L’abuso edilizio quale illecito permanente

Consiglio di Stato, Sentenza|5 luglio 2021| n. 5092.

L’abuso edilizio quale illecito permanente.

L’abuso edilizio, essendo illecito permanente, si pone in perdurante contrasto con le norme amministrative sino a quando non venga ripristinato lo stato dei luoghi e, pertanto, da un lato, l’illecito sussiste anche quando il potere repressivo si fonda su una legge entrata in vigore successivamente al momento in cui l’abuso è posto in essere e, dall’altro, in sede di repressione dell’abuso medesimo, è applicabile il regime sanzionatorio vigente al momento in cui la Pa provvede ad irrogare la sanzione stessa. Il soggetto che realizza un’opera abusiva si assume il rischio di tutte le innovazioni normative che possono intervenire fino all’adozione del provvedimento richiesto (Dpr n. 380/2001). L’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) non deve essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata.

Sentenza|5 luglio 2021| n. 5092. L’abuso edilizio quale illecito permanente

Data udienza 27 febbraio 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Illecito amministrativo – Natura permanente – Presentazione domanda di accertamento di conformità – Effetti

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8175 del 2019, proposto da Al. Re. Pu. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Ma. e Ge. Te., con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ge. Te. in Roma, piazza (…);
contro
Comune Bari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Au. Fa., con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fa. Ca. in Roma, via (…);
nei confronti
Ni. Er. Be., Ce. di Pr. s.p.a. non costituiti in giudizio;
Ra. Di. Su. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Am. e Ma. Am., con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio eletto presso lo studio Ma. Am. in Roma, v.le (…);
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
Ce. di Pr. s.p.a., rappresentato e difeso dall’avvocato Br. Gu., con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia Sezione Terza n. 01131/2019, resa tra le parti, concernente l’annullamento dei provvedimenti in materia di sanatoria per l’installazione e l’esercizio di antenna ricevente e trasmittente sul lastrico solare di fabbricato – ripristino stato dei luoghi:
in via principale:
– dell’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi prot. 2011/00378 – 2011/130/00050 dell’11 aprile 2011 emessa dalla Ripartizione Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Bari;
nonché ove necessario:
– del verbale di violazione urbanistico-edilizia n° 34/02 del 7/3/2002, emesso dalla Polizia Edilizia del Comune di Bari;
– dell’atto prot. n. 274287 del 3/11/2017 emesso dalla medesima Ripartizione, limitatamente alla comunicazione circa il possibile rigetto dell’istanza;
– della proposta resa dal responsabile del procedimento in data 16/1/2018, citata nell’atto impugnato in via principale;
– delle note della stessa Ripartizione, ma di diverso ufficio (Settore Pianificazione del Territorio – Gestione del P.R.G.) nn° prot. 12816 del 16/7/2002 e 18292/23135 del 22/10/2002.
– di ogni altro atto presupposto o conseguente ai predetti, ancorché sconosciuto alla deducente;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune Bari e di Ra. Di. Su. s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 27 febbraio 2020 il cons. Andrea Pannone e uditi per le parti l’avvocato Fa. Ca. in sostituzione dell’avv. Fa., nonché quelli indicati nel verbale d’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

