Impugnazione del titolo edilizio ordinario

Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 21 ottobre 2019, n. 7151.

La massima estrapolata:

Nel caso d’impugnazione del titolo edilizio ordinario, il termine di decadenza decorre: – dall’inizio dei lavori, allorché si contesti l’an dell’edificazione;- là dove se ne contesti il quomodo, da quando – con il completamento o con il grado di sviluppo dei lavori – sia materialmente apprezzabile la reale portata dell’intervento in precedenza assentito e sia dunque giuridicamente configurabile l’inerzia rispetto alla possibilità di ricorrere.

Sentenza 21 ottobre 2019, n. 7151

Data udienza 30 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9857 del 2007, proposto dai signori Ma. Gi. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Do. Ge., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Ga. in Roma, via (…);
contro
la società Pi. Co. S.a.s. di Pi. Ma., in persona del legare rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato Ra. Si., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ca. Mi. in Roma, piazza (…);
Comune di (omissis), non costituitosi in giudizio;
nei confronti
della Regione Basilicata, rappresentata e difesa dall’avvocato Fa. De., dell’Avvocatura regionale;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata n. 517 del 2007;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 30 aprile 2019 il Cons. Silvia Martino;
Udito l’avvocato Pa. su delega dichiarata dell’avvocato Ra. Si.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Gli odierni appellanti impugnavano innanzi al TAR per la Basilicata il permesso di costruire, rilasciato il 24 febbraio 2005, con il quale il Comune di (omissis) aveva autorizzato il dante causa della Pi. Co. s.a.s. a ristrutturare e sopraelevare il fabbricato, identificato nel Catasto fabbricati del Comune resistente al foglio n. (omissis), particella n. (omissis).
Deducevano:
– la violazione degli artt. 13 e 31, comma 1, del vigente Piano di Recupero (approvato con D.P.G.R. n. 227 del 29 giugno 2001), degli artt. 5, comma 2, lett. f), 12, comma 1, e 90 d.P.R. n. 380/2001, dell’art. 14 l. n. 64/1974, del punto C.9.1 del d.m. 16 gennaio 1996 (Norme Tecniche per le costruzioni sismiche), dell’art. 3 l. n. 241/1990, dell’art. 97 Cost.;
– l’incompetenza (per la partecipazione del dott. An. Am., il quale aveva redatto la Relazione geologica del progetto poi autorizzato con il permesso di costruire del 24 febbraio 2005, alla seduta della Commissione Edilizia del 6 marzo 2003);
– l’eccesso di potere per difetto dei presupposti, difetto e/o insufficiente istruttoria, omessa e/o carente motivazione, arbitrarietà, illogicità e irragionevolezza manifesta.
Nel frattempo con istanza del 1 luglio 2005 la Pi. Co. S.a.s. presentava istanza ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380/2001 in relazione a talune difformità rilevate nel corso di un sopralluogo della Polizia Municipale.
Con un primo e un secondo atto di motivi aggiunti gli originari ricorrenti impugnavano anche il permesso di costruire in sanatoria del 14 novembre 2005, il “deposito” in sanatoria eseguito dalla società il 3 novembre 2005 presso l’Ufficio Difesa del Suolo della Regione Basilicata Sezione di (omissis), il parere favorevole espresso dalla Commissione Edilizia nella seduta dell’11 luglio 2005 e l’atto d’obbligo notarile allegato al predetto permesso di costruire in sanatoria.
Deducevano, oltre agli stessi motivi già articolati con il ricorso principale:
– la violazione dell’art. 1127, comma 2, c.c., dell’art. 1 l. n. 241/1990, degli artt. 16, 17, 20 e 36 d.P.R. n. 380/2001, degli artt. 3 e 4 del Regolamento Edilizio comunale, dell’art. 10 della l. n. 241/1990, dell’art. 28 l. n. 89/1913;
– la modificazione abitativa del sottotetto da volume tecnico a vano abitabile;
– la nullità del permesso di costruire in sanatoria per mancanza o indeterminatezza dell’oggetto;
– l’eccesso di potere per travisamento dei fatto e sviamento (per i medesimi fatti i ricorrenti avevano attivato anche un altro procedimento giurisdizionale dinanzi al Tribunale Civile di (omissis) per denunzia di danno temuto ex art. 1172 C.C. e per azione di manutenzione del possesso ex art. 1170 C.C., all’epoca ancora pendente).
2. Nella resistenza del Comune, della Regione Basilicata e della società controinteressata, il TAR dichiarava irricevibile e, comunque, infondato il ricorso principale, respingeva i motivi aggiunti e compensava le spese.
3. La sentenza è stata appellata dagli originari ricorrenti, rimasti soccombenti, alla stregua dei motivi che possono essere così sintetizzati:
I. Error in procedendo: Violazione e falsa applicazione degli artt. 20, comma 7, del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 21, comma l, della l. 1034 del 1971.
