Ragioni impeditive all’applicazione dell’art. 10 bis L. n. 241/90

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 10 febbraio 2020, n. 1001.

La massima estrapolata:

Non sussistono ragioni impeditive all’applicazione dell’art. 10 bis L. n. 241/90 anche con riferimento al procedimento, regolato dall’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, per l’esame delle domande di autorizzazione alla installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica, sebbene si sia in presenza di una disciplina speciale tesa a consentire una decisione in tempi certi e rapidi.

Sentenza 10 febbraio 2020, n. 1001

Data udienza 6 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 10334 del 2019, proposto da
Wi. Tr. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Sa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), Regione Puglia non costituiti in giudizio;
Provincia di Taranto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Mi. Tr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento e la riforma
della sentenza n. 686 del 26 aprile 2019 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce, Sezione Prima, resa nel giudizio RG n. 30/16, proposto per l’annullamento, previa sospensione: – della nota prot. n. 2015/0009945 del 19.10.2015 del Responsabile del Servizio Tecnico Urbanistico del Comune di (omissis); – di ogni altro atto e provvedimento presupposto, consequenziale e comunque connesso e/o collegato, ivi compreso, se necessario ed ove occorrente, le disposizioni delle NTA del PRG, se ed ove non consentano il posizionamento di un impianto di telefonia mobile nell’area individuata;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Provincia di Taranto;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2020 il Cons. Francesco De Luca e udito per le parti l’avvocato Giuseppe Sartorio;
Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 cod. proc. amm.;
1. Con nota n. 2015/9945 del 19.10.2015 il Comune di (omissis), pronunciando su un’istanza di autorizzazione ai sensi dell’art. 87 D. Lgs. n. 259/03 per la realizzazione di un impianto di telefonia mobile su lotto sito in (omissis), via (omissis), identificato al catasto al fg. (omissis), p.lla (omissis), ha rilevato che:
– l’area interessata dall’intervento, in base al Piano Regolatore Generale, risultava destinata a Zona C – Edilizia di Completamento e di Espansione con fascia di rispetto stradale per m. 10 dalla via (omissis) e allargamento sede stradale;
– le norme tecniche di attuazione del PRG relativamente alla “Fascia di Rispetto Stradale” prescrivevano “… omissis… 2) non è consentita l’edificazione; 3) sono consentite le installazioni di canalizzazioni e la realizzazione di aree di sosta, di normali recinzioni, di siepi, nonché, previo parere favorevole della Commissione Consultiva Comunale ed approvazione da parte del C.C., la realizzazione di distributore di carburanti con i relativi accessori”;
– la distanza indicata sulla planimetria del manufatto da realizzare dal ciglio stradale risultava essere di m 6,80 (calcolata in asse al palo porta antenne con relativa fondazione).
Sulla base di tali rilievi l’Amministrazione comunale ha comunicato che la realizzazione dell’impianto in parola avrebbe dovuto rispettare quanto indicato nel PRG vigente, nonché ha dichiarato di allegare lo stralcio del PRG vigente, rappresentando, al contempo, la possibilità di prendere visione della tavola del PRG, delle NTA e del Regolamento Edilizio direttamente sul sito internet comunale, sezione Amministrazione trasparente.
2. La società Wi. Tel. SpA (oggi Wi. Tr. SpA, per brevità anche soltanto Wi.) ha proposto ricorso avverso la nota n. 2015/9945 cit., censurando:
– l’omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda ex art. 10 bis L. n. 241/90;
– l’impossibilità per l’Amministrazione di chiedere la presentazione di un progetto diverso da quello proposto dall’istante, potendo l’autorità amministrativa procedente determinarsi soltanto nel senso dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza di parte; nel caso di specie, invece, il Comune avrebbe illegittimamente invitato l’istante ad una nuova soluzione progettuale;
– l’omessa indicazione della disposizione delle NTA del PRG, con la quale l’intervento sarebbe risultato in contrasto a causa della violazione della fascia di rispetto stradale;
– l’inapplicabilità al caso di specie della norma del PRG richiamata nell’atto impugnato, non facendosi questione di edificazione, ma di installazione di impianti telefonici; in ogni caso, il palo porta antenne avrebbe dovuto considerarsi ammesso ai sensi della Circolare Ministeriale LL.PP. n. 5980 del 13.12.1970, che consentirebbe la realizzazione nelle fasce di rispetto stradale dei sostegni di linee telefoniche e telegrafiche;
– la necessità di qualificare il posizionamento di una infrastruttura per telefonia come volume tecnologico non assimilabile alle costruzioni, come opera di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16, comma 7, D.P.R. n. 380/2001, nonché come opera avente carattere di pubblica utilità ex art. 90 D. Lgs. n. 259/03, funzionale all’erogazione di un pubblico servizio ex art. 7 L. n. 205/2000, per propria natura, dunque, sottratta ai vincoli di rispetto stabiliti dal PRG per altre tipologie di costruzioni o edifici; in ogni caso, l’infrastruttura per telefonia si sarebbe tradotta in un impianto filiforme, non assimilabile ad un’edificazione, inidoneo a pregiudicare le esigenze di tutela sottese alle norme prescrittive delle fasce di rispetto stradale; in subordine, il ricorrente ha rilevato la dubbia compatibilità nazionale e comunitaria della disposizione tecnica rilevante nel caso di specie, ove intesa nel senso ostativo alla realizzazione dell’impianto.
