Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 17 gennaio 2020, n. 425
La massima estrapolata:
Un abuso commesso su un bene sottoposto a vincolo di inedificabilità, sia esso di natura relativa o assoluta, non può essere condonato quando ricorrono, contemporaneamente le seguenti condizioni: a) l’imposizione del vincolo di inedificabilità prima della esecuzione delle opere; b) la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio; c) la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (nelle zone sottoposte a vincolo paesistico, sia esso assoluto o relativo, è cioè consentita la sanatoria dei soli abusi formali.
Sentenza 17 gennaio 2020, n. 425
Data udienza 5 dicembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3077 del 2019, proposto da
Gi. Gr., rappresentato e difeso dall’avvocato Ir. Gi. Be., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
contro
COMUNE DI (omissis), rappresentato e difeso dagli avvocati Ca. Al., Ma. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 11785 del 2018;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2019 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Ir. Gi. Be., Ca. Al.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza in forma semplificata, emessa ai sensi dell’art. 74 c.p.a.;
Rilevato in fatto che:
– il signor Gi. Gr., proprietario di una casa prefabbricata ad uso residenziale di 44,47 mq su terreno sito in via (omissis) (distinto al catasto al foglio (omissis), part. (omissis), sub (omissis), realizzava un intervento edilizio senza munirsi del prescritto titolo autorizzatorio;
– con ordinanza prot. 191 del 2 gennaio 2003, il Comune di (omissis) intimava al signor Gr. la sospensione dei lavori e la demolizione del manufatto così descritto: “edificazione a livello di piano terreno e piano primo con dimensioni planimetriche di ml. 7,50x ml. 8,00 x 10,50. Al momento sono state realizzate soltanto le strutture portanti dei due piani e la relativa copertura, compreso il solaio di calpestio del piano primo, il tutto con materiali in legno. Il piano terreno presenta una altezza di ml. 2,85 circa; il piano primo, essendo il tetto di copertura a due falde, anch’esso completamente in legno, presenta una altezza di ml. 2,80 al colmo e ml.1,20 all’imposta circa. Sul tetto sono stati edificati due abbaini ed è stata predisposta un’apertura, presumibilmente per la realizzazione di un balcone. Tale nuova edificazione è stata realizzata in aderenza d un manufatto già esistente […]. Alla destra di quanto descritto esiste un vecchio manufatto di ml 2.59 per 3,00 circa per un’altezza di ml. 2,20, in muratura, rifinito e tinteggiato”;
– al fine di sanare il predetto abuso, il ricorrente presentava domanda di condono edilizio ai sensi della legge n. 326 del 2003;
– con nota del 22 dicembre 2005, il Comune di (omissis) ne preannunciava il rigetto, adducendo i seguenti motivi ostativi: “l’opera abusiva in argomento non è suscettibile di sanatoria per quanto disposto dall’art. 32 co. 7 lett. d) del DL n. 296/1993 e dall’art. 3 della LR n. 12/2004 poiché ricade in area vincolata per la tutela paesistico-ambientale ai sensi della Legge n. 1497/39 in virtù del D.M. 02.04.1954, come confermato dal D. Lgs. N. 42/2004, e poiché la stessa opera realizzata senza titolo abilitativo edilizio, risulta ricadente in zona residenziale extraurbana tipo “B”, non è conforme all’art. 35 e segg. delle NTA del vigente Piano Regolatore Generale”;
– seguiva il provvedimento finale di rigetto dell’istanza di condono edilizio comunicato con nota prot. n. 2973 del 22 gennaio 2016, il quale veniva impugnato dall’istante sulla scorta delle seguenti censure:
i) il vincolo apposto sull’area in esame, in quanto “bellezza di insieme”, non costituiva un vincolo di inedificabilità assoluta, ma imponeva solamente all’autorità procedente la previa acquisizione del nulla osta da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo; peraltro tale vincolo non era nemmeno operativo in quanto l’area risultava da tempo edificata ed urbanizzata;
ii) l’area era inserita nel PTP n. 9 come zona FR2, a tutela limitata, per la quale il PTP rinviava alle previsioni dello strumento urbanistico; nel PTPR del 2007 l’area ricadeva nell’ambito Paesaggio degli Insediamenti Urbani (art 27 ed allegata tabella B9) per il quale era prevista anche nuova edificazione a completamento di quella esistente;
