In tema di accesso ai corsi di laurea a numero chiuso in medicina

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 11 settembre 2020, n. 5429.

La massima estrapolata:

In tema di accesso ai corsi di laurea a numero chiuso in medicina, il disallineamento tra fabbisogno ed offerta, che frustra le aspettative dei candidati (come, del resto, il contenuto dei quesiti somministrati perlopiù non congruenti con i saperi appresi nella Scuola superiore), si manifesta in una condotta istruttoria carente nel confezionamento del numero dei posti a concorso e nei metodi di selezione, sì da restare arcani e ad alimentare oltremodo il perenne contenzioso scolastico. Ed è per questi motivi che risulta illegittimo il provvedimento di esclusione, subito da uno studente, dal concorso medesimo.

Sentenza 11 settembre 2020, n. 5429

Data udienza 9 luglio 2020

Tag – parola chiave: Università – Corsi di laurea a numero programmato – Art. 9, comma 4, L. n. 341/1990 – Definizione criteri generali per la regolazione dell’accesso – Corsi di laurea magistrale in Medicina e chirurgia – Test di ammissione – Art. 3, L. n. 183/1999 – Fabbisogno professionale e posti disponibili – Discrasia tra fabbisogno e minor offerta formativa proposta – Istruttoria carente nel confezionamento del numero dei posti a concorso e nei metodi di selezione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso NRG 2813/del 2020, proposto da Ir. Del Si., rappresentata e difesa dall’avvocato Cr. Pe. Qu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
– il Consorzio Interuniversitario – CINECA, non costituito in giudizio e
– il Ministero dell’istruzione, in persona del Ministro pro tempore e l’Università degli studi di Roma La Sapienza, in persona del Rettore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del TAR Lazio, sez. III, n. 11845/2019, resa tra le parti sulla mancata ammissione di parte appellante ai corsi di laurea magistrale a c.u. in Medicina e chirurgia ed in Odontoiatria e protesi dentaria per l’a. acc. 2018/19;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle sole Amministrazioni intimate;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 9 luglio 2020 il Cons. Silvestro Maria Russo;
Dato atto che Dato atto che l’udienza si svolge ai sensi dell’art. 84, co. 6 del DL 17 marzo 2020 n. 18, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” e che, come da verbale, la causa è trattenuta in decisione riservando al Collegio ogni provvedimento sulle eventuali note di udienza, che chiedono rinvio per rimessione in termini, per discussione orale o per qualsiasi altra ragione;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

1. – Com’è noto e in base all’art. 1 della l. 2 agosto 1999 n. 183, tra gli altri, pure i corsi di laurea in medicina e chirurgia, in medicina veterinaria ed in odontoiatria e protesi dentaria sono programmati a livello nazionale, spettando al MUR, ai sensi dell’art. 9, co. 4 della l. 19 novembre 1990 n. 341, di definire con apposito regolamento i criteri generali per la regolazione dell’accesso, tra l’altro, ai corsi universitari per i quali sia prevista una limitazione nelle iscrizioni.
L’art. 3 della l. 183/1999 rinvia a detto regolamento la fissazione dei principi e dei criteri direttivi, tra cui: a) – la determinazione annuale del numero di posti a livello nazionale con decreto del Ministro dell’università e della ricerca, sulla base della valutazione dell’offerta potenziale del sistema universitario, tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo; b) – la ripartizione di tali posti tra le Università, tenendo conto dell’offerta potenziale comunicata da ciascun ateneo e dell’esigenza di equilibrata attivazione dell’offerta formativa sul territorio. La valutazione dell’offerta potenziale è effettuata sulla base: A) dei posti nelle aule, delle attrezzature e laboratori scientifici per la didattica, del personale docente, del personale tecnico, dei servizi di assistenza e tutorato; B) del numero dei tirocini attivabili e dei posti disponibili nei laboratori e nelle aule attrezzate (per i corsi di studio che li prevedano); C) delle modalità di partecipazione degli studenti alle attività formative obbligatorie, delle possibilità di organizzare, in più turni, le attività didattiche nei laboratori e nelle aule attrezzate, nonché dell’utilizzo di tecnologie e metodologie per la formazione a distanza.