La parte ricorrente ha altresì presentato istanza cautelare.
3. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), resistendo al ricorso e ritenendo, in particolare, che:
– l’atto impugnato fosse “un atto interlocutorio con cui la civica amministrazione leporanese invita la società di telefonia a ripresentare il progetto rispettando la fascia di rispetto prevista dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore ed apertamente violata con il progetto presentato” (pag. 6 atto di costituzione in giudizio), tenuto conto che l’intervento proposto sarebbe risultato “saldamente legato al suolo con scavi e fondazioni e quindi deve rispettare la prescritta distanza di m 10 dal ciglio stradale e non essere collocato in progetto a m 6,80” (pag. 7 atto di costituzione in giudizio);
– l’installazione delle antenne o tralicci per impianti di telefonia mobile fosse soggetta, sotto il profilo urbanistico, ai principi di carattere generale, ragion per cui antenne e tralicci di rilevanti dimensioni dovrebbero considerarsi strutture edilizie soggette a permesso di costruire, non collocabili in zone di rispetto o comunque soggette ad inedificabilità assoluta;
– attesa una distanza dell’impianto di telefonia mobile di m 6,80 dal ciglio stradale, “la Wi., in ogni caso, giammai avrebbe potuto rappresentare elementi tali da orientare l’amministrazione in modo diverso” (pag. 9 atto di costituzione), ragion per cui l’omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza non avrebbe potuto ritenersi causa di invalidità dell’atto impugnato;
– l’atto impugnato fosse adeguatamente motivato, richiamando la norma tecnica ritenuta violata, allegando copia del PRG vigente e rinviando al sito internet comunale per reperire il PRG, le NTA e il regolamento edilizio;
– l’impianto di telefonia non potesse essere assimilato ai sostegni di linee telefoniche e telegrafiche, con conseguente impossibilità di estendere al primo la deroga prevista per i secondi in tema di realizzazione nell’ambito delle fasce di rispetto stradale;
– fossero irrilevanti le argomentazioni svolte dal ricorrente con riguardo alle disposizioni del Codice della Strada, essendo preclusa nella specie la realizzazione dell’impianto sulla base delle diverse NTA del PRG.
4. Si è costituita in giudizio anche la Provincia di Taranto, al fine di resistere al ricorso.
5. L’istanza cautelare presentata dalla ricorrente è stata rigettata dal Tar con ordinanza confermata da questo Consiglio, “considerato che nelle more del giudizio di merito, considerate le ragioni del diniego e la natura degli interessi sottesi alla fascia di rispetto stradale, prevale l’esigenza di lasciare inalterata la situazione di fatto” (Consiglio di Stato, sez. VI, ord. n. 1673/2016).
6. Il Tar, a definizione del giudizio, con la sentenza appellata ha rigettato il ricorso, tenuto conto che:
– il provvedimento emanato dall’Ente civico non avrebbe potuto avere un contenuto diverso, attesa la natura oggettiva della violazione accertata, con la conseguenza che il mancato invio del preavviso di diniego non costituiva vizio in grado di determinarne l’annullamento;
– il tenore letterale dell’atto impugnato conduceva a qualificare la nota comunale come provvedimento di rigetto dell’istanza di parte, con la conseguente infondatezza della denunciata violazione dell’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso di diniego o di accoglimento;
– non sussisteva la violazione dell’obbligo motivazionale e comunque risultava desumibile la NTA violata: difatti, la parte ricorrente aveva preso cognizione del contenuto della NTA ostativa all’accoglimento dell’istanza, argomentando sul punto; peraltro, lo stesso provvedimento comunale aveva allegata una copia stralcio del PRG, rimandando pure al sito internet ufficiale, area Amministrazione trasparente, per la presa visione dello stesso PRG, delle NTA e del Regolamento edilizio;
– la qualificazione dell’opera come opera di urbanizzazione primaria non comportava l’inapplicabilità dei vincoli imposti dal PRG, avendo la giurisprudenza riconosciuto la legittimità delle restrizioni all’installazione degli impianti di telefonia sul territorio comunale purché non generalizzate;
– risultavano non conferenti le censure concernenti le distanze previste dal codice della strada, atteso che il Comune non aveva posto l’art. 16 del CdS alla base del diniego e, quanto all’art 28, il Comune non aveva attivato la procedura prevista per tale ipotesi derogatoria;
– la struttura in esame non poteva essere ricondotta ai “sostegni di linee telefoniche”, in ragione delle sue dimensioni, facendosi questione di palo poligonale metallico alto circa 18 metri, ancorato ad una fondazione completamente interrata con apparecchiature radio elettroniche contenute in speciali armadi out – door posizionati su travi di ripartizione dei carichi fissate ad un basamento in cl.
