Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 8 aprile 2020, n. 2324.
La massima estrapolata:
Il carattere completamente urbanizzato di una zona consente di derogare unicamente alla prescrizione del piano regolatore generale che subordina il rilascio del permesso di costruire all’obbligo della previa adozione di uno strumento urbanistico attuativo, ma non alle altre disposizioni che disciplinano le condizioni per l’esercizio dell’attività edificatoria posto che l’intervento edilizio singolo pur in assenza di un piano esecutivo deve, comunque, osservare tutti gli indici e i parametri di edificabilità previsti dalle n. t.a. e, dunque, anche quelli inerenti il lotto minimo di intervento.
Sentenza 8 aprile 2020, n. 2324
Data udienza 25 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Concessione – Lotto intercluso – Area urbanizzata – PRG – Deroga – Ammissibilità – Eccezione – Condizioni per l’esercizio dell’attività edificatoria
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 906 del 2011, proposto dai signori Vi. Fi. e Lu. Fi., rappresentati e difesi dall’avvocato Er. Ma., con domicilio eletto presso lo studio associato “Si. – Ra.” in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Br., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pa. Ve. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, n. 1238/2009, resa tra le parti, concernente il diniego di concessione edilizia con richiesta di risarcimento danni;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2020 il Consigliere Antonella Manzione e udito per il Comune di (omissis) l’avvocato Fr. Br.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. I signori Fi. hanno presentato ricorso al T.A.R. per il Lazio, sezione staccata di Latina, per l’annullamento della nota del 20 dicembre 1999 con la quale l’ufficio tecnico comunale del Comune di (omissis) negava loro la concessione edilizia richiesta per la realizzazione di un edificio ad uso civile abitazione per mancanza di volumetria disponibile e lacune circa l’asservimento di uno dei due mappali interessati dall’intervento.
2. Il Tribunale adì to ha respinto il ricorso, condannando le parti alle spese di giudizio, ritenendo che il Comune di (omissis) abbia fatto buon governo della disciplina degli indici di edificabilità riveniente dall’art. 13, punto C) delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del Piano regolatore generale (P.R.G.), che in assenza dei previsti strumenti attuativi impone di far riferimento a quelli territoriali (pari nel caso di specie a 1,08 mc/mq) e non fondiari (che porterebbero ad ammettere 2,00 mc/mq), come sostenuto dai richiedenti il titolo.
3. Avverso tale sentenza hanno interposto appello gli originari ricorrenti, lamentando:
-erronea applicazione dell’art. 13 delle N.T.A. del P.R.G. Per le zone “C2” (di espansione edilizia) quale quella nella quale è ricompreso il lotto di loro proprietà, sono richiamati tanto gli indici di edificabilità territoriale (IT) che quelli di fabbricabilità fondiaria (IF), per cui non vi era ragione di attingere il relativo regime dai primi e non dai secondi. Ciò in quanto i vincoli strumentali erano da considerare decaduti per decorrenza del termine quinquennale dalla data di approvazione del P.R.G. (20 marzo 1978);
– difetto di motivazione. Il provvedimento impugnato non recherebbe alcun chiarimento in ordine all’indice edilizio applicato, per cui la scelta ermeneutica effettuata sarebbe stata chiarita ex post dal giudice di prime cure, facendo propria l’argomentazione della difesa civica.
Essi hanno altresì reiterato l’istanza di consulenza tecnica d’ufficio e di prova testimoniale finalizzate alla quantificazione del valore di mercato del lotto nonché di acquisizione della concessione edilizia n. 3780/2001 rilasciata alla società GI. s.r.l. di Gi., acquirente del terreno, in quanto dimostrativa dell’assentita edificabilità sulla base di indici maggiori di quelli sottesi all’impugnato diniego, e dunque della disparità di trattamento da parte del Comune procedente.
4. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) con memoria in controdeduzione per chiedere la reiezione del ricorso e la conferma della sentenza di prime cure. Con riferimento all’impossibilità di individuare la percentuale di asservimento della particella 623, non indicata nell’istanza di parte, ha precisato come l’altra particella, contrassegnata dal n. 125, misurata graficamente è di circa mq. 1600, mentre nei dati di progetto si dichiara una superficie di mq.1345.
