Potere di ordinanza sindacale contingibile e urgente

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 9 marzo 2020, n. 1670.

La massima estrapolata:

Ai fini dell’esercizio legittimo del potere di ordinanza sindacale contingibile e urgente ex art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000, ciò che rileva è l’attualità della situazione di pericolo al momento dell’adozione del provvedimento sindacale nonché l’idoneità del provvedimento a porvi rimedio, mentre è irrilevante che la fonte del pericolo sia risalente nel tempo.

Sentenza 9 marzo 2020, n. 1670

Data udienza 9 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1547 del 2019, proposto da
Izzi Tiziana ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato An. Ab., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. An., Fa. Ma. Fe. e Gi. Pi., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Le. in Roma, via (…);
Sindaco pro tempore di Napoli, nella sua qualità di Ufficiale del Governo ex art. 54 l. n. 267 del 2000, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via (…), è elettivamente domiciliato;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sezione Quinta, n. 05849/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Napoli e del Sindaco di Napoli, in qualità di Ufficiale del Governo, ex art. 54 l. n. 267 del 2000;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2020 il Cons. Valerio Perotti ed uditi per le parti gli avvocati Ab. e Ga., in sostituzione dell’avvocato Pi., nonché l’avvocato dello Stato Pi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.I signori Iz. Ti. ed altri chiedevano al Tribunale amministrativo regionale per la Campania l’annullamento dell’ordinanza del Sindaco di Napoli prot. n. 481 del 9 giugno 2017, notificata in data 5 ottobre 2017, con la quale veniva loro ordinato, quali “Er. Im.” e “quali proprietari del rilievo pozzolanico alto circa 30 metri rispetto alla strada e prospettante sulla via (omissis), fronte civ. 45, di far eseguire ad horas tutti i provvedimenti e le misure necessarie per la messa in sicurezza dei luoghi e la eliminazione del pericolo per le persone derivante dalla caduta di terreni” ed i relativi atti presupposti, nell’epigrafe del ricorso indicati.
Essi rappresentavano: a) di essere comproprietari, ciascuno per la quota di propria spettanza e tutti insieme per l’intero, delle aree site in Napoli – Sez. S. Carlo all’Arena – alla via (omissis) iscritte in catasto alle particelle 608, 165, 308 in parte e 675; b) che con decreti del 27 agosto 1981, nn. 1045, 1048 e 1053 e 1058 il Sindaco di Napoli aveva disposto, con i poteri del Commissario di Governo, la requisizione di mq. 4220 delle predette aree per necessità abitative connesse all’evento sismico del novembre 1980, provvedendo all’allocazione di un campo container e alla realizzazione di una strada di accesso a via (omissis) – senza porre in essere opere provvisionali sul costone sovrastante), con relativa sottostazione di servizio; c) che dopo la rimozione del campo container il Comune di Napoli aveva acquisito parte della superficie requisita mediante un accordo di cessione bonaria con la proprietà, realizzando sulla stessa un edificio scolastico, mentre l’area utilizzata per la realizzazione della strada non era oggetto del predetto accordo, né era stata formalmente espropriata dall’amministrazione; d) che avevano adito il Tribunale di Napoli per ottenere la condanna in solido, tra gli altri, del Comune di Napoli e della Presidenza del Consiglio dei Ministri alla restituzione del terreno, previa rimessione in pristino dello stato dei luoghi, chiedendo in subordine la condanna delle parti convenute al pagamento del corrispondente valore venale del bene; in tale giudizio, definito con sentenza di accoglimento n. 1600 del 13 dicembre 1995, il CTU nominato dal tribunale aveva accertato che la superficie di terreno illecitamente trasformata dal Comune di Napoli a sede stradale era di mq. 3.072,15 (con lunghezza di circa ml 225,00 e larghezza media di circa ml 14,00), destinata all’accesso dell’edificio scolastico realizzato nonché al completamento dell’allacciamento tra Calata Capodichino e via (omissis), aggiungendo altresì che la destinazione dell’area rientrava “fra le opere del patrimonio comunale ai fini della viabilità cittadina”; e) che solo nel luglio del 2014, a seguito della designazione di un commissario ad acta nel giudizio istaurato innanzi allo stesso TAR (r.g. 5289/2011) avverso il silenzio serbato dall’amministrazione resistente quest’ultima aveva provveduto all’acquisizione al patrimonio indisponibile del Comune della aree site in via (omissis); f) che nei primi mesi del 2011, sia in ragione delle piogge che del passaggio di automezzi, dal costone sarebbero dilavati materiali franosi che aveva determinato la chiusura del traffico di una carreggiata; il Comune di Napoli, con ordinanza del 28 aprile 2011, li aveva allora diffidato ad eseguire i lavori per la sistemazione del costone in via (omissis), nonostante lo stessa amministrazione avesse alterato il pendio del costone per la realizzazione della strada pubblica.