7. La Wi. ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado, articolando quattro motivi di impugnazione.
Con il primo motivo (rubricato “violazione di legge – violazione e mancata applicazione dell’art. 10 bis della legge n. 241/90, come introdotto dalla legge n. 15/05 – eccesso di potere – difetto assoluto di motivazione – violazione e mancata applicazione del d.lgs 259/03 – erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto – difetto assoluto di istruttoria”) l’appellante ha censurato l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui ha ritenuto non invalidante l’omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di autorizzazione ex art. 10 bis L. n. 241/90, nonostante sussistessero nella specie “legittimi dubbi fatti valere dalla odierna appellante nel ricorso in Prime Cure”, tali da imporre un loro approfondimento in sede procedimentale nel contraddittorio tra le parti, prima dell’emanazione dell’atto finale.
Con il secondo motivo (rubricato “violazione di legge – violazione degli artt. 7, 8 e 10 della legge n. 241/90 – violazione e mancata applicazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 – eccesso di potere – difetto assoluto di motivazione – violazione e mancata applicazione del d.lgs 259/03 – violazione e mancata applicazione dell’art. 93 del d.lgs 259/03 – eccesso di potere – erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto – difetto assoluto di istruttoria”) l’appellante ha censurato l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto congruamente motivato il provvedimento impugnato, nonostante l’omessa indicazione della disposizione delle NTA del PRG con cui l’intervento proposto sarebbe stato incompatibile; né avrebbe potuto ritenersi sanato il relativo vizio di legittimità in considerazione delle contestazioni sollevate dal ricorrente in prime cure in ordine al contenuto della NTA asseritamente violato, tenuto conto che “la Wi., preso atto che le veniva opposta la violazione delle distanze dalla strada, si è genericamente opposta a tale motivo ostativo, senza però rinunciare allo specifico motivo di ricorso (il terzo), fondato proprio sulla mancata indicazione della specifica norma che si assumeva violata” (pag. 8 appello).
Con il terzo motivo (rubricato “violazione di legge – violazione della circolare ministeriale ll.pp. n. 5980 del 13/12/1970 – violazione dell’art. 86 del codice delle comunicazioni approvato con d.lgs. 1.8.2003 n. 259/2003 – violazione dell’art. 87 ed art. 93 del d.lgs. 259/2003 – violazione della normativa comunitaria – violazione e falsa applicazione del d.p.c.m. 8.7.2003 – violazione e falsa applicazione art. (omissis) l. 22.2.2001 n. 36 -illegittimità derivata – eccesso di potere – incompetenza – difetto assoluto di istruttoria – carenza di motivazione – violazione dell’art. 41 cost. – sviamento”) l’appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto di non poter assimilare l’impianto di telefonia ai sostegni di linee telefoniche, per i quali è ammessa la deroga alle fasce di rispetto stradale, nonostante non sussistesse alcun limite dimensionale idoneo a differenziare i due tipi di intervento; pertanto, secondo la prospettazione dell’appellante, sarebbe stato necessario qualificare come “sostegni di linee telefoniche” sia le installazioni all’epoca utilizzate quale supporto per la telefonia fissa, sia quelle normalmente utilizzate all’attualità per impianti a servizio del servizio pubblico di telefonia mobile.
Con l’ultimo motivo (rubricato “violazione di legge – violazione e falsa applicazione delle nta del PRG del comune di (omissis) – travisamento assoluto dei presupposti in fatto e in diritto – violazione dell’art. 86 del codice delle comunicazioni – difetto assoluto di motivazione – omessa istruttoria – eccesso di potere – sviamento di potere – illogicità manifesta – eccesso di potere – violazione del giusto procedimento”) l’appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha ritenuto applicabile nella specie una norma tecnica (genericamente invocata dal Comune) riferibile alle sole costruzioni e opere di edificazione, categorie cui non sarebbe stato riconducibile l’impianto tecnologico progettato dall’appellante, da assimilare ai pali di illuminazione o alle altre strutture filiformi tecnologiche poste a servizio della pubblica utilità o della pubblica viabilità, suscettibili di essere ubicate anche a ridosso del ciglio stradale.
