Asserita discordanza e contraddittorietà dei provvedimenti

Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 12 novembre 2019, n. 7758.

La massima estrapolata:

L’asserita discordanza e contraddittorietà dei provvedimenti assunti nel medesimo lasso temporale, ma con esiti differenziati e solo in alcuni casi favorevoli alla parte istante, non può costituire valido argomento per censurare di illegittimità gli opposti dinieghi. Depone in senso contrario la considerazione generale secondo cui un provvedimento amministrativo legittimo non può divenire viziato (e viceversa) perché in passato fu seguito un difforme modus operandi, non potendosi giudicare della legittimità di un atto alla luce della circostanza che in passato furono emessi provvedimenti di ana tenore e contenuto; né l’errore eventualmente commesso in alcuni casi può costringere l’Amministrazione a perseverare nel medesimo errore, dal che consegue che l’eccesso di potere per disparità di trattamento non può fondarsi su precedenti provvedimenti illegittimi, in quanto questi non possono essere invocati per pretendere ulteriori provvedimenti che violino anch’essi la legge.

Sentenza 12 novembre 2019, n. 7758

Data udienza 3 ottobre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1559 del 2016, proposto da
Le. Pi. Ca. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati St. Vi., La. Pa., con domicilio eletto presso lo studio lo Studio Legale Vi. in Roma, via (…);
contro
Inps, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Co., Vi. Tr., Vi. St., elettivamente domiciliato in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. – della Provincia di Trento, n. 331/2015, resa tra le parti, concernente il diniego parziale di integrazione salariale ordinaria;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Inps;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2019 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti gli avvocati El. Ba. su delega dichiarata di St. Vi. e Vi. St.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – La società Le. Pi. Ca. S.p.a., con sede nel comune di (omissis) (TN), si definisce negli atti di causa come un’impresa che svolge “attività di studio, progettazione, consulenza, realizzazione, ristrutturazione e manutenzione, in proprio e per conto di terzi, anche in appalto, di fabbricati di ogni tipo, di manufatti e strutture in legno ed in qualsiasi altro materiale”.
Dalla fine del 2013, ha presentato una successione di domande per il collocamento dei suoi dipendenti in cassa integrazione ordinaria (C.I.G.O.), che coprono nel complesso un intero anno, dal 14 ottobre 2013 all’11 ottobre 2014.
La prima domanda di CIGO è stata presentata il 15 novembre 2013, per il periodo dal 14 ottobre 2013 al 2 novembre successivo; la seconda il 13 dicembre 2013 (periodo 4.11.- 30.11.2013), la terza il 15 gennaio 2014 (periodo 2.12. – 28.12.2013), la quarta e la quinta il 14 febbraio (periodo 30.12.2013 – 11.1.2014 e 13.1.-1.2.2014).
Con lettera inviata all’Inps del 20 febbraio 2014 la società ricorrente aveva spiegato che la temporanea ed improvvisa carenza di lavoro era dovuta alla posticipazione, per problemi del committente, dei lavori di una grossa commessa (c.d. “2° lotto cantiere Donoratico”) con avvio previsto per inizio 2014; aveva anche fatto riferimento alla carenza di commesse per la perdita di alcune gare d’appalto e a causa del periodo di stagnazione, dal novembre 2013, del settore privato.
Tali domande, come si desume dalle comunicazioni INPS del 23 marzo 2014, erano state parzialmente accolte dalla Commissione provinciale per la cassa integrazione guadagni presso l’I.N.P.S. – sede di Trento con separati provvedimenti, “limitatamente ai periodi, le maestranze e le ore riportate nel Quadro Integrazioni autorizzate”, e con l’ulteriore precisazione che, in base agli elementi forniti, “poiché l’evento che ha dato luogo alla riduzione e/o alla sospensione dell’attività non è stato ritenuto ‘oggettivamente non evitabilè, all’atto della richiesta di rimborso delle integrazioni salariali, è necessario versare all’Istituto il contributo addizionale previsto dalla normativa (art. 2 L. 164/75 per imprese industriali, art. 8 l. 427/75 per imprese edili)”.
1.1 – Con lettera del 18 aprile 2014 la società Le. Pi. Ca. aveva palesato all’INPS la necessità di richiedere l’intervento della CIGO anche per i periodi successivi (fino al 12 luglio 2014), in relazione all’ulteriore slittamento della partenza della commessa relativa al c.d. “2° lotto cantiere Donoratico” dovuto a problemi di reperimento di fondi da parte del committente; aveva poi fatto riferimento al ritardo dei lavori relativi alla “copertura complesso Salesiani all’Aquila” previsti per il mese di aprile, a causa dei ritardi della locale Soprintendenza (trattandosi di bene vincolato) nell’individuazione delle prescrizioni relative all’intervento; aveva poi rappresentato l’immobilità del settore privato precisando di prevedere di poter riprendere l’attività per la metà di luglio con la commessa di L’Aquila e con una nuova commessa in corso di definizione.