2. Ciò precisato, essi formulavano nei confronti dell’impugnata ordinanza i seguenti motivi di censura:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art 54, II comma, del d.lgs. n. 267/2000 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1069 c.c. – Violazione dell’art. 2043 c.c. – Omessa istruttoria – Irragionevolezza – Difetto del presupposto – Sviamento.
2) Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 54, II comma, del d.lgs. n. 267/2000 – Omessa istruttoria – Irragionevolezza – Difetto del presupposto – Sviamento.
Chiedevano altresì il risarcimento dei danni subiti, consistiti, per un verso, nel danneggiamento del fondo di loro proprietà a causa delle opere poste in essere dall’amministrazione nella realizzazione della strada pubblica (opere che avevano alterato il naturale pendio del costone sovrastante la stessa) e, per altro verso, nell’esecuzione delle opere provvisionali richieste dal Comune di Napoli.
3. Nella resistenza dell’intimato Comune di Napoli con la sentenza segnata in epigrafe il tribunale adito respingeva il ricorso.
4.Avverso tale sentenza gli interessati hanno interposto appello, chiedendone la riforma per:
1) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 54, II comma, del d.lgs. n. 267/2000 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1069c.c. – Violazione e falsa applicazione degli artt. 64 e ss. del d.lgs. n. 104/2010, in combinato disposto con l’art. 111 della Costituzione – Violazione dell’art. 2043 c.c. – Difetto di istruttoria – Travisamento dei fatti – Difetto del presupposto di legge.
2) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 54, II comma, del d.lgs. n. 267/2000 – Difetto di istruttoria – Travisamento dei fatti – Difetto del presupposto di legge.
3) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 54, II comma, del d.lgs. n. 267/2000 – Difetto di istruttoria – Travisamento dei fatti – Difetto dei presupposti di legge.
4) Error in iudicando – Violazione e falsa applicazione dell’art. 54, II comma, del d.lgs. n. 267/2000 – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1069 c.c. – Violazione dell’art. 2043 c.c. – Omessa istruttoria – Difetto del presupposto – Conflitto di interessi.
5) Error in iudicando – Ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 54, II comma, del d.lgs. n. 267/2000 – Omessa istruttoria – Difetto del presupposto.
5. Hanno resistito al gravame il Comune di Napoli ed il Sindaco di Napoli, quale Ufficiale di Governo, deducendone l’infondatezza e chiedendone il rigetto.
6. Le parti hanno successivamente precisato con apposite memorie le proprie tesi difensive ed all’udienza del 9 gennaio 2020, dopo la rituale discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.
7. L’appello è infondato.
7.1. Con il primo motivo si deduce che erroneamente il primo giudice avrebbe attribuito una sorta di fede privilegiata alla nota prot. 655091 del 14 ottobre 2011 del Comune di Napoli, i cui contenuti non sarebbero stati “idoneamente sconfessati” dalla perizia tecnica di parte ricorrente, come successivamente integrata.