Per quanto riguarda la declaratoria di irricevibilità gli appellanti sottolineano che non sarebbe rinvenibile agli atti di causa alcun “certificato (del) Responsabile Settore Assetto del Territorio Comune di (omissis) del 31.10.2005” che attesti la pubblicazione “nell’Albo Pretorio Comunale dal 24.2.2005 al 10.3.2005” dell’avviso dell’avvenuto rilascio del permesso di costruire datato 24 febbraio 2005 e l’esposizione nel “cantiere per l’esecuzione dei lavori… del cartello, indicante gli estremi del permesso di costruire, in data 5.4.2005”, di cui fa menzione il TAR nella sentenza.
In ogni caso sarebbe evidente che la mera affissione all’albo pretorio del permesso di costruire e l’indicazione degli estremi del permesso medesimo nel cartello esposto presso il cantiere, previsti dall’art. 20, comma 7, del d.P.R. n. 380/2001, non potrebbero costituire formalità idonee a far decorrere il termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale di cui all’art. 21, comma 1, della l. n. 1034 del 1971.
Al riguardo, hanno richiamato la giurisprudenza di questo Consiglio secondo cui ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione di una concessione edilizia occorre la sua piena conoscenza, che si verifica con la consapevolezza del contenuto specifico della concessione o del progetto edilizio ovvero quando la costruzione realizzata rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa alla disciplina urbanistica (Consiglio di Stato, Sez. V, 24 agosto 2007, n. 4485).
Peraltro, l’affissione all’albo pretorio del titolo edilizio e la esposizione, nel cantiere, di un cartello indicante gli estremi del medesimo erano formalità pubblicitarie già previste dalla previgente legislazione (art. 31, comma 8, L. U. 1150/1942; art. 4, comma 4, l.n. 47/1985).
La tesi sostenuta dal TAR comporta che tutti i cittadini proprietari di immobili dovrebbero quotidianamente recarsi in Comune a controllare all’albo pretorio i permessi di costruire rilasciati ed accedere ai relativi elaborati presso gli uffici tecnici, per verificare se il permesso leda la loro sfera giuridica ed esercitare, quindi, il diritto di difesa in sede giudiziaria.
In ogni caso, l’eventuale irricevibilità del ricorso principale (col quale si era impugnato il permesso di costruire del 24 febbraio 2005 ed il parere del 6 marzo 2003 della Commissione edilizia) non esclude l’ammissibilità e la tempestività dei motivi aggiunti, coi quali sono stati impugnati il permesso in sanatoria del 14 novembre 2005, il relativo deposito in sanatoria n. 537 del 3 novembre 2005, il parere della Commissione edilizia dell’11 luglio 2005 e l’atto d’obbligo notarile allegato al permesso di costruire in sanatoria;
II. Errores in iudicando: Violazione e falsa applicazione dell’art. 31 comma 1 del p.d.r. del Comune di (omissis) adottato con D.P.G.R. n. 227 del 29 giugno 2001; degli artt. 12 e 36 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380; dell’art. 90 (commi 1 e 2) e dell’art. 5 (commi n. 2 lettera f) e n. 4) del d.P.R. 380/2001; dell’art. 1127 comma 2 c.c.; dell’art. 14 l. 3 febbraio 1974 n. 64; del d.m. 16 gennaio 1996 (G.U. 5 febbraio 1996 n. 29); dell’art. 3 legge 7 agosto 1990 n. 241. Violazione dei principi, ex art. 97 Cost., del buon andamento e dell’imparzialità dell’Amministrazione. Violazione art. 1 legge 241/1990. Eccesso di potere.
L’art. 31 comma 1 del Piano di Recupero adottato dal Comune di (omissis) consente la sopraelevazione dei fabbricati in esso ricadenti, ma a condizione che l’edificio risultante non contrasti con la normativa antisismica vigente, cui esso espressamente rimanda.
Tale disposizione si coordina con l’art. 90 del d.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. Edilizia) che, ricalcando il contenuto del precedente art. 14 della l. 3 febbraio 1974 n. 64, a sua volta, permette di realizzare le opere di sopraelevazione nelle zone sismiche a condizione che il complesso dell’edificio sia conforme alle prescrizioni antisismiche.
Aggiunge, inoltre, il secondo comma dello stesso articolo 90 che l’autorizzazione alla sopraelevazione è consentita previa certificazione rilasciata dal competente Ufficio Tecnico Regionale che specifichi il numero massimo di piani che è possibile realizzare in sopraelevazione e l’idoneità della struttura esistente a sopportare il nuovo carico.