In sede di Conferenza Stato/Regioni/Province autonome, l’accordo del 21 giugno 2018 ha stabilito il fabbisogno professionale, per l’a. acc. 2018/2019, in 10.035 unità di medici e 1.299 unità di odontoiatri. Col decreto 26 aprile 2018 n. 337, l’allora MIUR ha stabilito modalità e contenuti delle prove di ammissione ai predetti corsi di laurea ad accesso programmato nazionale. Coi decreti 28 giugno 2018 n. 523 e n. 524, l’allora MIUR ha definito, per tale anno, i posti disponibili per le immatricolazioni al corso di laurea magistrale a c.u. in Odontoiatria e protesi dentaria in 1.096 unità e, rispettivamente, in Medicina e chirurgia in 9.779 unità (in realtà, 9.834, grazie ai 55 posti aggiuntivi ora destinati all’Università Unicamillus). Con il coevo DM 520/2018, il Ministero ha altresì definito, per i predetti corsi di laurea a c.u., il contingente di posti destinati ai candidati non comunitari residenti all’estero.
2. – La sig. Ir. Del Si. dichiara d’aver partecipato, in data 4 settembre 2018 e nella sede dell’Università degli studi di Roma La Sapienza, alla prova selettiva per l’ammissione ai corsi di laurea in Medicina e chirurgia ed Odontoiatria e protesi dentaria, al fine d’iscriversi ad uno di tali corsi nelle sedi universitarie indicate nella sua domanda, secondo quanto disposto dal citato DM 337/2018 e dal relativo bando attuativo dell’Università .
In esito a tal prova e secondo quanto esposto nella graduatoria unica nazionale del 2 ottobre 2018, ella ha ottenuto solo punti 39,4, collocandosi al posto n. 13.767 di tal graduatoria, quindi in posizione non utile all’ammissione.
Avverso tal graduatoria, i citati DM, l’Accordo Stato/Regioni/Prov. auton., la determinazione dell’offerta potenziale degli Atenei, l’istruttoria sugli elementi ex art. 3 della l. 264/1999, gli atti ed i verbali della Commissione d’esame, nonché le modalità di svolgimento e di correzione delle prove e di tutti gli atti connessi è allora insorta la sig. Del Si. avanti al TAR Lazio, col ricorso NRG 14820/2018. Ella ha colà dedotto:
I) – l’illegittima determinazione del contingente di posti per l’ammissione ai corsi di laurea in Medicina ed in Odontoiatria per l’a. acc. 2018/19, sottostimando il fabbisogno di nuovi medici e odontoiatri (che si proietta in un arco di sette/dodici anni rispetto a quando è dichiarata l’offerta potenziale) in esito, così, a un’istruttoria erronea e lacunosa ed in violazione di norme costituzionali e della UE;
II) – in ogni caso, la mancata copertura di tutti i posti disponibili, compresi quelli del contingente di studenti extra-comunitari rimasti non optati per l’a. acc. 2018/19, non constando l’attivazione della relativa procedura posta dall’art. 2 del DM 520/2018;
III) – l’illegittimità in sé della selezione in relazione ai criteri selettivi ed alla tipologia dei quesiti somministrati -ai sensi certo dell’art. 2 del DM 337/2018, però in contrasto con l’art. 4 della l. 264/1999-, con particolare riguardo alle domande di “ragionamento logico”, categoria, questa, preponderante e non prevista dalla fonte primaria, che parla di quesiti di cultura generale;
IV) – l’illegittimità della selezione in relazione ai criteri selettivi, con specifico riguardo al modo d’individuazione la risposta corretta, nonché l’erroneità e/o l’ambiguità di alcuni quesiti della prova, che davano luogo a risposte multiple, vietate dal DM 337/2018, oltreché fonte d’incertezza e di aggravamento del lavoro per il candidato;
V) – l’illegittimità della selezione in relazione ai criteri selettivi e al contenuto dei quesiti assegnati per la mancanza di trasparenza, imparzialità e riservatezza in merito alla predisposizione dei quesiti stessi ed al loro autore, essendo mancata ogni verbalizzazione sul punto;
VI) – la violazione del principio dell’anonimato delle prove da correggere, per l’applicazione di un’etichetta recante un codice alfanumerico personale del candidato, tale da consentirne comunque l’identificazione;
VII) – l’incertezza della sicura riferibilità della singola prova al candidato che l’ha redatta;
VIII) – l’illegittimità in sé del concorso, in ragione delle gravi e numerose irregolarità verificatesi, anche con riguardo alla violazione della segretezza dei quesiti.
3. – L’adito TAR, con ordinanza n. 2455 del 25 febbraio 2019, ha disposto incombenti istruttori nei confronti del MIUR, chiedendogli documentati chiarimenti sia sull’attendibilità della formulazione dei quesiti contestati e delle risposte ritenute corrette, sia sul superamento della prova di resistenza in caso d’assegnazione del rivendicato punteggio (implicante, peraltro, virtuale riformulazione dell’intera graduatoria), sia, infine, sulle modalità di determinazione del numero dei posti messi a concorso per l’a. acc. di riferimento (e la prevista ridistribuzione, o meno, dei posti riservati a cittadini extracomunitari, non occupati da questi ultimi). A tal incombente, il Ministero ha risposto con l’articolata relazione depositata il successivo 17 maggio.
L’adito TAR, con sentenza n. 11845 del 14 ottobre 2019, ha integralmente respinto la pretesa così azionata.
Dal che il presente appello, con cui la sig. Del Si. deduce l’erroneità dell’impugnata sentenza per: 1) – aver ritenuto legittima e frutto d’una scelta discrezionale l’offerta formativa per l’a. acc. 2018/19, mentre essa è inferiore sia al documentato fabbisogno di medici e odontoiatri stabilito dall’accordo in Conferenza Stato-Regioni del 21 giugno 2018, sia all’offerta formativa potenziale delle Università (indicata il 27 giugno 2019 pari a 11.568 posti per l’a. acc. 2019/20), ferma in ogni caso la carente istruttoria di tutti gli Atenei circa le potenzialità delle sedi universitarie e le verifiche delle effettive capacità didattiche di ciascuno di essi, in violazione dell’art. 3, co. 2, lett. a)/c) della l. 264/1999 e degli artt. 32, 33 e 34 Cost. e con risultati evidentemente sottostimati, come s’evince dal significativo rialzo di detta offerta per l’anno accademico successivo che, se fosse stata già indicata per l’anno in questione, ben avrebbe consentito all’appellante, grazie ai suoi punteggio e posto in graduatoria, l’ammissione al corso di laurea prescelto; 2) – non aver pronunciato in ordine alla dedotta mancata copertura integrale di tutti i posti disponibili per l’a. acc. 2018/19, compresi, in particolare, quelli riservati ai candidati non comunitari residenti all’estero, non constando che i vari gli Atenei abbiano provveduto a redistribuirli, in base all’art. 2, co. 2 del DM 520/2018, ai candidati non ammessi, inclusi nella graduatoria dei candidati comunitari e non comunitari residenti in Italia, ferma in ogni caso l’illegittima previsione dell’art. 10, co. 10 del DM 26 aprile 2018 n. 337 sulla chiusura delle graduatorie di Medicina e Odontoiatria in base ad apposito provvedimento MIUR; 3) – non aver correttamente motivato sulle censure di cui ai motivi III (domande di “ragionamento logico”), IV (illegittimità della selezione per i criteri selettivi prescelti e per la tipologia dei quesiti somministrati) e V (mancanza di trasparenza, imparzialità e riservatezza sulla predisposizione dei quesiti) o addirittura omesso ogni statuizione al riguardo, tant’è che, se l’appellante avesse ottenuto i maggiori punti con una procedura legittima, sarebbe stata ammessa al corso di laurea; .
S’è costituito in giudizio il MIUR, concludendo per il rigetto del presente appello.
4. – L’appello è fondato con riguardo al solo primo mezzo di gravame.
Al riguardo, è materialmente vero che, per i predetti corsi di laurea in Medicina e in Odontoiatria, è stato determinato dal Ministero della salute, in base al voto della Conferenza Stato-Regioni-Prov. auton., un fabbisogno pari a 10.035 unità . Ma questo dato non risulta contestato dall’appellante, la quale s’appunta contro l’immotivato ed irrazionale numero dell’offerta formativa, adombrandone l’illegittimità in sé e traendo spunto dal parimenti non chiaro ed inaspettato rialzo di questa offerta per l’a. acc. 2019/20. Donde l’inutilità d’ogni dissertazione del Ministero intimato sul calcolo del fabbisogno stesso e sulla mancata evocazione in giudizio del Ministero della salute, le cui spiegazioni occupano le prime 17 pagine della relazione ministeriale, su argomenti fuori dalla res controversa.