1.2 – La società Le. Pi. Ca. aveva quindi presentato altre domande dirette ad ottenere l’ammissione alla CIGO, che erano state respinte con tre provvedimenti datati 17 giugno 2014 relativi al periodo complessivo 3.2.2014- 26.4.2014 con la seguente motivazione: “Le cause che hanno determinato la sospensione dell’attività non sono integrabili, essendo riconducibili ai rapporti dell’azienda con i suoi committenti e/o soggetti terzi”.
1.3 – Avverso tali provvedimenti la società aveva proposto ricorso amministrativo; i ricorsi erano stati respinti. In seguito l’Inps aveva respinto con provvedimenti del 23.7.2014 e del 14.8.2014 anche le ulteriori domande di CIGO relative al periodo 28.4.2014-26.7.2014.
1.4 – Infine l’Inps, con provvedimenti del 15.12.2014, aveva revocato la CIGO precedentemente autorizzata (relativa al periodo 14.10.2013 – 1.2.2014) ed aveva negato la CIGO anche per il periodo 28.7.2014-11.10.2014. Tutti i provvedimenti avevano la medesima motivazione (in precedenza richiamata), eccetto quelli di revoca che non costituiscono oggetto del presente appello.
2. – Con ricorso RG 332/2015 proposto dinanzi al TRGA la società Le. Pi. Ca. ha impugnato i dinieghi di CIGO ed il rigetto del ricorso amministrativo articolando due censure: con il primo dei quali ha dedotto il vizio di motivazione; con il secondo la violazione dell’art. 1 della L. 164/1975 rappresentando che la carenza di attività lavorativa sarebbe stata conseguenza di circostanze del tutto estranee alla società e che, comunque, il diniego di integrazione salariale non potrebbe essere sempre giustificato con il rischio di impresa con la sola esclusione del caso fortuito e della forza maggiore.
2.1 – Con i successivi motivi aggiunti ha poi impugnato il provvedimento di rigetto del ricorso amministrativo assunto dal Comitato amministratore della gestione per le prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti (in relazione al periodo 3.2.2014-26.4.2014).
3. – Con il successivo ricorso RG 99/2015 la società ricorrente ha impugnato i provvedimenti di revoca e di diniego della CIGO, nel frattempo emessi dall’Inps, deducendo le stesse doglianze e sottolineando l’insufficienza della motivazione con riferimento alla revoca della concessione della CIGO.
4. – Con la sentenza impugnata – che ha riunito i due ricorsi RG 332/2015 e 99/2015- il TRGA ha respinto l’impugnazione dei dinieghi di concessione della CIGO (e di rigetto del ricorso amministrativo) ed ha annullato i provvedimenti di revoca della CIGO originariamente autorizzata.
5. – Avverso la parte della sentenza per la quale la società Le. Pi. Ca. è risultata soccombente quest’ultima ha proposto appello, denunciando i tre motivi che saranno in seguito esaminati.
5.1 – Si è costituito in giudizio l’Inps che ha controdedotto in merito alle doglianze proposte.
5.2 – Le parti hanno depositato scritti difensivi a sostegno delle rispettive tesi, anche in replica.
6. – All’udienza pubblica del 3 ottobre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.
7. – L’appello è infondato e va, quindi, respinto.