iii) il Comune, anziché limitarsi a rigettare l’istanza di sanatoria, doveva, in qualità di autorità sub-delegata, effettuare la valutazione di compatibilità dell’intervento di competenza, e se l’avesse fatto avrebbe ravvisato che l’opera non aveva prodotto alcun vulnus al contesto, inserendosi in una zona già satura, edificata, urbanizzata e che ha da tempo perso il valore paesistico;
iv) l’orientamento interpretativo che escludeva la sanabilità degli “abusi maggiori” nella legge sul “terzo condono” si poneva in contrasto con art 3 della Costituzione, in quanto la norma finiva per non trovare mai applicazione nelle zone vincolate;
– con motivi aggiunti, il ricorrente impugnava anche la determinazione Prot. n. 1902 del 22 dicembre 2016 con cui, preso atto dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e dell’accertamento della prosecuzione di lavori in data 3 dicembre 2002, era stata disposta l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale del manufatto abusivamente realizzato e dell’area di sedime per 600 mq, deducendo, oltre al vizio di illegittimità derivata, i seguenti vizi autonomi:
i) il Comune si era limitato a disporre l’acquisizione al patrimonio comunale, dopo il rigetto della domanda di condono, fondandosi sull’inottemperanza all’originario ordine di demolizione ormai privato di effetti, senza emanare di nuovo l’ordine di demolizione con fissazione di nuovi termini per consentirgli di dare spontanea esecuzione a quanto intimato;
ii) l’atto di acquisizione si fondava sul carattere abusivo del manufatto, per il quale era stata presentata un’istanza di sanatoria respinta con provvedimento di diniego impugnato con ricorso giurisdizionale pendente, sicché l’Amministrazione avrebbe dovuto soprassedere all’applicazione della sanzione fino alla conclusione del giudizio;
– il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza n. 11785 del 2018, respingeva il ricorso introduttivo recante l’impugnazione del provvedimento di diniego di sanatoria, mentre annullava l’atto di acquisizione gratuita impugnato con i motivi aggiunti (rilevando che: “la decisione di rigetto dell’istanza di condono determina il venir meno della causa legale della sospensione dell’efficacia dell’ordine di demolizione; questa, tuttavia, opera solo ex nunc, comportando la sostanziale “rimessione in termini” dell’interessato, per cui si deve far ripartire il termine […] per la sua esecuzione dal momento della comunicazione all’interessato della decisione […]”;
– avverso la predetta sentenza, ha proposto appello il signor Gi. Gr., insistendo per l’accoglimento delle seguenti censure:
i) il diniego di condono sarebbe illegittimo in quanto, ricadendo il terreno di sua proprietà in zona “B”, sullo stesso non sarebbe operativo il vincolo paesistico allo stesso impresso con D.M. del 2.4.1954, ai sensi di quanto disposto dall’art. 4, della legge della Regione Lazio n. 24 del 1998 e dall’art. 142, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 42 del 2004 (censura che la sentenza non avrebbe neppure preso in considerazione);
ii) il provvedimento di diniego sarebbe illegittimo anche perché fondato su un automatismo preclusivo del condono edilizio ex lege n. 326/2003 in area vincolata; dovendosi invece dare un’interpretazione logica ed in chiave costituzionale del quadro normativo di riferimento, dovrebbero prevalere le disposizioni di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985, così come riformulato, il che comporterebbe l’ammissibilità del condono nelle zone vincolate, previo conseguimento del nullaosta dell’Autorità competente alla tutela del vincolo;
iii) il Comune non avrebbe minimamente considerato la natura relativa del vincolo gravante sul terreno; il decreto ministeriale del 2 aprile 1954 ha imposto un vincolo paesistico quale bellezza di insieme e cioè quale vincolo sulla località, che, come noto, non è un vincolo di inedificabilità assoluta, bensì è una prescrizioni generica di tutela paesaggistica; le previsioni del P.T.P. n. 9 Ca. Ro., per il terreno in esame, prevede la destinazione paesistica a zona “FR2” di tutela limitata;
– si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), insistendo per il rigetto del gravame;
