Allorquando due giudizi tra le stesse parti vertano sullo stesso rapporto giuridico

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 18 settembre 2019, n. 6225.

La massima estrapolata:

Allorquando due giudizi tra le stesse parti vertano sullo stesso rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento già compiuto in ordine a una situazione giuridica e la soluzione di una questione di fatto o di diritto che abbiano inciso su un punto fondamentale comune ad entrambe le cause e abbiano costituito la logica premessa contenuta nel dispositivo della sentenza passata in giudicato, precludono nel secondo giudizio il riesame del punto accertato nel primo.

Sentenza 18 settembre 2019, n. 6225

Data udienza 4 luglio 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso iscritto in appello al numero di registro generale 10706 del 2015, proposto da
Me. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Fu. Ma., con domicilio eletto presso lo studio An. Bo. in Roma, via (…), e dall’avvocato Ar. Po., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
Regione Puglia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ad. Ma., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…).
nei confronti
In. S.p.A non costituita in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Seconda n. 01263/2015, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Puglia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 luglio 2019 il Cons. Giuseppina Luciana Barreca e uditi per le parti gli avvocati Ma., Po., e De Lu. in dichiarata delega di Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia ha dichiarato inammissibile il ricorso avanzato dalla società Me. s.r.l. contro la Regione Puglia e nei confronti di In. s.p.a. per la condanna della regione al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 30 Cod. proc. amm., conseguente all’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, come accertato e dichiarato con sentenza del T.a.r. Puglia – Bari del 2 aprile 2013, n. 458, confermata dalla sentenza del Consiglio di Stato, V, 13 marzo 2014, n. 1181.
1.1. La sentenza n. 458/2013, accogliendo il ricorso proposto da Me. avverso la deliberazione di G.R. n. 516 del 7 aprile 2009 ed il ricorso per motivi aggiunti proposto avverso la deliberazione di G.R. n. 751 del 7 maggio 2009, aveva annullato tali provvedimenti con i quali, rispettivamente, la Regione Puglia aveva stabilito di affidare in house providing ad In. (società a totale capitale pubblico detenuto dalla regione) attività di monitoraggio dell’attuazione del SIPA (Sistema Informativo Pugliese dell’Ambiente), precedentemente affidate a Me., nonché ulteriori attività di supporto ed assistenza, e quindi, disposto di affidare in via diretta quattordici tipologie di attività analiticamente descritte nelle schede contrassegnate con le sigle da INP001 a INP0014 allegate alla seconda deliberazione, con la quale era stato approvato uno schema di “Convenzione per la disciplina e la fornitura di servizi nell’ambito dell’attuazione di progetti e iniziative di sviluppo previsti dalla programmazione unitaria della Regione Puglia” da stipularsi tra la Regione Puglia e In..
Con la stessa sentenza era stata rigettata per difetto di prova la domanda risarcitoria avanzata da Me..
1.2. Gli appelli della Regione Puglia e di In., nonché l’appello incidentale di Me., col quale era stata riproposta la domanda risarcitoria, erano poi stati respinti con la sentenza di questa Sezione n. 1181/2014 cit.
1.3. Il ricorso introduttivo del presente giudizio, iscritto dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Puglia col n. r.g. 1337/2013, è stato avanzato dopo la sentenza di primo grado n. 458/2013, in pendenza di appello, per ottenere la condanna della Regione Puglia al risarcimento del danno “da perdita di chance” conseguente, come detto, all’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa come accertato e dichiarato con tale ultima sentenza, specificamente per la mancata indizione di ordinarie procedure concorsuali e per l’impossibilità della società Me. di concorrere per l’affidamento dei relativi servizi.
2. La sentenza appellata – dato atto della costituzione e delle eccezioni e difese della Regione Puglia- ha accolto l’eccezione di inammissibilità per violazione del principio del ne bis in idem, ritenendo l’identità delle domande risarcitorie proposte con l’azione di annullamento di cui sopra ed, autonomamente, nel presente giudizio, dato che “in entrambi i casi, la Me. ha chiesto di essere risarcita del danno che assume aver subito per l’illegittimo affidamento diretto dei servizi di cui si tratta all’In., da cui sarebbe discesa la lamentata illegittima preclusione dell’accesso al relativo mercato” (secondo quanto si legge in motivazione).
3. La società Me. s.r.l. ha proposto appello per ottenere la riforma della sentenza.
La Regione Puglia ha resistito al gravame.
All’udienza del 4 luglio 2019 la causa è stata trattenuta in decisione, previo deposito di memorie e repliche.
4. Con l’unico articolato motivo (Violazione ed erronea applicazione del principio del “ne bis in idem”. Errore di diritto) l’appellante deduce:
– 1) la diversità di causa petendi e di petitum delle domande risarcitorie avanzate nei due giudizi, segnatamente: a) sotto il profilo della condotta non iure e contra ius, che -nel presente giudizio- sarebbe individuata “nella stipulazione intervenuta medio tempore, da parte dei dirigenti competenti, delle convenzioni recanti l’affidamento diretto dei servizi regionali in favore di In. mediante l’utilizzo dello schema di convenzione approvato con la DGR n. 751/2009”; b) sotto il profilo eziologico, poiché il danno non sarebbe conseguenza della deliberazione della giunta “bensì dei successivi atti dirigenziali”; c) sotto il profilo del danno risarcibile, poiché costituito dall'”effettivo affidamento senza gara (e quindi dalla concreta sottrazione al mercato) dei servizi in questione nei termini in cui esso è stato perfezionato e definito, anche sotto il profilo economico, in forza dei medesimi atti dirigenziali”;
– 2) la portata della deliberazione n. 751/2009 di “atto generale, avente natura regolamentare e programmatica”, che, in sé, non sarebbe stato idoneo a sottrarre al mercato le prestazioni che vi erano indicate, sicché il pregiudizio conseguente a tale atto (che necessitava della “successiva intermediazione degli atti dirigenziali”) sarebbe stato “un evento di danno mediato ed incerto, comunque eventuale e potenziale” e perciò la domanda risarcitoria di cui al precedente giudizio di annullamento sarebbe risultata “(ed è stata quindi correttamente ritenuta) sfornita del necessario supporto probatorio”; nel presente giudizio, invece, sarebbe reclamato un danno certo e già consumato, siccome da imputare in via diretta ed immediata, non alla deliberazione di G.R. n. 751/2009, bensì all’adozione degli atti di competenza dirigenziale;
– 3) la non “deducibilità ” ai fini del giudicato sulla domanda risarcitoria azionata nel precedente giudizio del danno nei termini appena esposti, in quanto effetto di atti dirigenziali concernenti la stipulazione delle convenzioni per l’affidamento dei servizi regionali in favore di In., perfezionati in epoca successiva alla proposizione di quella domanda;
– 4) in subordine, l’esclusione dall’ambito del giudicato formatosi sul rigetto della domanda risarcitoria conseguenziale all’annullamento della D.G.R. n. 751/2009 della pretesa concernente l’affidamento in house dei servizi non contemplati in tale deliberazione.
5. I primi tre profili di censura, da trattare congiuntamente perché connessi, sono infondati.
5.1. In primo luogo, l’assunto sub 1) è smentito dalla formulazione della domanda di cui al ricorso n. 1337/2013 così come proposto dinanzi al T.a.r., in quanto questo individua causa petendi e petitum della domanda risarcitoria nell’adozione delle deliberazioni della G.R. n. 516/2009 e, per quanto qui rileva, n. 751/2009 e nel loro annullamento con la sentenza n. 458/2013, a sostegno dell’affermazione circa “l’evidente ed incontestabile obbligo della Regione Puglia di risarcire Me. per il danno patito a causa dell’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa consumatosi con l’adozione delle citate deliberazioni n. 516 e n. 751 del 2009”; nel conseguente “affidamento diretto dei predetti servizi in favore di In.”, con convenzioni e relativi atti deliberativi, rispetto ai quali la “DGR 751/2009 costituisce il presupposto fondante la decisione di avvalersi di In. senza ricorrere a procedure di evidenza pubblica”; nella portata “dei successivi atti adottati dalla Regione per dare esecuzione alle attività previste dalla deliberazione n. 751/2009” di atti “meramente ricognitivi e reiterativi della convenzione generale approvata con la stessa deliberazione”; negli “affidamenti che la Regione Puglia, a partire dal 2009 e sino ad oggi, ha continuato a disporre in favore di In. ai fini dello svolgimento di ulteriori prestazioni ancorché non espressamente contemplate dalla delibera DGR n. 751/2009” (sui quali ultimi si tornerà infra), ma sempre nella prospettiva che si sia trattato di rapporti “perfezionati in ragione (e secondo il regolamento negoziale) della convenzione generale oggetto di approvazione con la DGR n. 751/2009”.
5.1.1. Date tali allegazioni (precisate con la memoria depositata il 4 giugno 2015), non è decisivo, come sostenuto dalla ricorrente, che la condotta illecita, nel presente giudizio, venga individuata, piuttosto che nell’adozione della deliberazione della giunta, nella stipulazione, da parte dei dirigenti regionali, delle diverse convenzioni di affidamento diretto dei servizi mediante l’utilizzo dello schema di convenzione approvato con la deliberazione di G.R. n. 751/2009: si tratta comunque di atti negoziali esecutivi, la cui illegittimità è derivata dall’illegittimità di tale ultima deliberazione, la quale -come detto nel ricorso introduttivo della stessa Me.- ha costituito “la fonte di legittimazione negoziale degli organi regionali a contrarre” con In..