8. – Nel ricorso di primo grado la ricorrente aveva dedotto, in estrema sintesi, che:
– i provvedimenti impugnati con i quali l’Inps si era limitato a negare la CIGO sostenendo che le cause che avevano determinato la sospensione non fossero integrabili, in quanto riconducibili a rapporti dell’azienda con i suoi committenti e/o soggetti terzi, sarebbero stati carenti nella motivazione;
– la norma recata dall’art. 1 della L. 20 maggio 1975, n. 164 consente l’integrazione salariale ordinaria per contrazione dell’attività produttiva per:
a) situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore o agli operai;
b) ovvero determinate da situazioni temporanee di mercato;
– la norma non richiederebbe non la imputabilità al committente e/o a soggetti terzi e, quindi, nei dinieghi mancherebbe la motivazione sulla riconducibilità della sospensione dell’attività all’imprenditore;
– l’interpretazione seguita dall’Inps sarebbe abnorme in quanto – in caso di appalto – finirebbe con il comportare che le cause di sospensione imputabili al committente o a soggetti terzi siano automaticamente riconducibili all’imprenditore appaltatore, escludendo, quindi, l’integrazione salariale ogni qualvolta le cause di sospensione o contrazione dell’attività produttiva siano riconducibili a tali rapporti;
– i dinieghi impugnati si porrebbero in contraddizione con i precedenti provvedimenti di ammissione alla CIGO fondati sui medesimi presupposti di fatto;
– essi si fonderebbero su un’erronea interpretazione della norma che richiederebbe la non imputabilità all’imprenditore o agli operai e non anche non imputabilità ad un soggetto terzo, quale è il committente;
– la tesi della risarcibilità del danno connesso alla condotta del terzo (a titolo di responsabilità contrattuale o extracontrattuale) non giustificherebbe tale interpretazione, tenuto conto della funzione previdenziale della CIGO e, quindi, della tutela dei lavoratori e del mantenimento dei livelli occupazionali;
– il beneficio sarebbe stato chiesto in considerazione di una temporanea carenza di commesse iniziata nel 2013 e proseguita nel 2014 (il volume di affari sarebbe sceso da Euro11.971.851 del 2013 ad Euro 3.806.58 nel 2014);
– la contrazione dell’attività lavorativa sarebbe derivata dalla carenza di commesse e, quindi, non sarebbe addebitabile a terzi verso cui poter agire in via risarcitoria;
– nel periodo tra il 28 marzo 2014 e l’11 ottobre 2014 la contrazione dell’attività lavorativa sarebbe derivata da due prestazioni più volte dilazionate, il subappalto a L’Aquila e il secondo lotto del cantiere Donoratico;
– nel caso dei lavori a L’Aquila il ritardo sarebbe derivato dalle prescrizioni imposte dalla Soprintendenza dei beni storici dell’Aquila che avrebbe imposto – in luogo del rifacimento della copertura – il ripristino e la conservazione di quella originaria, con la conseguenza che si tratterebbe di una “causa esterna al rapporto contrattuale” del tutto imprevedibile;
– quanto al resort, il ritardo in relazione all’aggiudicazione del secondo lotto a causa della mancanza dei fondi sarebbe stato del tutto imprevedibile, avendo la società già conseguito il primo lotto;
– il ritardo o la mancata aggiudicazione di una commessa che l’impresa prevedeva ragionevolmente di acquisire, integrerebbero una causa di contrazione dell’attività produttiva riconducibile “a una situazione temporanea di mercato”;
– la riduzione delle commesse sarebbe la vera causa della contrazione dell’attività produttiva, ed essa si collocherebbe all’interno della nota crisi economica che ha colpito il settore delle costruzioni.
8.1 – Analoghe doglianze sono state prospettate con i successivi motivi aggiunti, proposti per quanto di interesse, nei confronti della deliberazione 1113/14 del Comitato amministratore della gestione per le prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, che ha respinto il ricorso gerarchico avverso le deliberazioni della Commissione di Trento con la seguente motivazione: “Valutati gli elementi esposti nella relazione redatta dagli Uffici da cui emerge che non si ravvedono elementi idonei a giustificare l’integrabilità della causale addotta, posto che appare evidente che la motivazione della sospensione dell’attività lavorativa è da ricondursi a rapporti intercorrenti tra l’impresa ed il committente e a difetti di organizzazione aziendale.
Considerato che le cause di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, collegate ad accertate responsabilità del committente, sia esso pubblico che privato, per difetti di organizzazione dei lavori appaltati, per carenze o lacune nella progettazione, per l’inosservanza di obblighi contrattuali o di disposizioni di legge che comportino interruzioni in corso d’opera, non sono ritenute, secondo l’orientamento consolidato, atte a legittimare la concessione delle integrazioni salariali ex lege n. 427/1975.
Considerato che le cause di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa collegate a rapporti intercorrenti tra l’impresa ed il committente non devono tradursi in oneri per la gestione previdenziale, bensì vanno regolati, direttamente o indirettamente, sulla base del contratto che lega le due parti”.
Avverso tale provvedimento sono state dedotte le doglianze di difetto di motivazione; la ricorrente ha quindi ribadito i principi già esposti con riferimento all’interpretazione dell’art. 1, comma 1 lett. a) e b) della L. n. 164/1975.