Ai sensi della lettera C.9.1. del d.m. 16 gennaio 1996 – contenente norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche – è poi stabilito l’obbligo, per chiunque intenda sopraelevare un fabbricato in zona dichiarata sismica, di eseguire contestualmente l’adeguamento antisismico dell’intera struttura, precisando che per “adeguamento antisismico” deve intendersi il complesso di opere sufficienti a rendere l’intero edificio atto a resistere alle azioni sismiche.
In sintesi, dal combinato disposto di tali norme si evince che, in caso di sopraelevazione occorre indispensabilmente:
1. verificare che nel complesso l’edificio sia conforme alla normativa antisismica;
2. rilasciare ed acquisire la certificazione ad hoc di competenza esclusiva dell’Ufficio Tecnico Regionale;
3. predisporre obbligatoriamente opere di adeguamento antisismico.
Il Comune di (omissis) è stato espressamente dichiarato zona a rischio sismico con il d.m. 7 marzo 1981.
Quanto appena detto vale a maggior ragione per il permesso in sanatoria, in quanto l’opera abusiva da regolarizzare deve obbedire al requisito della c.d. doppia conformità nel senso che deve essere conforme alla normativa urbanistico- edilizia vigente sia nel momento in cui la stessa opera è stata realizzata sia a quella vigente nel momento in cui è stata inoltrata l’istanza di sanatoria
Nel caso in esame entrambi i provvedimenti sarebbero stati rilasciati in violazione dell’art. 90 comma 2 del TU Edilizia.
Gli appellanti hanno sottolineato che la sopraelevazione poggia su un fabbricato preesistente di antica costruzione (inizi del 1900) del tutto privo di fondamenta e di sottofondazioni, oltre ad appoggiarsi sul muro di un fabbricato limitrofo che è oggetto di ordinanza di sgombero ed ammesso a contributo per la ricostruzione post – sisma.
Pure violata sarebbe la disposizione di cui alla lettera C.9.1. del d.m. 16 gennaio 1996 sopra richiamata, in quanto i provvedimenti impugnati consentono la sopraelevazione senza imporre al richiedente alcun obbligo di esecuzione di opere di adeguamento antisismico.
Gli appellanti hanno altresì messo in luce che la procedura prevista e disciplinata dall’art. 36, d.P.R. 380/2001 – che richiama l’art. 13 l. n. 47/1985 – manifesta evidenti analogie con la procedura del c.d. condono edilizio introdotto dall’art. 32 l. 47/1985 che subordinava il rilascio del permesso in sanatoria all’acquisizione preventiva dei pareri e/o dei nulla-osta e/o delle autorizzazioni prescritti dalle leggi speciali (tra cui la normativa antisismica); pertanto, se, al contrario di quanto previsto nel cit. art. 32 l. 47/1985, volesse ritenersi che nella procedura di cui all’art. 36 T.U. Edilizia non vi sia necessità di acquisizione preventiva quoad validitatem del nulla osta sismico di cui all’art. 90 T.U. Edilizia, si ammetterebbe una intollerabile disparità di trattamento tra situazioni simili e/o analoghe, in evidente contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost..
Le argomentazioni del TAR sarebbero poi affette da un evidente vizio logico poiché la certificazione preventiva rilasciata dall’Ufficio Regionale competente ai sensi del citato art. 90 comma 2 del d.P.R. n. 380 del 2001, è ancor più necessaria proprio per gli edifici in muratura, che la legge considera insicuri a tal punto da limitarne preventivamente la sopraelevazione ad un solo piano.
Il TAR avrebbe anche confuso la verifica sismica prevista dal d.m. del 1996 (da farsi in sede di progettazione esecutiva) con la certificazione preventiva di cui al citato art. 90, introdotta dal d.P.R. n. 380/2001 per la specifica ipotesi della sopraelevazione.
Di nessun rilievo, nella vicenda per cui è causa, è il sopralluogo eseguito il 12 ottobre 2005 da un funzionario dell’Ufficio Difesa del Suolo della Regione Basilicata Sezione di (omissis), poiché avvenuto a struttura ultimata.
Né rileva l’avvenuto deposito del progetto esecutivo ai sensi dell’art. 2, commi 1 e 2, della legge regionale n. 38/1997, presso la struttura tecnica regionale di (omissis) da parte della società contro interessata.
Invero, la certificazione richiesta dall’art. 90 comma 2 citato è un quid pluris rispetto a quanto previsto dalla normativa regionale invocata ed opera soltanto con riferimento agli interventi di sopraelevazione in zona sismica.
La procedura prevista dalla legge regionale n. 38/1997 (deposito del progetto esecutivo in luogo dell’autorizzazione, così come stabilito dall’art. 20 legge n. 741/1981), ove concerna le sopraelevazioni in zona sismica, deve quindi essere integrata con la certificazione richiesta dall’art. 90 comma 2 TU Edilizia.
