.

18.6. Non sembra in contrario senso decisiva la circostanza che di recente il T.a.r. per la Liguria, sez. II,con la ordinanza 29 marzo 2017, n. 263 (resa nello stesso giudizio proseguito dopo sentenza della Corte costituzionale n. 245 del 22 novembre 2016 che si è prima citata), abbia rimesso alla Corte di giustizia la questione pregiudiziale riposante nel quesito <>: ciò tenuto conto del fatto che se la clausola è escludente (e tale non è quella che indica il criterio di aggiudicazione prescelto) essa è certamente impugnabile anche da chi non abbia proposto domanda di partecipazione alla gara (in quanto è certa la lesione), mentre se la clausola non è escludente, si dovrebbe dare ingresso a valutazioni (quelle incentrate sulla “altissima probabilità di non conseguire, l’aggiudicazione”) ipotetiche ed opinabili.

18.7. Per concludere su tale profilo: va ribadito il consolidato orientamento secondo il quale l’operatore del settore che non abbia presentato domanda di partecipazione alla gara non è legittimato a contestare le clausole di un bando di gara che non rivestano nei suoi confronti portata escludente, precludendogli con certezza la possibilità di partecipazione: e ciò, sia con riferimento alla previgente legislazione nazionale in materia di contratti pubblici, che nell’attuale quadro normativo.

18.7.1. Non vi sono ragioni per mutare orientamento, tenuto conto che:

a) la presentazione di una domanda di partecipazione alla gara non sembra imporre all’operatore del settore alcuno spropositato sacrificio;

b) in alcun modo la detta domanda di partecipazione può pregiudicare sul piano processuale il medesimo, tenuto conto della granitica giurisprudenza secondo cui (si veda ancora di recente Consiglio di Stato, sez. III, 10 giugno 2016, n. 2507 Consiglio di Stato, sez. V, 22 novembre 2017, n. 5438) “nelle gare pubbliche l’accettazione delle regole di partecipazione non comporta l’inoppugnabilità di clausole del bando regolanti la procedura che fossero, in ipotesi, ritenute illegittime, in quanto una stazione appaltante non può mai opporre ad una concorrente un’acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e 113 comma 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale”;

c) la situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, è ricollegabile unicamente alla partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione: la procedura cui non si sia partecipato è res inter alios acta e non legittima l’operatore economico ad insorgere avverso la medesima (Adunanza plenaria 7 aprile 2011, n. 4, Adunanza plenaria 25 febbraio 2014, n. 9).

19. Possono adesso essere esaminate le questioni concernenti il dies a quo a partire dal quale l’offerente debba proporre l’impugnazione avverso le clausole del bando prive di immediata lesività in quanto non “escludenti”, e purtuttavia, in tesi, illegittime.

19.1. Due considerazioni preliminari in proposito, appaiono doverose.

19.1.1. Per elementari esigenze di certezza, ritiene l’Adunanza plenaria meriti integrale condivisione la tesi esposta nell’ultima parte del paragrafo 2.19 dell’ordinanza di remissione secondo cui “non è praticabile l’opzione ermeneutica, astrattamente prospettabile, secondo la quale le esigenze di ampliare la tutela giurisdizionale in coerenza del canone di effettività della tutela imposto dal diritto dell’Unione europea, implicherebbero che l’operatore economico potrebbe scegliere se impugnare immediatamente il bando o attendere l’esito della procedura. Al contrario, deve porsi una chiara delimitazione delle ipotesi in cui un atto è lesivo, generando l’onere di tempestiva e autonoma impugnazione.”. La giurisprudenza, peraltro, ha in passato avuto modo di esaminare tale tematica (si veda Cons. Stato, Sez. Quarta n. 1243 del 13 marzo 2014) ed ha chiarito che “la parte che si assume lesa deve avere il dovere, e non soltanto la “facoltà” di proporre impugnazione, altrimenti la richiesta concretezza ed attualità dell’interesse scolorano nel concetto di “precauzione” e “cautelatività”, facendo presente che la tesi contraria comporterebbe “inammissibili conseguenze sotto il profilo processuale conducendo ad una -facilmente preconizzabile- evenienza che si pone in contrasto con tutta la sistematica del codice improntata ad un evidente favor per il simultaneus processus “.