In vista dell’odierna udienza, entrambe le parti hanno depositato ulteriori memorie, per ribadire la propria reciproca, contrapposta prospettazione. In particolare, gli appellanti hanno da ultimo evocato il rilascio di ulteriori concessioni edilizie, sempre sulla base dell’indice di edificabilità fondiaria e non territoriale, nonché ricordato che il Comune di (omissis), con deliberazione n. 67 del novembre 2018, per la zona omogenea in cui ricade il lotto in controversia ha certificato la completa urbanizzazione (assimilandola a zona B di completamento edilizio), con ciò rendendosi inutile l’approvazione del piano particolareggiato, con conseguente possibilità di rilascio diretto del titolo edilizio secondo l’indice fondiario di zona.
Il Comune a sua volta si è opposto alle produzioni documentali di controparte (consistenti nella copia delle norme tecniche di attuazione in controversia) in quanto tardiva rispetto al termine perentorio per i relativi depositi di cui all’art. 73 c.p.a.
5. All’udienza pubblica del 25 febbraio 2020, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
6. Preliminarmente il Collegio ritiene di dovere scrutinare l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune appellato in relazione alla produzione documentale del 25 gennaio 2020, siccome tardiva rispetto al termine perentorio stabilito dall’art. 73, comma 1, c.p.a.: essa si palesa ultronea a fini di causa, essendo stato versato in atti stralcio delle N.T.A. corrispondenti agli artt. 12 e 13, la cui corretta interpretazione costituisce il punto essenziale dell’odierna controversia, a prescindere pertanto dalla reiterata documentazione del relativo contenuto.
7. Nel merito, l’appello è infondato e come tale da respingere.
Lamenta l’appellante che il diniego di concessione edilizia, peraltro carente sul piano motivazionale, non avrebbe potuto trarre fondamento dall’art. 13 delle N.T.A., stante che le stesse per le zone “C”, nelle quali rientrano i terreni di cui è causa, prevedono un regime di edificabilità condizionato all’approvazione di piani particolareggiati, ma ancorato indifferentemente all’indice di edificabilità territoriale ovvero a quello di fabbricabilità fondiaria. La ritenuta applicabilità di quest’ultimo in assenza di qualsivoglia “aggancio” testuale in tal senso riveniente dalla formulazione della norma, si paleserebbe illegittima, tanto più che la zona si presenterebbe ampiamente urbanizzata, come di recente formalmente riconosciuto dallo stesso Comune di (omissis). D’altro canto, il mancato “asservimento” esplicito di quota della particella 623 al calcolo degli indici, avrebbe potuto essere risolto “con una minima accortezza”, ovvero avuto riguardo all’area immediatamente a confine con il lotto 125 (v. pag. 2 dell’atto di appello).
7.1. L’assunto non è condivisibile.
Punto centrale dell’odierna controversia è il regime edificatorio applicabile per i casi in cui la disciplina urbanistica preveda una edificabilità condizionata all’approvazione di appositi piani attuativi, laddove gli stessi non siano stati adottati.
La questione, variamente sviluppata in giurisprudenza, interessa il perimetro dell’odierno giudizio limitatamente al quomodo e non all’an dell’intervento. E’ infatti incontestato tra le parti, e inoppugnabilmente affermato dal giudice di prime cure, che il “vincolo strumentale” riveniente dalla prevista necessità di preventivo strumento attuativo sia decaduto, con conseguente riespansione del piano regolatore generale per la medesima zona, non dello ius aedificandi in maniera indiscriminata (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 9 ottobre 2003, n. 6071; sez. II, 9 dicembre 2019, n. 8376).
8. La valutazione della situazione di fatto e, quindi, la ritenuta sussistenza o meno dello stato di sufficiente urbanizzazione, che sta alla base della scelta di rilasciare comunque il titolo edilizio, pur in assenza dei previsti strumenti di pianificazione attuativa, rientra nella potestà discrezionale tecnico amministrativa del Comune e, come tale, non è sindacabile davanti al giudice amministrativo, salvi i casi di abuso macroscopico (v. Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 2002, n. 3253). Ciò poiché il giudizio sulla sufficienza delle infrastrutture esistenti costituisce una sintesi delle ragioni di opportunità urbanistica a favore o contro il rilascio della concessione edilizia in mancanza di disciplina pianificatoria di dettaglio. Qualora all’esito delle verifiche il Comune opti per la soluzione favorevole al richiedente, il relativo provvedimento dovrà essere congruamente motivato circa il fatto che la pianificazione esecutiva non conservi un’utile funzione e non sia in grado di esprimere scelte programmatorie distinte rispetto a quelle contenute nel piano regolatore generale (Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 2010, n. 3699).