9. – Il TAR, come già ricordato in precedenza, ha respinto le doglianze avverso i dinieghi di ammissione alla CIGO richiamando la giurisprudenza consolidata, anche di questa Sezione, secondo cui il requisito della non imputabilità all’imprenditore o agli operai implica:
– “l’assoluta estraneità dell’evento rispetto alla sfera psichica dei soggetti interessati, sotto il profilo sia della prevedibilità dell’evento stesso che della responsabilità, con sostanziale riconduzione dell’applicazione della norma a situazioni di forza maggiore”;
– i fatti che abbiano causato una contrazione, o una sospensione dell’attività di impresa, “debbono peraltro risultare estranei anche alla sfera di responsabilità di soggetti diversi dall’imprenditore, cui possa essere riferita, a titolo risarcitorio, la responsabilità dell’evento interruttivo e la riparazione delle conseguenze patrimoniali pregiudizievoli” (così, C.d.S., VI, 22 aprile 2014, n. 2009);
– “per cause non imputabili al datore di lavoro devono intendersi le cause esterne ai rapporti contrattuali che lo stesso intrattiene con i terzi e non anche le cause interne ai rapporti stessi” (C.d.S., VI, 7 settembre 2012, n. 4749), che, altrimenti, “l’istituto dell’integrazione salariale verrebbe inammissibilmente piegato al perseguimento di finalità estranee e si tradurrebbe, altrettanto inammissibilmente, in un meccanismo di immediata socializzazione del rischio di impresa” (C.d.S., VI 23 febbraio 2011, n. 1131);
– quanto alla condizione alternativa delle particolari situazioni di mercato, “rilevano situazioni oggettive dovute a fattori esterni e imponderabili, relative al mercato di riferimento (ad esempio, difficoltà oggettive di reperire la materia prima da parte del committente)” (C.d.S., VI, 1131/2011, cit.);
– ha quindi ritenuto che la situazione di crisi aziendale, quale esposta dalla ricorrente dapprima nelle richieste di C.I.G.A. e successivamente nei ricorsi in esame, nel suo complesso e per i singoli periodi considerati – con il limite del primo trimestre – vada ricondotta alla responsabilità imprenditoriale nel senso appena esposto;
– “non vi era dunque necessità per la Commissione provinciale, ovvero per il Comitato amministratore, di diffondersi in una motivazione più dettagliata […] di quella espressa, stante l’interpretazione consolidata raggiunta dalla giurisprudenza, e per la quale, tendenzialmente, solo situazioni di forza maggiore possono giustificare l’integrazione salariale”;
– “la mancata realizzazione dei due interventi, considerati specificatamente nei ricorsi, non sono certo riconducibili a tale situazione imprevedibile: per l’Aquila si tratta di un restauro d’un bene vincolato, e l’intervento della Sovrintendenza era facilmente prevedibile anche per il subappaltatore Legno Più ; quanto poi al resort, a ben vedere, la ricorrente aveva soltanto un’aspettativa di fatto di ottenere un ulteriore appalto, ma nessun ulteriore elemento a conforto di tale sua speranza, e non può dunque su tale fondamento sostenere un proprio incolpevole ritardo rispetto ad un’operazione solo possibile in un futuro indeterminato”;
– il TAR, poi, ha posto in discussione anche il requisito della transitorietà, tenuto conto della reiterazione delle istanze di ammissione alla CIGO ed ha aggiunto, infine, che tenuto conto dei limiti di sindacabilità dei provvedimenti impugnati (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4084), i provvedimenti dovevano ritenersi immuni da vizi.
10. – Con il primo motivo di appello rubricato come erroneità della sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 164/1975, art. 1, e per eccesso di potere per contrasto con la circolare Inps 169/2003, erroneità palese e travisamento dei fatti, l’appellante ha rilevato:
– l’erroneità della tesi seguita dal TAR secondo cui “tendenzialmente” solo situazioni di forza maggiore potrebbero giustificare l’integrazione salariale ritenendola troppo restrittiva e contrastante con il dato testuale della norma recata dall’art. 1 della L. n. 164/75 e con la ratio e la finalità dell’istituto;
