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A quanto sinora rilevato, può aggiungersi che l’art. 104 del c.p.a. (come previsto per il processo civile dall’art. 345 comma II c.p.c.) rende possibile che nel processo di secondo grado vengano liberamente prospettate “eccezioni rilevabili d’ufficio” e tale è sempre stata, per quanto prima chiarito, la disamina della originaria ammissibilità del ricorso di primo grado.
14.3.2. Sulla scorta di una semplice esegesi del diritto positivo, dunque, sembra possibile in via piana ricostruire un sistema fondato sulla regola generale del possibile rilievo ex officio di tutte le questioni (condizioni dell’azione e presupposti processuali) che condizionano la possibilità di pervenire ad una pronuncia di merito, e su una espressa eccezione a tale criterio generale, rappresentata dal formarsi di un c.d. “giudicato implicito” sulla problematica relativa alla spettanza della giurisdizione al giudice adito.
14.4. Senonchè, tale esegesi è acutamente contraddetta da una obiezione, che fa leva sulla “consistenza” della problematica inerente alla giurisdizione.
Per la concorde elaborazione della giurisprudenza civile di legittimità (ex aliis Cassazione civile sez. un. 10 luglio 2006 n. 15612) e di quella amministrativa (Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sentenza 3 giugno 2011, n. 10 e più di recente, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 860 Consiglio di Stato, sez. V, 31 marzo 2015) infatti, la giurisdizione costituisce il necessario presupposto processuale di ogni domanda ed il fondamento imprescindibile della potestas iudicandi del giudice adito, cosicché essa deve essere esaminata in via necessariamente prioritaria ogniqualvolta venga posta in discussione, al fine di consentire la riproposizione della domanda completamente impregiudicata davanti al giudice al quale spetta la giurisdizione sulla controversia.
14.4.1. Muovendo da tale -incontestata – evidenza, si sostiene, da parte di qualificata dottrina, la complessiva contraddittorietà di una interpretazione del sistema processuale nel senso che esso da una parte “comprimerebbe” la possibilità del rilievo ex officio del difetto di giurisdizione e dall’altra manterrebbe integro il potere di rilievo officioso di presupposti processuali di minore spessore; si postula, così, una ricostruzione alternativa, secondo cui, anche nel giudizio di appello, laddove il giudice sia pervenuto alla decisione di merito, si dovrebbe riconoscere l’avvenuta formazione di un “giudicato implicito” preclusivo (anche) del rilievo officioso di problematiche inerenti agli altri presupposti processuali e le condizioni delle azioni.
14.5. Pur riconoscendo la simmetrica coerenza di tale ricostruzione, il Collegio non la ritiene persuasiva, in quanto essa sembra trascurare la genesi nella vigente disciplina processuale civilistica ed amministrativa del rilievo della “questione di giurisdizione”.
14.5.1. Invero, come è noto, preso atto di una certa “fluidità” dei criteri di riparto della giurisdizione, il legislatore ordinario all’approssimarsi del nuovo millennio aveva ritenuto che – soprattutto laddove l’individuazione della natura e consistenza delle posizioni soggettive oggetto di tutela presentasse inevitabili margini di incertezza, ovvero si riscontrasse la contemporanea compresenza di più posizioni soggettive attive differenziate – al fine di evitare defatiganti indagini ed incertezze sull’individuazione del plesso giurisdizionale deputato a pronunciarsi su una determinata controversia (ovvero di evitare il frantumarsi della giurisdizione sulla medesima controversia insorta a seguito del verificarsi del medesimo “fatto storico”), si potesse intervenire per “blocchi di materie” attribuendo la giurisdizione per espressa previsione di legge all’uno od all’altro plesso giurisdizionale (ordinario, o amministrativo).
Ciò quantomeno in particolari materie, caratterizzate dalla stretta compenetrazione tra le due posizioni attive, e pur tenendo fermo (ovviamente, in quanto direttamente previsto dalla Costituzione) il tendenziale criterio di riparto fondato sul binomio diritto soggettivo/ interesse legittimo per modificare il quale sarebbe stato necessario intervenire sulla Carta Costituzionale.