L’abuso edilizio quale illecito permanente

FATTO

A) La sentenza Tribunale amministrativo regionale per la Puglia Sezione Terza n. 01131 del 6 agosto 2019 ha rilevato, in punto di fatto, quanto segue.
“La società Al. Re. Pu. a r.l. ha impugnato i provvedimenti di seguito riportati:
a) l’atto prot. n. 18657 del 22 gennaio 2018 emesso dall’Assessorato all’urbanistica, edilizia privata – Ripartizione urbanistica ed edilizia privata del Comune di Bari, recante diniego di sanatoria ex art. 13 della legge n. 47/85 di antenna radiofonica sul lastrico solare di fabbricato ubicato in territorio comunale di Bari, alla piazza (omissis);
b) l’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi prot. 2011/00378 – 2011/130/00050 dell’11 aprile 2011, emessa dalla stessa Ripartizione in relazione allo stesso intervento.
L’istanza di accertamento di conformità era stata presentata dall’odierna ricorrente a seguito della notifica del verbale di violazione urbanistico-edilizia n. 34/02 della Polizia edilizia comunale, con cui veniva contestata l’assenza di concessione edilizia. La decisione finale è intervenuta soltanto in data 16 maggio 2018, dopo una risalente richiesta di integrazione documentale (nel 2002), un’ordinanza di ripristino (nel 2011, quella gravata) e un’ordinanza di cessazione esercizio dell’impianto, subito ritirata in autotutela.
Anche l’ordinanza di ripristino, originariamente sospesa in attesa della definizione dell’accertamento di conformità in questione, è stata successivamente dichiarata estinta con ordinanza 2018/01840 del 4.10.2018 agli atti di causa, sul presupposto di dover riavviare il procedimento sanzionatorio a seguito del diniego definitivo di sanatoria. Di ciò dà atto la stessa parte ricorrente nella memoria prodotta in data 19 marzo 2019”.
B) Parte appellante ha così riassunto la sentenza.
“Quanto alla sentenza de qua, che viene appellata nella parte in cui ha respinto nel merito il ricorso di primo grado e non ha pronunciato su alcuni motivi di ricorso, le motivazioni del rigetto sono due:
“-1) in primo luogo, per impianto preesistente, in quanto tale non ricompreso nella richiamata locuzione di “nuovi impianti” e dunque escluso dall’ambito di operatività del R.R. n. 14/2006, non può intendersi impianto di fatto e non autorizzato, quale quello di cui si tratta, rispetto al quale non è in discussione che sia stato realizzato in assenza di titolo edilizio (ciò è comprovato proprio dalla presentazione dell’istanza di accertamento di conformità );
-2) in secondo luogo, costituisce diritto vivente l’affermazione che, nel procedimento relativo al rilascio di un titolo edilizio, la situazione normativa vigente alla data di presentazione della domanda, in ragione del generale principio tempus regit actum, non costituisce un vincolo per l’Amministrazione, sicché le norme coeve alla domanda non possono ritenersi “cristallizzate” fino alla determinazione finale sulla stessa…; consegue da tanto che la domanda deve essere valutata alla luce della normativa vigente al momento in cui l’Amministrazione comunale provvede e non all’epoca della presentazione…” (capo 2.2, pp. 5 e 6 della sentenza).
In applicazione di tali principi, il Tribunale ha affermato che, ai fini del rilascio del titolo richiesto, debba sussistere la “conformità dell’intervento sia alle norme vigenti al momento della realizzazione dello stesso sia a quelle vigenti al momento della valutazione della domanda giacché, diversamente opinando, verrebbero autorizzati interventi non in linea con la normativa edilizio-urbanistica in essere al momento del rilascio del titolo autorizzatorio, di fatto vanificando la peculiarità di tale regime rispetto alla sanatoria straordinaria (cd. condono edilizio)” (p. 6 della sentenza). Pertanto, ha ritenuto legittimo il diniego di sanatoria impugnato posto che “all’impianto in questione, realizzato nel 2002 sine titulo e verificato con un procedimento pervenuto a conclusione soltanto nel 2018, possa e debba applicarsi la normativa regionale sopravvenuta” (p. 6 della sentenza).
Infine, in virtù del principio della c.d. ragion più liquida, il TAR ha ritenuto di non doversi pronunciare sugli ulteriori motivi di ricorso, ritenendoli assorbiti (p. 7 della sentenza)”.
C) Parte appellante ha dedotto i seguenti motivi:
I Motivo. Error in iudicando – Violazione dell’art. 11 delle Preleggi e dell’art. 1 della Legge 689/1981 laddove il giudice di prime cure ha ritenuto applicabili al caso in esame il regolamento regionale n. 14/2006 e la Legge n. 5/2002. Violazione del principio di legalità, irretroattività ed effettività della tutela. Violazione del criterio della gerarchia delle fonti; irragionevolezza; ingiustizia manifesta.
Ebbene il Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 4486/2014, ha stabilito che il principio del tempus regit actum è applicabile solo ai titoli autorizzatori preventivi e non a quelli in sanatoria, ex artt. 31 e ss. DPR 380/2001 (già previsti dalla Legge 47/85), i quali devono invece tener conto della circostanza che la costruzione è già eseguita, nonché dell’esigenza che la misura dell’oblazione non venga a dipendere dai tempi e dalla discrezionalità delle singole amministrazioni.
1.2 In ogni caso, nella denegata ipotesi in cui si volesse applicare il suddetto canone della doppia conformità, nel senso indicato dal TAR, a una situazione come quella in esame, è fondamentale chiedersi se effettivamente la Legge Regionale n. 5/2002 e il suo regolamento attuativo abbiano “valenza edilizia”, ossia abbiano introdotto nell’ordinamento norme edilizie, novative o modificative, rispetto a quelle vigenti all’epoca della realizzazione dell’antenna o al momento della presentazione dell’istanza di accertamento. La risposta non può che essere negativa.
1.3 Da ultimo, come espressamente censurato nel ricorso introduttivo al punto sub I.III, non può essere certo un regolamento, fonte di diritto di rango secondario, a introdurre divieti e precetti non previsti dalle fonti di diritto primario. Si fa nuovamente presente, in proposito, che è la stessa legge regionale n. 5/2002, cui il regolamento dovrebbe fungere da attuazione, a non prevedere alcuna preclusione di carattere generale all’installazione di impianti di telecomunicazione nel centro abitato (anzi, l’art. 10, 2° comma, della Legge medesima – che vietava l’installazione in: a) aree vincolate ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490; b) aree classificate di interesse storico-architettonico; c) aree di pregio storico, culturale e testimoniale) – è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte, con sentenza 23 settembre-7 ottobre 2003, n. 307, di tal che gli unici divieti di installazione effettivamente sanciti dalla Legge sono quelli di cui al comma 1° dello stesso art. 10 e riguardano le strutture e gli edifici destinati all’infanzia e agli utenti in età pediatrica e le attrezzature sanitarie e assistenziali quali ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido, istituti per l’infanzia e parrocchie).
II Motivo. Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione del R.R. n. 14/2006 e della Legge n. 5/2002 in relazione alla individuazione della fattispecie di “nuovo insediamento” operata dal TAR. Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della Legge 47/1985, dell’art. 36 D.P.R. 380/2001 e dell’art. 12, 1° comma, delle Disposizioni sulla legge in generale. Erroneità, illogicità, illogicità e carenza di motivazione della sentenza sul punto.
2.1 Secondo la sentenza impugnata “per impianto preesistente, in quanto tale non ricompreso nella richiamata locuzione di “nuovi impianti” e dunque escluso dall’ambito di operatività del R.R. n. 14/2006, non può intendersi impianto di fatto e non autorizzato, quale quello di cui si tratta, rispetto al quale non è in discussione che sia stato realizzato in assenza di titolo edilizio (ciò è comprovato proprio dalla presentazione dell’istanza di accertamento di conformità )”. Sarebbero quindi da qualificare come “nuovi” non solo gli impianti di nuova realizzazione, ma anche quelli già realizzati e funzionanti che siano privi del titolo abilitativo.
La qualificazione operata dal Giudici di prime cure, non solo è priva di qualsivoglia riferimento positivo, non essendo prevista o mutuabile per analogia o assimilazione da norme di sorta, ma si pone altresì in contrasto con l’ordinamento e con il risultato riveniente dalla lettura sistematica del Regolamento n. 14/2006 e della Legge a cui esso dà attuazione.
Già a una prima disamina, la fattispecie di “nuovo impianto” elaborata in sentenza, appare incoerente rispetto alla definizione del medesimo termine in materia edilizia e, soprattutto, ambientale (atteso che la norma applicata attiene esclusivamente alla problematica dell’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici).