Tipica ipotesi in tal senso viene ravvisata nel caso del cd. “lotto intercluso”, caratterizzato, cioè, dall’essere inserito in un contesto di urbanizzazione così capillare dal renderlo un’eccezione isolata nel tessuto territoriale di riferimento. E pur tuttavia anche in tali ipotesi, al pari di quanto accade in casi analoghi di zona già edificata e urbanizzata, non può escludersi in assoluto l’esigenza di pianificazione dell’urbanizzazione ai fini del rilascio della concessione edilizia quando permane la finalità di realizzare un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti o quando sia utile per rimediare ai guasti urbanistici realizzatisi in aree già compromesse o fortemente urbanizzate (cfr. T.A.R. per la Campania, sez. VIII, 3 luglio 2012, n. 3140; Cons. Stato, sez. V, 29 febbraio 2012, n. 1177; id., 6 ottobre 2000, n. 5326; sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7486). Il carattere completamente urbanizzato di una zona consente dunque di derogare unicamente alla prescrizione del piano regolatore generale che subordina il rilascio del permesso di costruire all’obbligo della previa adozione di uno strumento urbanistico attuativo, ma non alle altre disposizioni che disciplinano le condizioni per l’esercizio dell’attività edificatoria posto che l’intervento edilizio singolo pur in assenza di un piano esecutivo deve, comunque, osservare tutti gli indici e i parametri di edificabilità previsti dalle n. t.a. e, dunque, anche quelli inerenti il lotto minimo di intervento. D’altro canto, la previsione di una superficie minima di terreno necessaria all’edificazione conserva una finalità propria, di ordinato assetto del territorio, indipendente dagli scopi che sono alla base dell’obbligo della previa adozione di uno strumento attuativo. Né tale finalità può dirsi raggiunta solo perché la zona ha assunto un carattere completamente urbanizzato.
9. Le n. t.a. del P.R.G. del Comune di (omissis), dunque, individuano tre tipologie di piani particolareggiati, all’adozione dei quali è subordinata l’edificazione nelle zone “C”, di “espansione edilizia”, imponendo comunque il rispetto di precisi indici di edificabilità territoriale e fondiaria. Applicando questi ultimi, la potenzialità edificatoria del terreno di cui è causa, la cui superficie viene indicata in mq. 1.600, sarebbe pari a mc. 3.200, eccedenti rispetto alla progettualità presentata, che ne prevedeva 2727,8; al contrario, utilizzando l’indice territoriale, la disponibilità è risultata inferiore alla stessa, in quanto pari a mc. 1728. Il tutto peraltro tenendo per buona la ridetta indicazione superficiaria (mq.1.600), seppur non corrispondente alle risultanze degli elaborati grafici (che per la particella 125 danno come risultato mq. 1345, e dunque una base di calcolo ancora più bassa). Rileva il Collegio che quanto detto non appare esplicitato con indicazioni numeriche nel provvedimento di diniego, né nel richiamato parere della Commissione edilizia: la deprecabile sintesi motivazionale, tuttavia, non attinge la legittimità del provvedimento essendo il computo di cui sopra agevolmente effettuabile in termini aritmetici utilizzando i distinti indici previsti per le due tipologie di edificabilità (1,08 mc/mq ovvero 2,00 mc/mq, come già detto).
10. L’appellante contesta la scelta, fondata sul parere della competente Commissione edilizia, di assumere a parametro di riferimento l’indice di edificabilità territoriale, laddove in assenza di strumento attuativo ci si sarebbe dovuti basare su quello fondiario.
11. L’individuazione degli indici di edificabilità, intesa come calcolo della volumetria di ciascun intervento assentibile, dipende dalle caratteristiche della zona sulla quale insiste la superficie da considerare. Per le zone già urbanizzate, la superficie che viene in rilievo è quella del “lotto” e l’indice di edificabilità è denominato “fondiario”; per le altre, invece, si ha riguardo all’intera zona territoriale omogenea, per cui si parla di indice “territoriale”, appunto. La distinzione trova riscontro nell’art. 7 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, nonché nella giurisprudenza, anche risalente, che facendo riferimento alla pregressa, ma corrispondente dizione di “densità ” opera appunto la distinzione tra “densità fondiaria” e “densità edilizia” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 1993, n. 182).