In definitiva, l’autorizzazione di cui all’attuale art. 94 del d.P.R. 380/2001 (già artt. 2 e 18 della L. 64/1974) è un atto distinto dalla certificazione di cui al 2° comma del precedente art. 90;
III. Errores in iudicando: Violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 36 del D.P.R. 380/2001 e dell’art. 13 comma l del piano di recupero del Comune di (omissis), adottato con D.P.G.R. n. 227 del 29 giugno 2001. Eccesso di potere. Difetto di presupposti. Illogicità manifesta. Irragionevolezza. Travisamento ed erronea valutazione dei fatti.
In primo grado, era stato dedotto che gli atti impugnati consentivano espressamente la modifica dei volumi preesistenti relativi al piano primo del fabbricato oggetto di intervento di manutenzione straordinaria, in contrasto con il chiaro divieto di cui all’art. 13, comma 1, del Piano di recupero in rubrica, secondo il quale gli interventi di manutenzione straordinaria non devono in alcun modo alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari.
Secondo quanto spiegato dallo stesso progettista, l’intervento ha previsto l’abbassamento del solaio di copertura del primo piano di quaranta centimetri; abbassamento che trova riscontro anche nei progetti allegati al permesso di costruire e nei progetti allegati al permesso in sanatoria.
Soltanto in apparenza il piano primo preesistente è stato restaurato, mentre, in effetti, si è consentito di modificarne la volumetria, aggirando il divieto contenuto nell’art. 13 citato.
In primo grado si era altresì messo in luce che, alla sommità del piano primo preesistente, si trovava un sottotetto non abitabile, con funzione di semplice camera d’aria e/o soffitta.
Con il permesso di costruire e con la successiva sanatoria la ditta esecutrice dei lavori è invece stata autorizzata ad introdurre modifiche alla consistenza del sottotetto.
Tali modifiche riguardano:
1) l’abbassamento del solaio del piano sopraelevato e la modifica del raggio di apertura delle falde del tetto di copertura che consentono l’elevazione in altezza del piano sottotetto con conseguente notevole aumento della superficie e della volumetria preesistente;
2) l’installazione di una scala interna comunicante, che consente l’immediata fruizione del vano sottotetto da parte del proprietario del piano sopraelevato;
3) l’introduzione di luci che consentono l’aerazione dei locali;
4) la suddivisione interna in ambienti distinti del piano sottotetto.
Tali elementi rivelano, oltre ogni ragionevole dubbio, l’intenzione di sfruttare il sottotetto come vano abitabile sicché a nulla può valere l’esplicito divieto, apposto al permesso di costruire, di utilizzare il sottotetto come vano abitazione.
In pratica, in contrasto con Piano di recupero, la società costruttrice ha realizzato una sopraelevazione di due piani con caratteristiche di abitabilità e con modificazione qualitativa e quantitativa delle superfici e dei volumi preesistenti: il preesistente sottotetto è diventato infatti superficie abitabile (mentre in precedenza non lo era), a discapito dell’unità immobiliare sita a piano primo, che ha perduto volumetria a seguito dell’abbassamento della quota del solaio.
Gli appellanti richiamano al riguardo gli elaborati tecnici depositati in primo grado in data 14 giugno 2006 (docc. nn. 5, 6, 7, 10, 11, 13, 14), oltre all’attestazione di avvenuto deposito della richiesta di sanatoria presso gli Uffici regionali di (omissis), nella quale il funzionario regionale dà atto che il sottotetto presenta caratteristiche di abitabilità (allegato 12, deposito del 14 giugno 2006, in cui si legge: “Si acquisisce il deposito in sanatoria alle seguenti condizioni: i locali del sottotetto dovranno essere interdetti a fini abitativi e ad essi assimilabili”);
IV. Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione, dell’art. 78 del d.lgs. 267/2000 (t.u.e.l.); dell’art. 6 del d.m. 28-11-2000 (codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni). Eccesso di potere per sviamento.
Con il quinto motivo del ricorso e dei motivi aggiunti di primo grado, i ricorrenti avevano lamentato il fatto che alla seduta della Commissione Edilizia n. 527 tenutasi il 6 marzo 2003, pur astenendosi nel momento della votazione avesse attivamente partecipato alla discussione senza allontanarsi dall’aula anche il tecnico (dott. Am. An.) che aveva redatto la relazione geologica allegata all’istanza dell’impugnato permesso di costruire. Hanno richiamato, al riguardo, la giurisprudenza secondo cui la presenza del componente della Commissione edilizia, tenuto ad astenersi alla discussione, pregiudica la legittimità del parere tecnico adottato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 1988, n. 514);
V. Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 36 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 con riferimento all’art. 4 regolamento edilizio del Comune di (omissis). Eccesso di potere. Travisamento e/o erronea valutazione di fatti. Contraddittorietà . Irragionevolezza. Mancanza o difetto di istruttoria. Nullità del permesso in sanatoria per mancanza o indeterminatezza dell’oggetto.
