Annullamento di un atto amministrativo per vizi procedimentali

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 10 febbraio 2020, n. 1035.

La massima estrapolata:

L’annullamento in sede giurisdizionale di un atto amministrativo per vizi procedimentali non impedisce all’Amministrazione di procedere alla rinnovazione del provvedimento giudicato illegittimo, purché emendato dal vizio riscontrato e, nel caso di procedimento contraddistinto da vari segmenti procedimentali, il vincolo derivante dalla statuizione di annullamento consiste nella riedizione della fase procedimentale colpita dall’annullamento; la facoltà di rinnovazione del procedimento circoscritta alle sole fasi viziate permette di conciliare l’esigenza di ripristinare la legalità amministrativa con il principio di conservazione degli atti giuridici, di economicità dell’azione amministrativa e di divieto di aggravamento del procedimento.

Sentenza 10 febbraio 2020, n. 1035

Data udienza 6 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1206 del 2014, proposto da
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza per Beni Architettonici e Paes. Province di Salerno e Avellino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
contro
Si. Bo. non costituito in giudizio;
nei confronti
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lo. Le., con domicilio eletto presso lo studio Pl. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania n. 1375/2013.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Lu. Fi. e Lo. Le.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – Con il ricorso notificato il 16 marzo 2010, Bo. Si. impugnava il decreto n. 34110 del 22 dicembre 2009, con il quale la Soprintendenza aveva annullato, ai sensi dell’art. 159 del D. Lgs. n. 42/2004, l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune di (omissis), avente ad oggetto la ristrutturazione di una tettoia e la realizzazione di altre opere edilizie in area dichiarata di interesso storico-archeologico e di notevole interesse pubblico ai sensi del D.M. del 14 luglio 1969.
1.1 – L’annullamento disposto dalla Soprintendenza trovava giustificazione nella ravvisata incompatibilità delle opere edilizie oggetto dell’autorizzazione con le norme di attuazione del P.T.P. vigente, le quali, con riferimento all’area in questione, vietano la realizzazione di nuove infrastrutture e/o l’incremento dei volumi già esistenti.
2 – Con la sentenza n. 1375 del 2013, il T.A.R. per la Campania, sezione di Salerno, accoglieva il ricorso, ed in particolare la censura con la quale si deduceva la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, ritenendo inoltre che l’oggettivo decorso del termine perentorio di decadenza di sessanta giorni, previsto per l’annullamento dell’autorizzazione paesistica, comportasse l’estinzione del potere amministrativo ed escludesse la sua riedizione.
3 – L’appello del Ministero avverso tale statuizione deve trovare solo parziale accoglimento, dovendosi confermare la sentenza impugnata nel punto in cui ha ravvisato l’illegittimità del provvedimento impugnato; dovendosi invece escludere che tale annullamento comporti l’impossibilità per il Ministero di esprimersi nuovamente.
3.1 – Quanto al primo aspetto, deve rilevarsi che l’onere di comunicare l’avvio del procedimento, oltre che previsto in via generale dall’art. 7 della l. 241/90, è ulteriormente affermato anche dalle norme che regolano lo specifico procedimento in esame.
Infatti, l’art. 159 del Codice dei Beni Culturali prevede che: “l’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione prevista dall’articolo 146, comma 2, dà immediata comunicazione alla soprintendenza delle autorizzazioni rilasciate, trasmettendo la documentazione prodotta dall’interessato nonché le risultanze degli accertamenti eventualmente esperiti. La comunicazione è inviata contestualmente agli interessati, per i quali costituisce avviso di avvio del procedimento ai sensi e per gli effetti dell’art. 7, legge 241190”.