Gli indici di fabbricabilità “territoriale”, dunque, a differenza degli altri, non incidono sulla capacità di un singolo fondo di sostenere più o meno volumetria edificabile, quanto piuttosto regolano (mediamente) quella di una più vasta area di sostenere una maggiore o minore “densità territoriale”, fattore, questo, da non confondere con la possibilità di edificare una minore o maggiore volumetria su un determinato lotto (cfr. Cons. Stato, sez. II, 8 gennaio 2020, n. 150).
11.1. Il concetto di “zona urbanizzata” è correlato proprio alla sussistenza della pianificazione di dettaglio, attraverso la quale vengono individuate le aree da destinare a spazi pubblici, inidonee a produrre volumetria, e sulla base della presenza delle stesse anche l’indice di edificabilità .
Non a caso in dottrina si afferma che l’indice fondiario, diversamente da quello territoriale, ha finalità principalmente urbanistico-architettoniche, in quanto incidendo su aree più ampie imprime i caratteri edilizi all’intervento. Ad un’elevata densità, dunque, corrisponderà un’edilizia “intensiva”, appunto; mentre se essa diminuisce, diminuirà anche la dimensione dei fabbricati ed aumenteranno gli spazi liberi.
Non essendo stato effettuato il preventivo stralcio delle zone destinate a viabilità, servizi, verde, ecc., in quanto non pianificati, non è neppure possibile stabilire su quali altre debba essere concentrato l’indice di edificabilità . A ciò consegue che in assenza di pianificazione attuativa, ovvero di alternativa analisi di contesto, gli indici edificatori da rispettare non possono che essere quelli territoriali.
12. Venuta meno la possibilità di inserire il singolo intervento nel contesto pianificatorio attuativo, resta comunque la necessità per il Comune di non vanificarne la finalità . E’ evidente, dunque, che tra le due tipologie di indici, peraltro in assenza di indicazioni probatorie specifiche circa il contesto di inserimento dell’intervento di parte, si è ritenuto congruo attingere a quello più restrittivo. La scelta di non paralizzare lo ius aedificandi, infatti, che comporta l’implicito riconoscimento dell’urbanizzazione di fatto della zona, non ne indica la consistenza, né la tipologia. Né a ciò ha sopperito parte appellante, che pur contestando l’utilizzo dell’indice di edificabilità territoriale in quanto immotivato, non fornisce a sua volta alcuna motivazione in forza della quale si sarebbe dovuto opzionare il diverso parametro della edificabilità fondiaria, pur incompatibile con la disciplina urbanistica vigente. Parametro il cui utilizzo, rileva ancora la Sezione, finirebbe per vanificare non tanto e non solo lo specifico disegno pianificatorio, che sullo sviluppo armonico (anche) dell’urbanizzazione aveva fondato la -attuale- scelta del P.R.G.; ma ancor prima e più in generale la funzione di governo del territorio che necessita di un costante monitoraggio, coordinamento e contemperamento fra destinazioni private e zone di interesse per l’intera collettività . Optando sic et simpliciter per l’indice di edificabilità fondiaria, l’Ente avrebbe inciso sull’aspetto urbanistico-architettonico dell’area, valorizzando un’edilizia intensiva, pur in assenza di indicazioni e conseguenti valutazioni programmatorie di piano: in sintesi, avrebbe operato un indebito stralcio del diritto edificatorio dal contesto complessivo nel quale si colloca, massimizzando il risultato per il singolo, a discapito dell’armonia dell’insieme.