Da un attento esame degli elaborati grafici sono emerse una serie di contraddizioni. La ditta esecutrice ha presentato a corredo della domanda di sanatoria n. 3 elaborati progettuali, i quali, però, secondo gli appellanti, non consentono di individuare esattamente quale sia il progetto definitivo assentito dal permesso in sanatoria come variante.
In altre parole, non è dato sapere quale dei due progetti rappresenta la variante definitiva, fermo restando che, a norma dell’art. 4 del Regolamento Edilizio del Comune di (omissis), non si possono presentare contemporaneamente due o più progetti esecutivi diversi tra di loro;
VI. Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 36 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 con riferimento all’art. 4 regolamento edilizio del Comune di (omissis). Eccesso di potere. Travisamento e/o erronea valutazione di fatti. Contraddittorietà . Irragionevolezza. Mancanza o difetto di istruttoria. Nullità del permesso in sanatoria per mancanza o indeterminatezza dell’oggetto.
Con il settimo motivo era stata dedotta la violazione dell’art. 4 lettera d) del Regolamento Edilizio del Comune di (omissis) il quale prescrive che tra gli elaborati a corredo della domanda di titolo edilizio, debba esservi anche “lo schema degli impianti idrici e sanitari, delle fognature domestiche e dello scarico dei pluviali in rapporto alla fognatura pubblica ed eventuale impianto di raccolta”;
VII. Error in iudicando: Violazione dell’art. 3 ultimi 2 commi del regolamento edilizio del Comune di (omissis). Eccesso di potere. Difetto di presupposti. Carenza di istruttoria.
Con l’ottavo motivo i ricorrenti avevano messo in evidenza che l’edificio su cui era stata progettata la sopraelevazione ha natura condominiale. Pertanto, i ricorrenti sigg.ri De Vi. in quanto condomini, avrebbero dovuto essere interpellati e prestare il loro espresso consenso alla sanatoria degli abusi commessi dalla ditta esecutrice.
Nessun rilievo in senso contrario – come invece erroneamente ritenuto dal TAR – possono rivestire le dichiarazioni di cui all’istanza del 19 febbraio 2002 (doc. 16, prodotto dai ricorrenti in data 14 giugno 2007) ed alla nota del 3 marzo 2003 (prodotta dalla difesa comunale in data 21 dicembre 2005) firmate dai ricorrenti.
Con tali documenti, invero, gli appellanti De Vi. Gi. Ba. ed altri, avevano chiesto la divisione della originaria unità minima d’intervento prevista dal piano di recupero ed avevano sì autorizzato la sopraelevazione chiesta dal Sig. Fi. Bi. (che ha poi alienato l’immobile alla odierna controinteressata), ma “uniformemente a quanto dovesse derivare dalla presente richiesta e, nel rispetto di quanto stabilito dalla Norme Tecniche di Attuazione del Vigente Piano di Recupero del centro storico” (v. nota del 3 marzo 2003).
In ogni caso, l’appellante Ma. Gi., proprietario dell’immobile confinante, si è opposto alla divisione dell’originaria unità minima d’intervento e non ha autorizzato alcuna sopraelevazione;
VIII. Error in iudicando: Violazione e falsa applicazione degli artt. 16, 17, 36 e 136 comma 2 lettera c) del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380. Nullità dell’atto notarile d’obbligo per violazione dell’art. 28 l.16 febbraio 1913 n. 89. Violazione del principio costituzionale della trasparenza e del buon andamento dell’Amministrazione di cui all’art. 97 Cost.. Violazione dell’art. 1 legge 7 agosto 1990 n. 241. Eccesso di potere. Manifesta irragionevolezza. Travisamento di fatti. Difetto di presupposti. Allontanamento dallo scopo tipico previsto dal legislatore per la concessione in sanatoria di cui all’art. 36 TU Edilizia.
Con il decimo motivo si era evidenziato che la società controinteressata avrebbe dovuto versare il doppio del contributo di costruzione determinato nell’originario permesso di costruire pari a Euro. 2.951,04, invece di pagare la somma di Euro. 516,00, richiesta dal Comune;
IX. Error in procedendo: Violazione e falsa applicazione dell’art. 35, 3° comma, del d.lgs. n. 80 del 1998, come sostituito dalla l. n. 205/2000, dell’art. 44 del r.d. 26 giugno 1924 n. 1054 e dell’art. 61 c.p.c..
Le doglianze dedotte in primo grado e la documentazione agli atti del giudizio avrebbero dovuto indurre il Tribunale a disporre la nomina di uno o più consulenti tecnici d’ufficio, ai sensi delle disposizioni indicate in rubrica e di ogni altra applicabile nel caso di specie, al fine di acclarare la fondatezza delle censure mosse, soprattutto con riferimento alla dedotta violazione della normativa sulle costruzioni in zone sismiche e sulle reali condizioni statiche dell’edificio sopraelevato e dei confinanti immobili di proprietà degli appellanti.