– con ordinanza del 22 maggio 2019 n. 02522, la Sezione ? “Rilevato che: le questioni di fatto e di diritto implicate nella presente controversia necessitano di approfondimenti istruttori incompatibili con il carattere sommario tipico della presente fase cautelare e che occorre definire celermente la questione nel merito; nel bilanciamento tra i contrapposti interessi, è opportuno, nelle more della udienza pubblica, sospendere gli atti impugnati in primo grado, al fine di consentire la definizione del giudizio di merito re adhuc integra” ? ha sospeso l’esecutività della sentenza impugnata e dei provvedimenti impugnati in primo grado;
Ritenuto in diritto che:
– la sentenza di primo grado deve essere confermata;
– il combinato disposto dell’art. 32 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e dell’art. 32, comma 27, lettera d), del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, in base a un consolidato orientamento giurisprudenziale (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 ottobre 2019, n. 7341; Sez. VI, 17 settembre 2019, n. 6182; Sez. IV, 29 marzo 2017, n. 1434; sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 813; Sez. VI, 2 agosto 2016 n. 3487; Sez. IV, sentenza 17 settembre 2013, n. 4587), comporta che un abuso commesso su un bene sottoposto a vincolo di inedificabilità, sia esso di natura relativa o assoluta, non può essere condonato quando ricorrono, contemporaneamente le seguenti condizioni: a) l’imposizione del vincolo di inedificabilità prima della esecuzione delle opere; b) la realizzazione delle stesse in assenza o difformità dal titolo edilizio; c) la non conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (nelle zone sottoposte a vincolo paesistico, sia esso assoluto o relativo, è cioè consentita la sanatoria dei soli abusi formali);
– sempre con riguardo agli abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, va precisato che il condono previsto dall’art. 32 del decreto legge n. 269 del 2003 è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato decreto (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai precedenti numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti (in tal senso anche la giurisprudenza penale: cfr., ex plurimis, Cassazione penale sez. III, 20 maggio 2016, n. 40676; peraltro, la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 150 del 2009, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 26, lettera a), del decreto-legge n. 269 del 2003 nella parte in cui prevede la condonabilità limitata ai soli abusi minori nelle zone sottoposte a vincolo di cui all’art. 32 della legge n. 47 del 1985);
– su queste basi, sono evidenti le ragioni ostative alla concessione della sanatoria, dal momento che, come risulta dagli atti di causa:
i) l’abuso realizzato dall’appellante è un manufatto residenziale di due piani, qualificabile come “nuova costruzione”;
ii) il terreno su cui insiste il manufatto è sottoposto a vincolo paesistico in virtù di un provvedimento specifico emanato dall’Autorità competente (il più volte citato decreto ministeriale del 2 aprile 1954) e non già ex lege; ne consegue che le norme citate dall’appellante (art. 142, comma 2, lettera a, del d.lgs. n. 42 del 2004, e art. 4, della legge della Regione Lazio n. 24 del 1998) sono inconferenti riferendosi le stesse alle sole aree tutelate per legge (peraltro, secondo quanto dedotto dal Comune, senza specifica contestazione di controparte, l’area di proprietà non è delimitata nel PRG del Comune di (omissis) come “zona territoriale omogenea B ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444” ma sarebbe, invece, classificato, ai sensi del D.M. 1444/1968, come zona territoriale di tipo C, come da delibera C.C. n. 161/1978);
iii) l’opera realizzata non è conforme agli strumenti urbanistici del Comune di (omissis) in quanto in contrasto con l’art. 35 NTA del PRG;
– l’appello va dunque respinto;
– le spese del secondo grado di lite, seguono la soccombenza secondo la regola generale;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 3077 del 2019, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata. Condanna l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio in favore della controparte costituita, che si liquidano in Euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Paolo Carpentieri – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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