Peraltro, secondo la prospettazione dell’appellante, nella specie si farebbe questione di infrastruttura per telefonia costituente: a) volume tecnologico non assimilabile alle costruzioni, b) opera di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16, comma 7, D.P.R. n. 380/2001, nonché c) opera avente carattere di pubblica utilità ex art. 90 D. Lgs. n. 259/03, funzionale all’erogazione di un pubblico servizio ex art. 7 L. n. 205/2000, per propria natura, dunque, sottratta ai vincoli di rispetto stabiliti dal PRG per altre tipologie di costruzioni o edifici; la natura di impianto filiforme, non assimilabile ad un’edificazione, manifesterebbe, infine, l’inidoneità della struttura a pregiudicare le esigenze di tutela sottese alle norme prescrittive delle fasce di rispetto stradale, come previste anche dal Codice della Strada; in subordine, il ricorrente ha rilevato la dubbia compatibilità nazionale e comunitaria della disposizione tecnica rilevante nel caso di specie, ove intesa nel senso ostativo alla realizzazione dell’impianto; sarebbe, invece, inconferente il rinvio operato dal giudice di primo grado alla potestà comunale in materia di limitazioni specifiche all’attività di installazione di impianti radio base per la telefonia ex art. 36 della legge 22 febbraio 2001, n. 36, tenuto conto che nella specie non si farebbe questione di inosservanza ad un regolamento ai sensi dell’art. 36 della legge n. 36/2001 (che non sarebbe mai stato emanato dall’ente comunale appellato), bensì di asserita incompatibilità del progetto presentato con generici divieti di PRG.
L’appellante ha, altresì, articolato un’istanza cautelare, allegando, a fondamento del periculum in mora, l’impedimento della fruizione del segnale telefonico, oltre che l’impossibilità di realizzare e adeguare la Rete telefonica Wi., con incidenza negativa sulla funzionalità della propria rete, con allungamento dei tempi di ripristino di tutti i servizi, anche di quelli minori, e con una penalizzazione del livello di servizio offerto alla utenza.
8. Con atto del 30.1.2020 si è costituita in giudizio la Provincia di Taranto, limitandosi a resistere all’appello con riserva di meglio controdedurre in corso di giudizio.
9. All’udienza del 6 febbraio 2020, previo avviso ex art. 60 c.p.a. in ordine alla possibile definizione del giudizio in esito all’udienza cautelare, la causa è stata trattenuta in decisione.
10. Ai sensi dell’art. 60 c.p.a. ricorrono i presupposti per la definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata in esito all’udienza cautelare, tenuto conto che: a) risultano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, b) sono depositate in giudizio le prove dell’avvenuta notificazione dell’appello a mezzo di posta elettronica certificata, nonché c) non ricorrono esigenze istruttorie da soddisfare in sede impugnatoria.
Il Collegio ritiene assorbente la fondatezza del primo motivo di appello, con cui è contestata l’erroneità della sentenza impugnata, per aver ritenuto che l’omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza ex art. 10 bis L. n. 241/90 non determinasse l’annullamento del provvedimento impugnato in primo grado.
11. Preliminarmente, deve evidenziarsi come il capo di sentenza con cui il Tar ha riconosciuto natura decisoria al provvedimento impugnato in prime cure non è stato specificatamente contestato in appello, sicché risulta ormai incontrovertibile, per avvenuta formazione del giudicato interno, il carattere di diniego da riconoscere alla nota n. 2015/9945 del 19 ottobre 2015, con cui il Comune appellato ha comunicato che la realizzazione dell’impianto in parola avrebbe dovuto rispettare quanto indicato nel PRG vigente.
In particolare, il Tar ha rilevato che “il tenore letterale dell’atto impugnato non lascia adito a dubbi in ordine al rigetto dell’istanza, attesa la violazione della norma delle NTA del PRG relativa alla fascia di rispetto stradale”: tale statuizione non risulta essere stata specificatamente contestata in appello, ragion per cui l’accertamento ivi contenuto deve ritenersi passato in giudicato e, pertanto, non più revocabile in dubbio.