4. Si sono costituiti in giudizio la Regione Basilicata e la società controinteressata.
Quest’ultima ha richiamato, in sostanza, le argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata oltre a evidenziare il fatto che nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado i motivi relativi alla violazione dell’art. 13 del Piano di Recupero del Comune di (omissis), erano stati incentrati sul rilievo che, a seguito dei lavori di ristrutturazione e sopraelevazione, era stato diminuito il volume del primo piano mentre, in sede di appello, sarebbe stato inammissibilmente introdotto quale ulteriore motivo di censura quello di un presunto aumento di superficie e volume, non dedotto in primo grado.
5. L’appello, infine, è stato assunto in decisione alla pubblica udienza del 30 aprile 2019.
6. L’appello merita accoglimento, con conseguente riforma della sentenza impugnata.
7. Vanno in primo luogo confutate le statuizioni del TAR circa l’irricevibilità del ricorso principale, introduttivo del giudizio di primo grado.
Il primo giudice, al riguardo, ha sostenuto che “secondo quanto statuito dal combinato disposto di cui agli artt. 20, comma 7, seconda e terza frase, DPR n. 380/2001 e 21, comma 1, L. n. 1034/1971, quello che conta ai fini del decorso del termine di impugnazione giurisdizionale di un permesso di costruire da parte di un soggetto terzo, diverso dal destinatario, è la conoscibilità di tale permesso di costruire associata all’effettivo inizio dei lavori, resa possibile dalla pubblicazione nell’Albo Pretorio dell’apposito avviso e dall’esposizione nel cantiere degli estremi del permesso di costruire rilasciato, e non l’effettiva conoscenza del permesso di costruire previa istanza di accesso ex art. 22 e ss. L. n. 241/1990”.
Tuttavia, secondo la consolidata giurisprudenza in materia, né la pubblicazione all’Albo Pretorio del Comune, né l’esposizione del cartello di cantiere integrano, in sé, una forma di conoscenza legale del permesso di costruire.
In generale, nel processo amministrativo la “piena conoscenza” del provvedimento impugnabile non va intesa quale conoscenza piena e integrale del provvedimento stesso, ma come percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo, del suo contenuto dispositivo essenziale e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da configurare l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso, salva comunque la facoltà di proporre motivi aggiunti al momento della conoscenza di ulteriori profili di illegittimità dell’atto impugnato.
In particolare, nel caso d’impugnazione del titolo edilizio ordinario, il termine di decadenza decorre:
– dall’inizio dei lavori, allorché si contesti l’an dell’edificazione;
– là dove se ne contesti il quomodo, da quando – con il completamento o con il grado di sviluppo dei lavori – sia materialmente apprezzabile la reale portata dell’intervento in precedenza assentito e sia dunque giuridicamente configurabile l’inerzia rispetto alla possibilità di ricorrere.
A temperamento di queste regole di massima, è ammesso che chi vi abbia interesse fornisca la prova certa di un momento diverso della conoscenza del provvedimento abilitativo.
In particolare, la prova di una conoscenza anticipata da parte di chi eccepisce la tardività del ricorso può essere data anche a mezzo di presunzioni (Cons. Stato, sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5675), quale l’esposizione del cartello di cantiere contenente – però – precise indicazioni sull’opera da realizzare (sez. IV, n. 4701/2016).
Orbene, nel caso di specie, il giudice di prime cure si è limitato a constatare che, secondo l’attestazione resa dal Comune, il cartello di cantiere era stato esposto il 5 aprile 2005.
Tuttavia non ha verificato quale ne fosse l’effettivo contenuto e, comunque, non ha adeguatamente valutato che, come riportato nella stessa sentenza, a quella data i lavori erano appena iniziati sicché non potevano ancora avere raggiunto uno sviluppo tale da evidenziare le difformità dalle prescrizioni del Piano di recupero del Comune di (omissis) denunciate con il ricorso introduttivo.
A ciò si aggiunga che è sempre il TAR a riportare che, già in data 23 maggio 2005, gli originari ricorrenti avevano presentato un esposto alla polizia municipale chiedendo di avere copia del permesso di costruire e dei relativi allegati.
Anche in questo caso, il vaglio dell’eccezione di tardività sollevata dalla società controinteressata (considerando che il ricorso era stato notificato il 23 luglio 2005), avrebbe richiesto quantomeno di verificare quando il Comune avesse accordato l’accesso agli atti.
Il primo giudice non ha poi adeguatamente valutato che l’originario permesso di costruire è stato sostituito da quello ottenuto dalla società a sanatoria degli abusi successivamente rilevati dal Comune (a seguito delle denunce degli odierni appellanti).
Il permesso in sanatoria è stato (tempestivamente) impugnato, riproponendo, tra le altre, le stesse censure dedotte con il ricorso principale.