13. Che tale sia la lettura corretta da dare alle n. t.a., nell’ambito peraltro della discrezionalità tecnica che ispira le scelte di governo del territorio, trova ulteriore conferma, ritiene la Sezione, proprio nei provvedimenti successivamente adottati dal Comune, di cui ha riferito parte appellante nelle memorie da ultimo versate in atti: solo con deliberazione n. 67 del novembre 2018 si è riconosciuta la completa urbanizzazione di fatto della zona, assimilandola a zona “B” di completamento edilizio. La riferita affermata inutilità di approvazione del piano particolareggiato ha sostanzialmente attratto alla sfera della pianificazione urbanistica lo stato di fatto -in precedenza affermato ma non dimostrato, men che meno all’atto della presentazione della domanda di concessione edilizia- con ciò legittimando pro futuro il rilascio di titoli senza l’intermediazione di strumenti attuativi e dunque legittimamente a quel punto secondo l’indice fondiario di zona. Il che implica, a contrario, che fino a tale momento il regime edificatorio non poteva che essere quello derivante dagli indici di edificabilità territoriale, sicché eventuali scelte diverse adottate per analoghe fattispecie dal medesimo Comune parrebbero porsi in contrasto con la richiamata cornice normativa; e tuttavia la loro eventuale illegittimità, comunque non valutabile in questa sede anche in ragione della genericità delle considerazioni avanzate, non potrebbe in alcun modo incidere su quella del diniego oggetto dell’odierna impugnazione.
14. Resta infine da dire della mancata indicazione della percentuale di superficie del mappale 623 da asservire all’intervento edilizio per il quale è stata avanzata istanza di concessione.
La possibilità di richiedere che tutti i propri appezzamenti di terreno, purché contigui e ubicati in un’unica zona territoriale omogenea, vengano considerati unitariamente ai fini del calcolo della volumetria assentibile su uno solo di essi è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza, anche a prescindere dalla relativa inclusione negli atti di pianificazione (cfr. Cons. Stato, A.P., 23 aprile 2009, n. 2). Ma trattasi, appunto, di una facoltà della parte, riveniente dalla sostanziale irrilevanza ai fini di cui è causa della suddivisione civilistica della proprietà fondiaria: essa pertanto non può essere sostituita da una qualsiasi iniziativa unilaterale del Comune procedente, che si faccia anche carico di armonizzare le risultanze progettuali (per la particella 125, la cui superficie misurata graficamente è pari a mq. 1.600, laddove nel progetto se ne dichiarano 1345).
Al riguardo peraltro, rileva ancora e per completezza la Sezione, a fronte del diniego opposto dal Comune facendo esplicito riferimento alla mancata evidenziazione della porzione della particella da vincolare, non risulta che gli appellanti si siano attivati per fornire all’amministrazione procedente chiarimenti, ovvero integrare o modificare la progettualità, anche con riferimento, ove comunque di interesse, alla volumetria massima assentibile sulla base degli indici applicabili e, in concreto, applicati.
15. Da quanto sopra detto consegue il rigetto anche delle riproposte istanze istruttorie finalizzate a verificare l’esatta entità del danno subito, pure in termini di lucrum cessans, tanto più che in base alle regole sulla ripartizione dell’onere della prova essa avrebbe dovuto gravare sugli appellanti e non essere rimessa ad incombenti aggiuntivi in corso di giudizio.
16. In sintesi, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto, essendo corretto che in assenza di strumento attuativo l’indice di edificabilità per valutare l’assentibilità di un intervento edilizio sia quello “territoriale”, anziché quello “fondiario”, che presuppone l’avvenuto stralcio delle zone destinate ai servizi pubblici ed essendo appena il caso di precisare, in ultimo, che neppure potrebbe essere scrutinabile positivamente l’asserita (e comunque non pienamente provata) illegittimità della condotta dell’Amministrazione (che, in tesi, avrebbe in passato assentito richieste analoghe a quella degli appellanti) posto che, per granitica giurisprudenza, “la legittimità dell’operato della p.a. non può comunque essere inficiata dall’eventuale illegittimità compiuta in altra situazione” (Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2013, n. 1323; cfr. anche Cons. Stato, sez. VI, 11 giugno 2012, n. 3401; id., 20 maggio 2011, n. 3013).
Conseguentemente deve essere confermata la sentenza del T.A.R. per il Lazio, sezione staccata di Latina, n. 1238/2009.
Le spese del grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo, in favore del Comune appellato.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza del T.A.R. per il Lazio, sezione staccata di Latina, sez. I, del 7 dicembre 2009, n. 1238.
Condanna in solido gli appellanti al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di (omissis), che liquida in euro 3.000,00 (tremila/00), oltre oneri accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Francesco Frigida – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere
Francesco Guarracino – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply