Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 10 gennaio 2020, n. 259
La massima estrapolata:
L’art. 21 nonies, della Legge n. 241/1990 prevede che l’annullamento possa essere disposto entro un termine ragionevole, sussistendone ragioni di interesse pubblico e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati; la determinazione di annullamento, per essere legittimamente emanata, dunque, non può fondarsi sul solo rilievo dell’esistenza di un vizio di legittimità; trattandosi di provvedimento discrezionale, questa deve basarsi anche sulla sussistenza di un interesse pubblico prevalente rispetto ai contrapposti interessi dei privati e deve essere emessa all’esito di una valutazione comparativa degli interessi coinvolti, la quale deve essere esternata dando adeguato conto delle ragioni del carattere prevalente dell’interesse pubblico su quello dei privati.
Sentenza 10 gennaio 2020, n. 259
Data udienza 7 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5102 del 2016, proposto da
Re. Ho. S.r.l. con Unico Socio (già Pi. Re On. s.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pa. Ia., Gi. Ru., Ma. Al. Sa., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Al. Sa. in Roma, corso (…), con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero per i Beni e Le Attività Culturali, Soprintendenza Beni Archit. e Paes. e Patrim. Stor. art. e Etno. Napoli e Provincia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., Fa. Ma. Fe., Ga. Ro., con domicilio eletto presso lo studio Ni. La. in Roma, via (…);
nei confronti
An. Lo. ed altri, eredi della signora Li. Ma., rappresentati e difesi dall’avvocato An. Na., con domicilio eletto presso lo studio Ro. Ni. in Roma, via (…);
Condominio del fabbricato sito in Napoli via (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI Sezione IV n. 01102/2016, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, della Soprintendenza Beni Archit. e Paes. e Patrim. Stor. Art. e Etno. Napoli e Provincia, del Comune di Napoli e dei signori An. Lo., Lu. Lo., Ro. Lo. e Pa. Lo.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 novembre 2019 il Cons. Francesco Mele e uditi, per le parti, gli avvocati Ma. Al. Sa., Gi. Ru., Da. Di Gi. dell’Avvocatura Generale dello Stato, Al. Er. per delega dell’avv. Na. e Ni. La. per delega dell’avv. Ro.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza n. 1102/2016 del 1° marzo 2016 il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania Sezione Quarta rigettava il ricorso ed i motivi aggiunti proposti dalla società Pi. Re On. s.r.l. avverso i seguenti atti: a) nota n. 4612 del 17.02.2012, con cui la Soprintendenza per i Beni Architettonici, per il Paesaggio e per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico di Napoli e Provincia ha annullato il precedente parere favorevole reso dalla stessa Amministrazione in data 1.02.2011 (ricorso introduttivo); b) provvedimento della Soprintendenza in data 17.5.2012, n. 4726, con il quale è stato reso parere negativo di compatibilità paesaggistica (primo atto di motivi aggiunti, depositato il 29-6-2012; c) “Diniego di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio, n. 4 del 9 settembre 2015” adottato dal Comune di Napoli, Direzione centrale Ambiente, Tutela del Territorio e del Mare, trasmesso con nota comunale PG/2015/687910 del 9 settembre 2015 (secondo atto di motivi aggiunti, depositato il 13-11-2015).
Il Tribunale rigettava, altresì, la domanda di risarcimento danni avanzata dalla società .
La prefata sentenza esponeva in fatto quanto segue.
“Con ricorso iscritto al n. 2534 dell’anno 2012, la parte ricorrente impugnava i provvedimenti indicati in epigrafe. A sostegno delle sue doglianze, premetteva:
essere proprietaria di un immobile sito in Napoli tra via (omissis), via (omissis), via (omissis) e via (omissis), già adibito a (omissis);
che, con permesso di costruire n. 368 del 06.09.2010, il Comune autorizzava la ricorrente ad una diversa distribuzione interna dell’immobile ed un cambio di destinazione d’uso;
che, nel corso dei lavori, si rendevano necessari alcuni interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle facciate dell’immobile, in particolare ripristinando gli accessi preesistenti al piano terra tramite l’eliminazione delle griglie di protezione e dei “travesi”;
di aver pertanto chiesto al Comune l’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 d.lgs. 42/04, e che la Commissione Edilizia Integrata, nel verbale n. 240 del 28.10.2010, esprimeva parere favorevole perché l’intervento proposto ripristinava accessi preesistenti;
che pertanto il Comune formalizzava alla Soprintendenza la proposta di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica;
che la Soprintendenza, con atto del 1° .02.2011 prot. n. 28853 esprimeva anch’essa parere favorevole, sicché il Comune di Napoli provvedeva al rilascio dell’autorizzazione con provvedimento n. 25 del 15.02.2011;
di aver ricevuto, in data 05.03.2012, una nota da parte del Comune da cui si evinceva che il parere favorevole della Soprintendenza era stato autoannullato in data 17.02.2011, con atto n. 4612, e sostituito con altro parere di segno contrario;
di aver pertanto impugnato tale provvedimento;
che, nelle more del giudizio, la Soprintendenza adottava un altro provvedimento, con cui esprimeva parere contrario alla realizzazione delle opere auspicate dalla ricorrente, atteso che le osservazioni prodotte dalla stessa non erano state considerate idonee a modificare l’orientamento già espresso ai sensi dell’art. 10 bis l. n. 241/1990;
che, in data 29.11.2012, la Soprintendenza, accertato sulla base dei documenti prodotti dalla società Pi. che i vani porta da ripristinare erano originari e “Visto che l’intervento non incide sul contesto paesaggistico” e, quindi, accertato che l’originario parere favorevole in data 1.2.2011 n. 28853 non era affetto da erroneo presupposto, “superava” il parere contrario del 17.5.2012;
che, in data 27.12.2012, il Comune, con una nota, “precisava” che l’autorizzazione paesaggistica n. 25/2011 era “valida ed efficace”;
che, con ricorso al TAR Campania, deciso con la sentenza di cui è stata chiesta la corretta ottemperanza con il ricorso n. r.g. 1882/2015, la Sig. Li. chiedeva l’annullamento del parere favorevole n. 23574 del 29.11.2012, della nota comunale del 27.12.2012, con la quale veniva precisato che l’autorizzazione paesaggistica n. 25/2011 era “valida ed efficace” e dell’autorizzazione paesaggistica 15.2.2011 n. 25;
che, in data 3.7.2014, il T.A.R. Campania, con sentenza, n. 3648, accoglieva il ricorso, annullando il parere favorevole per difetto di motivazione (con sentenza n. 2751/2014, il Consiglio di Stato confermava la sentenza di primo grado);
che, in data 5.12.2014, la società Pi. presentava alla Soprintendenza un’istanza avente ad oggetto “adempimenti consequenziali alla sentenza del TAR Napoli, IV, 3648/2014″, affinché l’organo statale si ridetermini motivando sulla compatibilità paesaggistica dell’intervento (anche ai fini dell’art. 38 t.u. edilizia);
che, in data 3.2.2015, la Soprintendenza emetteva la nota n. 2432 nella quale, stante la reviviscenza del parere sfavorevole del 17.5.2012, l’organo statale asserisce di non potersi esprimere di nuovo nel merito;
che in data 2.4.2015 la società Pi. proponeva anche ricorso in ottemperanza configurando il gravato atto quale provvedimento concretante una inesatta esecuzione del giudicato;
che in data 9.9.2015 il Comune adottava il diniego di autorizzazi-one paesaggistica, basato sulla reviviscenza del parere sfavorevole della Soprintendenza.
Instava quindi per l’annullamento degli atti impugnati con vittoria di spese processuali […]”.
Il giudice di primo grado riteneva l’infondatezza del ricorso, in sintesi evidenziando che:
-la Soprintendenza, in relazione al carattere codecisionale del parere di competenza, ben poteva esercitare l’autotutela sul parere favorevole in precedenza reso, senza la necessità di un atto di impulso da parte del Comune;
-le censure procedimentali proposte erano infondate, avuto riguardo alla effettiva partecipazione che le parti avevano svolto nella complessa vicenda amministrativa per cui è causa;
-assumeva valenza decisiva, ai fini della reiezione del ricorso, la circostanza che, ai fini della compatibilità dell’intervento con il vincolo paesaggistico esistente, erano del tutto irrilevanti le questioni relative alla natura ripristinatoria dell’intervento di realizzazione delle aperture, dovendosi in realtà verificare “il mantenimento di una coerenza ed armonia tra lo stato del paesaggio e quello dell’opera dell’uomo, rispettando il contesto fotografato dalla situazione esistente alla data di imposizione del vincolo”;
-non vi era violazione dell’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990, non potendosi considerare irragionevole il lasso temporale di un anno, decorso tra il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e l’annullamento del parere in precedenza reso;
-ugualmente infondate erano le censure proposte contro il nuovo parere negativo di compatibilità paesaggistica, non ravvisandosene una illegittimità derivata e dovendosi ritenere inesistenti i vizi procedimentali lamentati, considerando pure che la soprintendenza aveva tenuto conto delle osservazioni rese dalla società in sede di partecipazione procedimentale;
-non avevano pregio i secondi motivi aggiunti, atteso che infondati erano i vizi procedimentali dedotti e che la sentenza n. 3648/2014 aveva ritenuto il parere negativo legittimo e congruamente motivato.
La società Pi. Re On. ha proposto appello avverso la richiamata sentenza di rigetto, deducendone l’erroneità e chiedendone l’integrale riforma, con il conseguente accoglimento del ricorso di primo grado.
Essa ha articolato dieci motivi di appello, del cui contenuto si dirà nella successiva parte in diritto.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Napoli, la signora Li. Ma., il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per il Comune e la Provincia di Napoli, deducendo l’inammissibilità e, nel merito, l’infondatezza dell’appello.
A seguito del decesso della signora Li., la Sezione ha disposto l’interruzione del giudizio.
Questo è stato ritualmente riassunto dalla Pi. Re On. s.r.l., con atto depositato il 5-5-2017.
Con successivo atto, depositato in data 30-5-2017, si sono costituiti in giudizio gli eredi della signora Li. Ma., signori Lo. An., Lo. Lu., Lo. Ro. e Lo. Pa., deducendo l’inammissibilità, l’improcedibilità e l’infondatezza dell’appello.
Con atto depositato in data 11-9-2019 si è costituita in giudizio la Re. Ho. s.r.l. con Unico Socio, in quanto subentrante nei rapporti processuali della Pi. Re On. s.r.l., a seguito di fusione di questa con la Re. Ma. Ho. s.r.l. che ha assunto la denominazione di Re. Ho. s.r.l. con Unico Socio.
Le parti hanno depositato memorie.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione alla pubblica udienza del 7 novembre 2019.
DIRITTO
Con il primo motivo di appello Pi. Re On. (oggi Re. Ho. s.r.l. con Unico Socio) lamenta: Error in iudicando – violazione dell’articolo 112 c.p.c.
Essa censura la gravata sentenza nella parte in cui ha respinto il primo ed il settimo motivo del ricorso in primo grado, ritenendo che, essendo la Soprintendenza titolare di un potere codecisionale nella gestione del vincolo, “ben può procedere in autotutela, senza che possa venire in rilievo l’esistenza o meno di un atto di impulso del contitolare del potere de quo-Comune di Napoli”.
Deduce in primo luogo che il Tribunale non si era pronunciato sulla questione posta con il primo motivo, relativa alla consumazione del potere di riesprimersi in capo alla Soprintendenza, una volta reso il parere di compatibilità paesaggistica e recepito lo stesso dal Comune attraverso il rilascio dell’autorizzazione.
Evidenzia in proposito che la funzione consultiva si è esaurita con la trasmissione al Comune del parere favorevole in data 1-2-2011 n. 28853 e non può nuovamente essere esercitata a distanza di un anno; rilevando, altresì, che, ai sensi dell’articolo 146 del d.lgs. n. 42/2004, intanto può esserci un parere in quanto vi è una richiesta da parte del Comune, richiesta di nuovo parere che nella specie non è mai intervenuta.
Con il secondo motivo la società lamenta: Error in iudicando – violazione e falsa applicazione dell’articolo 146 del d.lgs. n. 42/2004 – difetto e carenza di istruttoria e di motivazione – incompetenza.
Deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha rigettato il settimo motivo di ricorso, in quanto con esso non era stata contestata solo l’esistenza della co-titolarità della Soprintendenza nella gestione del vincolo, ma anche la carenza di istruttoria dell’organo statale nel sindacare gli accertamenti compiuti dal Comune.
Orbene, sulla questione il giudice di primo grado non si è pronunciato e, pertanto, la sentenza merita riforma, in quanto la Soprintendenza aveva ritenuto che “le effettive esistenze e consistenze delle aperture preesistenti non sono in realtà né accertabili né databili” senza alcun supplemento di istruttoria, superando così quella in precedenza svolta da essa e dal Comune, con la quale si era ritenuto che in epoca antecedente al 1940 i vani-finestra fossero aperti.
Con il terzo motivo Pi. Re On. s.r.l. lamenta: Error in iudicando – violazione e falsa applicazione dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 – violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 10 bis l. n. 241/1990 – violazione del principio del contrarius actus.
Censura la gravata sentenza laddove ha rigettato il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rilevando che “tutta la complessa vicenda in esame è stata caratterizzata dal contrapposto intervento dei privati che a più riprese hanno prodotto istanze, esposti, documentazione e relazioni tecniche, sicchè le censure con cui ci si duole della mancata possibilità di partecipazione al procedimento non possono essere accolte”.
Espone che con detti motivi di ricorso era stata denunciata la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, necessaria sia per espressa previsione dell’articolo 146 del d.lgs. n. 42/2004 sia perché l’annullamento è atto di secondo grado.
Rileva che nella specie l’annullamento era intervenuto il 17-2-2012 in base ad un esposto presentato dalla signora Li. in data 15-2-2012, appena due giorni prima.
Orbene, essa società in tale arco temporale non aveva presentato alcuna istanza o relazione e non era in alcun modo a conoscenza del procedimento, al quale non aveva potuto partecipare.
La Soprintendenza, a voler ammettere la sussistenza di un potere di rideterminarsi sul parere già rilasciato, avrebbe dovuto comunque effettuare l’avviso di avvio del procedimento; tanto in virtù del principio del contrarius actus, risultando tale adempimento procedimentale prescritto dall’articolo 146 per l’adozione del parere dell’organo statale, nonché in applicazione delle regole generali, essendo l’avviso di avvio del procedimento necessario per l’adozione di un provvedimento di secondo grado ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 241 del 1990.
Espone che, ove avvisata, avrebbe potuto partecipare al procedimento e rappresentare i costi sostenuti e l’avvenuto inizio dei lavori, in modo da consentire la comparazione tra l’interesse pubblico e l’interesse privato, necessaria per l’adozione di un atto di annullamento.
Venendo alla disamina dei riportati motivi di appello, la Sezione ritiene di dover svolgere talune necessarie e preliminari considerazioni in ordine al procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, come normato dall’articolo 146 del d.lgs. n. 42 del 2004.
Il comma 2 della disposizione prevede che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico tutelati dalla legge hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendono intraprendere, corredato dalla prescritta documentazione ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione.
Il successivo comma 5 prescrive che sull’istanza di autorizzazione paesaggistica si pronuncia la regione (ovvero l’ente delegato, ai sensi del comma 6), dopo aver acquisito il parere vincolante del soprintendente.
La medesima disposizione qualifica, invece, il parere del soprintendente come obbligatorio ma non vincolante, qualora vi sia stata “approvazione delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici tutelate, predisposte ai sensi degli articoli 140, comma 2, 141, comma 1, 141 bis e 143, comma 1, lettere b), c) e d), nonché positiva verifica da parte del Ministero, su richiesta della regione interessata, dell’avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici”.
Quanto al procedimento da seguire, il comma 7 dell’articolo 146 dispone che l’amministrazione verifica se l’istanza sia corredata dalla prescritta documentazione, provvedendo, se necessario, a richiedere le opportune integrazioni ed a svolgere gli accertamenti del caso; entro quaranta giorni dalla ricezione dell’istanza, l’amministrazione effettua gli accertamenti circa la conformità dell’intervento proposto con le prescrizioni contenute nei provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico e nei piani paesaggistici e trasmette al soprintendente la documentazione presentata dall’interessato, accompagnandola con un relazione tecnica illustrativa nonché con una proposta di provvedimento, e dà comunicazione all’interessato dell’inizio del procedimento e dell’avvenuta trasmissione degli atti al soprintendente, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge in materia di procedimento amministrativo.
Il comma 8 dispone, poi, che il soprintendente renda il parere prescritto, limitatamente alla compatibilità paesaggistica dell’intervento nel suo complesso, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, comunicando agli interessati, in caso di parere negativo, il preavviso di rigetto di cui all’articolo 10 bis della legge n. 241 del 1990.
L’amministrazione, entro venti giorni dalla ricezione del parere, provvede “in conformità “, prevedendosi, peraltro, al comma 9, che, decorsi inutilmente sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del soprintendente senza che questi abbia reso il prescritto parere, l’amministrazione provvede comunque sulla domanda di autorizzazione.
Ciò posto, osserva il Collegio che dall’articolato contenuto dell’articolo 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 discende in primo luogo che l’autorità competente ad adottare il provvedimento conclusivo del procedimento, relativo all’autorizzazione paesaggistica, è la Regione ovvero l’ente dalla stessa delegato.
Il soprintendente partecipa, invece, al procedimento attraverso l’espressione di un parere.
Questo, ferma la sua ordinaria obbligatorietà, può assumere duplice natura.
Il parere, invero, non è vincolante quando vi sia stata approvazione delle prescrizioni d’uso dei beni paesaggistici tutelati e la verifica dell’adeguamento degli strumenti urbanistici ai piani paesistici.
Negli altri casi esso ha carattere vincolante per la determinazione finale dell’amministrazione procedente.
Nel caso in cui il parere non sia vincolante, non vi sono dubbi in ordine al momento in cui si consuma il relativo potere in capo alla soprintendenza.
Trattandosi, come ogni atto di natura consultiva, di determinazione diretta ad illuminare e sorreggere l’organo di amministrazione attiva nell’adozione di un provvedimento, il potere si consuma nel momento in cui l’amministrazione procedente ha adottato il provvedimento finale.
Orbene, essendo l’autotutela, quale procedimento di secondo grado, espressione dello stesso potere esercitato nell’adozione dell’atto di primo grado, l’annullamento di ufficio, il ritiro ovvero la modifica del parere possono intervenire fino a quando l’organo di amministrazione attiva non abbia emanato il provvedimento finale.
Superato tale momento, l’esercizio della funzione consultiva si è esaurito e, dunque, un nuovo esercizio della stessa può aversi solo quando l’organo consultivo risulti nuovamente compulsato dall’amministrazione procedente con richiesta di nuovo parere.
La richiesta, invero, non costituisce unicamente atto di iniziativa del subprocedimento volto alla adozione del parere, ma assume una connotazione sostanziale di conferimento di quel potere consultivo che l’organo statale aveva in concreto perduto per effetto dell’adozione del provvedimento relativo all’autorizzazione paesaggistica.
Vuole, dunque, in buona sostanza affermarsi che l’annullamento di ufficio, una volta rilasciata l’autorizzazione paesaggistica, può investire solo quest’ultima, seguendo evidentemente, in ossequio al principio del contrarius actus, il medesimo procedimento previsto ed applicato per la sua emanazione.
L’amministrazione che ha rilasciato l’autorizzazione paesaggistica avvierà, dunque, il procedimento di autotutela e richiederà in proposito il parere della soprintendenza, il quale si esprimerà, nella sostanza, in una rinnovata valutazione della compatibilità paesaggistica dell’intervento, che potrà assumere esiti diversi ovvero di conferma rispetto a quella precedentemente resa nel procedimento di primo grado.
Non vi è, pertanto, spazio, una volta rilasciata l’autorizzazione paesaggistica e consumatosi il potere consultivo, per una determinazione autonoma, da parte della soprintendenza, di annullamento del parere favorevole dalla stessa precedentemente reso.
Occorre a tale punto verificare se tali considerazioni e conclusioni possano valere anche nell’ipotesi in cui il parere del soprintendente sia vincolante.
Orbene, la questione assume in tal caso tratti di marcata peculiarità, rivenienti proprio dalla natura vincolante del parere.
Vi è, invero, che l’amministrazione non può discostarsi dal contenuto del parere e, dunque, questo contribuisce a determinare in maniera necessaria ed ineludibile il contenuto del provvedimento finale.
Ritiene il Collegio che, in relazione a tale carattere, il parere vincolante assuma, da un punto di vista sostanziale, natura decisoria.
Va, peraltro, evidenziato che il carattere sostanzialmente decisorio del parere vincolante non esclude che il potere della soprintendenza abbia a consumarsi una volta adottato il provvedimento finale di autorizzazione paesaggistica, considerandosi che tale provvedimento conserva comunque i caratteri di una decisione monostrutturata.
In buona sostanza, il parere della soprintendenza configura una determinazione partecipe della funzione decisoria, nel senso che essa viene a determinare il contenuto del provvedimento finale.
Purtuttavia, l’autorizzazione paesaggistica ovvero il diniego di essa restano un provvedimento monostrutturato, riferibile alla regione o all’ente delegato e non anche alla soprintendenza, il cui parere esaurisce i propri effetti nel momento in cui viene recepito, nella prescritta decisione “in conformità “, adottata dall’amministrazione competente.
Pertanto, la valenza provvedimentale spetta unicamente all’atto della regione, la cui determinazione assorbe in sé i contenuti vincolanti del parere soprintendentizio, il quale, adottato il provvedimento finale, perde ogni sua autonomia, atteso che i suoi effetti giuridici risultano sostituiti da quelli della decisione finale che lo recepisce e che si esplicano all’esterno con valenza ormai autonoma.
A tanto consegue che, assorbita la determinazione soprintendentizia nel provvedimento finale, il relativo potere deve ritenersi esaurito, non potendo più essere rinnovato con un autonomo atto di autotutela, esercitabile – ripetesi – solo fino a quando non è intervenuto il provvedimento finale della regione o del comune.
Anche in tal caso, dunque, il potere di annullamento di ufficio può esplicarsi solo sull’autorizzazione paesaggistica rilasciata, da parte dell’amministrazione che ha adottato il relativo provvedimento.
La possibilità di modifica del precedente parere richiede, pertanto, l’attivazione di un procedimento di autotutela sull’autorizzazione paesaggistica, che potrà essere avviato anche su richiesta della soprintendenza e che comporterà, in ossequio al principio del contrarius actus, la richiesta, da parte dell’amministrazione procedente, di un nuovo parere di compatibilità paesaggistica all’organo statale.
Venendo a questo punto alla disamina dei motivi di appello innanzi riportati, deve rilevarsi che le considerazioni sopra svolte rendono in astratto condivisibili le doglianze dedotte in ordine alla avvenuta consumazione del potere della soprintendenza di ripronunciarsi sulla compatibilità paesaggistica dell’intervento una volta intervenuto il primo parere favorevole n. 28853 dell’1-2-2011 e rilasciata l’autorizzazione paesaggistica n. 25 del 2011.
L’organo statale, invero, in assenza di avvio di un procedimento di autotutela dell’autorizzazione paesaggistica e in difetto di una nuova richiesta di parere da parte del Comune di Napoli, non avrebbe autonomamente potuto disporre l’annullamento del parere favorevole n. 28853 del 2011 né avrebbe, di conseguenza, potuto esprimere il nuovo parere negativo n. 4726 del 17-5-2012.
Vi è, peraltro, che nella vicenda concreta oggetto di causa la questione relativa alla possibilità per la soprintendenza di annullare in via autonoma il parere precedentemente reso pur dopo l’adozione del provvedimento di autorizzazione paesaggistica è stata risolta favorevolmente dalla sentenza di questa Sezione n. 2751/2015 del 4-6-2015, la quale ha confermato la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania n. 3648 del 2014.
Riconoscendo la legittimità di detto annullamento autonomo, la portata della statuizione non è semplicemente limitata alla circostanza che l’intervento di autotutela sia stato richiesto dal privato e non dal Comune ma si estende anche al fatto che il potere dell’organo ministeriale non si sia consumato a seguito del suo primigenio esercizio, atteso che l’affermazione della legittimità del riesercizio pur in assenza di una richiesta dell’ente locale presuppone necessariamente la considerazione che esso si sia svolto nella perdurante esistenza del potere.
D’altra parte, le suddette questioni erano state prospettate in giudizio nell’atto di appello che ha condotto alla citata sentenza n. 2751/2015.
Nella parte in fatto di esso (par. III. I fatti di cui è causa, pag. 9 e 14) si opera riferimento al “rilievo assorbente dell’esaurimento della funzione consultiva dell’organo ministeriale a seguito del parere 1.2.2011 n. 28853”, rilevandosi pure che “Sul secondo motivo di ricorso la Società evidenziava che il parere della Soprintendenza costituisce un atto strettamente correlato al procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, di talchè il rilascio di quest’ultima consuma il potere consultivo”.
Nella esplicitazione dei motivi di gravame, si legge, poi, che “La descritta relazione dialettica tra organo che esprime il parere e organo titolare della funzione amministrativa attiva, implica, inoltre, che esclusivamente il secondo sia titolare del potere di autotutela e, quindi, sia legittimato ad avviare un procedimento di riesame (nel quale, ove avviato, si inserisce una nuova richiesta di parere, idonea a consentire all’organo consultivo di pronunciarsi nuovamente”(pag. 18); lamentandosi ancora che “Nel caso di specie la funzione consultiva del Soprintendente si era esaurita, unitamente ai relativi poteri endoprocedimentali, con la trasmissione al Comune dell’originario parere favorevole dell’1.2.2011 n. 28853″(pag. 19).
Orbene, la citata sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 2751/2015, in relazione alle censure proposte, chiarisce che “non si configura come causa di illegittimità del procedimento il fatto che l’invito al riesame per l’esercizio dei poteri di autotutela sia stato rivolto all’organo statale, né che sia provenuto dal privato ritenutosi leso per asserita violazione del vincolo, essendo tutto ciò corretto in relazione alla competenza dell’organo statale in quanto determinante nella gestione del vincolo per la formazione dell’autorizzazione paesaggistica”.
Nel respingere “le censure di merito di cui sopra sub 2.3″ (laddove era indicata la doglianza relativa all'”illegittimo riesame di un atto di natura consultiva, già recepito nell’autorizzazione paesaggistica”, ossia quella innanzi richiamata relativa alla avvenuta consumazione del potere), la sentenza fonda la propria determinazione reiettiva anche su “quanto già considerato riguardo la natura della funzione consultiva della Soprintendenza nel procedimento de quo” (pag. 15).
Ritiene, peraltro, il Collegio che la valenza preclusiva del giudicato, così come emergente dai contenuti delle sentenze che vi hanno dato luogo, copre unicamente la questione della possibilità per la soprintendenza di annullare in via autonoma (e su sollecitazione del privato) il parere precedentemente reso e trasfuso nel rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, nonché quella relativa alla mancata consumazione del relativo potere.
Il giudicato, invece, non esclude la scrutinabilità nella presente sede dei diversi vizi che in concreto hanno interessato il suddetto procedimento di secondo grado, non rinvenendosi statuizioni ostative sul punto, avuto riguardo anche alla circostanza che non si è in presenza di specifiche censure che siano state dedotte nel giudizio che ha condotto all’emanazione delle citate sentenze n. 3648/2014 del TAR e n. 2751/2015 di questo Consiglio.
Orbene, ritiene in proposito la Sezione che meriti accoglimento il terzo motivo di appello con il quale la sentenza di primo grado viene censurata nella parte in cui ha respinto le doglianze di carattere procedimentale, rilevando in concreto l’avvenuta partecipazione della società al procedimento.
Deve, in proposito essere evidenziato che il provvedimento prot. n. 4612 del 17-2-2012, recante annullamento del precedente parere favorevole di compatibilità paesaggistica n. 28853 dell’1.2.2011, non è stato preceduto da avviso di avvio del procedimento in favore della società Pi. Re On..
Non emerge, peraltro, che la stessa società abbia avuto conoscenza del suddetto procedimento ovvero che, pur in mancanza della comunicazione ex art. 7 della legge n. 241 del 1990, essa vi abbia partecipato, non risultando prodotti agli atti di causa eventuali memorie partecipative dalla stessa presentate.
D’altra parte, la possibilità di una partecipazione al procedimento di autotutela risulta esclusa dalla durata del medesimo, il quale risulta avviato a seguito di un esposto della signora Li. presentato il 15-2-2012 e concluso dopo appena due giorni, in data 17 febbraio.
Ritiene il Collegio che nella specie il suddetto adempimento procedimentale fosse dovuto, risultando principio pacifico in giurisprudenza che il ritiro di un precedente atto favorevole per il privato debba essere preceduto dalla suddetta garanzia procedimentale; tanto sia nell’interesse del privato, il quale deve poter introdurre nel procedimento gli interessi di cui è portatore al fine di evitare l’adozione di provvedimenti sfavorevoli incidenti negativamente nella sua sfera giuridica, ma anche nell’interesse dell’amministrazione, al fine di poter valutare, pure con il contributo del privato, tutti gli aspetti concreti della fattispecie sottoposta al suo esame.
Deve, inoltre, essere evidenziato che nella vicenda in esame non può attribuirsi al suddetto adempimento valenza meramente formale, come tale obliterabile, considerandosi il carattere discrezionale del provvedimento di annullamento di ufficio, il quale, tra l’altro, può essere emanato solo all’esito di una valutazione comparativa dei contrapposti interessi coinvolti, onde deve essere assicurata al privato la possibilità di rappresentarli, affinchè questi vengano adeguatamente valutati dall’amministrazione.
Nella specie, la società avrebbe potuto introdurre nel procedimento elementi certamente rilevanti (nel senso di richiedere l’approfondita valutazione dell’amministrazione nella valutazione comparativa degli interessi), relativi ad un apprezzabile consolidamento della propria posizione giuridico-soggettiva, quali l’avvenuto rilascio dell’autorizzazione paesaggistica da un anno (in data 15-2-2011), l’avvio dei lavori e il sostenimento di spese per la loro realizzazione.
Non può, pertanto, affermarsi, al fine di ritenere la non annullabilità del provvedimento ai sensi dell’articolo 21 octies della legge n. 241 del 1990, che il procedimento non avrebbe comunque potuto avere esito diverso, come tra l’altro dimostrato dai successivi ripensamenti (sia pure annullati) della stessa amministrazione sulla specifica vicenda.
Né la garanzia partecipativa può ritenersi assicurata per effetto del preavviso di rigetto contenuto nella prefata nota n. 4612 del 17-2-2012.
Questo, infatti, non riguarda il procedimento di annullamento ma l’adozione del parere contrario ad esso successivo.
Osserva, invero, il Collegio, oltre ad evidenziarsi i diversi contenuti della partecipazione in relazione ai differenti presupposti previsti per l’adozione di diverse tipologie provvedimentali (atto di annullamento di secondo grado ed atto di primo grado relativo all’espressione del parere di compatibilità paesaggistica), che il richiamato preavviso di rigetto e la partecipazione procedimentale del privato ad esso conseguente non possono sanare il vizio relativo alla violazione dell’articolo 7 della legge n. 241/1990, trattandosi comunque di adempimento e di attività poste in essere dopo l’adozione del provvedimento finale (di ritiro), mentre invece avrebbero dovuto precederle.
Risulta, altresì, fondato – a giudizio del Collegio – il quarto motivo di appello, nella parte in cui la società, deducendo error in procedendo e violazione dell’art. 112 c.p.c., lamenta l’omessa pronuncia del giudice di primo grado sulla censura proposta con il sesto motivo del ricorso introduttivo, con la quale era stata stigmatizzata la violazione del principio del contrarius actus, in relazione al mancato coinvolgimento nel procedimento di autotutela del responsabile del procedimento.
Il motivo di ricorso appare meritevole di accoglimento, rilevandosi che l’originario parere favorevole prot. 28853 dell’1.2.2011 viene sottoscritto anche dal Responsabile del Procedimento ed è adottato “Vista la relazione tecnica illustrativa del Responsabile del procedimento nonché Coordinatore del Dipartimento Ambiente”.
Nel provvedimento di annullamento oggetto del presente giudizio, invece, non vi è sottoscrizione del Responsabile del Procedimento né richiamo all’istruttoria o a relazioni tecniche dallo stesso redatte nel procedimento di secondo grado, onde deve ritenersi essere stato violato il principio del contrarius actus.
Né può valere, al fine di ritenere comunque legittima la determinazione, il rilievo svolto dall’amministrazione nella relazione istruttoria presentata per il giudizio, prot. 9942 del 23-5-2012, secondo cui rientrerebbe nel potere del Soprintendente avocare a sé le fasi di revisione della pratica provvedendo direttamente alla procedura di autotutela.
Deve, infatti, essere evidenziato che la deroga al principio del contrarius actus, nella specie attraverso il prospettato potere di avocazione, deve essere formalizzata nel provvedimento di secondo grado ed adeguatamente motivata, concretandosi altrimenti la pretermissione del precedente adempimento (così privo di formale giustificazione) nella violazione dell’obbligo di seguire, nella determinazione di ritiro, gli stessi adempimenti procedimentali posti in essere per l’adozione del provvedimento originario.
Proseguendo nella disamina dell’appello, il Collegio rileva la fondatezza anche del sesto motivo, che censura la sentenza gravata nella parte in cui aveva respinto il decimo motivo del ricorso originario.
La società appellante deduce che il giudice di primo grado si era limitato erroneamente ad affermare che “il lasso di tempo decorso tra l’adozione del primo parere favorevole e l’adozione del secondo parere (12 mesi) non può ritenersi eccessivamente lungo, anche alla luce della successiva riforma di cui alla legge n. 124/2015, che ha riscritto l’art. 21 nonies prevedendo, per l’esercizio del potere di annullamento, un termine di diciotto mesi”.
Evidenzia, invece, che essa, nel ricorso di primo grado, aveva contestato non solo la ragionevolezza del termine – da valutarsi non in assoluto ma in relazione al concreto atteggiarsi della fattispecie che vedeva consolidata la sua posizione giuridica – ma anche il fatto che non vi era stata esternazione delle ragioni di interesse pubblico che sorreggevano l’atto di ritiro né valutazione degli interessi del destinatario del provvedimento.
Rileva, in proposito, il Collegio che l’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990 (nella formulazione vigente all’epoca dell’adozione del provvedimento impugnato) prevede che l’annullamento possa essere disposto entro un termine ragionevole, sussistendone ragioni di interesse pubblico e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
La determinazione di annullamento, per essere legittimamente emanata, dunque, non può fondarsi sul solo rilievo dell’esistenza di un vizio di legittimità .
Trattandosi di provvedimento discrezionale, questa deve basarsi anche sulla sussistenza di un interesse pubblico prevalente rispetto ai contrapposti interessi dei privati e deve essere emessa all’esito di una valutazione comparativa degli interessi coinvolti, la quale deve essere esternata dando adeguato conto delle ragioni del carattere prevalente dell’interesse pubblico su quello dei privati.
Orbene, nella specie il provvedimento di annullamento prot. n. 4612 del 17-2-2012 si fonda in via esclusiva sul rilievo che il precedente parere è basato su erronei presupposti, mentre non dà conto dell’esistenza di un interesse pubblico all’annullamento di portata prevalente né contiene una valutazione in ordine alla rilevanza degli interessi dei destinatari dell’autorizzazione paesaggistica.
Sussiste, pertanto, la lamentata violazione dell’articolo 21 nonies della legge n. 241 del 1990 e la censurata carenza di motivazione, vizi ritualmente dedotti con l’atto introduttivo di primo grado.
La fondatezza dei motivi di appello sopra scrutinati è sufficiente a ritenere l’illegittimità del provvedimento soprintendentizio n. 4612 del 17-2-2012, recante l’annullamento del precedente parere favorevole di compatibilità paesaggistica.
Resta, pertanto, assorbito l’esame degli altri motivi di appello e, in particolare, del secondo e del quinto motivo.