Ad avviso degli appellanti, la documentazione prodotta sarebbe stata idonea a soddisfare il loro onere probatorio, avendo addotto elementi di seria consistenza, laddove le eventuali carenze ben avrebbero potuto essere sopperite dall’organo giudicante, attraverso l’esercizio dei propri poteri istruttori. Del resto la relazione del Servizio sicurezza geologica del Comune di Napoli (ossia la predetta nota prot. 655091 dell’ottobre 2011) era stata “contrastata dagli allegati tecnici versati nel corso dei due giudizi di prime cure da parte ricorrente” e, più in generale, era stata “contrastata dal semplice trascorrere del tempo dal momento che, all’atto della decisione, 7 anni dopo nulla era accaduto su tale fronte pretesamente in frana”; né “l’amministrazione resistente (non) aveva adeguatamente contrastato […] le allegazioni probatorie, e dunque le affermazioni tecniche formulate dalla parte ricorrente”.
Il motivo non è fondato.
Va in primo luogo evidenziato come la sentenza impugnato in alcun punto attribuisca alla richiamata relazione del Servizio sicurezza geologica del Comune di Napoli valore di atto facente fede privilegiata, avendo invece semplicemente rilevato come le parti ricorrenti, sul punto specifico oggetto di contestazione, non avessero assolto il proprio onere della prova, avendo le stesse dedotto una responsabilità per colpa dell’amministrazione (riconducibile al modulo dell’illecito aquiliano ex art. 2043 Cod. civ.), denunciando che lo smottamento di terreno che aveva comportato la chiusura di una carreggiata sulla via (omissis) (che aveva giustificato l’adozione dell’impugnata ordinanza sindacale) si era verificato a causa di una cattiva esecuzione dei lavori da parte della stessa amministrazione nella realizzazione della strada di collegamento tra Calata Capodichino e via (omissis), per la cui esecuzione era stato alterato il naturale pendio del costone sovrastante, senza alcuna opera provvisionale volta a garantire la incolumità pubblica e privata.
In tale contesto erano le parti ricorrenti a dover dimostrare – sia pure con gli ovvi temperamenti dati dal principio della “disponibilità della prova” – la mala gestio dell’amministrazione, ossia l’infondatezza e/o l’inconferenza della documentazione a supporto del provvedimento impugnato.
Il tribunale non ha perciò attribuito alla ridetta nota prot. 655091 del 2011 alcuna valenza di fede privilegiata, ma si è limitato a rilevare come, in base al generale principio dell’onere della prova, il contenuto di quest’ultima non tanto (e non solo) dovesse essere contestato, bensì concretamente confutato.
Al riguardo va detto che nessuna indicazione in tal senso emerge dalle difese in appello, nelle quali le appellanti si limitano apoditticamente a sostenere che le ragioni poste dall’amministrazione a fondamento dell’ordinanza contingibile ed urgente sarebbero state contrastate “dagli allegati tecnici versati nel corso dei due giudizi di prime cure da parte ricorrente” senza però nulla esplicitare sul reale contenuto argomentativo (o descrittivo) di tale documentazione.
Né d’altro canto è dato rinvenire nelle difese d’appello una strutturale ed argomentata confutazione della decisiva questione di merito a suo tempo sottoposta all’esame del primo giudice, per cui il contenuto della nota interna comunale n. 1433 del 4 dicembre 2009 – avente tra l’altro contenuto ipotetico e sommario – sarebbe stato “sconfessato dagli atti successivi dell’Amministrazione, in primis dalla nota n. 655091 del 14.10.2011 e, da ultimo, dalla nota
del Servizio Difesa Idrogeologica del Territorio e Sicurezza Abitativa n. 17371 dell’8 gennaio 2018, che conferma il contenuto della prima, deducendo pertanto l’irrilevanza della nota n. 1433/2009.
Ed invero, con la nota n. 655091 del 14 ottobre 2011 del Servizio sicurezza geologica e sottosuolo si afferma a chiare lettere che “La realizzazione di via (omissis) non ha interessato il mammellone pozzolanico e pertanto non può aver generato fattori di instabilità del versante […]””, di seguito indicando le diverse cause dell’instabilità geologica dell’area.
Sotto altro concorrente profilo, non vale la mera produzione di documenti, non accompagnata da analitiche argomentazioni negli atti difensivi, ad assolvere sul punto l’onere probatorio di parte ricorrente.
Va infatti confermato il principio per cui le produzioni documentali svincolate da qualsiasi allegazione ed indicazione negli scritti difensivi vanno considerate tamquam non esset, avendo in ogni caso le parti l’onere di spiegare la valenza dimostrativa dei documenti che producono.
In questi casi, come costantemente ricordato dalla giurisprudenza di legittimità, mancando le necessarie indicazioni di parte, non vi è alcun obbligo da parte del giudice di esaminare i documenti, anche se idonei a giustificare illazioni e considerazioni rilevanti ai fini della decisione (“deve ribadirsi – in conformità, del resto, ad una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice – che il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte, interessata, ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte la impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione (cfr. Cass. 16 agosto 1990, n. 8304). Poiché nel vigente ordinamento processuale, caratterizzato dall’iniziativa della parte e dall’obbligo del giudice di rendere la propria pronunzia nei limiti delle domande delle parti, al giudice è inibito trarre dai documenti comunque esistenti in atti determinate deduzioni o indicazioni, necessarie ai fini della decisione, ove queste non siano specificate nella domanda, o – comunque – sollecitate dalla parte interessata (cfr. Cass. 12 febbraio 1994, n. 1419; Cass. 7 febbraio 1995, n. 1385. Nel senso che perché il giudice possa e debba esaminare documenti versati in atti lo stesso deve accertare, oltre la ritualità della produzione, cioè verificare che la produzione stessa sia avvenuta nel rispetto delle regole del contraddittorio, anche la esistenza di una domanda, o di una eccezione, espressamente basata su quei documenti, Cass. 22 novembre 2000, n. 15103, specie in motivazione”, ex multis, Cass. civ., Sez. un., 1° febbraio 2008, n. 2435; da ultimo, Cons. Stato, V, 29 aprile 2019, n. 2733).
7.2. Con il secondo motivo di appello si contesta la sussistenza dei presupposti di legge per l’adozione di un’ordinanza ex artt. 50 e 54 del Tuel, ossia la straordinarietà, l’urgenza, l’imprevedibilità e la contingibilità . Secondo gli appellanti, infatti, il potere sindacale di emettere ordinanze contingibili e urgenti presuppone delle situazioni, non tipizzate dalla legge, di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da un’istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, presupposti assenti nel caso di specie quanto al presupposto di un danno imminente.
Ciò emergerebbe dal contenuto di una nota interna dell’amministrazione (PG/2011/188990 del 24 marzo 2011, a firma del Dirigente del servizio sicurezza geologica e sottosuolo del Comune di Napoli) che a seguito di sopralluogo tenutosi in data 22 marzo 2011, segnalava “una relativa stabilità ” del costone interessato dallo smottamento, nonché “pareti verticali con modesta evoluzione morfologica”; del resto, anche la nota n. 655091 del 14 ottobre 2011 riportava che “le condizioni geomeccaniche di questi terreni sono caratterizzate da un elevato angolo d’attrito, per cui, in condizioni normali, sono stabili anche su versanti con accentuata acclività “.
Neppure questo motivo può essere accolto.
Come persuasivamente osservato dal Comune di Napoli dal tenore degli atti richiamati dagli appellanti non si desume in modo certo ed univoco l’assenza dei presupposti di legge per l’adozione di un’ordinanza contingibile ed urgente, atteso che la richiamata nota n. 188990 del 24 marzo 2011 si limitava semplicemente a precisare che, a differenza di quanto avveniva con altri tipi di suolo, in condizioni normali il costone pozzolanico di per sé non era franoso, sebbene lo potesse diventare per effetto del dilavamento delle piogge.