– ha richiamato, a sostegno della propria prospettazione, la sentenza della Corte Costituzionale del 9 gennaio 1991, n. 439 da cui si evince la funzione previdenziale della CIGO, da intendersi come strumento a tutela del lavoratore contro il rischio della perdita del posto di lavoro; ha quindi contestato la tesi seguita dal TAR secondo cui i fatti che hanno condotto alla contrazione o sospensione dell’attività di impresa devono risultare estranei alla sfera di responsabilità di soggetti diversi dall’imprenditore, ai quali possa essere riferita, a titolo risarcitorio, la responsabilità dell’evento interruttivo;
– ha poi aggiunto che l’erroneità della tesi del TAR, secondo cui le cause integrabili sarebbero solo quelle riconducibili a forza maggiore, sarebbe confermata dalla L. n. 164/1975 che prevedeva un particolare trattamento sia in termini di semplificazione della procedura di consultazione sindacale (art. 5, comma 1), sia in termini di esonero dal pagamento del contributo addizionale (art. 12, c. 2) se le cause della contrazione/sospensione dell’attività lavorativa fossero consistite in “eventi oggettivamente non evitabili”; l’art. 5, poi distingueva tra i “casi di eventi oggettivamente non evitabili (comma 1) e gli “altri casi di contrazione o sospensione dell’attività produttiva di cui all’art. 1” (comma 2) con la logica conseguenza che “gli eventi oggettivamente non evitabili” non esaurivano la tipologia delle cause integrabili;
– ha contestato l’assunto dell’Inps – condiviso dal TAR – secondo cui la contrazione dell’attività produttiva sarebbe stata prevedibile, rilevando che, quanto al contratto relativo ai lavori da eseguire a L’Aquila, non vi sarebbe stata alcuna informazione in ordine all’assoggettamento del fabbricato al vincolo paesaggistico, sottolineando che la prescrizione della Soprintendenza di L’Aquila è intervenuta dopo la stipulazione del contratto; in merito alla realizzazione del secondo lotto del cantiere Donoratico, non si sarebbe trattato di una mera aspettativa di ottenere l’appalto, essendo stato già stipulato il contratto, ma di inadempimento contrattuale della società committente;
– secondo l’appellante, il mero inadempimento contrattuale non potrebbe giustificare di per sé il diniego di accesso alla CIGO, dovendosi dimostrare la violazione dei canoni della normale diligenza in capo all’imprenditore;
– tale principio potrebbe desumersi anche dalla circolare Inps n. 169/03, resa con riferimento alla sospensione dei lavori di esecuzione di un contratto di appalto per fatto addebitabile all’Amministrazione: secondo l’appellante, infatti, la sospensione sarebbe imputabile all’appaltatore solo quando tale sospensione sia stata contrattualmente prevista e, come tale, sia concretamente prevedibile;
– nel caso di specie, tale prevedibilità non sarebbe stata possibile al momento della stipula dei contratti in questione.
10.2 – Con il secondo motivo l’appellante ha dedotto la violazione e falsa applicazione della L. n. 241/90, la violazione del principio del divieto di motivazione postuma, la violazione e falsa applicazione della L. n. 164/75 con violazione, in ogni caso, del divieto di valutazione ex post nel procedimento per autorizzazione della GICO, rilevando che il TAR (al punto 7.2 della sentenza) avrebbe integrato la motivazione rilevando l’asserita assenza di transitorietà e temporaneità della contrazione della produzione, questioni mai dedotte nei provvedimenti impugnati e sulle quali l’impresa non era gravata da alcun onere probatorio.
10.3 – Con il terzo motivo l’appellante ha lamentato l’erroneità della sentenza deducendo i vizi di eccesso di potere, di violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, contraddittorietà tra atti amministrativi, errores in procedendo, rilevando che l’Inps avrebbe adottato provvedimenti contraddittori in presenza della medesima situazione di fatto.
Le ragioni addotte nelle lettera del 20/2/2014, che hanno condotto all’adozione dei provvedimenti di accoglimento dell’istanza di ammissione alla CIGO del 24 marzo 2014 per il periodo 14/10/2013 – 1/2/2014, non sarebbero diverse da quelle indicate nella lettera del 18 aprile 2014, alla quale hanno fatto seguito i provvedimenti che hanno negato la CIGO: le valutazioni rese dell’Inps sarebbero, quindi, affette da contraddittorietà .
11. – Le doglianze, che possono essere esaminate congiuntamente essendo tra loro connesse, non possono essere condivise.
11.1 – Ritiene, innanzitutto, il Collegio di dover richiamare i principi evincibili dalla più recente giurisprudenza della Sezione che confermano i principi consolidati richiamati dal TAR nella sentenza appellata.