In accoglimento del gravame ed in riforma della sentenza di primo grado, il provvedimento prot. n. 4612 del 17-2-2012 deve essere, di conseguenza, annullato.
Può a questo punto passarsi all’esame dell’appello con riferimento al rigetto, operato dalla sentenza del Tribunale, dei motivi aggiunti depositati in data 29-6-2012, aventi ad oggetto l’impugnazione del parere negativo di compatibilità paesaggistica reso, a seguito del citato annullamento, con atto prot. n. 4726 del 17 maggio 2012.
In proposito la società Pi. Re On. formula il settimo motivo di appello, con il quale lamenta: Error in iudicando – violazione e falsa applicazione dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004- violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 10 bis della legge n. 241 del 1990 – contraddittorietà .
Essa espone che con il primo dei motivi aggiunti aveva censurato l’illegittimità derivata del secondo parere negativo, mentre con il secondo motivo non era stata dedotta la mera violazione delle garanzie procedimentali fine a se stessa, ma in relazione all’esercizio deviato dell’azione amministrativa, avendo la Soprintendenza attribuito al precedente atto del 17-2-2012 (n. 4612) il valore di preavviso di diniego solo per superare i vizi del procedimento dedotti in ricorso.
Invero, il richiamato atto del 17-2-2012 era già esso espressione, oltre che dell’annullamento del parere favorevole, anche del nuovo parere negativo di compatibilità paesaggistica.
Ritiene il Collegio che il nuovo parere negativo di cui all’atto prot. n. 4726 del 17-5-2012 sia illegittimo per invalidità derivata dalla illegittimità del precedente provvedimento di annullamento n. 4612 del 17-2-2012.
Deve in proposito essere evidenziato che intanto la soprintendenza ha potuto emanare un secondo parere di compatibilità paesaggistica (di contenuto negativo) in quanto aveva rimosso, con atto di annullamento, il parere favorevole precedentemente reso.
L’annullamento, dunque, assurge ad atto presupposto del parere negativo e tale connotazione risulta confermata dalla statuizione provvedimentale, laddove nel corpo di essa si legge “Visto il decreto soprintendentizio prot. n. 4612 del 17-2-2012 con il quale è stato annullato il parere favorevole del 1.2.2011 […]”.
In relazione al legame di presupposizione che lega i due atti (annullamento e successivo parere di compatibilità paesaggistica), l’illegittimità dell’atto presupposto si riverbera, in termini di invalidità derivata, sull’atto presupponente.
Quest’ultimo, pertanto, in considerazione dell’avvenuto annullamento giurisdizionale del provvedimento soprintendentizio prot. 4612 del 17-2-2012 come sopra reso, deve essere anch’esso annullato.
L’appello, pertanto, anche per tale parte deve essere accolto e, in riforma della sentenza di primo grado, annullato il parere di compatibilità paesaggistica negativo di cui alla nota prot. 4726 del 17-5-2012.
Può a questo punto procedersi all’esame dell’appello con riferimento al rigetto, operato dalla sentenza del Tribunale, dei motivi aggiunti depositati in data 13-11-2015, aventi ad oggetto l’impugnazione del provvedimento del Comune di Napoli di diniego di autorizzazione paesaggistica, n. 4 del 9-9-2015.
Con l’ottavo motivo di appello Pi. Re On. lamenta error in procedendo e violazione dell’articolo 112 c.p.c., rilevando che la sentenza di primo grado non esamina il secondo dei motivi formulati con il predetto ricorso per motivi aggiunti, il quale viene, pertanto, riproposto.
Con tale censura si deduce: Eccesso di potere per sviamento, errore nei presupposti, perplessità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta – difetto di istruttoria e motivazione – violazione degli articoli 1 e 3 della legge n. 241 del 1990 e dell’articolo 97 della Costituzione – violazione dell’articolo 146 del d.lgs. n. 42/2004 – violazione dell’art. 41 della Carta di Nizza e dell’articolo 6 TUE.
La società evidenzia che il secondo parere sfavorevole della Soprintendenza, n. 4726 del 17-5-2012, era stato superato da un terzo parere favorevole, dalla stessa reso con provvedimento del 29-11-2012 n. 23574.
Di conseguenza, il Comune non avrebbe potuto, senza incorrere nella violazione dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004, porre ad unico fondamento del diniego di autorizzazione paesaggistica un parere sfavorevole risalente nel tempo e sub iudice, riconosciuto erroneo nei presupposti dalla stessa soprintendenza.
Osserva, a dimostrazione del difetto di istruttoria, che il provvedimento di diniego dell’autorizzazione paesaggistica si era limitato a richiamare l’annullamento giurisdizionale del terzo parere favorevole ma non ne aveva riportato le motivazioni.
Rileva che il diniego comunale era stato adottato in pendenza di giudizio di impugnazione avverso il richiamato secondo parere sfavorevole nonché in pendenza di un giudizio di ottemperanza volto ad accertare l’obbligo della Soprintendenza di doversi nuovamente esprimere sulla compatibilità paesaggistica dell’intervento.
Di conseguenza, il Comune avrebbe dovuto astenersi dall’adottare, in pendenza dei suddetti giudizi, il diniego di autorizzazione paesaggistica.
Ritiene il Collegio che la suddetta censura sia fondata, nei sensi di seguito specificati.
L’impugnato diniego di autorizzazione paesaggistica viene adottato a seguito dell’annullamento giurisdizionale (sentenza del TAR Campania, n. 3648/2014, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 2751/2015) della originaria autorizzazione paesaggistica n. 25 del 15 febbraio del 2011 e del terzo parere favorevole della Soprintendenza del 29-11-2012.
Dovendo la determinazione del Comune sull’autorizzazione paesaggistica essere necessariamente preceduta, ai sensi dell’articolo 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, dal parere soprintendentizio sulla compatibilità paesaggistica, il Comune ha fondato la propria determinazione sul precedente parere negativo n. 4726 del 17 maggio 2012, “considerato […] che, in seguito a dette sentenze, è da ritenersi valido ed efficace il parere contrario della Soprintendenza n. 4726/2012 vincolante per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica”.