Si è quindi assistito ad un proliferare di interventi in tal senso (d.Lgs. 80 del 1998, legge n. 205 del 2000): le Sezioni unite della Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. unite, 16 gennaio 2003, n. 594) così avevano tratteggiato dette modifiche legislative “rivoluzionarie”: “la disciplina di cui all’art. 33 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 e all’art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, ha dettato un nuovo criterio di riparto della giurisdizione, basato sull’attribuzione di blocchi omogenei di materie, così abbandonando il previgente criterio fondato sulla differenziazione tra posizioni giuridiche di diritto soggettivo e interesse legittimo.”.
La Corte costituzionale, con la “storica” decisione del 6 luglio 2004 n. 204, ha tuttavia sensibilmente ridimensionato la portata di tale “nuovo criterio di riparto”.
E’ quindi tornata di stringente attualità l’esigenza di ridurre la frequenza statistica di pronunce declinatorie della giurisdizione che sopravvenivano nei gradi di giudizio successivi al primo, con conseguente spreco di attività giurisdizionale e vanificazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo (art. 111 comma II della Costituzione).
14.5.2. Tali sforzi sono stati coronati da successo in quanto, con una serie di coordinati interventi legislativi è stato – se non definitivamente accantonato, almeno – sensibilmente ridotto nella sua portata pratica, il risalente e sempre rispettato principio per cui la verifica attribuita al giudice in ordine alla sussistenza della sua giurisdizione deve essere compiuta, di norma, “ex officio”, in ogni stato e grado del processo, nell’ambito proprio di ognuna delle sue fasi.
La linea tendenziale di questi interventi può essere compendiata, in sintesi, nei seguenti principi:
a) la definitiva pronuncia sulla giurisdizione deve intervenire nel più breve tempo possibile;
b) la parte che abbia erroneamente individuato il giudice competente non deve subire preclusioni od amputazioni della tutela sostanziale in relazione a tale errore (il principio della translatio iudicii è stato introdotto dall’art. 59 della legge n. 69/2009, in ottemperanza ad una decisione della Corte costituzionale -sentenza n. 77 del 2007-, allo scopo di evitare che le parti incorrano in preclusioni e decadenze a motivo delle incertezze nell’individuazione del giudice fornito di giurisdizione: ex aliis, per una compiuta ricostruzione, si veda Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 940 del 21 febbraio 2012);
c) il giudice che declina la giurisdizione deve indicare il plesso giurisdizionale che – a suo dire- è deputato ad esaminare la controversia al fine di consentire la trasmigrazione del processo in un termine perentorio presso quel giudice (il quale, a propria volta, se non ritiene che la giurisdizione sia stata esattamente individuata dal giudice rimettente, o perché ritenga che spettasse a quest’ultimo, ovvero perchè ritenga che spetti ad un terzo e diverso plesso ancora, è tenuto a sollevare il conflitto in tempi ristrettissimi).
Il composito sistema così delineato era stato in parte “anticipato” dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione che, con la sentenza 9 ottobre 2008, n. 24883, avevano escluso la contestabilità ex officio della giurisdizione affermata per implicito dal primo giudice in assenza di espresso motivo di impugnazione.
L’art. 9 del cpa ha quindi espressamente codificato il principio giurisprudenziale suddetto, al quale del resto si era prontamente adeguato il Consiglio di Stato. Ed è interessante rilevare che, proprio in virtù di tale spontaneo (e pregresso rispetto all’entrata in vigore del cpa) adeguamento all’arresto delle Sezioni unite della Corte di Cassazione reso con la sentenza 9 ottobre 2008, n. 24883, è stata conseguentemente affermata la natura ricognitiva della previsione di cui all’art. 9 del c.p.a. e la sua estensibilità anche a controversie d’appello relative a cause introdotte anteriormente all’entrata in vigore del nuovo codice (Cons. Stato Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1769).