Con riferimento alla “non imputabilità al datore di lavoro” la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha da tempo precisato che:
– l’istituto della cassa integrazione guadagni opera in via di eccezione alla regola del sinallagma dell’obbligo retributivo, con assunzione dello stesso a carico della collettività e, quindi, con regole di stretta interpretazione quanto ai presupposti che danno luogo all’intervento di garanzia del lavoratore (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 novembre 2010, nn. 8128 ed 8129);
– la restrittività della normativa va intesa nel senso che la c.d. socializzazione del costo del lavoro interviene in presenza di accadimenti che esulano dalla sfera di controllo e prevedibilità dell’imprenditore, sia che essi attengano a fatti naturali (condizioni stagionali impeditive dell’ordinario andamento dei lavori), sia che essi rimandino a fatti umani esterni che sfuggono al dominio, secondo l’ordinaria diligenza, di chi organizza i fattori d’impresa, comprensivi dell’impiego di mano d’opera;
– l’evento interruttivo è definibile come imputabile al datore di lavoro, ovvero alla committenza nei casi di contratto di appalto, quando esso si riconduce all’erroneità delle scelte tecniche in sede di progettazione, alla non corretta modulazione ed impegno delle maestranze in relazione all’ordinaria e prevedibile esecuzione del progetto, ovvero all’omessa previsione di possibili situazioni impeditive dell’ordinario prosieguo dei lavori (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 novembre 2010, nn. 8128 e 8129);
– con ancora maggior dettaglio, la portata del criterio della non imputabilità è tale per cui i fatti che hanno causato una contrazione o una sospensione dell’attività di impresa non solo devono risultare estranei alla sfera di dominio dei soggetti innanzi menzionati, ma più in generale devono astrarsi dalla responsabilità di soggetti determinati cui possa essere riferita, a titolo risarcitorio, la responsabilità dell’accaduto e la riparazione delle conseguenze patrimoniali pregiudizievoli (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 23 febbraio 2011, n. 1131);
– non ricorre, quindi, il presupposto della non imputabilità in caso di comportamenti inadempienti o scorretti di soggetti contraenti con l’imprenditore, dato che in tal caso la vicenda si colloca all’interno del rapporto o del contatto tra le parti, ed il rimedio che l’ordinamento offre secondo le normali regole in punto di responsabilità (contrattuale o precontrattuale) tutela efficacemente, sul piano patrimoniale, l’appaltatore costretto alla sospensione dei lavori (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 dicembre 2011, n. 6512; Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2012, n. 3193 e 7 settembre 2012n. 4749; Cons. Stato, sez. VI, 22 aprile 2014, n. 2009; Cons. Stato, sez. III, 10 novembre 2015, nn. 5126 e 5125) (cfr., in merito ai suddetti principi, la decisione di questa Sezione del 14/1/2019 n. 327).
11.2 – Con riferimento all’interpretazione della disposizione recata all’art. 1 della L. n. 164/1975 fornita dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 439/1991, va richiamata una recente decisione di questa Sezione (Cons. Stato, Sez. III, 10/8/2017 n. 3987) i cui principi possono essere qui riportati:
– “la giurisprudenza interpreta la lettera a) dell’art. 1 della legge 164/1975 (applicabile ratione temporis) nel senso che, quale causa delle contrazioni o sospensioni dell’attività produttiva che giustificano il ricorso alla CIG ordinaria, nell’ipotesi di “situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all’imprenditore ed agli operai”, per questi ultimi eventi devono intendersi tutti i fatti connessi all’attività produttiva ma indipendenti dalla reale volontà dell’imprenditore, che posseggano, quindi, il carattere della imprevedibilità e dell’indipendenza dagli ordinari meccanismi della gestione imprenditoriale”;
– “ciò significa che la norma preclude l’accesso alla CIG ordinaria non soltanto nei casi in cui la sospensione dell’attività lavorativa sia direttamente ascrivibile all’inadempimento di un cliente/fornitore, ma anche nei casi in cui possa comunque essere collegata a fatti che rientrano nella normale alea d’impresa, ovvero a fatti che non sfuggono “al dominio, secondo l’ordinaria diligenza, di chi organizza i fattori d’impresa”, ovvero siano riconducibili alla “erroneità delle scelte imprenditoriali”;
– “anche l’altra fattispecie, di cui alla lettera b) dell’art. 1, cit., che considera le contrazioni o sospensioni dell’attività “determinate da situazioni temporanee di mercato”, sottende la totale estraneità dell’imprenditore alla sospensione/riduzione dell’attività produttiva, che deve risultare causalmente ascrivibile solo a temporanee congiunture economiche che interessino lo specifico settore di attività della impresa che chiede di accedere alla cassa integrazione e che pertanto deve coinvolgere la generalità delle imprese del settore medesimo”;
– “in questa prospettiva, la riduzione di commesse deve dunque provenire almeno da una significativa pluralità di aziende clienti non essendo sufficiente la deduzione di aver subito una riduzione della commesse dalle proprie clienti, riduzione che di per sé non prova l’esistenza di una crisi dell’intero settore”.
11.3 – In merito alla portata della sentenza della Corte Costituzionale n. 439/91 – che è opportuno segnalare si riferisce all’ipotesi recata dalla lett. b) dell’art. 1 della L. n. 164/197, relativa “alle situazioni temporanee di mercato”, e non a quella di cui alla lett. a) della stessa disposizione che viene sostanzialmente in rilievo nella vicenda controversa – va osservato, innanzitutto, che la stessa Corte Costituzionale ha distinto tra cassa integrazione ordinaria e straordinaria, precisando che la fattispecie relativa alla lett. b) della disposizione è riconducibile a “situazioni di mercato, che sostanzialmente sono situazioni aziendali dovute ad eventi transitori non imputabili all’imprenditore o ai lavoratori”.