La società ha censurato tale determinazione sul presupposto che tale parere fosse oggetto di impugnazione giurisdizionale non ancora decisa e che il Comune non avrebbe potuto, di conseguenza, adottare il diniego di autorizzazione paesaggistica.
Tale censura – formulata all’epoca con riferimento alla sola pendenza del ricorso giurisdizionale non ancora deciso – si attualizza avuto riguardo al pronunciato annullamento in questa sede del predetto parere soprintendentizio n. 4726 del 17 maggio 2012 e può ritenersi comprendere anche l’illegittimità del diniego di autorizzazione paesaggistica in relazione alla illegittimità del parere sul quale essa si fonda.
Invero, la deduzione della pendenza di un giudizio impugnatorio porta in sé anche il rilievo della illegittimità dell’atto, il quale per tale ragione è stato gravato in sede giurisdizionale.
Sotto tale aspetto, dunque, la censura si rivela fondata, in considerazione dell’intervenuto annullamento del parere negativo del febbraio del 2012, discendendo da esso ed, a monte, dalla illegittimità dell’atto, l’invalidità dell’impugnato diniego di autorizzazione, il quale deve, per l’effetto, essere annullato.
Si rivela fondato anche il decimo motivo di appello, con il quale viene lamentato: Error in iudicando – violazione dell’articolo 10 bis della legge n. 241 del 1990 – violazione dei principi del giusto procedimento.
Con esso la società censura la gravata sentenza, deducendone l’erroneità nella parte in cui non ha accolto il motivo di ricorso con il quale era stata lamentata la violazione dell’articolo 10 bis della legge n. 241 del 1990.
Non può, infatti, condividersi l’affermazione del Tribunale, secondo la quale “tale censura ha carattere puramente formale; per essa, valgono le considerazioni già effettuate, quanto al fatto che, in concreto, vi è stata un’ampia partecipazione al procedimento di entrambe le parti private”.
Va, invero, considerato che, se è vero che vi era stata partecipazione ex articolo 10 bis prima dell’adozione del richiamato parere sfavorevole n. 4726 del 17-5-2012, nondimeno ad esso era seguita una terza valutazione favorevole della Soprintendenza, annullata dal giudice amministrativo in relazione ad un carente impianto motivazionale in ordine al reale oggetto della valutazione di compatibilità paesaggistica che doveva essere resa.
Orbene, lo iato costituito dall’intervenuto provvedimento giurisdizionale (la citata sentenza del TAR n. 3648/2014, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 2751/2015) richiedeva che l’adempimento partecipativo dovesse essere rinnovato, potendo nella sede procedimentale il privato sollecitare l’effettuazione di quella approfondita e pertinente valutazione di compatibilità paesaggistica che il giudice amministrativo aveva ritenuto non essere stata operata, anche rendendo sul punto una motivazione più incisiva (a prescindere dall’esito della valutazione) rispetto a quella contenuta nel richiamato parere n. 4726/2012.
Il nono motivo di appello con il quale viene lamentato: Error in iudicando – violazione del giudicato – violazione dell’art. 112 c.p.a. – nullità del diniego di autorizzazione ex artt. 21 septies l. n. 241/1990 e 114 del c.p.a. non può essere accolto, atteso che le doglianze proposte dalla ricorrente società attengono alla corretta esecuzione del giudicato di cui alle sentenze del TAR n. 3648/2014 e del Consiglio di Stato n. 2751/2015 e trovano la loro sede elettiva di trattazione nell’instaurato diverso giudizio di ottemperanza.
L’accoglimento dell’ottavo e del decimo motivo di appello risultano, peraltro, sufficienti all’annullamento del diniego di autorizzazione paesaggistica n. 4 del 9 settembre 2015.
L’appello è, invece, infondato nella parte in cui censura sentenza di primo grado per non avere accolto la domanda risarcitoria.
Osserva, in proposito, la Sezione che la domanda risarcitoria proposta risulta generica, non avendo parte ricorrente esplicitato le voci di danno richieste né avendo proceduto ad una puntuale quantificazione del pregiudizio subito in termini di danno emergente e di lucro cessante.
Invero, essa si è limitata a depositare documentazione relativa a spese effettuate, senza peraltro specificare la misura di tali spese direttamente riferibile all’intervento di apertura dei vani porta.
Non risulta, poi, decisiva l’affermazione secondo cui “Detti lavori hanno richiesto rilevanti investimenti per la relativa realizzazione, obbligando la Pi. a rinunciare ad altre iniziative imprenditoriali”, non risultando queste ultime in alcun modo esplicitate.
Tra l’altro, non risulta allo stato che le aperture eseguite siano state coattivamente ripristinate, né risulta dimostrato che l’immobile non possa comunque essere utilizzato anche senza le denegate aperture ovvero quale sia il danno in concreto riveniente da un utilizzo diverso rispetto a quello sperato.
La domanda risarcitoria deve, pertanto, essere rigettata.
In conclusione, dunque, l’appello deve essere parzialmente accolto e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza gravata ed in parziale accoglimento del ricorso di primo grado, devono essere annullati i seguenti atti: a) provvedimento soprintendentizio n. 4612 del 17-2-2012; b) provvedimento soprintendentizio n. 4726 del 17-5-2012; c) provvedimento del Comune di Napoli, di diniego di autorizzazione paesaggistica n. 4 del 9-9-2015.
La sentenza di primo grado deve essere, invece, confermata nella parte in cui rigetta la domanda di risarcimento dei danni.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr., ex multis., Cass. civ., V, 16-5-2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
La complessità in fatto della vicenda trattata giustifica l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio tra le parti costituite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei limiti precisati in motivazione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania n. 1102/2016 ed in parziale accoglimento del ricorso di primo grado, annulla i seguenti atti: a) provvedimento soprintendentizio n. 4612 del 17-2-2012; b) provvedimento soprintendentizio n. 4726 del 17-5-2012; c) provvedimento del Comune di Napoli, di diniego di autorizzazione paesaggistica, n. 4 del 9-9-2015.
Conferma la sentenza gravata quanto al rigetto della domanda risarcitoria.
Compensa integralmente tra le parti costituite le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Francesco Mele – Consigliere, Estensore
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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