Sicché, a ben vedere, quest’ultimo avrebbe dovuto essere dichiarato non già irricevibile ma, semmai, improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
8. Nel merito, reputa il Collegio che rivestano carattere assorbente (stante la loro fondatezza) il primo motivo del ricorso principale (nonché del primo e del secondo atto di motivi aggiunti) – nella parte in cui viene dedotta la violazione dell’art. 90 del d.P.R. n. 380 del 2001 – unitamente al terzo motivo del ricorso principale (nonché del primo atto e del secondo atto di motivi aggiunti) quest’ultimo da esaminare congiuntamente al quarto motivo del primo atto di motivi aggiunti e del secondo atto di motivi aggiunti.
Al riguardo, valga quanto segue.
8.1. Il primo motivo del ricorso principale verte sull’interpretazione dell’art. 90 del d.P.R. n. 380/2001 e sul c.d. adeguamento antisismico, previsto dal punto C.9.1 del d.m. 16 gennaio 1996.
Secondo il TAR, per le costruzioni in zona sismica, il parere preventivo e/o autorizzazione del competente Ufficio Tecnico Regionale sul numero massimo di piani che possono essere costruiti, risulta necessario soltanto per gli edifici in cemento armato normale e precompresso, in acciaio o a pannelli portanti, in quanto per gli edifici in muratura la predetta disposizione, al comma 1 “statuisce in modo tassativo e vincolato che tale edifici possono essere sopraelevati soltanto per un altro piano, per cui in tale caso non occorre alcun parere preventivo e/o autorizzazione da parte del competente Ufficio Tecnico”.
8.2. Giova riportare il cit. art. 90 del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale:
“E’ consentita, nel rispetto degli strumenti urbanistici vigenti:
a) la sopraelevazione di un piano negli edifici in muratura, purché nel complesso la costruzione risponda alle prescrizioni di cui al presente capo;
b) la sopraelevazione di edifici in cemento armato normale e precompresso, in acciaio o a pannelli portanti, purché il complesso della struttura sia conforme alle norme del presente testo unico.
2. L’autorizzazione è consentita previa certificazione del competente ufficio tecnico regionale che specifichi il numero massimo di piani che è possibile realizzare in sopraelevazione e l’idoneità della struttura esistente a sopportare il nuovo carico”.
La funzione della certificazione è quella di attestare, prima del rilascio del titolo abilitativo edilizio da parte del Comune, l’idoneità della struttura “a sopportare” il nuovo carico.
Poiché tale verifica potrebbe avere anche carattere negativo e prevedere che nessun ulteriore piano è in concreto realizzabile, è logico ritenere che la stessa debba essere effettuata (ed anzi a maggior ragione) anche per le strutture in muratura, in relazione alle quali la sopraelevazione è peraltro potenzialmente ammessa, per ragioni di precauzione, nei soli limiti prescritti dal comma 1 della disposizione in esame. In altri termini, la certificazione che individua il numero massimo di piani realizzabili serve in primis per verificare se vi siano piani realizzabili, e quindi se l’unico piano astrattamente consentito per le strutture in muratura sia in concreto assentibile in base alle effettive condizioni statiche dell’edificio da sopraelevare.
Vero è poi, come fatto osservare dai ricorrenti, che la c.d. “verifica sismica” prevista dal punto C.9.1.2. del d.m. 16 gennaio 1996 (recante “Norme tecniche per le costruzioni in zone sismiche), è fattispecie distinta rispetto alla certificazione preventiva richiesta dal d.P.R. n. 380/2001, come pure distinta da quest’ultima è l’autorizzazione disciplinata dal successivo art. 94 del medesimo T.U.E. la quale riguarda l’inizio dei lavori e non il rilascio del permesso di costruire.
Analogamente è a dirsi per l’omologa “denuncia” disciplinata dall’art. 2, commi 1 e 2, della legge della Regione Basilicata n. 38 del 1997.
9. Premesso che l’accoglimento del motivo di ricorso innanzi esaminato risulta già di per sé autonomamente idoneo a fondare l’accoglimento dell’appello, per quanto concerne il terzo e quarto motivo del primo e del secondo ricorso per motivi aggiunti, va preliminarmente evidenziato che gli appellanti non hanno affatto dedotto, in sede di gravame avverso la sentenza del TAR, nuovi profili di doglianza, bensì si sono limitati a mettere in evidenzia la connessione logica tra le censure con cui avevano lamentato, secondo quanto riportato dallo stesso TAR, da un lato “la violazione dell’art. 13 del vigente Piano di Recupero (approvato con D.P.G.R. n. 227 del 29.6.2001), in quanto con i lavori di ristrutturazione e sopraelevazione in commento era stato diminuito il volume del primo piano” e, dall’altro, che “il permesso di costruire in sanatoria del 14.11.2005 aveva consentito la realizzazione di un sottotetto abitabile”.