E’ il caso in proposito di rammentare che l’esigenza di una trattazione unitaria e concentrata nelle controversie in materia di appalti trova conforto nell’art. 120 comma 7 del c.p.a. che eccezionalmente, per le sole controversie disciplinate dal c.d. rito appalti, impone il ricorso ai motivi aggiunti c.d. impropri allorquando si debbano impugnare nuovi provvedimenti attinenti alla medesima procedura di gara (mentre sul piano generale l’art. 104, co. 3 circoscrive rigorosamente la proposizione dei motivi aggiunti in appello esclusivamente nei confronti del medesimo atto -o dei medesimi atti- che hanno costituito l’oggetto delle domande proposte in primo grado: si veda sul punto Consiglio di Stato Ad. plen. n. 5 del 17 aprile 2015, capo 6.1.2.).

19.1.2. In secondo luogo, l’ordinanza di rimessione ha esposto gli argomenti che militerebbero per una revisione dell’orientamento “tradizionale”, trascurando però di soffermarsi su un dato normativo che sembra all’Adunanza plenaria di assoluto rilievo.

Ed invero l’art. 120 comma 5 del c.p.a. ha conferito rango legislativo all’impostazione della decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29 gennaio 2003 n. 1 prevedendo l’onere di immediata impugnazione del bando o dell’avviso di gara solo “in quanto autonomamente lesivo”.

La detta prescrizione normativa sembra al Collegio interpretabile in un unico senso: e cioè che tale eventualità sia ravvisabile soltanto nell’ipotesi in cui il bando presenti clausole escludenti (nel senso pur ampliativo delineato dalla giurisprudenza a più riprese citata).

Come si è prima posto in luce, l’ordinanza di rimessione non ritiene che la clausola del bando inerente al criterio di aggiudicazione sia di natura escludente, ed anzi auspica che l’anticipazione del momento di impugnazione (considerando 3.2. dell’ordinanza di rimessione) possa essere esteso a “tutte le clausole attinenti alle regole “formali” e “sostanziali” della gara” (pur prive di portata escludente).

Ciò implica che, laddove (il che non è, come meglio si chiarirà di seguito) venissero ravvisati così imperiosi motivi per ritenere che l’obbligo di impugnazione immediata delle prescrizioni non escludenti del bando si imponga, ciò probabilmente non potrebbe avvenire in via ermeneutica ma dovrebbe passare per il vaglio della Corte costituzionale sulla compatibilità (rispetto ai precetti di cui agli articoli 24 e 97 della Costituzione) dell’inciso del comma 5 dell’art. 120 “autonomamente lesivi”.

19.1.3. Ciò premesso, il Collegio dedicherà quindi i successivi paragrafi dell’esposizione all’illustrazione delle ragioni che inducono a confermare l’orientamento “tradizionale”.

19.2. Concentrando la disamina alle ragioni sottese alla paventata opportunità della rivisitazione dell’orientamento espresso in passato, con riferimento alla previgente legislazione (d.Lgs. n. 163/2006), non si rinvengono motivi per discostarsi dal principio affermato sin dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003: e ciò, sia per esigenze di carattere teorico generale che per esigenze eminentemente pratiche.

19.2.1. Non sembra, anzitutto, al Collegio che l’innovazione legislativa ascrivibile all’articolo 4, comma 2, lettera d), del d.L. 13 maggio 2011, n. 70, che ha interpolato l’art. 46 del d.Lgs. n. 163 del 2006 inserendovi il comma 1 bis (che così dispone, nella parte di interesse: “i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”), militi a sostegno delle aspirazioni “evolutive” rispetto all’indirizzo tradizionale (siccome ipotizzato nell’ordinanza di rimessione).