La Corte ha poi sottolineato che deve trattarsi di “una mera difficultas”, ma sempre di una fattispecie non rappresentativa di una causa di forza maggiore richiedendosi che l’imprenditore abbia osservato la normale diligenza (art. 1176 cod. civ.) ed i canoni della correttezza (art. 1175 cod. civ.), “che la sua scelta non sia arbitraria, né fittizia, né putativa, né discriminatoria, ma oggettivamente riscontrabile e verificata in concreto nella sua realtà ed effettività a mezzo di un apposito accertamento compiuto nella competente sede amministrativa”.
13.1.1 – Questa Sezione, nella sentenza n. 3987/2017 ha precisato che la Corte Costituzionale, nel ritenere infondata la questione di costituzionalità prospettata (il giudice remittente aveva ipotizzato, soprattutto, che, per effetto della norma di cui alla lettera b), “in assenza di una causa di forza maggiore, si verificherebbe il trasferimento del rischio economico, consistente nella contrazione degli utili della impresa, dall’imprenditore sui lavoratori, i quali sarebbero privati di una parte della retribuzione, e sulle risorse della Cassa integrazione senza che vi siano i presupposti di utilità o di fini sociali ex art. 41 della Costituzione”) ha rimarcato che “si tratta di eventi che non si verificano per volontà degli imprenditori e dei lavoratori e che, ancorché temporanei, riducono la potenzialità produttiva dell’impresa ed il loro protrarsi nel tempo può produrre la contrazione dei livelli occupazionali. Tra i suddetti eventi correttamente si annoverano le situazioni di mercato, che sostanzialmente sono situazioni aziendali dovute ad eventi transitori non imputabili all’imprenditore o ai lavoratori. Si ricorda che la loro previsione come causa integrabile non era contenuta specificamente nella precedente legislazione, ma è stata introdotta dalla prassi amministrativa e dalla giurisprudenza. Nel richiamare i principi in precedenza esposti che si riferiscono alla valutazione della condotta dell’imprenditore sotto i profili dell’obbligo di diligenza e di correttezza, ha ritenuto che “anche secondo tale interpretazione, se va esclusa una limitazione dei presupposti utili all’ammissione alla CIG alla causa di forza maggiore, non per questo risulta irrilevante la condotta dell’impresa. Anzi, la Corte ha implicitamente dato rilevanza al presupposto che la riduzione della domanda e dell’attività aziendale non sia imputabile all’impresa, laddove ha sottolineato espressamente la necessità che l’impresa abbia osservato la normale diligenza.
Pertanto, la portata applicativa della fattispecie di cui alla lettera b) che ne deriva, non si discosta sostanzialmente, per ciò che concerne l’aspetto controverso, da quella delineata dalla giurisprudenza basandosi, come esposto, soprattutto sulla fattispecie della lettera a) dell’art. 1 della legge 164/1975” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 10 agosto 2017, n. 3987).
13.1.2 – Ne consegue che, anche seguendo la tesi dell’appellante, secondo cui non sarebbe necessaria la forza maggiore per accedere all’integrazione salariale, deve essere comunque accertato che la sospensione dell’attività non discenda dalle scelte imprenditoriali del datore di lavoro, compresa l’adozione di rimedi preventivi atti ad evitare o a contrastare l’evento interruttivo o di rimedi risarcitori atti, ex post, a compensarli (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. III, n. 1879/2019).
13.2 – Tali presupposti non ricorrono nel caso di specie, sia con riferimento al subappalto relativo alla commessa per la copertura dell’edificio dei Salesiani di L’Aquila, sia in relazione alla mancata esecuzione (per carenza di fondi) dei lavori relativi al secondo lotto per i lavori del resort.
In entrambi i casi si tratta, chiaramente, di eventi riconducibili alla committenza (e genericamente al rischio di impresa), che, sulla base dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza della Sezione, fuoriescono dalle ipotesi per le quali è ammissibile la socializzazione dei costi relativi alla maestranze.
13.2.1 – Peraltro, nel caso della commessa da eseguirsi a L’Aquila, non si trattava neppure di fatti imprevedibili per l’appaltatore – operatore del settore – su cui gravava l’onere di verificare, secondo l’ordinaria diligenza, prima della stipulazione del contratto, la sottoposizione dell’immobile a vincolo paesaggistico, tenuto conto della sua localizzazione, in modo da adottare le dovute cautele in sede contrattuale (come peraltro disposto in relazione alla possibilità di risoluzione del contratto in caso di ritardo di ultimazione dei lavori oltre i 60 gg.), non potendo escludere in radice, in caso di vincolo, l’intervento della competente Soprintendenza, come poi puntualmente avvenuto.