Si evidenzia peraltro che, ad oggi, la disciplina del processo amministrativo riassunto in seguito a declaratoria di difetto di giurisdizione consente al giudice amministrativo di trarre argomenti di prova dall’istruttoria espletata nel processo celebrato innanzi al giudice sprovvisto di giurisdizione (art. 11, c. 6, c.p.a.).
14.5.3. La circostanza che la questione di giurisdizione, nei gradi successivi al primo, sia stata ricondotta al potere dispositivo delle parti ex art. 112 cpc e sottratta al rilievo d’ufficio del giudice, si spiega quindi:
a) con una precisa volontà legislativa in tal senso, anticipata, come prima chiarito, per via giurisprudenziale;
b) con la considerazione che tale contenuta tempistica del rilievo officioso della questione non pregiudica in alcun modo le parti e consente che nei tempi più celeri venga individuato il giudice fornito di giurisdizione;
c) con la constatazione che – a tutto concedere- il formarsi del giudicato implicito a cagione dell’inerzia delle parti e dell’omesso rilievo officioso del giudice di primo grado conduce ad una soluzione (quella che sulla controversia si pronunci un plesso sfornito di giurisdizione) certamente sconsigliabile, ma comunque non produttiva di conseguenze “contra ius”: al contrario, precludere al giudice di appello il rilievo officioso dell’assenza dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione condurrebbe a conseguenze negative sul piano del diritto sostanziale (esemplificativamente: la delibazione di un ricorso certamente tardivo, ovvero proposto da un soggetto non legittimato, etc).
14.6. Alla stregua di tali considerazioni, e considerato l’univoco tenore letterale degli artt. 9, 35 e 104 del c.p.a. prima citati, ritiene l’Adunanza plenaria che debba fornirsi risposta positiva al quesito concernente la permanente possibilità per il giudice di appello di rilevare ex officio la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado in carenza di pronuncia del giudice di primo grado, sul punto.
15. Venendo adesso all’esame delle problematiche attinenti al merito, il Collegio ritiene che evidenti ragioni di ordine sistematico ed espositivo inducano in primo luogo ad individuare in modo puntuale il quadro normativo applicabile e a delimitare altresì il thema decidendum, anche al fine di evitare che la vastità della materia trattata induca ad esulare dai confini tracciati dall’ordinanza di rimessione.
16. Le tematiche della necessaria partecipazione alla gara quale condizione legittimante l’impugnazione della lex specialis, ovvero dell’esito della stessa, delle eccezioni a tale precetto, e la connessa aspirazione all’enucleazione dei casi in cui sarebbe ammissibile – rectius: doverosa- l’immediata impugnazione del bando (eventualmente anche in carenza della previa presentazione di una domanda partecipativa) sono state già esaminate dalla giurisprudenza amministrativa.
16.1. E’ emersa in proposito una stabile concordanza di opinioni, sulla scia di due fondamentali pronunce rese da questa Adunanza plenaria (ci si riferisce a: Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29 gennaio 2003 n. 1; Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 7 aprile 2011, n. 4) secondo cui:
a) la regola generale è quella per cui soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnare l’esito della medesima, in quanto soltanto a quest’ultimo è riconoscibile una posizione differenziata; né quanto si afferma sulle regole di gara in via generale potrebbe essere in contrasto con l’assetto fondamentale della giustizia amministrativa;
b) i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato».
c) possono essere tuttavia enucleate alcune eccezioni a tale principio generale, individuandosi taluni casi in cui deve essere impugnato immediatamente il bando di gara, nonché particolari fattispecie in cui a tale impugnazione immediata deve ritenersi legittimato anche colui che non ha proposto la domanda di partecipazione.