Mercè detta disposizione (reiterata peraltro dall’art. 83 comma 8 del vigente d. Lgs n. 50/2016) si è certamente voluta favorire la massima partecipazione alle gare attraverso il divieto di un aggravio del procedimento, correggendo quelle soluzioni che sfociavano in esclusioni derivanti da violazioni puramente formali (tra le tante, si veda Cons. Stato, Sez. III, 29 luglio 2015 n. 3750); ma ciò è avvenuto attraverso un accorgimento (espressa comminatoria di nullità, ex art. 21-septies legge n. 241/1990) che:

a) da un canto rende meramente eventuale il ricorso ad iniziative giurisdizionali in quanto, secondo autorevole giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V, 18 febbraio 2013, n. 974), tali clausole sono passibili di formale disapplicazione da parte della commissione di gara;

b) ma soprattutto – a cagione dell’anticoncorrenzialità di simili clausole e della sanzione di nullità che da ciò discende -consente che l’iniziativa giurisdizionale avverso le stesse venga esercitata in qualsiasi tempo: ciò, semmai, va nella direzione contraria (immediata emersione dei vizi del bando) rispetto a quella prospettata a sostegno dell’indirizzo evolutivo;

c) non ritiene, quindi, il Collegio che tale disposizione esprima indirizzi a sostegno del superamento del consolidato orientamento in punto di necessità di impugnare le clausole non preclusive della partecipazione unitamente al provvedimento che rende certa ed invera la lesione, sino a quel momento unicamente paventata.

19.2.2. Con più specifico riferimento alla fattispecie rilevante nell’odierno processo (individuazione del metodo di aggiudicazione) è noto che il d.Lgs. n. 163/2006 (come anche la legislazione antecedente) si fondava sul principio dell’equiordinazione dei metodi di aggiudicazione, la cui scelta restava rimessa alla responsabile discrezionalità della stazione appaltante (art. 81, commi 1 e 2 del predetto d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) mentre il nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50- non applicabile ratione temporis alla presente vicenda contenziosa – ha introdotto all’art. 95 una rilevante novità sistematica (sulla scorta del considerando 89 della direttiva 24/2014, laddove si afferma che l’offerta “economicamente” più vantaggiosa è “sempre” quella che assicura il miglior rapporto tra qualità e prezzo), esprimendo un indiscutibile favor per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e prevedendo un “sistema di gerarchia” tra i metodi di aggiudicazione.

Ma né la pregressa disposizione né quella attuale consentono di rinvenire elementi per pervenire all’affermazione che debba imporsi all’offerente di impugnare immediatamente la clausola del bando che prevede il criterio di aggiudicazione, ove la ritenga errata: versandosi nello stato iniziale ed embrionale della procedura, non vi sarebbe infatti né prova né indizio della circostanza che l’impugnante certamente non sarebbe prescelto quale aggiudicatario; per tal via, si imporrebbe all’offerente di denunciare la clausola del bando sulla scorta della preconizzazione di una futura ed ipotetica lesione, al fine di tutelare un interesse (quello strumentale alla riedizione della gara), certamente subordinato rispetto all’interesse primario (quello a rendersi aggiudicatario), del quale non sarebbe certa la non realizzabilità.

19.2.3. A ben guardare, poi, l’ordinanza di rimessione (ma anche per il vero la motivazione delle tre precedenti ordinanze di rimessione all’Adunanza plenaria n. 351/2011, n. 2633/2012,n. 634/2013) dà atto della circostanza che l’esigenza sottesa all’onere di immediata impugnazione di tutte le regole del bando ancorchè non escludenti si fonderebbe pressochè esclusivamente sull’auspicio di accelerare per tal via la definizione del contenzioso (evitando che i rapporti giuridici, una volta avviati, siano rimessi in discussione) e sulla considerazione che l’orientamento “tradizionale” non avrebbe prodotto alcuna riduzione del contenzioso.

Ora, però, salvo quanto si dirà immediatamente di seguito, tale esigenza -certamente espressiva di una preoccupazione reale e meritevole di considerazione – per un verso non sarebbe risolutivamente soddisfatta dall’accorgimento che ci si propone di introdurre e, per altro verso, condurrebbe all’assai probabile incremento del contenzioso.

19.2.4. Si è già osservato che il rito processuale amministrativo, per risalente tradizione, è governato dall’impulso di parte.

Numerose sono le vigenti disposizioni che testimoniano dell’attualità di tale particolare configurazione e tra esse giova ricordare quelle (artt. 35 ed 84 del c.p.a.) secondo cui la parte che propone il ricorso può rinunciarvi in qualsiasi momento ed anche nel giudizio di appello, potendo financo rinunciare agli effetti della sentenza di primo grado (tra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 11 settembre 2017, n. 4274).