Trattasi, in ogni caso, di una statuizione corretta, tenuto conto che l’Amministrazione comunale, comunicando la necessità che il progetto presentato dall’operatore economico rispettasse quanto indicato nel PRG e rilevando che, a fronte di una prescrizione del PRG riferita ad una fascia di rispetto stradale di 10 metri, la localizzazione dell’impianto tecnologico proposto dall’odierno appellante presentava una distanza di 6,80 metri, ha implicitamente rigettato l’istanza di autorizzazione presentata dalla Wi., non potendo assentirsi un progetto incompatibile con le prescrizioni del piano regolatore generale ritenute applicabili nella specie.
Ricorrono, in particolare, gli estremi del provvedimento implicito, come ricostruiti dalla giurisprudenza amministrativa formatasi in materia, che pretende: “a) che debba pregiudizialmente esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà (affidata ad un atto amministrativo formale o anche ad un comportamento a sua volta concludente), da cui possa desumersi l’atto implicito: e ciò in quanto la rilevanza relazionale dei comportamenti amministrativi deve essere apprezzata, in termini necessariamente contestualizzati, nel complessivo quadro dell’azione amministrativa; b) che, per un verso, la manifestazione di volontà a monte provenga da un organo amministrativo competente e nell’esercizio delle sue attribuzioni e, per altro verso, nella stessa sfera di competenza rientri l’atto implicito a valle (non palesandosi, in difetto, lecita la valorizzazione del nesso di presupposizione); c) che non sia normativamente imposto il rispetto di una forma solenne, dovendo operare il generale principio di libertà delle forme (arg. ex art. 21 septies cit.); d) che dal comportamento deve desumersi in modo non equivoco la volontà provvedimentale, dovendo esistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra atto implicito e atto presupponente, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile di quello espresso (non potendo attivarsi, in difetto, il meccanismo inferenziale di necessaria implicazione); e) che, in ogni caso, emergano e factis (avuto riguardo al concreto andamento dell’iter procedimentale e alle effettiva acquisizioni istruttorie: cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1034/2018 cit.) gli elementi necessari alla ricostruzione del potere esercitato” (Consiglio di Stato, sez. V, 23 agosto 2019, n. 5822).
Nella specie ricorrono tutti i requisiti richiamati ai fini della configurazione di una decisione amministrativa implicita, tenuto conto che, da un lato, sussiste una manifestazione espressa di volontà provvedimentale enucleata nella nota n. 2015/9945, proveniente dall’organo comunale di cui non è contestata la competenza a provvedere, dall’altro, la decisione di rigetto dell’istanza di autorizzazione rappresenta l’unica conseguenza possibile della nota n. 2015/9945, non potendo assentirsi un progetto reputato dall’Amministrazione incompatibile con le pertinenti previsioni del PRG; in ogni caso, fermo rimanendo il principio di libertà delle forme, la sussistenza di un provvedimento di diniego desumibile dalla nota n. 2015/9945 è acclarata dalle stesse difese svolte dal Comune in primo grado, incentrate sulla distanza dell’impianto di telefonia mobile da progetto a m 6,80 dal ciglio stradale, tale per cui “la Wi., in ogni caso, giammai avrebbe potuto rappresentare elementi tali da orientare l’amministrazione in modo diverso” (pag. 9 atto di costituzione), a conferma della sussistenza di un provvedimento di diniego emesso a conclusione del procedimento avviato ad istanza della Wi..
12. Acclarata l’esistenza di un provvedimento di diniego, occorre esaminare l’applicabilità nella specie dell’art. 10 bis L. n. 241/90, oggetto del primo motivo di appello.
A giudizio del Tar, “l’art. 10 bis, l. 7 agosto 1990, n. 241, deve essere valutato dal giudice amministrativo avendo riguardo al successivo art. 21 octies, relativo alla non annullabilità degli atti per omessa comunicazione di avvio (cui è da assimilare il mancato preavviso di rigetto) laddove l’Amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto dispositivo dell’atto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (ex multis: C. di St. n. 3948/2016; Tar Brescia n. 1494/2017).
Ancora, ai sensi del predetto art. 21 octies comma 2, il mancato invio del preavviso di diniego è irrilevante a fronte del carattere vincolato del provvedimento (cfr. Tar Milano 78/2016).
Inoltre, nella prospettiva del buon andamento dell’azione amministrativa, il privato non può limitarsi a denunciare la mancata o incompleta comunicazione del preavviso di rigetto, ma è anche tenuto ad allegare gli elementi, fattuali o valutativi, che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento (ex plurimis: T.A.R. Napoli n. 3306/2016)”.