Rispetto a tale norma, la giurisprudenza (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 30 del 2008) ha individuato, da una parte, un momento iniziale di ordine autorizzatorio, di competenza dell’ente territoriale delegato; dall’altra, un momento successivo, di verifica dell’autorizzazione rilasciata, appartenente alla competenza dell’Autorità statale con conseguente autonomia del procedimento innanzi a quest’ultima e prerogative connesse di partecipazione, attribuite specificamente al soggetto interessato, in un certo senso rinnovate rispetto a quelle della precedente fase svoltasi a seguito della sua domanda di autorizzazione innanzi all’ente territoriale delegato, concludendo che: “è illegittimo l’annullamento in sede statale dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata in sede regionale nel caso in cui risulti che l’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione, in violazione dell’art. 159, 1° comma del Codice dei Beni Culturali, non abbia dato immediata comunicazione del rilascio dell’autorizzazione agli interessati, per i quali la comunicazione stessa costituisce avviso di inizio di procedimento ex legge 7 agosto 1990, n. 241”.
3.2 – In fatto, con l’appello non si contesta che tale comunicazione sia mancata, sostenendo invece che, nel caso di specie, tale mancanza non avrebbe un effetto invalidante sul provvedimento.
Tale prospettazione deve essere disattesa.
Deve infatti ricordarsi che la Soprintendenza dispone di un’ampia discrezionalità tecnico – specialistica nel dare i pareri di compatibilità paesaggistica, tanto che il potere di valutazione tecnica esercitato è sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato (cfr. Cons. St., Sez. VI, n. 5844 del 2015).
Tale connotato del potere, già su di un piano astratto, implica che gli strumenti sulla partecipazione debbano trovare un’effettiva applicazione all’interno del procedimento, dove in via prioritaria deve essere riconosciuta la facoltà al privato di interloquire con l’amministrazione, prima che questa, nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale, incida la sua posizione giuridica.
3.4 – E’ noto che l’art. 21-octies, secondo comma, della l. n. 241 del 1990 prevede che: “Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
L’orientamento dominante è propenso ad estendere l’ambito applicativo di tale norma anche a fronte di un’attività discrezionale dell’amministrazione.
Circa l’operatività della citata disposizione, è altresì corretto il richiamo dell’appellante all’orientamento, condiviso dal Collegio, secondo cui l’interessato che lamenta la violazione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento ha anche l’onere di allegare e dimostrare che, se avesse avuto la possibilità di partecipare, egli avrebbe potuto sottoporre all’amministrazione elementi che avrebbero potuto condurla a una diversa determinazione da quella che invece ha assunto (cfr. Cons. St. n. 1060 del 2015; Cons. St. n. 2257 del 2012, che ha posto in rilievo come l’art. 21-octies deve essere interpretato “nel senso di evitare che l’amministrazione sia onerata in giudizio di una prova diabolica, e cioè della dimostrazione che il provvedimento non avrebbe potuto avere contenuto diverso in relazione a tutti i possibili contenuti ipotizzabili, per cui si deve comunque porre previamente a carico del privato l’onere di indicare, quanto meno in termini di allegazione processuale, quali elementi conoscitivi avrebbe introdotto nel procedimento, se previamente comunicatogli, onde indirizzare l’amministrazione verso una decisione diversa da quella assunta”).
Tuttavia, l’applicazione dell’esposto criterio non può essere meccanicistica ed avulsa dal più ampio contesto processuale nel quale viene in rilievo, dovendosi tenere conto della globalità delle censure contenute nel ricorso proposto dal privato, e non limitare l’indagine alla sola censura con la quale viene dedotta la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento.
Nel caso in esame, la lettura complessiva delle censure svolte dal ricorrente esclude categoricamente che questi si sia limitato a denunciare l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, senza premurarsi di indicare quali elementi egli avrebbe introdotto nel procedimento, ove avesse ricevuto l’avviso e il loro grado di incidenza sul contenuto sostanziale del provvedimento finale.