Tale -insindacabile da parte del Giudice- diritto potestativo si estende anche alla tutela cautelare, la quale è facoltativamente richiesta dalla parte impugnante.

Come è noto, l’art. 120 comma 6 del c.p.a., conformandosi al precetto contenuto all’art. 1 della Direttiva 89/665/CEE siccome modificato dall’articolo 41 della Direttiva del Consiglio n. 50 del 18 giugno 1992e successivamente sostituito dall’articolo 1 della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 66 dell’11 dicembre 2007 (laddove si richiede che gli Stati Membri prevedano che”, le decisioni prese dalle autorità aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile”), ha previsto un rito speciale soggetto a termini stringenti ed ha in parte “attenuato” l’incidenza della iniziativa di parte, allorchè ha previsto che l’udienza venga fissata d’ufficio dal Giudice.

Tuttavia -soprattutto con riferimento alle gare di meno rilevante complessità – la tempistica processuale è giocoforza meno rapida rispetto ai compiti rimessi al seggio di gara.

Imporre l’immediata impugnazione di qualsiasi clausola del bando, in questo contesto, rischierebbe di produrre le seguenti conseguenze:

a) tutte le offerenti che ritengano di potere prospettare critiche avverso prescrizioni del bando pur non rivestenti portata escludente sarebbero incentivate a proporre immediatamente l’impugnazione (nella certezza che non potrebbero proporla successivamente);

b) al contempo, in vista del perseguimento del loro obiettivo primario (quello dell’aggiudicazione) esse sarebbero tentate di dilatare in ogni modo la tempistica processuale,(in primisomettendo di proporre la domanda cautelare), così consentendo alla stazione appaltante di proseguire nell’espletamento della gara, in quanto, laddove si rendessero aggiudicatarie prima che il ricorso proposto avverso il bando pervenga alla definitiva decisione, esse potrebbero rinunciare al detto ricorso proposto avverso il bando, avendo conseguito l’obiettivo primario dell’aggiudicazione;

c) soltanto laddove non si rendessero aggiudicatarie, a quel punto, coltiverebbero l’interesse strumentale alla riedizione della procedura di gara incentrato sul ricorso già proposto avverso il bando.

Di converso, le stazioni appaltanti potrebbero ragionevolmente rallentare l’espletamento delle procedure di gara contestate, in attesa della decisione del ricorso proposto avverso il bando.

In ultima analisi, l’effetto pressochè certo dell’abbandono del criterio tradizionale è quello dell’(ulteriore) incremento del contenzioso: quantomeno a legislazione vigente, i possibili vantaggi sembrano del tutto ipotetici.

19.2.5. Può quindi concludersi tale articolazione della disamina, con l’affermazione che con riferimento alle gare ratione temporis governate dal d.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, non si ravvisano ragioni per rivisitare il consolidato principio secondo il quale le clausole del bando che non rivestono certa portata escludente devono essere impugnate dall’offerente unitamente all’atto conclusivo della procedura di gara.

19.3. A considerazioni analoghe deve pervenirsi, ove si valuti la questione con riferimento alla vigente legislazione.

19.3.1. Considerato che la procedura di gara per cui è causa è governata ratione temporis dalle prescrizioni di cui al d.Lgs n. 163/2006, il quesito prospettato dall’ordinanza di rimessione – nella parte in cui esso è stato riferito anche alla vigente legislazione -muove dalla (condivisibile) considerazione che trattasi di una questione della massima importanza (art. 99 comma 5 del c.p.a.).

E non sembra un caso che, in realtà, il maggiore sforzo motivazionale dell’ordinanza di rimessione sia stato dedicato alla illustrazione delle modifiche ordinamentali che, in tesi, dovrebbero indurre ad estendere l’obbligo di immediata impugnazione a tutte le clausole del bando ancorchè non aventi natura escludente.

19.3.2. E’ questa la ragione per cui si è ritenuto di dedicare una autonoma disamina a tale articolazione del quesito, essendo però appena il caso di precisare che quanto si è finora affermato con riferimento al previgente quadro normativo (e che si ometterà di ripetere) è certamente traslabile anche al particolare profilo che ci si accinge ad esaminare.