16.2. E’ stato in proposito osservato che l’illegittimità di regole inidonee a consentire una corretta e concorrenziale offerta economica incide direttamente sulla formulazione dell’offerta, impedendone la corretta e consapevole elaborazione, sicché – ha affermato la citata giurisprudenza- la lesività della stessa disciplina di gara va immediatamente contestata, senza attendere l’esito della gara per rilevare il pregiudizio che da quelle previsioni è derivato, ed anzi nemmeno sussiste l’onere di partecipazione alla procedura di colui che intenda contestarle, in quanto le ritiene tali da impedirgli l’utile presentazione dell’offerta e, dunque, sostanzialmente impeditive della sua partecipazione alla gara.
La sentenza dell’Adunanza plenaria n. 9 del 25 febbraio 2014, dopo avere richiamato i propri precedenti (n. 4 del 2011 e n. 1 del 2003), ha rilevato che, in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione “deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione” e che “chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione – per lui res inter alios acta – venga nuovamente bandita”.
E’ stato poi ivi precisato che a tale regola generale può derogarsi, per esigenze di ampliamento della tutela della concorrenza, solamente in tre tassative ipotesi e, cioè, quando:
I) si contesti in radice l’indizione della gara;
II) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto;
III) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti”.
16.3. Come peraltro riconosciuto nell’ordinanza di rimessione, è agevole riscontrare, che – sotto un profilo di frequenza statistica- le prime due ipotesi categoriali suindicate (contestazione dell’indizione della gara, ovvero della mancata indizione della gara) siano di più rara verificazione; esse sono poi di più agevole accertamento, per cui il nodo centrale da sciogliere, con il quale si è sinora confrontata la giurisprudenza nell’aspirazione di precisare con chiarezza quali siano gli oneri per le imprese, è consistito nella enucleazione dei casi in cui ci si trovi al cospetto di “clausole del bando immediatamente escludenti”.
16.4. Sul punto, può ben affermarsi che la giurisprudenza maggioritaria ha fornito una risposta “ampliativa” in quanto, giovandosi della “clausola di apertura” contenuta nella sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29 gennaio 2003 n. 1 (“non può, invece, essere escluso un dovere di immediata impugnazione del bando di gara o della lettera di invito con riferimento a clausole, in essi contenute, che impongano, ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il conseguente arresto procedimentale. Fra le ipotesi sopra richiamate può, sul piano esemplificativo, essere ricompresa quella di un bando che, discostandosi macroscopicamente dall’onere di clare loqui, al quale, per i suoi intrinseci caratteri, ogni bando deve conformarsi, risulti indecifrabile nei suoi contenuti, così impedendo all’interessato di percepire le condizioni alle quali deve sottostare precludendogli, di conseguenza, direttamente ed immediatamente la partecipazione.”):
a) ha considerato “immediatamente escludenti”, e quindi da impugnare immediatamente, (anche) clausole non afferenti ai requisiti soggettivi in quanto volte a fissare – restrittivamente, in tesi- i requisiti di ammissione ma attinenti alla formulazione dell’offerta, sia sul piano tecnico che economico laddove esse rendano (realmente) impossibile la presentazione di una offerta;
b) in tali evenienze ha legittimato alla contestazione giurisdizionale anche l’operatore che non ha proposto la domanda partecipativa.
16.5. Sulla scia di tale linea interpretativa (ex aliis Cons. Stato sez. III, 2 febbraio 2015 n. 491) e nel tentativo di enucleare le ipotesi in cui tale evenienza può verificarsi, la giurisprudenza ha quindi a più riprese puntualizzato che vanno fatte rientrare nel genus delle “clausole immediatamente escludenti” le fattispecie di:
a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (si veda Cons. Stato sez. IV, 7novembre 2012, n. 5671);
b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (così l’Adunanza plenaria n. 3 del 2001);
c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (cfr. Cons. Stato sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980);
d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2011 n. 6135; Cons. Stato, sez. III, 23 gennaio 2015 n. 293);
e) clausole impositive di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto: Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222);
f) bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (come ad esempio quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall’aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di “0” pt.);
g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011 n. 5421).