Viceversa, tenuto anche conto che le opere soggette al procedimento di autorizzazione paesaggistica consistono nella ristrutturazione di una tettoia preesistente e nella realizzazione di un vano pertinenziale completamente interrato, il contenuto delle ulteriori doglianze avverso il provvedimento impugnato, con le quali si contesta la valutazione negativa della soprintendenza – che possono essere così riassunte: a) irrilevanza paesistica delle opere e la conformità con il PTP del Cilento Costiero, in quanto in zona CIRA 3 non è vietata la ristrutturazione delle tettoie e tanto meno la realizzazione di un locale pertinenziale, interrato; b) insussistenza del contrasto con il D.M. 14.07.1969, che ha imposto il vincolo generico sul territorio di San Giovanni a Piro; c) insussistenza della dedotta carenza documentale e di istruttoria da parte del Comune – inducono a ritenere che le relative argomentazioni ben potevano essere valutate in sede procedimentale, posto che, quanto meno in astratto, appaiono idonee a portare ad un esito differente.
Del resto, in questa sede processuale, l’amministrazione non ha svolto alcuna difesa rispetto alle citate censure.
4 – Come anticipato, deve invece trovare accoglimento il secondo motivo di appello, con cui si contesta la statuizione del Giudice di primo grado circa la consumazione o estinzione del potere di controllo della Soprintendenza e l’impossibilità di rinnovare il procedimento in questione, seppur emendato dal vizio rilevato.
Al riguardo, il T.A.R. ha ritenuto che l’oggettivo decorso del termine perentorio di decadenza di sessanta giorni, previsto per l’annullamento dell’autorizzazione paesistica, comportasse l’estinzione del potere amministrativo ed escludesse la sua riedizione.
Deve darsi atto che la suddetta conclusione risulta conforme ad un orientamento della giurisprudenza secondo cui la rinnovazione del procedimento, quale “effetto consequenziale alla mancata notificazione dell’avviso ex art. 7, non appare condivisibile”, posto che “la violazione procedimentale non consente la rimessione in termini della Soprintendenza ai fini di un nuovo esercizio del suo potere di controllo” (Cons. St. sez. VI, n. 1575 del 2010).
4.1 – Appare tuttavia preferibile aderire al più recente orientamento di questo Consiglio (Cons. St., sez. IV, n. 3542 del 2013), che ha espresso il principio generale in base al quale “l’annullamento in sede giurisdizionale di un atto amministrativo per vizi procedimentali non impedisce all’Amministrazione di procedere alla rinnovazione del provvedimento giudicato illegittimo, purché emendato dal vizio riscontrato e, nel caso di procedimento contraddistinto da vari segmenti procedimentali, il vincolo derivante dalla statuizione di annullamento consiste nella riedizione della fase procedimentale colpita dall’annullamento; la facoltà di rinnovazione del procedimento circoscritta alle sole fasi viziate permette di conciliare l’esigenza di ripristinare la legalità amministrativa con il principio di conservazione degli atti giuridici, di economicità dell’azione amministrativa e di divieto di aggravamento del procedimento”.
Anche in casi analoghi a quella oggetto di causa, in cui viene in considerazione l’esigenza di contemperare il potere dell’amministrazione di esprimersi nuovamente dopo un annullamento giurisdizionale di un proprio atto ed il rispetto di un termine perentorio di esercizio del potere, la giurisprudenza si era già espressa nel senso che: “in base ai principi generali riguardanti gli effetti delle sentenze del giudice amministrativo, l’annullamento giurisdizionale di un atto tempestivamente emanato entro il prescritto termine perentorio, comporta che ben può l’Amministrazione esercitare nuovamente il suo potere emendando l’atto dai vizi che ne hanno determinato l’annullamento. Ciò è stato affermato dalla consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, per la quale: – l’annullamento in sede giurisdizionale del tempestivo atto statale di annullamento di un’autorizzazione paesaggistica, consente all’autorità statale di ripronunciarsi, entro il rinnovato termine perentorio previsto dalla legge (Adunanza Plenaria, 14 dicembre 2001, n. 9)” (Cons. St., sez.VI, n. 1549 del 2011).
Ne consegue che, pur dovendosi annullare il provvedimento impugnato, l’amministrazione potrà (dovrà ) riprovvedere tenendo conto delle osservazioni dell’appellante.
5 – L’accoglimento parziale dell’appello giustifica la compensazione delle spese di lite del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta accoglie in parte l’appello e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado nei limiti di cui in motivazione, compensando le spese di lite del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore

 

 

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