13.2.2 – Con riferimento ai lavori relativi al secondo lotto del cantiere Donoratico, il contratto si riferiva alla realizzazione di 190 case mobili suddivisa in 4 lotti; era stato eseguito il primo lotto, mentre il secondo era stato rinviato per carenza di fondi.
Il contratto non prevedeva espresse clausole poste a tutela dell’eventuale inadempimento del committente, e l’appaltatore ha accettato il rischio connesso alla conseguenza di tale evento, certamente prevedibile nell’ambito di quel tipo di contrattazione, tenuto conto dell’entità dell’impegno economico a carico del committente e della frammentazione dell’appalto in lotti.
La fattispecie ricade, quindi, nell’ipotesi in cui la responsabilità della mancata esecuzione dei lavori è imputabile al committente, nei confronti del quale l’appaltatore può agire per la riparazione delle conseguenze patrimoniali pregiudizievoli; peraltro, anche in questo caso l’appaltatore non ha assunto le necessarie cautele in sede di stipulazione del contratto.
14. – Correttamente la difesa dell’Inps ha contestato l’interpretazione della propria circolare n. 169/2003 fornita dall’appellante (che, peraltro, si riferisce specificatamente, ai lavori appaltati delle PP.AA.), sostenendo che essa si limita a precisare che, anche nei casi in cui nei capitolati d’appalto sia prevista la facoltà del committente di sospendere i lavori, senza peraltro che sia previsto il diritto dell’impresa appaltatrice di chiedere compensi o indennizzi, sia ammissibile la richiesta di integrazione salariale avanzata dalle ditte appaltatrici purché “la sospensione dei lavori derivi da fatti assolutamente imprevedibili e dovuti ad eventi eccezionali fortuiti e di forza maggiore”, sottolineando che quando mancano i presupposti dell’eccezionalità e dell’imprevedibilità dell’evento interruttivo e, dunque, quando la sospensione costituisce mero esercizio della facoltà contrattualmente prevista – la sospensione dei lavori costituisce rischio di impresa e non può, quindi, essere concessa l’integrazione salariale che grava sulla collettività .
L’interpretazione fornita dall’appellante contrasta, quindi, con l’effettivo e chiaro tenore della suddetta circolare e non può, pertanto, essere condivisa.
15. – Con riferimento alla seconda doglianza è sufficiente rilevare che le affermazioni recate nella sentenza in ordine al requisito della transitorietà costituiscono un quid pluris, e come tali non assumono alcuna rilevanza ai fini della decisione, tenuto conto che i provvedimenti impugnati non hanno mai contestato tale requisito.
16. – Va, infine, respinto anche il terzo motivo, con il quale è stata dedotta la contraddittorietà tra le determinazioni assunte dall’Inps: costituisce principio pacifico in giurisprudenza quello secondo cui l’asserita discordanza e contraddittorietà dei provvedimenti assunti nel medesimo lasso temporale, ma con esiti differenziati e solo in alcuni casi favorevoli alla parte istante, non può costituire valido argomento per censurare di illegittimità gli opposti dinieghi. Depone in senso contrario la considerazione generale secondo cui un provvedimento amministrativo legittimo non può divenire viziato (e viceversa) perché in passato fu seguito un difforme modus operandi, non potendosi giudicare della legittimità di un atto alla luce della circostanza che in passato furono emessi provvedimenti di ana tenore e contenuto; né l’errore eventualmente commesso in alcuni casi può costringere l’Amministrazione a perseverare nel medesimo errore, dal che consegue che l’eccesso di potere per disparità di trattamento non può fondarsi su precedenti provvedimenti illegittimi, in quanto questi non possono essere invocati per pretendere ulteriori provvedimenti che violino anch’essi la legge (Cons. Stato, sez. III, 14 gennaio 2019, n. 327; Cons. Stato, sez. IV, 1° giugno 2018, n. 3310; Cons. Stato, sez. IV, 1° giugno 2016, n. 2318).
17. – In conclusione, per i suesposti motivi l’appello va respinto perché infondato e, per l’effetto, va confermata la sentenza di primo grado che ha respinto, in parte qua, il ricorso di primo grado ed i successivi motivi aggiunti.
18. – Tenuto conto della particolarità della fattispecie esaminata sussistono i presupposti per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata che ha respinto, in parte qua, il ricorso di primo grado ed i successivi motivi aggiunti.
Spese del grado di appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere, Estensore
Giovanni Pescatore – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere

 

 

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