Nel ricorso introduttivo è stato sottolineato (p. 13 e ss.) – e in questa sede non può che ribadirsi – che il concetto di “novità ” dell’insediamento è chiaramente desumibile dal corpus costituito dalla legge 5/2002 e dal suo regolamento. In particolare l’art. 9, comma 1, di detta Legge, dove si parla di elaborati grafici del sito previsto “ante operam e post operam” comprova la centralità e la tangibilità della modifica del territorio o del manufatto, se già esistente, ai fini di Legge. Del pari, l’art. A.1, comma 1°, del Regolamento dimostra che, in virtù dell’entrata in vigore del d.lgs. 259/2003, il rilascio dei titoli abilitativi previsti dal Titolo II del T.U. 380/2001 diviene del tutto ininfluente ai fini qui considerati. Ed ancora, l’art. 11 della Legge 5/2002 e l’art. E del Regolamento – a conferma del fatto che l’operatività dell’impianto è elemento sufficiente per la sua “esistenza” giuridica – istituiscono presso l’ARPA il “Catasto Regionale degli impianti”, destinato a censire tutti gli impianti di telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell’intervallo di frequenze comprese tra 100 KHz e 300 GHz presenti sul territorio regionale, al fine di rilevare i livelli dei campi elettromagnetici in loco e a verificare la compatibilità ambientale di ogni progetto di installazione o di spostamento degli impianti medesimi.
2.2 Infine, va rimarcato come in presenza di un quadro generale come quello descritto e in mancanza di criteri positivi o di riferimenti tali da far propendere per un’estensione del concetto di “nuovo insediamento” anche agli impianti già realizzati ma privi di titolo autorizzativo, si dovrebbe applicare il criterio ermeneutico dettato dal 1° comma dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, secondo cui “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore”.
Ebbene, non v’è alcun valido motivo per attribuire alla previsione di cui alla lettera B, 5° comma, del R.R. 14/2006 – sia dal punto di vista letterale che teleologico – un significato diverso da quello esplicitato dalla stessa lettera della norma e dalla ratio del complessivo corpo normativo, né per desumere la volontà del legislatore di annoverare tra i nuovi impianti non solo quelli effettivamente installati ma anche quelli effettivamente autorizzati.
Sotto questo profilo, la sentenza impugnata si pone anche in contrasto con la richiamata previsione.
2.3 In conclusione la sentenza di primo grado sembra aver escluso che, anche con riguardo all’elemento della “novità “, sussistano i vizi di motivazione, violazione di legge ed eccesso di potere lamentati con il ricorso introduttivo ed è pertanto da riformare integralmente sul punto.
III Motivo – Omessa pronuncia. Violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex artt. 99 e 112 c.p.c. e 39 C.p.a. Errato uso dell’assorbimento logico rispetto ai motivi sub II (quanto alle conseguenze sull’operatività della normativa che disciplina la sanatoria edilizia, alla inderogabilità delle norme di Legge da parte di una fonte normativa subordinata, alla disparità di trattamento) e sub III e IV del ricorso introduttivo.
D) Parte appellante ripropone i motivi dedotti innanzi al TAR che cosi ripropone:
-II. Violazione di legge per falsa applicazione della legge reg. n. 5/2002 e del r.r. n. 14/2006; in particolare: falsa e erronea applicazione dell’art. 12 della legge reg. 5/2002, eccesso di potere in sede di applicazione delle medesime norme per falsità del presupposto, travisamento dei fatti, illogicità della motivazione; violazione e falsa applicazione della legge 47/1985 e dell’art. 36 d.p.r. 380/2001; ancora violazione dei principi di ragionevolezza e di irretroattività ; disparità di trattamento.
-III. Difetto di motivazione e/o motivazione insufficiente in relazione al 2° motivo del diniego (carenza documentale); contrasto con l’art. a.2, r.r. 14/2006; parimenti: falsità del presupposto; falsa rappresentazione e/o travisamento della situazione di fatto; falsa applicazione dell’art. 35, legge 47/1985; violazione del principio di trasparenza.
-IV. Illogicità della motivazione del diniego in rapporto all’avvenuta applicazione della misura sanzionatoria relativa alla fattispecie di cui all’art. 37 d.P.R 380/2001; contraddittorietà interna alla stessa motivazione; istruttoria incongrua; in ogni caso violazione del principio di proporzionalità ; sviamento; ingiustizia manifesta; illegittimità per le suesposte ragioni del verbale di violazione edilizia n. 34/2002 del 7 marzo 2002.