19.3.3. Premesso che sulla “portata” della disposizione di cui all’art. 83 comma 8 del vigente d. Lgs n. 50/2016 (riproduttivo dell’art. 46 comma 1 bis del d.Lgs. n. 163 del 2006) e di quella di cui all’art. 95 del d. Lgs n. 50/2016 ci si è già in precedenza soffermati, ad avviso della Sezione remittente militerebbero per l’estensione dell’obbligo di immediata impugnazione a tutte le clausole del bando, ancorchè non aventi natura escludente:

a) le disposizioni di cui all’art. 211 comma 2, del nuovo codice (comma quest’ultimo abrogato dall’art. 123, comma 1, lett. b), d.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56) e di cui ai commi 1-bis, 1-ter e 1-quater, aggiunti al già citato art. 211 del d.Lgs. n. 50 del 2016 dall’art. 52-ter, comma 1, del d.L. 24 aprile 2017, n. 50;

b) le disposizioni processuali di cui all’art. 120 c.p.a., commi 2-bis e 6-bis, così come modificato dall’art. 204, comma 1 lett. b) del nuovo codice dei contratti pubblici.

19.3.4. Una approfondita riflessione si impone per la disamina del disposto di cui all’art. 211 del d.Lgs. 18 aprile 2016 n. 50 sia nel testo originario interpolato dal d.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56, che in quello vigente, siccome novellato dal d.L. 24 aprile 2017, n. 50: ci si riferisce all’istituto delle raccomandazioni vincolanti dell’Autorità Nazionale Anticorruzione previsto dall’art. 211, comma 2 del d. Lgs. 50/2016 e, dopo la sua abrogazione, alla legittimazione dell’ANAC all’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

Si tratta, invero, del conferimento all’ANAC di una legittimazione processuale straordinaria al pari di quanto disposto da altre previsioni normative (si rammentano in proposito gli artt. 14 comma 7, 62, 110 comma 1, 121comma 6 e 157 comma 2 del d. Lgs. n. 58 del 1998 con cui la Banca d’Italia e la Consob sono state legittimate ad impugnare le deliberazioni delle società vigilate adottate in violazione di alcune disposizioni sul diritto di voto in materia di intermediazione finanziaria; l’art. 52, comma 4 del d.lgs. n. 446 del 1997 che ha riconosciuto al Ministero delle Finanze il potere di impugnare per qualsiasi vizio di legittimità i regolamenti comunali in materia di entrate tributarie; l’art. 6 comma 10 della l. n. 168 del 1989, che ha attribuito al Ministro dell’Università e della Ricerca il potere di diretta impugnazione degli Statuti dei singoli Atenei che non si adeguino ai rilievi di legittimità dallo stesso formulati; l’art. 21 bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287 in tema di poteri dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza, l’art. 37 del d.L 6 dicembre 2011, n. 201 in tema di poteri attribuiti all’Autorità di regolazione dei trasporti e l’art. 70 del decreto legislativo del 18 agosto 2000 n. 267 che attribuisce al Prefetto la legittimazione a far valere, in via giurisdizionale, la decadenza dalla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale).

19.3.5. Orbene, che la “concorrenza per il mercato” sia un interesse di rango costituzionale ed europeo, è circostanza nota, e non stupisce pertanto che il legislatore abbia sentito l’esigenza di attribuire all’Autorità di vigilanza in materia poteri “propri” da esercitare in sede giurisdizionale:

la commissione speciale del Consiglio di Stato chiamata a rendere il parere sullo schema del decreto legislativo (Consiglio di Stato comm. spec., 28/12/2016, n. 2777) soffermandosi sull’ormai abrogato istituto di cui al comma 2 del citato art. 211 (le c.d. “raccomandazioni vincolanti”) ha fatto riferimento ad un “rafforzamento dei poteri dell’ANAC mediante l’attribuzione, in particolare, di un potere finalizzato all’emissione di raccomandazioni vincolanti nei confronti delle stazioni appaltanti, per l’annullamento in autotutela di atti della procedura di gara illegittimi”(considerazioni, queste, certamente estensibili alla disposizione oggi vigente di cui al comma 1 bis del citato articolo 211).

E’ necessario però sottolineare l’inassimilabilità della ratio della innovazione legislativa suddetta alle “esigenze” che militerebbero a sostegno dell’obbligo di immediata impugnazione delle clausole non escludenti del bando.

