Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 27 giugno 2019, n. 4424.
La massima estrapolata:
Ricade su chi richiede di beneficiare di un condono edilizio l’onere di provare che l’opera è stata realizzata in epoca utile per fruire del beneficio in quanto, mentre l’amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che lo richiede può, di regola, procurarsi la documentazione da cui si possa desumere che l’abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data prevista.
Sentenza 27 giugno 2019, n. 4424
Data udienza 20 giugno 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2252 del 2013, proposto da
El. Bu., rappresentata e difesa dagli avvocati Si. Ba. ed An. Ch., con domicilio eletto presso lo studio Si. Ba. in Roma, viale (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Vi. Cr., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 7853/2012.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 giugno 2019 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati An. Ch. e Vi. Cr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1 – El. Bu., in data 12 luglio 1990, acquistava un appezzamento di terreno agricolo sito in Cerveteri (distinto al catasto al foglio n. (omissis), p.lla (omissis) Sub (omissis) , sul quale realizzava n. (omissis) box cavalli, attraverso la concessione edilizia n. 72 del 2 aprile 1996.
2 – A seguito di abusi edilizi realizzati su detto immobile, l’appellante ha presentato, in data 3 febbraio 2004, la domanda di condono ai sensi della legge n. 326 del 2003.
3 – In data 7 settembre 2004, il Comune ha notificato l’ordinanza n. 36, con cui è stata disposta la demolizione delle opere edilizie, avverso la quale El. Bu. ha proposto ricorso al T.A.R. per il Lazio (RG 11631/2004).
4 – In data 8 marzo 2007, il Comune ha emesso provvedimento di diniego della concessione in sanatoria, notificato all’appellante in data 24 marzo 2007, avverso il quale quest’ultima ha proposto un ulteriore ricorso al T.A.R. per il Lazio (RG 5438/2007) che, con la sentenza n. 7853 del 2012, lo ha rigettato.
5 – Avverso tale sentenza ha proposto appello l’originaria parte ricorrente.
Stima il Collegio di dover esaminare il merito dell’impugnazione, non sussistendo valide ragioni per disporre il rinvio dell’udienza discussione come richiesto dell’appellante, stante l’irrilevanza ai fini della presente decisione del giudizio penale n. 7601/2011, che non attiene alla specifica vicenda relativa alla sanatoria dell’immobile per cui è causa.
5.1 – Deve essere parimenti disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dal Comune.
Infatti, per costante giurisprudenza, la critica alla sentenza impugnata da parte dell’appellante che sia il ricorrente soccombente in primo grado ben si può risolvere nella riproposizione dei motivi dedotti in quella sede, sull’implicita premessa che il primo Giudice non li abbia correttamente valutati.
6 – Il provvedimento di diniego oggetto del presente giudizio si fonda sulla seguente testuale motivazione: “Non può essere accolta in quanto le opere poste a condono edilizio come risulta dalla nota prot. N. 22989/04 del 03.07.2004 da parte della Polizia Municipale risulta che a seguito di sopralluogo da parte della stessa che le opere per le quali è stata presentata istanza di sanatoria sono state realizzate successivamente alla data del 31.03.2004 e pertanto oltre il termine stabilito dalla Legge Regionale n. 12 del 08.11.2004, all’art. 2 comma 1”.
6.1 – E’ utile rammentare che la L.R. 12/2004, art. 2 comma l, e la corrispondente norma statale fissano al 31 marzo 2003 il termine massimo per l’ultimazione dei lavori, riguardanti i manufatti oggetto di richiesta di condono.
7 – Circa il concetto di edificio ultimato, l’art. 31, comma 3, della l. 47/1985, richiamato dalla stessa norma regionale citata, i cui principi debbono ritenersi valevoli anche per la disciplina dei condoni successivi, prevede che: “Ai fini delle disposizioni del comma precedente, si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente”.
La norma opera un distinguo tra nuovi edifici residenziali, per i quali si richiede l’esecuzione del rustico e il completamento della copertura, ed opere interne di edifici già esistenti per le quali si richiede il completamento funzionale.
Deve dunque interrogarsi sulla portata del concetto di completamento funzionale.
In generale, lo stesso deve riferirsi alla realizzazione di un intervento di cui sia possibile riconoscere le caratteristiche tipologiche in quanto siano presenti gli aspetti essenziali che ne individuano la funzione e ne consentono l’utilizzo. Più precisamente, ai fini del presente giudizio, tale concetto serve ad identificare il momento in cui il manufatto ha acquisito caratteristiche oggettivamente ed univocamente idonee alla nuova destinazione, anche se gli interventi di finitura non risultano ancora completati (cfr. Cons. St, sez. IV, 26 gennaio 2009, n. 393).
8 – Circa il regime dell’onere della prova relativamente all’ultimazione dei lavori entro il termine previsto dalla legge per accedere al condono, la giurisprudenza, alla quale si intende aderire, è orientata nel senso che incombe su chi richiede di beneficiare di un condono edilizio l’onere di provare che l’opera è stata realizzata in epoca utile per fruire del beneficio (cfr. Cons. St. n. 2949 del 2012, Cons. St. n. 772 del 2010) in quanto, mentre l’amministrazione comunale non è normalmente in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, colui che lo richiede può, di regola, procurarsi la documentazione da cui si possa desumere che l’abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data prevista (cfr. Cons. St., sez. VI, 5 agosto 2013, 4075).