Quel che, agli occhi del Collegio, invece più rileva (e non sembra esser stato colto da tal relazione) è che, per l’a. acc. 2018/19, per la prima volta detto fabbisogno è stato superiore alla complessiva offerta formativa degli Atenei, senza, però, che sia stato meglio spiegato perché mai, solo per l’anno in questione, la capacità ricettiva di questi ultimi sia risultata comunque più bassa del fabbisogno stesso. Infatti, per i precedenti due anni accademici, le cui procedure d’ammissione produssero pur sempre un ampio contenzioso e molteplici immatricolazioni “in esubero” al numero programmato di studenti iscrivibili, l’offerta fu in eccesso rispetto al fabbisogno.
Ciò vuol dire, ne è consapevole il Collegio, che tali due grandezze sono variabili indipendenti tra loro e che tal risultato, tutt’altro che fisiologico, discende tra l’altro dallo sdoppiamento ope legis della loro formazione.
È come se la procedura di verifica del fabbisogno, che dovrebbe costituire la linea-guida per l’uso accorto delle risorse da destinare ad un’ordinata formazione per le professioni sanitarie (sulla scorta dei principi enunciati da Cons. St., ad. plen., 9 novembre 2018 n. 16: verifica dei requisiti di cultura per lo studente immatricolando; garanzia di un’offerta formativa adeguata alle capacità degli Atenei; circolazione e congruenza delle qualifiche conseguite nell’ambito UE), receda rispetto ad altre esigenze delle Università . Anzi, la relazione fornita al TAR, che già ha affermato in altre cause la recessività dei dati del fabbisogno rispetto all’offerta formativa, è chiaramente orientata in tal senso. Invero, in base all’art. 3 della l. 264/1999 “… la programmazione annuale deve essere operata in primis avuto riguardo alla “[…] valutazione dell’offerta potenziale del sistema universitario […]” (per cui è prevista la piena saturazione per l’anno accademico in corso, se non anche un elastico e lieve eccesso costituito dai posti residui del contingente destinato agli studenti cd. Extra UE) e solo in secundis “[…] tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo […]” ciò in quanto non può … prescindersi da un insegnamento universitario basato sulla più alta qualità logistica e didattica…”.
L’avviso del Ministero è quindi nel senso che “… ai sensi dell’art. 3 della Legge n. 264 del 1999, si deve dare preminenza al criterio della capacità ricettiva dell’Ateneo, rispetto a quello, che può considerarsi recessivo… del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo…”. Ciò è come dire che le esigenze del sistema universitario sono definite discrezionali dal TAR e dal Ministero, ma non sono che una sorta di scelte se non arbitrarie, almeno disallineate e indipendenti dallo sforzo elaborativo degli enti coinvolti nella complessa determinazione del fabbisogno. Sicché, nella ricostruzione operata dal TAR e difesa dal Ministero, può pure sussistere un’offerta formativa libera in sé ed autoreferenziale, quindi tale da non dover esser congruente con il fabbisogno stesso, come s’evince dalla serena lettura della citata relazione.