16.5.1. Per converso, è stato ribadito il principio generale secondo il quale le rimanenti clausole, in quanto non immediatamente lesive, devono essere impugnate insieme con l’atto di approvazione della graduatoria definitiva, che definisce la procedura concorsuale ed identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento, rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva (Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2014, n. 5282) e postulano la preventiva partecipazione alla gara.
16.6. In sostanza, – e con il conforto della maggioritaria dottrina- la possibilità di impugnare immediatamente il bando di gara, senza la preventiva presentazione della domanda di partecipazione alla procedura, è stata configurata quale eccezione alla regola in base alla quale i bandi di gara possono essere impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, in quanto solo in tale momento diventa attuale e concreta la lesione della situazione giuridica soggettiva dell’interessato. Pertanto, il rapporto tra impugnabilità immediata e non impugnabilità immediata del bando è traducibile nel giudizio di relazione esistente tra eccezione e regola. L’eccezione riguarda i bandi che sono idonei a generare una lesione immediata e diretta della posizione dell’interessato. La ratio sottesa a tale orientamento deve essere individuata nell’esigenza di garantire la massima partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica e la massima apertura del mercato dei contratti pubblici agli operatori dei diversi settori, muovendo dalla consapevolezza che la conseguenza dell’immediata contestazione si traduce nell’impossibilità di rilevare il vizio in un momento successivo.
16.7. E’ bene avvertire che l’orientamento espresso dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003 è rimasto nella sostanza immutato, sebbene a più riprese se ne fosse invocato il superamento (ci si riferisce alle tre ordinanze di rimessione all’Adunanza plenaria della VI Sezione del Consiglio di Stato n. 351/2011, n. 2633/2012, n. 634/2013, le cui argomentazioni sono state illustrate nell’ordinanza di rimessione oggetto di esame) essendosi osservato, in sintesi, che:
a) la limitazione dell’immediata impugnabilità alle sole cause escludenti non ha prodotto l’effetto atteso di deflazione del contenzioso;
b) i principi di buona fede e affidamento di cui agli articoli 1337 e 1338 c.c. comportano per le imprese partecipanti l’obbligo dell’attenta disamina del bando e della sua immediata impugnazione se recante cause di invalidità della procedura predisposta, anche come possibile fonte di responsabilità precontrattuale.
16.8. Sembra al Collegio che gli approdi raggiunti dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003 non costituiscano un “passaggio” isolato od eccentrico, rispetto ai principi generali in materia di condizioni dell’azione, desumibili dall’art. 24, co. 1°, della Costituzione (“tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”) ed in riferimento al principio processuale codificato dall’art. 100 c.p.c. (e da intendersi richiamato nel processo amministrativo dall’art. 39, comma 1, c.p.a.) secondo cui “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa essa è necessario avervi interesse”, posto che:
a) <<l’interesse ad agire è dato dal rapporto tra la situazione antigiuridica che viene denunciata e il provvedimento che si domanda per porvi rimedio mediante l’applicazione del diritto, e questo rapporto deve consistere nella utilità del provvedimento, come mezzo per acquisire all’interesse leso la protezione accordata dal diritto>> (cfr. tra le tante Cass. Civ., Sez. III, n. 12241/98).
b) nel processo amministrativo l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato (cfr. C.d.S., Sez. IV, n. 20 ottobre 1997 n. 1210, Consiglio di Stato, sez. V, 23 febbraio 2015 n. 855 ma si veda anche Cassazione civile, sez. un.,2 novembre 2007, n. 23031 secondo cui l’interesse a ricorrere deve essere, non soltanto personale e diretto, ma anche attuale e concreto – e non ipotetico o virtuale- per fornire una prospettiva di vantaggio);
c) tali approdi appaiono coerenti con la funzione svolta dalle condizioni dell’azione nei processi di parte, innervati come sono dal principio della domanda e dal suo corollario rappresentato dal principio dispositivo (cfr. Cass. Sezioni unite, 22 aprile 2013 n. 9685 Cassazione civile, sez. III, 3marzo 2015, n. 4228, Cassazione civile, sez. II, 9 ottobre 2017, n. 23542);
d) il codice del processo amministrativo ha confermato e ribadito tale impostazione (art. 34 comma III ed art. 35 comma I lett, b e c).