 

L’abuso edilizio quale illecito permanente

 

DIRITTO

A) Il ricorso in appello non può trovare accoglimento.
B) Con il primo motivo (primo profilo) si invoca il principio di irretroattività delle leggi.
Ma tale principio risulta malamente invocato.
“L’abuso edilizio, avendo natura di illecito permanente, si pone in perdurante contrasto con le norme amministrative sino a quando non viene ripristinato lo stato dei luoghi e, pertanto, da un lato, l’illecito sussiste anche quando il potere repressivo si fonda su una legge entrata in vigore successivamente al momento in cui l’abuso è posto in essere e, dall’altro, in sede di repressione dell’abuso medesimo, è applicabile il regime sanzionatorio vigente al momento in cui l’amministrazione provvede ad irrogare la sanzione stessa: in forza della natura permanente dell’illecito edilizio, infatti, colui che ha realizzato l’abuso mantiene inalterato nel tempo l’obbligo di eliminare l’opera abusiva e anche il potere di repressione può essere esercitato anche per fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della norma che disciplina tale potere” (Consiglio di Stato sez. II, 27 settembre 2019, n. 6464). Chi ha realizzato un’opera abusiva si assume il rischio di tutte le innovazioni normative che possono intervenire fino all’adozione del provvedimento richiesto.
La presentazione della domanda (in data 19 marzo 2002, protocollata con il n. 10298 del 20 marzo 2002), con la quale si chiedeva l’accertamento di conformità ex art. 13 L. 47/1985, dimostra che la medesima appellante riconosceva l’abusività dell’opera.
In ogni caso, poi, il Collegio non può non rilevare che la giurisprudenza richiamata da parte appellante si riferisce a casi di condono, ossia a quelle ipotesi di violazioni edilizie che possono essere sanate solo alla luce di una specifica previsione legislativa, che indica il lasso temprale entro il quale deve essere stato compiuto l’abuso. Nel caso di specie, invece, trattasi, come dedotto dalla medesima appellante, di un accertamento di conformità (disciplinato oggi dall’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001) che consente all’interessato la sanatoria di opere comunque conformi alla disciplina urbanistica.
C) In ordine al secondo profilo del primo motivo, con il quale l’appellante si sofferma sulla natura (per escluderla) edilizia delle nuove norme, il Collegio non può non osservare che, a prescindere dalla natura della norma, ove sia stata installata un’antenna in un luogo interdetto, non può che seguire la demolizione della stessa.
D) Con il terzo profilo del primo motivo parte appellante esclude che un regolamento, fonte di diritto di rango secondario, possa introdurre divieti e precetti non previsti dalle fonti di diritto primario.

 

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Nemmeno tale censura può trovare accoglimento.
Il testo del regolamento B (Obiettivi di qualità ), § 5, dispone: “L’insediamento di nuovi impianti radiotelevisivi è consentito unicamente in aree esterne al perimetro del centro abitato, secondo la definizione di cui all’art. 3 d.lgs. 285/1992, salvo comprovate e documentate esigenze di servizio”.
Non è vero che il regolamento pone un divieto assoluto di installazione perché fa salve le “comprovate e documentate esigenze di servizio”. Allora ben può un regolamento (per realizzare obiettivi di qualità ) indicare una linea preferenziale che si arresta solo di fronte alle esigenze di servizio.
Questo Collegio vuole sottolineare che nulla è stato dedotto da parte appellante in ordine alle esigenze di servizio che avrebbero consentito la deroga.
E) Il secondo motivo può essere esaminato nella sua interezza.
L’appellante sostiene che il “nuovo” regolamento non poteva trovare applicazione nei confronti dell’opera su cui si controverte perché essa era preesistente (e, quindi, non nuova) all’entrata in vigore del regolamento medesimo.
La censura è la riproposizione (sotto diverso profilo) di quanto già dedotto in precedenza in ordine all’applicazione del principio del “tempus regit actum”.
L’antenna (proprio perché era stata presentata una domanda di accertamento di conformità ) era costruzione abusiva e quindi non riconosciuta dall’ordinamento.
In assenza di norme transitorie dettate per queste specifiche fattispecie (ossia di opere esistenti materialmente, ma non legittimate da nessun provvedimento), l’opera non può che essere valutata alla luce delle norme esistenti nel momento in cui l’amministrazione esercita i propri poteri.
F) La sentenza appellata non merita censure in ordine all’assorbimento dei motivi.
G) In ordine ai motivi riproposti il Collegio ritine di dover esplicitamente rigettare la censura relativa alla dedotta violazione dell’art. all’art. 37 d.P.R 380/2001, norma che non risultava applicabile perché l’opera non era conforme alla disciplina vigente.
H) In conclusione il ricorso va respinto con compensazione delle spese di giudizio per giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Andrea Pannone – Consigliere, Estensore
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere

 

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In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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