Ma una tal conclusione, la quale degrada l’elaborazione del fabbisogno da elemento funzionalmente distinto a dato disgiunto dalle scelte del sistema universitario -del quale quest’ultimo (in realtà, il Ministero) può tener conto, ma anche no (arg. ex TAR Abruzzo, 19 marzo 2019 n. 158)-, s’invera anzitutto nella fissazione, negli ultimi anni, di un’offerta rigida (anche se, per caso, al di sopra del fabbisogno stesso) e, nell’anno in contestazione, di un’offerta alquanto anelastica. In secondo luogo, siffatta conclusione discende non solo dal citato sdoppiamento, ma anche da una lettura scorretta dell’art. 3, co. 1 della l. 264/1999. Tal disposizione, nel fissare il riparto delle competenze in materia tra il Ministero della salute ed il MIUR -quale ente vigilante sugli Atenei nella gestione dell’accesso programmato ai corsi di laurea di cui al precedente art. 1, co. 1, lettere a) (Medicina, Veterinaria, Odontoiatria, Professioni sanitarie) e b)-, gli impone altresì di valutare l'”… offerta potenziale del sistema universitario (sulla scorta dei parametri posti al co. 2 – NDE), tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo…”. Da ciò discende che è stretta ed autonoma competenza del Ministero e non del sistema universitario di valutare l’essenza e l’efficacia dell’offerta potenziale anno per anno, nel cui giudizio, tra gli altri parametri, entra pure il fabbisogno qual obiettivo cui il servizio universitario deve tendere affinché sia assicurato un gettito omogeneo e costante di professionisti sanitari in tutti ed in ciascun anno accademico. Quindi, nel descrivere i due termini inscindibili di tal binomio istituzionale, è scorretto predicare la supremazia dell’offerta formativa rispetto al fabbisogno, posto che è l’una che deve tendere verso l’altro, negli ovvi limiti della ragionevole duttilità organizzativa del sistema universitario in sé e del dia cogli altri attori istituzionali (Minsalute, Regioni, organi del SSN e dei SSR, ordini professionali, ecc.), e non viceversa.
Naturalmente il Collegio sa bene che v’è un elemento di rigidità non superabile dell’offerta formativa che tuttavia deve essere specificamente motivato e che non è predicabile in presenza di variazioni, non chiarite nella loro origine, del numero dei posti disponibili anno dopo anno e soprattutto non può essere assunto, di norma, come dato assolutamente indipendente da una contestuale valutazione del fabbisogno. Quest’ultimo, per la sua urgenza può imporre anche nuove modalità, anche mediante l’innovazione tecnologica, di utilizzazione delle medesime strutture fino a che non venga compromessa l’adeguatezza della formazione.
La peculiarità della vicenda relativa all’ammissione ai corsi di laurea ad accesso programmato per l’a. acc. 2018/19 -nel cui contesto s’iscrive la posizione personale dell’appellante-, sta proprio nella discrasia tra fabbisogno e minor offerta formativa proposta (quantunque i Ministeri coinvolti, nel tavolo di concertazione del 25 giugno 2018, hanno ritenuto di saturare l’intera offerta formativa nazionale, potendo giungere ad un tendenziale pareggiamento del fabbisogno rilevato, nel caso di posti vacanti ed inoptati relativi al contingente degli studenti extraUE non residenti) e nell’assenza a priori di una puntuale istruttoria del MIUR per verificare se l’offerta fosse, o no, veritiera e congrua rispetto alle esigenze sottese al fabbisogno.
In fondo, proprio l’interpretazione propugnata da detto Ministero è confessoria d’un atteggiamento che, prediligendo un astratto ideale d’Università che deve formare i migliori laureati ed evitare affollamenti e dispersione scolastica, non rende giustizia né a se stesso (il Ministero deve sempre garantire che il sistema universitario raggiunga tali obiettivi in base alle risorse di volta in volta disponibili), né alle istanze sociali e professionali dei territori, né alle Università (le quali, pur nella loro autonomia, devono assicurare, tra l’altro, un’adeguata flessibilità organizzativa in continuo divenire nei servizi da rendere). E tal atteggiamento, a sua volta, denota pure come non vi sia stata quell’attento contemperamento paritario tra fabbisogno ed offerta formativa, tant’è che questa resta ancor oggi inferiore al documentato fabbisogno di medici e odontoiatri indicato nella Conferenza Stato-Regioni-Prov. auton. del 21 giugno 2018.
A tal riguardo, può sembrare spurio il richiamo attoreo all’offerta formativa potenziale complessiva delle Università, indicata il 27 giugno 2019 pari a 11.568 posti per l’a. acc. 2019/20. Ma un siffatto rialzo ex abrupto (cioè, nel corso dello stesso a. acc. 2018/19) di detta offerta è indizio evidente e chiaro della carente istruttoria di tutti gli Atenei circa le potenzialità delle sedi universitarie e delle loro capacità d’accoglienza d’un più alto numero di studenti. Sfugge infatti, né è ben spiegata la ragione per cui, nel breve volgere di sette mesi, per l’anno accademico successivo, il sistema universitario ha rinvenuto una capacità ricettiva coeteris paribus nuova per quasi duemila posti in più rispetto all’inizio dell’anno 2018/19. Ciò comporta senz’altro, a pena di fornire oggi dati astratti o non veritieri, l’esistenza già alla data del 27 giugno 2019 d’una corrispondente capacità ricettiva pregressa e facilmente disponibile, tale, quindi, non solo da giustificare l’ingresso dei nuovi studenti, ma pure da dimostrare l’attitudine dei diversi Atenei, ove più ove meno, ad riceverli anche dal 2018, donde la carente istruttoria nei sensi indicati dall’appellante.