Invero la legittimazione dall’ANAC viene esercitata a presidio dell’interesse pubblico alla concorrenza in senso complessivo (di qui, anche, la limitazione ai “contratti di rilevante impatto” contenuta nella citata disposizione) e postula un interesse “certo” e prioritario (quello alla rimozione del bando).

Il partecipante alla gara, invece, ha un interesse del tutto distinto da quello pubblicistico: ha l’interesse primario ed immediato ad aggiudicarsi la gara medesima; è quindi ravvisabile un interesse dell’offerente a proseguire la gara, funzionale ad ottenere il bene della vita cui esso aspira, rappresentato dall’aggiudicazione; soltanto laddove l’aggiudicazione diviene impossibile assume rilievo l’interesse strumentale alla riedizione della procedura di gara; ma non è certo che nella fase embrionale della procedura (chè è questa la fase in cui egli dovrebbe proporre l’impugnazione avverso il bando) l’interesse all’aggiudicazione sia certamente frustrato.

L’Autorità agisce nell’interesse della legge; il partecipante alla gara nel proprio esclusivo e soggettivo interesse. Che, si ripete, primariamente, è quello di aggiudicarsi la gara, e solo subordinatamente, quello della riedizione della gara che non si sia riuscito ad aggiudicare.

Non sembra pertanto a questa Adunanza plenaria che la disposizione di cui all’art. 211 del d.Lgs n. 50/2016 si muova nella logica di un mutamento in senso oggettivo dell’interesse (non, come si è prima chiarito, dell’operatore del settore, ma neppure del partecipante alla procedura) a che i bandi vengano emendati immediatamente da eventuali disposizioni (in tesi) illegittime, seppure non escludenti: essa ha subiettivizzato in capo all’Autorità detto interesse, attribuendole il potere diretto di agire in giudizio nell’interesse della legge.

19.3.6. Riconosce, invece, il Collegio, la rilevante portata innovativa rappresentata dal nuovo rito c.d. “superaccelerato” di cui ai commi 2 bis e 6 bis dell’art 120 del c.p.a. introdotto dall’art. 204 comma 1 lett. d) del d.Lgs. n. 50/2016.

Detta disposizione è volta, nella sua ratio legis, a consentire la pronta definizione del giudizio prima che si giunga al provvedimento di aggiudicazione e, quindi, a definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte e alla conseguente aggiudicazione (Consiglio di Stato, parere n. 855/2016 sul codice degli appalti pubblici). Il legislatore ha quindi inteso evitare che con l’impugnazione dell’aggiudicazione possano essere fatti valere vizi attinenti alla fase della verifica dei requisiti di partecipazione alla gara, il cui eventuale accoglimento farebbe regredire il procedimento alla fase appunto di ammissione, con grave spreco di tempo e di energie lavorative, oltre al pericolo di perdita di eventuali finanziamenti, il tutto nell’ottica dei principi di efficienza, speditezza ed economicità, oltre che di proporzionalità del procedimento di gara (Consiglio di Stato, parere n. 782/2017 sul decreto correttivo al nuovo codice degli appalti pubblici).

Tale norma pone evidentemente un onere di immediata impugnativa dei provvedimenti in questione, a pena di decadenza, non consentendo di far valere successivamente i vizi inerenti agli atti non impugnati; l’omessa attivazione del rimedio processuale entro il termine preclude al concorrente la possibilità di dedurre le relative censure in sede di impugnazione della successiva aggiudicazione, ovvero di paralizzare, mediante lo strumento del ricorso incidentale, il gravame principale proposto da altro partecipante avverso la sua ammissione alla procedura (cfr. art. 120, comma 2 bis, del c.p.a. “L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale”).

La diversa ermeneutica non può trarre argomenti interpretativi dal comma 6 bis dell’art. 120 c.p.a. (“La camera di consiglio o l’udienza possono essere rinviate solo in caso di esigenze istruttorie, per integrare il contraddittorio, per proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale”) che, nel contemplare espressamente la possibilità di proporre ricorsi incidentali, potrebbe far propendere, ad una prima lettura, per la permanenza del potere di articolare in sede di gravame incidentale, vizi afferenti l’ammissione alla gara del ricorrente principale anche dopo il decorso del termine fissato dal comma 2 bis.

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