17. Così delineata la cornice normativa e giurisprudenziale che il Collegio ritiene di particolare rilevanza per la risoluzione dei quesiti centrali sottoposti dall’ordinanza di remissione, si può adesso passare alla partita disamina dei medesimi.
18. E’ bene innanzitutto precisare che nel caso in esame nessuna delle parti del giudizio, e neppure la Sezione remittente dubita della circostanza che non ci si trovi al cospetto di “clausole del bando immediatamente escludenti” nel senso ampliativo attribuito a tale aggettivo dalla giurisprudenza (e quindi da impugnare immediatamente, eventualmente anche da parte di chi non ha proposto domanda partecipativa) avuto riguardo alle clausole mercè le quali la stazione appaltante presceglie il criterio di aggiudicazione (in tesi tacciato di illegittimità).
18.1. Come puntualmente rilevato dalla Sezione remittente, proprio su questo specifico punto, l’orientamento espresso dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003 (costantemente seguito dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato e dei T.a.r.) è stato quello secondo cui dovesse restare escluso l’onere di immediata impugnazione delle prescrizioni del bando riguardanti il metodo di gara, il criterio di aggiudicazione e la valutazione dell’anomalia, proprio perché non escludenti.
E sulla circostanza che tale giudizio (in realtà si tratta di una constatazione) di non sussumibilità di simili clausole nel novero di quelle “escludenti” sia esatto, non è dato dubitare né sono state avanzate riserve da parte di alcuno.
18.2. Si chiede invece – nell’ordinanza di rimessione – se non si debba affermare il principio per cui non soltanto le “clausole del bando immediatamente escludenti” ma anche tutte le prescrizioni generali del bando debbano essere immediatamente impugnate, e quindi (con più stretta aderenza alla fattispecie di causa) “quella relativa all’adozione del criterio del prezzo più basso, in luogo del miglior rapporto tra qualità e prezzo” e più in generale “tutte le clausole attinenti alle regole formali e sostanziali di svolgimento della procedura di gara, nonché agli altri atti concernenti le fasi della procedura precedenti l’aggiudicazione”.
18.3. Tenuto conto della prospettazione contenuta nell’ordinanza di rimessione della Terza Sezione oggi all’esame di questa Adunanza plenaria, in realtà, i quesiti di merito sono ancor più articolati di quanto ivi esposto.
Si richiede infatti all’Adunanza plenaria:
a) la rivisitazione dell’orientamento espresso in passato, con riferimento alla previgente legislazione (d.Lgs. n. 163/2006) in quanto trattasi di profilo immediatamente rilevante nella causa “governata” ratione temporis proprio da tale testo di legge;
b) al contempo, nel sottolineare l’evoluzione legislativa medio tempore avvenuta, si sollecita una presa di posizione che esamini la tematica anche con riferimento alla vigente legislazione (d. Lgs. n. 50 del 18 aprile 2016, siccome modificato dal d. Lgs. n. 56 del 19 aprile 2017) sebbene non applicabile alla odierna controversia;
c) con riferimento ad entrambe le fattispecie, poi, nell’ipotesi in cui si addivenga all’affermazione dell’impugnabilità immediata dei bandi allorchè si censuri il criterio di aggiudicazione, si richiede un espresso chiarimento in ordine alle condizioni legittimanti l’impugnazione (id est: se sia – o meno – condizione di ammissibilità del ricorso l’avvenuta presentazione da parte del soggetto ricorrente della domanda di partecipazione alla gara).
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