5. – Si dice che, di fronte ad un numero esorbitante di studenti immatricolati in esubero (perlopiù jussu judicis), vi sarebbe un eccesso di soggetti iscritti da formare, non gestibili correttamente dai singoli Atenei o fonte di dispersione scolastica.
Tutto questo andrebbe a scapito, ad avviso del Ministero, di chi ha proceduto ad iscriversi ai corsi di laurea in oggetto con lo scopo di ottenere una formazione adeguata, a fronte dell’aggravio dei costi di gestione dei singoli Atenei e della loro esposizione a richieste di risarcimenti per inadeguatezza della formazione erogata.
Il Collegio non ha motivo di dubitare di tali assunti in sé, che descrivono solo un plausibile scenario dell’affanno delle Università subissate dall’esubero di immatricolazioni, tant’è che il Ministero cita un documento stralcio della CRUI sulla medicina universitaria, riferito all’anno 2014, ove a fronte di ipotizzate riforme della selezione iniziale per detto Organo l'”… immatricolazione estesa a tutti i richiedenti, per poi consentire la prosecuzione solo a un ridotto numero…, comporterebbe una ben più ampia disponibilità di risorse umane ed infrastrutturali rispetto a quella attuale, già fortemente compromessa dai sopravvenuti inserimenti in sovrannumero, conseguenti a migliaia di ricorsi giunti a buon fine…”. Come si vede, l’esubero e le immatricolazioni jussu judicis non sono dati connotanti o, almeno, non descrivono una vicenda accertata e chiara propria dell’anno 2018, fonte d’una confusione nel funzionamento delle Università coinvolte. A parte che tal fenomeno d’esubero e del presupposto contenzioso è strutturale, in pratica da quando esistono i corsi di laurea ad accesso programmato e, quindi, non è un unicum dell’ammissione ai corsi iniziati nell’a. acc. 2018/19, detto richiamo avrebbe senso solo se, nell’anno, fosse stato dimostrato dall’intimato MIUR che il divario tra offerta e fabbisogno fosse la risultante dell’accumulo di tutti gli esuberi pregressi e, quindi, il sovraccarico in un altrimenti ordinato funzionamento dei singoli Atenei. Così non è e, comunque, non appare né è dimostrato, sicché tali argomenti a difesa sono più di colore che di sostanza e non convincono dell’erroneità della tesi attorea. Anzi, la giurisprudenza della Corte EDU non torna utile alla difesa della P.A., giacché il pur vero principio sotteso alle limitazioni all’accesso universitario, ossia la correlazione tra ridotto numero di studenti e loro possibilità di raggiungere alti livelli di professionalità spendibili nel mercato delle professioni sanitarie (arg. ex Cons. St., ad. plen., 28 gennaio 2015 n. 1), impone che si assicuri un livello di istruzione minimo e adeguato in Atenei gestiti in condizioni adeguate e tal duplice adeguatezza si raggiunge costantemente raccordando, con la adeguata flessibilità, invero perseguita nei tempi più recenti, il funzionamento degli Atenei con le esigenze espresse col fabbisogno.
Il Collegio non può che ravvisare, qual dato strutturale nei rapporti tra i soggetti usciti dalle Scuole superiori (che costituiscono la componente maggioritaria dei candidati alle prove d’ammissione) e le Università, la pressoché totale mancanza di compliance di queste ultime verso l’organizzazione, la gestione ed i risultati di siffatte prove. Molteplici ne sono le ragioni ed il Collegio non è tenuto ad investigarle ultra petita. Ma nella specie il predetto disallineamento tra fabbisogno ed offerta, che frustra le aspettative dei candidati (come, del resto, il contenuto dei quesiti somministrati perlopiù non congruenti con i saperi appresi nella Scuola superiore), si manifesta in una condotta istruttoria carente nel confezionamento del numero dei posti a concorso e nei metodi di selezione, sì da restare arcani e ad alimentare oltremodo il perenne contenzioso scolastico.