Premesso che è incontestato che il titolo abilitativo edilizio sia stato rilasciato per interventi di manutenzione straordinaria con la sopraelevazione di un piano abitabile rispetto allo stato di fatto, per respingere le censure testé riportate il primo giudice ha valorizzato il fatto che “l’art. 31, comma 1, del vigente Piano di Recupero (approvato con D.P.G.R. n. 227 del 29.6.2001) consentiva la sopraelevazione di un piano dei fabbricati in esso ricadenti” mentre “l’art. 13 del vigente Piano di Recupero (approvato con D.P.G.R. n. 227 del 29.6.2001) vieta soltanto le modifiche in aumento della volumetria e non le diminuzioni di volumetria”.
In contrario va però rilevato che 13 delle NTA del Piano di recupero si limita a definire gli interventi di manutenzione straordinaria, individuandoli nelle “opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico – sanitari e tecnologici sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari”.
Tale definizione combacia con quella un tempo contenuta nell’art. 31, comma 1, lett. b) della l. n. 457 del 1978 e poi successivamente trasfusa nell’art. 3, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 380 del 2001.
Secondo la consolidata giurisprudenza amministrativa, il concetto di manutenzione straordinaria (nonché quello di risanamento conservativo), oggi come allora, presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata l’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 14 aprile 2016, n. 1510).
Al contrario gli interventi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti, la modifica e la redistribuzione dei volumi, rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia (Cons. Stato, sez. IV, 14 luglio 2015, n. 3505).
Nel caso in esame va poi soggiunto che l’intervento assentito dal Comune di (omissis) non ha soltanto consentito la modifica della volumetria del primo piano (con l’abbassamento del solaio) – il che è già di per sé dirimente ai fini dell’accoglimento del motivo di ricorso, implicando comunque una alterazione dei volumi originari – ma anche la realizzazione di un sottotetto con maggior volumetria, in contrasto con le NTA del Piano di recupero; tale incremento, fra l’altro, favorisce in concreto un uso dei locali a fini abitativi, a prescindere dal fatto che giuridicamente i locali ampliati fossero o meno qualificabili come abitabili.
E’ infatti lo stesso TAR ad osservare che i locali del sottotetto “non possono essere qualificati come volumi tecnici. Infatti, secondo un orientamento giurisprudenziale (cfr. per es. C.d.S. Sez. V Sent. n. 483 del 13.5.1997; TAR Lecce Sez. III Sent. n. 143 del 15.1.2005), che questo Tribunale condivide (cfr. TAR Basilicata Sent. n. 920 del 30.12.2006), possono essere definiti come volumi tecnici soltanto quelli adibiti alla sistemazione di impianti in rapporto di strumentalità necessaria con l’uso dell’edificio in cui vengono collocati e che non possono essere sistemati all’interno della parte abitativa, come per es. gli impianti termici, gli impianti idrici e l’ascensore, mentre i locali aventi una destinazione complementare a quella residenziale (a prescindere dall’altezza necessaria per essere dichiarati abitabili), come la mansarda, la soffitta, gli stenditoi chiusi ed i ripostigli vanno computati ai fini della volumetria e/o dell’altezza consentita”.
Il primo giudice ha tuttavia sminuito le risultanze di tale accertamento dando rilievo al fatto che “sia il permesso di costruire del 24.2.2005 che il permesso di costruire in sanatoria del 14.11.2005 statuiscono chiaramente, come riconosciuto dagli stessi ricorrenti, che i locali del sottotetto non possono essere destinati ad abitazione”.
Egli non ha tuttavia considerato che il progetto era oggettivamente in contrasto con la disciplina urbanistica all’epoca vigente nel Comune di (omissis), comportando anche sotto tale profilo una alterazione volumetrica in sede di manutenzione straordinaria, e che tale illegittimità non poteva essere elisa da una mera prescrizione contenuta nel permesso di costruire, che certo non vale a rimuovere il fatto in sé dell’incremento volumetrico e che comunque in futuro potrebbe sempre essere agevolmente violata proprio in ragione dell’incremento di volumetria dei predetti locali.
10. La fondatezza delle censure testé esaminate riveste carattere assorbente e determina, in accoglimento dell’appello, l’accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti proposti in primo grado.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, di cui in premessa, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, così provvede:
– accoglie il ricorso e i motivi aggiunti proposti in primo grado nei termini di cui in motivazione;
– annulla il permesso di costruire del 24 febbraio 2005 e il permesso di costruire in sanatoria del 14 novembre 2005.
Condanna la società alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio in favore degli appellanti, che liquida, complessivamente, in euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre gli accessori, se dovuti, come per legge.
Compensa le spese nei confronti della Regione Basilicata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Troiano – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere, Estensore
Luca Monteferrante – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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