Va comunque ricordato che, ai fini dell’esercizio legittimo del potere di ordinanza sindacale contingibile e urgente ex art. 54, d.lgs. n. 267 del 2000, ciò che rileva è l’attualità della situazione di pericolo al momento dell’adozione del provvedimento sindacale nonché l’idoneità del provvedimento a porvi rimedio, mentre è irrilevante che la fonte del pericolo sia risalente nel tempo.
7.3. Con il terzo motivo di appello si sostiene che l’ordinanza impugnata non prevedesse alcun termine di efficacia in ordine alle opere che dovevano essere realizzate, il che avrebbe determinato l’assoluta genericità dello strumento sindacale e, in ultima analisi, la sua stessa potenziale arbitrarietà, con grave compromissione del principio di legalità .
Il motivo non merita favorevole considerazione.
Va in primo luogo ricordato che, se in linea di principio è connaturata alla natura del provvedimento di cui si tratta la temporaneità dell’efficacia, è pur vero che quest’ultima è comunque collegata al permanere dello stato di necessità, con l’unico evidente limite che il comando contenuto non può acquisire carattere di stabilità .
Per l’effetto, anche misure non preventivamente definite nel loro limite temporale devono considerarsi legittime, quando razionalmente collegate alla concreta situazione di pericolo accertata (Cons. Stato, V, 30 giugno 2011, n. 3922).
Anche la mancata predeterminazione delle opere che dovevano essere realizzate è coerente con la natura e le finalità dell’ordinanza di cui trattasi: da un lato infatti, quest’ultima presuppone una situazione di pericolo non immediatamente fronteggiabile con gli ordinari strumenti previsti dall’ordinamento ed è dunque connotata da atipicità dei contenuti; dall’altro, non avendo carattere di misura sanzionatoria, la stessa deve vincolare il soggetto obbligato nel modo meno incisivo possibile, il che può ben tradursi, a seconda dei casi, nell’opportunità da lasciare all’iniziativa di quest’ultimo la scelta dell’intervento ritenuto tecnicamente più appropriato.
E’ condivisibile quanto rilevato dal primo giudice, in ordine al fatto che “[…] l’individuazione delle opere necessarie all’eliminazione dello stato di pericolo viene dunque rimessa alla discrezionalità tecnica del professionista scelto dalla parte ricorrente – trattandosi di opere da eseguire sulla proprietà della medesima – che dovrà pertanto assumere non solo la responsabilità dell’attestazione dell’eliminazione dello stato di pericolo, ma anche e prima ancora della progettazione delle opere atte ad eliminare il pericolo medesimo”.
7.4. Con il quarto motivo di appello la sentenza impugnata è censurata per aver ritenuto irrilevante il riferimento all’art. 14 del Codice della Strada ed agli obblighi che il Comune, quale ente proprietario della strada in questione, avrebbe nei confronti degli utenti della medesima, atteso che tali obblighi “non escludono che, qualora lo stato di pericolo sia ricollegabile allo scivolamento di terreno dalla proprietà confinante, si impongano – anche con ordinanza contingibile ed urgente qualora ne ricorrano i presupposti – le necessarie opere di messa in sicurezza”.
Secondo gli appellanti, invece, l’amministrazione avrebbe eseguito l’opera pubblica “senza alcuna elementare quanto necessaria opera di messa in sicurezza delle scarpate a monte e a valle dell’asse stradale alle quali si estende l’onere di manutenzione del bene demaniale comunale”, non avendo implementato alcuna opera provvisionale per evitare smottamenti di terreno, con la conseguenza che questi ultimi dovrebbero essere imputati alla sola negligenza del Comune, il quale soltanto pertanto avrebbe dovuto provvedere alla messa in sicurezza del costone sovrastante la strada.