E tal carenza istruttoria il Collegio rinviene anche nell’obiezione, pur giusta in linea di principio, in base alla quale la necessità di stanziare risorse aggiuntive, per supportare spese non previste a carico degli Atenei e delle Aziende sanitarie a causa degli esuberi di candidati ammessi, costituirebbe un danno erariale di cui tali enti dovrebbero dar conto.
Infatti, se gli esuberi sono strutturali a causa di un contenzioso alimentato anche da errori della P.A. stessa -specie per l’assenza d’ogni seria e leale capacità di contenimento di fenomeni massivi di contenzioso che tendono a ripetersi ad intervalli regolari-, va rilevato che l’Amministrazione con un più accorto uso del contemperamento degli interessi coinvolti nel procedimento ed avendo di mira qual concetto chiave -non solo il rigido (peraltro pur esso in certi margini variabile) parametro dell’offerta formativa ma- l’anzidetto fabbisogno sociale e sanitario, ben può minimizzare i costi derivanti da tal contenzioso, grazie ad una più elastica ed inclusiva programmazione a costi finanziari invariati.
Il Collegio, auspicando una più stretta collaborazione istituzionale tra le Università e gli enti preposti alla determinazione del fabbisogno, vede però nel rialzo dell’offerta formativa per l’a. acc. 2019/20, un indice, rispetto all’anno precedente, di quel nocivo difetto d’istruttoria organizzativa che si è sopra evidenziato.
Per vero, se il sistema universitario mette a disposizione ca. altre duemila unità d’offerta formativa e nel giro di meno d’un anno, resta inevasa la domanda di come non via sia alcun rischio che un tal repentino riadeguamento (tralasciando le norme emergenziali COVID19, perché successive) di strutture, ricettività, insegnamento, tirocinio, ecc., in così breve volgere di tempo non comporti domani la oggi paventata paralisi del sistema.
L’appello va quindi accolto sotto l’assorbente profilo dedotto nel primo mezzo di gravame, onde va rinviato al sistema universitario ed al Ministero, ciascuno per le proprie competenze accertative e di valutazione e scelta, di por rimedio al disallineamento tra fabbisogno ed offerta formativa. Sicché gli Atenei ed il Ministero dovranno, d’ora in poi, fornire sempre adeguata contezza sui numeri dei posti messi a concorso nelle prove d’ammissione a ciascun corso di laurea magistrale a c.u. ad accesso programmato.
Per il passato, essendosi già provveduto in fase cautelare all’immatricolazione della ricorrente in sovrannumero, vorranno verificare, in via generale, se l’evoluzione del sistema, manifestatosi per l’a. acc. 2019/20, non sia già in nuce funzionale per l’a. acc. 2018/19 e se vi sia l’adeguamento già nei fatti di strutture e didattica, coeteris paribus fin dal 2018, stante sia l’inadeguatezza della motivazione e il difetto istruttorio più volte evidenziato nel giudizio tecnico sull’offerta formativa. Il Ministero provvederà inoltre, nel prosieguo dell’azione amministrativa, alla definitiva validazione o meno, per quanto d’interesse (e ove permessa dal risultato conseguito in termini di punteggio e di graduatoria dalla ricorrente, tenendo conto dell’aumento dei posti conseguenti alla riprogrammazione), del corso di studi intrapreso da chi ha contestato, con successo, l’illegittimità della disposta programmazione.
6. – In definitiva, l’appello va accolto nei limiti or ora evidenziati. Tutte le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta all’esame della Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. e gli argomenti di doglianza non esaminati espressamente sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso (anche alla luce degli argomenti già scrutinati dalla sentenza della Sezione n. 4266/2020 relativa all’anno 2017/18 e logicamente riferibili al presente contenzioso).
La complessità e la novità della questione suggeriscono l’integrale compensazione, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 2813/2020 in epigrafe), l’accoglie in parte e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, annulla per quanto di ragione e nei sensi di cui in motivazione la determinazione dell’offerta formativa di cui al DM 28 giugno 2018 n. 524.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 9 luglio 2020, con l’intervento dei Magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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