Orbene, nella fattispecie in esame, il provvedimento emanato dall’Ente civico non avrebbe potuto avere un contenuto diverso, attesa la natura oggettiva della violazione accertata. Conseguentemente, il mancato invio del preavviso di diniego non costituisce vizio in grado di determinarne l’annullamento”.
L’appellante censura l’erroneità della sentenza, rilevando la sussistenza nella specie di “legittimi dubbi fatti valere dalla odierna appellante [soltanto] nel ricorso in Prime Cure” (pag. 6 appello), che avrebbero dovuto imporre un approfondimento in sede procedimentale nel contraddittorio tra le parti, prima dell’emanazione dell’atto finale.
La contestazione risulta fondata.
Come già precisato da questo Consiglio (Sez. III, 28 gennaio 2014, n. 418 e, seppure con riferimento al procedimento di cui all’art. 87-bis, D.L.vo n. 259/2003, Sez. VI, 27 maggio 2019, n. 3453, con argomentazioni comunque riferibili anche al caso di specie), non sussistono ragioni impeditive all’applicazione dell’art. 10 bis L. n. 241/90 anche con riferimento al procedimento, regolato dall’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003, per l’esame delle domande di autorizzazione alla installazione di infrastrutture di comunicazione elettronica, sebbene si sia in presenza di una disciplina speciale tesa a consentire una decisione in tempi certi e rapidi.
L’art. 10 bis cit. ha la funzione di assicurare un’effettiva partecipazione dell’istante all’esercizio del potere amministrativo, sollecitando un contraddittorio procedimentale in funzione collaborativa e difensiva.
Attraverso la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza di parte e la conseguente interruzione dei termini di conclusione del procedimento, si assicura all’istante la possibilità di controdedurre (con osservazioni e documenti) rispetto alle ragioni impeditive illustrate dall’organo procedente.
In tale modo, da un lato, si garantisce un apporto collaborativo del privato mediante l’introduzione di elementi istruttori o deduttivi suscettibile di apprezzamento da parte dell’organo procedente, dall’altro, si consente l’anticipata acquisizione in sede procedimentale di contestazioni (di natura difensiva) suscettibili di evidenziare eventuali profili di illegittimità delle ragioni ostative preannunciate dall’Amministrazione.
L’applicazione dell’art. 10 bis cit. permette, dunque, all’organo procedente di esaminare anticipatamente le deduzioni svolte dall’istante, al fine di pervenire ad una motivata decisione idonea a statuire su tutti i profili controversi influenti sulla regolazione del rapporto amministrativo.
Come correttamente rilevato dal Tar, la disciplina dettata dall’art. 10 bis cit. deve essere, tuttavia, coordinata con le previsioni di cui all’art. 28 octies, comma 2, L. n. 241 del 1990, dovendosi accogliere un’interpretazione funzionale delle disposizioni in tema di partecipazione procedimentale, al fine di evitare l’annullamento di provvedimenti che, benché assunti in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti, presentino comunque un contenuto dispositivo che non avrebbe potuto comunque essere diverso da quello in concreto adottato.
Al riguardo, questo Consiglio ha precisato come “L’istituto del c.d. preavviso di rigetto, di cui all’art. 10-bis della stessa legge n. 241 del 1990 ha lo scopo di far conoscere all’amministrazione procedente le ragioni fattuali e giuridiche dell’interessato che potrebbero contribuire a far assumere una diversa determinazione finale, derivante dalla ponderazione di tutti gli interessi in gioco; tuttavia, tale scopo viene meno ed è di per sé inidoneo a giustificare l’annullamento del provvedimento nei casi in cui il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, sia in quanto vincolato, sia in quanto, sebbene discrezionale, sia raggiunta la prova della sua concreta e sostanziale non modificabilità (ex multis: Cons. Stato, Sez. III, n. 4532 del 2015).
In altri termini, l’art. 10-bis, l. 7 agosto 1990, n. 241, così come le altre norme in materia di partecipazione procedimentale, va interpretato non in senso formalistico, ma avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione, sicché il mancato o l’incompleto preavviso di rigetto non comporta l’automatica illegittimità del provvedimento finale, quando, in ipotesi, come nella specie, possa trova applicazione l’art. 21-octies della stessa legge, secondo il quale il giudice non può annullare il provvedimento per vizi formali, che non abbiano inciso sulla legittimità sostanziale di un provvedimento, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (ex multis: Cons. Stato, IV, 27 settembre 2018, n. 5562; Cons. Stato, IV, 31 gennaio 2012, n. 480).
Infatti, la ratio dell’art. 21-octies, eloquente espressione dell’evoluzione del giudizio amministrativo dall’atto al rapporto, attraverso la dequotazione dei vizi formali dell’atto, è proprio quella di garantire una maggiore efficienza all’azione amministrativa risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all’attribuzione del bene della vita richiesto dall’interessato.” (Consiglio di Stato, sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 256).