La giurisprudenza ha ritenuto che anche in presenza di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, ove non si riscontrino elementi dai quali risulti univocamente l’ultimazione dell’edificio entro la data prescritta dalla legge, atteso che la detta dichiarazione di notorietà non può assurgere al rango di prova, seppur presuntiva, sull’epoca dell’abuso, non si può ritenere raggiunta la prova circa la data certa di ultimazione dei lavori (Cons. Stato, Sez. VI, n. 6548 del 2008).
9 – Quanto al merito del giudizio, l’appellante sostiene di essere in grado di provare che alla data del 31 marzo 2003 si era già concretizzato il cambio di destinazione d’uso, e dunque che erano stati ultimati i lavori sull’immobile di sua proprietà .
9.1 – In particolare, cita le risultanze dell’istruttoria svoltasi nel corso della causa civile avanti il Tribunale di Civitavecchia (N.R.G 574/2003), relativa al preliminare per la vendita dell’immobile oggetto di causa sottoscritto nel giugno del 2002, in cui erano stati escussi diversi testimoni, che dichiaravano di aver eseguito personalmente, o in altri casi di aver visto eseguire sul predetto immobile, nell’anno 2002, lavori funzionali al cambio di destinazione d’uso del suddetto immobile; nonché la sentenza resa all’esito di tale giudizio (sent. n. 736/2011) nel punto in cui si legge che: “l’attività istruttoria ha permesso di accertare che nel corso delle trattative che hanno preceduto la stipula del contratto preliminare, trattative condotte per parte venditrice dal marito della proprietaria, Pietro Tidu, la comune intenzione delle parti è stata quella, rispettivamente, divendere e di acquistare un immobile destinato ad uso abitazione e non un manufatto destinato a box cavalli”.
9.2 – L’appellante valorizza inoltre l’aerofotogrammetria risalente all’anno 2002, da cui si desume che il manufatto esternamente si presentava già nello stesso stato in cui è stato trovato dalla Polizia Municipale nel corso del sopralluogo tenutosi in data 31 maggio 2004, potendosi infatti rinvenire, tra l’altro, la presenza di n. 3 comignoli, di un bombolone del gas e di una finestra.
9.3 – L’appellante a sostegno della propria prospettazione cita anche le risultanze dell’istruttoria svolta a seguito dell’esposto del promissario acquirente Mancini Stefano (in cui quest’ultimo, alla domanda “quando ha visto la casa per la prima volta?”, risponde: “all’incirca il 19.05.2003, dico questa data in quanto mi ricordo che pochi giorni dopo ed esattamente il 21.05.2003 versavo alla proprietaria Sig.ra El. Bu. la cifra di Euro 5000… quale anticipo sulla caparra per la vendita del manufatto sito in Cerveteri via Avitinia snc”.; e prosegue precisando che: “il manufatto era allo stato rustico, esternamente con blocchetti a faccia vista, tetto completamente finito, privo di infissi, internamente suddiviso in n. 6 vani, privo di intonaci e pavimentazione, con predisposizione degli impianti elettrico, idrico e termico”).
10 – Gli elementi evidenziati dall’appellante non sono idonei a provare l’ultimazione dell’immobile alla data del 31 marzo 2003 nel senso innanzi precisato.
Ai fini del presente giudizio, la nozione di completamento funzionale implica infatti uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione dell’immobile come residenza; in altri termini, l’organismo edilizio, non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planivolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione “al rustico”, ossia intelaiatura, copertura e muri di tamponamento), ma anche una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d’uso (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 20 febbraio 2019, n. 1190).
10.1 – Dagli stessi elementi introdotti in giudizio dall’appellante emerge che, al più, l’immobile, seppur già suddiviso in sei vani, si trovava allo stato rustico ed era munito della mera predisposizione per gli impianti elettrico, idrico e termico, e senza gli infissi.
Erano cioè verosimilmente mancati -l’onere della prova, come già precisato incombe sul privato – gli ulteriori lavori di completamento, che non possono definirsi delle mere rifiniture, in quanto attività specificamente necessaria ad imprimere l’inequivoca destinazione funzionale all’immobile. Ne consegue che appare del tutto irrilevante il fatto che in sede di stipula del contratto preliminare di compravendita le parti avessero inteso vendere un immobile residenziale, ovvero che questo avesse perso le originarie caratteristiche di ricovero per i cavalli. Ciò che rileva ai fini del rispetto della normativa per accedere al condono è infatti che l’immobile, seppure ancora bisognoso di rifiniture, abbia già assunto alla data prestabilita connotati tali di dimostrarne la nuova destinazione funzionale.
Senza invertire l’onere della prova, che come detto grava sul privato, deve evidenziarsi che la stessa appellante si era impegnata ad eseguire una serie di opere, in data successiva al termine utile al condono, in forza del preliminare del 11 novembre 2003, e precisamente: “…pavimenti, maioliche, sanitari e rubinetteria per i due bagni, impianto completo di termosifoni, impianti idraulico ed elettrico, porte e finestre e portone di ingresso, tinteggiatura delle pareti; con esclusione delle persiane e del marciapiede esterno” (clausola 6 del preliminare).
Anche da tale documento emerge dunque che alla data del 31 marzo 2003 non fossero completati gli impianti idraulico ed elettrico e mancassero gli infissi, elementi da ritenersi necessari per considerare completato l’immobile nel senso funzionale innanzi delineato.
11 – Per le ragioni esposte l’appello non deve trovare accoglimento.
Le spese di lite, in ragione della specificità del caso e della complessità dell’accertamento in fatto, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta respinge l’appello e compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Francesco Mele – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore
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