Neppure queste censure possono trovare accoglimento per difetto dei presupposti: è infatti persuasiva la difesa del Comune, che evidenzia come il declivio in questione coincida con il versante del rilievo pozzolanico preesistente alla strada stessa, con la conseguenza che la scarpata non è conseguenza della realizzazione della strada.
Ne consegue l’assenza di un obbligo di predisporre le tutele delle strade realizzate in trincea, facendo difetto il presupposto che la scarpata a monte fosse una diretta derivazione dei lavori di sbancamento.
7.5. Infine con il quinto motivo di appello la sentenza impugnata viene contestata per aver respinto l’istanza risarcitoria relativa al danno arrecato alla proprietà ricorrente dalla realizzazione della strada di cui è causa – strada in relazione alla quale era precedentemente intervenuto un provvedimento di acquisizione sanante – sul presupposto che tali richieste avrebbero dovuto essere fatte valere nella liquidazione del relativo indennizzo.
La norma invocata dal primo giudice (l’art. 32 del d.P.R n. 327 del 2001) infatti indicherebbe solo i criteri di determinazione del valore di un bene in sede di esproprio, senza però fare alcun cenno alla quantificazione di eventuali danni subiti o subendi dal medesimo bene.
Neppure questo motivo può trovare accoglimento: a prescindere infatti dalla specifica questione della riconducibilità o meno dell’importo del danno nell’indennità di esproprio, risulta dagli atti che la situazione di pericolo per la pubblica e privata incolumità deriva dall’instabilità del costone del rilevo pozzolanico, creatosi nel giro di decenni dall’accumulazione dei residui dell’attività estrattiva degli appellanti, a causa delle piogge.
Le frane e gli smottamenti del versante sono infatti preesistenti alla realizzazione strada, come risulta dalla stessa perizia a suo tempo prodotta dai ricorrenti – in tal senso è pertinente l’eccezione formulata dal Comune – laddove si legge che “le problematiche sollevate dal Comune scaturiscono, in buona sostanza, dal naturale trasporto solido delle acque di pioggia che non dava alcun problema quando i terreni sottostanti erano adibiti ad uso agricolo, mentre ora si deposita sul manto stradale per assenza delle elementari opere di protezione della strada”.
D’altro canto, l’instabilità del costone (negata dagli appellanti) trova ulteriore riscontro in una relazione tecnica allegata ad una domanda di permesso a costruire proposta dai medesimi “per un intervento di consolidamento di un costone prospettante via (omissis) fronte civico 45”, nella quale si assevera “che l’intervento da eseguire è il consolidamento corticale del costone prospiciente la Via (omissis) fronte civico 45, nella sola porzione individuata nei grafici allegati alla presente richiesta di permesso a costruire estesa per circa 2.200mq, mediante messa in opera di un rivestimento superficiale antierosivo, a protezione del materiale detritico di riporto, costituito da geostuoia (di colore beige), rete metallica e funi di acciaio di rinforzo (tipo MACMAT HS);
– che tale sistema di protezione, ancorato al terreno tramite tiranti in acciaio, prevede, previo taglio della vegetazione esistente, la posa in opera di teli in geocomposito costituiti da rete metallica a doppia torsione con funi di rinforzo posizionate sia lungo i bordi dei teli direte che al piede, al ciglio e longitudinalmente, accoppiati ad una geostuoia in filamenti di polipropilene termosaldati; i suddetti teli posti in opera saranno ancorati al ciglio del costone tramite risvolto orizzontale di circa 15m fino ad apposito fosso di guardia da rinterrare;
– che tale sistema permette la perfetta aderenza al terreno favorendone così il rinverdimento da realizzare attraverso idrosemina a spessore con la distribuzione ad alta pressione mediante motopompe volumetriche di una miscela costituita da acqua, sementi di specie erbacee e arbustive idonee, fertilizzante e leganti o collanti”.
8. Conclusivamente l’appello va respinto.
La complessità delle questioni esaminate giustifica eccezionalmente l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 9 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Giovanni Grasso – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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