La lettura combinata degli artt. 10 bis e 21 octies, comma 2, L. n. 241/90, dunque, consente di escludere l’annullabilità del provvedimento, qualora, per la natura vincolata o comunque per la dimostrata non modificabilità del suo contenuto dispositivo, in sede di riedizione del potere non si potrebbe addivenire ad una decisione differente da quella concretamente adottata.
In siffatte ipotesi, la sollecitazione del contraddittorio procedimentale -attraverso la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza- risulterebbe effettivamente inutile e l’annullamento del provvedimento si tradurrebbe in un’antieconomica duplicazione di attività amministrativa, tenuto conto che, in caso di caducazione dell’atto impugnato, nella fase di riedizione del potere, la nuova decisione da assumere non potrebbe avere un contenuto dispositivo diverso da quello caratterizzante la decisione annullata, attesta l’accertata infondatezza della pretesa sostanziale azionata dal privato.
Tale condizione non può ritenersi integrata, tuttavia, qualora l’Amministrazione, omettendo il preavviso di rigetto ex art. 10 bis cit., non abbia statuito su questioni fattuali o giuridiche, che avrebbero potuto essere dedotte dall’istante in sede di partecipazione procedimentale e che, in ipotesi, avrebbero potuto condurre ad una decisione differente da quella in concreto adottata.
In siffatte ipotesi, si è in presenza di obiezioni (di fatto o di diritto) alla decisione assunta, non esaminate dall’organo procedente, suscettibili di essere introdotte nell’ambito del procedimento nel pieno svolgimento della partecipazione dell’istante all’esercizio del potere (in funzione difensiva e collaborativa), nonché idonee, in astratto, ad influire sul contenuto dispositivo del provvedimento assunto.
La comunicazione di avvio del procedimento in tali circostanze non si traduce in un adempimento inutile ed antieconomico, permettendo, invece, all’organo procedente di esaminare compiutamente le questioni implicate nel caso di specie, onde pervenire ad una decisione completa, statuente sui vari punti controversi incidenti sulla regolazione del rapporto amministrativo, già oggetto di confronto tra le parti in sede procedimentale.
Con riferimento ad una controversia analoga a quella di specie, in cui si dubitava della possibilità di applicare nel caso concreto le disposizioni in tema di fasce di rispetto stradale, questo Consiglio, in ragione della controversa sussumibilità della fattispecie concreta sotto la previsione astratta in tema di fasce di rispetto stradale, ha evidenziato l’essenzialità del confronto procedimentale tra le parti, da assicurare attraverso la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza: “Non risulta invero condivisibile la tesi di parte appellante in merito all’inutilità della fase di cui al preavviso di diniego, motivata in particolare dalla partecipazione garantita alle società appellate nel corso del procedimento e dalla natura vincolata dall’attività amministrativa, consistente nella misura della fascia di rispetto impeditiva dell’attività edificatoria. Invero, come correttamente rilevato dal primo giudice, emerge che già nel corso del procedimento si erano manifestate, anche all’interno della stessa società [omissis], posizioni divergenti in ordine all’interpretazione della normativa applicabile alla fattispecie, essendo incerta l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 285/92 (“Codice della strada” – C.d.S.) e all’art. 26, co. 3, del d.P.R. n. 495/1992 (“Regolamento di esecuzione e di attuazione del nuovo Codice della strada” – reg.att. C.d.S.), in ragione di quanto previsto dall’art. 234, c. 5, C.d.S. 8.2. La presenza di opposte interpretazioni è di per sé indice della natura discrezionale dell’attività di espressione del parere da parte dell'[…], ponendosi la decisione di diniego “a valle” della risoluzione della menzionata questione ermeneutica. L’apporto partecipativo da parte delle società interessate, a mezzo delle osservazioni eventualmente dalle stesse prodotte in risposta al c.d. preavviso di rigetto, può pertanto rivestire un ruolo fondamentale (o quanto meno rilevante) nella dinamica della deliberazione, considerando peraltro che, nel corso del procedimento presupposto, le stesse società, seppur coinvolte, non erano mai state messe al corrente delle specifiche ragioni per cui […] ritenesse non applicabile la fascia di rispetto di 30 m.” (Consiglio di Stato, sez. IV, 7 novembre 2019, n. 7602).
L’applicazione di tali coordinare ermeneutiche al caso di specie dimostra come la comunicazione di avvio del procedimento abbia impedito al Comune appellato di acquisire deduzioni difensive della parte istante, idonee ad introdurre nuovi temi di indagine, non esaminati dall’Amministrazione nel provvedimento finale e, in ipotesi, idonei a condurre ad una decisione differente da quella in concreto emessa.
In particolare, come emergente già dai motivi di ricorso introdotti dinnanzi al Tar, Wi. ha contestato la possibilità di applicare agli impianti di telefonia mobile la disciplina in tema di fasce di rispetto stradale, in particolare, sostenendo la necessità di qualificare il posizionamento di una infrastruttura per telefonia dalle caratteristiche analoghe a quella di specie come volume tecnologico non assimilabile alle costruzioni, come opera di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16, comma 7, D.P.R. n. 380/2001, nonché come opera avente carattere di pubblica utilità ex art. 90 D. Lgs. n. 259/03, funzionale all’erogazione di un pubblico servizio ex art. 7 L. n. 205/2000.
Alla stregua di tali considerazioni Wi. ha, quindi, ritenuto che l’installazione dell’impianto di telefonia quale quello di specie, per propria natura, da un lato, si traducesse nella realizzazione di un impianto filiforme, non assimilabile ad un’edificazione, inidoneo a pregiudicare le esigenze di tutela sottese alle norme prescrittive delle fasce di rispetto stradale; dall’altro, dovesse ritenersi sottratta ai vincoli di rispetto stabiliti dal PRG per altre tipologie di costruzioni o edifici; lo stesso operatore economico ha al contempo rappresentato, in subordine, che la disposizione tecnica invocata dall’Amministrazione comunale, ove intesa nel senso ostativo alla realizzazione dell’impianto, avrebbe dovuto ritenersi di dubbia compatibilità con la disciplina nazionale e comunitaria.
Tali deduzioni difensive, aventi ad oggetto questioni giuridiche e fattuali – rappresentati dal coordinamento tra la disciplina edilizia e urbanistica con la disciplina unionale e nazionale in tema di comunicazioni elettroniche, avuto riguardo alle caratteristiche, anche dimensionali, dell’impianto di telefonia in concreto progettato dalla Wi. – da un lato, non sono state esaminate dall’Amministrazione nell’ambito del provvedimento di diniego impugnato in primo grado, dall’altro, in ipotesi, risultavano suscettibili di condizionare la decisione da assumere all’esito del procedimento.
In tali casi, la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, lungi dal tradursi in un adempimento inutile, avrebbe consentito all’Amministrazione di acquisire le osservazioni della parte istante, in astratto idonee ad influire sul contenuto dispositivo della decisione in concreto da assumere; l’organo procedente avrebbe potuto comunque determinarsi negativamente, ma sulla base del compiuto esame delle ulteriori questioni fattuali e giuridiche introdotte dall’istante mediante gli istituti di partecipazione procedimentale.
Nella specie, pertanto, non può reputarsi che, in caso di avvenuta comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, il contenuto dispositivo della decisione non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, tenuto conto che l’Amministrazione, omettendo il preavviso di rigetto, non ha acquisito preventivamente, né conseguentemente ha esaminato nell’ambito del provvedimento, obiezioni (di fatto o di diritto) suscettibili di essere introdotte nell’ambito del procedimento nel pieno svolgimento della partecipazione procedimentale (in funzione difensiva e collaborativa), idonee, in astratto, ad influire sul contenuto dispositivo del provvedimento assunto.
L’annullamento del provvedimento impugnato in primo grado, in quanto determinato da violazioni procedimentali, lascia impregiudicati gli ulteriori provvedimenti adottabili nella fase di riedizione del potere, rimanendo nella competenza dell’Amministrazione l’esame e la decisione delle questioni che l’operatore economico è stato in condizione di dedurre per la prima volta soltanto in sede giurisdizionale (il che è proprio quanto intende evitare il legislatore mediante la prescrizione del preavviso di rigetto, occorrendo assicurare già in sede procedimentale il contraddittorio sulle questioni idonee ad influire sulla decisione da assumere in concreto).
13. Le spese di lite, nei rapporti tra l’appellante e il Comune appellato, seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Con riferimento ai rapporti tra l’appellante, la Regione e la Provincia, sussistono giusti motivi di compensazione, tenuto conto che il provvedimento impugnato è ascrivibile alla sfera volitiva dell’ente comunale.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso in primo grado, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.
Condanna il Comune di (omissis) al pagamento in favore della Wi. Tr. Spa delle spese del doppio grado di giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 2.000,00 (duemila/00) oltre IVA e CPA; compensa le spese processuali del doppio grado di giudizio nei rapporti tra l’appellante, la Regione Puglia e la Provincia di Taranto.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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