Le determinazioni dirigenziali a contrarre e/o la stipulazione delle singole convenzioni di affidamento sono condotte che rinvengono la propria efficacia lesiva della posizione soggettiva dell’impresa, operante nello stesso settore di attività ed aspirante all’affidamento dei medesimi servizi, nell’atto generale presupposto e perciò sono condotte inidonee ad interrompere la relazione di interdipendenza esistente tra la deliberazione di indirizzo (di individuazione della società ritenuta in house e di approvazione della convenzione-tipo per l’affidamento diretto dei servizi regionali) ed i singoli affidamenti diretti (che si assumono produttivi di danno), la quale comporta la riconducibilità causale del danno lamentato alla prima, sia pure per il tramite dei secondi.
5.2. E’ vero piuttosto che la fattispecie costitutiva dell’illecito aquiliano c.d. da illegittima attività amministrativa -così come si è venuta delineando nell’evoluzione giurisprudenziale in materia di azione risarcitoria contro la pubblica amministrazione- potrebbe, in astratto, non essere interamente compiuta al momento dell’adozione di un atto amministrativo illegittimo generale, avente cioè natura regolamentare e programmatica, ove questo sia, in sé, privo di autonoma efficacia lesiva, in quanto necessitante allo scopo di distinti successivi atti esecutivi.
5.2.1. In ipotesi, gli atti esecutivi potrebbero essere elementi necessari a “completare” la fattispecie oggettiva dell’illecito causativo di responsabilità, sia quanto alla condotta dannosa che quanto al danno risarcibile.
In particolare, gli atti amministrativi esecutivi, illegittimi perché viziati da illegittimità derivata dall’atto amministrativo generale (non rileva qui se si tratti di invalidità ad effetto caducante o ad effetto viziante), potrebbero, volta a volta, risultare necessari per dare luogo ad una compiuta fattispecie di illecito, consentendo di individuare i soggetti titolari degli interessi legittimi incisi dall’attività amministrativa illegittima e/o di concretizzare le conseguenze pregiudizievoli da questa prodotti nella sfera patrimoniale di tali soggetti.
Con la precisazione che il danno risarcibile in caso di illegittima attività amministrativa comportante l’indebita sottrazione al mercato degli affidamenti di pubblici servizi mantiene sempre, contrariamente a quanto assume l’appellante, la medesima natura, che è quella di danno c.d. da perdita della chance (di partecipare ad uno o più procedimenti di evidenza pubblica per l’affidamento dei servizi, qualora l’impresa abbia -secondo la ricostruzione di tale tipologia di danno, di cui si dirà – la seria probabilità di conseguire un risultato utile all’esito di tale partecipazione); piuttosto, la sua quantificazione -pur continuando ad essere equitativa, in quanto danno che non può essere provato nel suo preciso ammontare (arg. ex art. 1226 cod. civ.)- diviene tuttavia riferibile al singolo servizio oggetto della convenzione di affidamento diretto, piuttosto che ad un numero indeterminato di servizi affidabili in forza della sola deliberazione di indirizzo della giunta regionale.
5.2.2. In sintesi, si può affermare che, nel caso di adozione di un atto amministrativo generale e programmatico seguito dall’adozione di atti esecutivi, l’illegittimità del primo e l’illegittimità derivata dei secondi danno luogo ad un’unitaria fattispecie di illecito produttiva di responsabilità della pubblica amministrazione, potendosi verificare, in concreto, che gli elementi costitutivi della relativa fattispecie risultino integrati sin dal momento dell’adozione dell’atto generale ovvero che, volta a volta, necessitino, allo scopo, dell’adozione degli atti esecutivi, nei termini su enunciati.
5.3. Siffatta conclusione così come le, pur corrette, deduzioni dell’appellante sopra sintetizzate sub 2) e 3) – rispettivamente in punto di portata generale, regolamentare e programmatica della deliberazione della G.R. n. 751/2009 ed in punto di non “deducibilità ” delle singole convenzioni attuative nel giudizio che ebbe ad oggetto quest’ultima deliberazione di giunta- non valgono a superare la portata del giudicato di rigetto formatosi sulla domanda risarcitoria avanzata in quel giudizio di annullamento.
In proposito va fatta applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza per l’individuazione dell’ambito oggettivo del giudicato, e segnatamente di quello per il quale allorquando due giudizi tra le stesse parti vertano sullo stesso rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento già compiuto in ordine a una situazione giuridica e la soluzione di una questione di fatto o di diritto che abbiano inciso su un punto fondamentale comune ad entrambe le cause e abbiano costituito la logica premessa contenuta nel dispositivo della sentenza passata in giudicato, precludono nel secondo giudizio il riesame del punto accertato nel primo (cfr. Cass. sez. III, 3 marzo 2004, n. 4352 e, di recente, id., sez. II, 21 febbraio 2019, n. 5138).
5.3.1. Orbene, la portata unitaria del fatto costitutivo dell’illecito aquiliano cui dà luogo, secondo quanto detto sopra, l’attività amministrativa consistita in un atto amministrativo generale illegittimo, seguito da atti esecutivi viziati da illegittimità derivata, comporta che i due giudizi tra le stesse parti aventi ad oggetto rispettivamente, in ordine cronologico successivo, il primo ed i secondi, vertano sul medesimo rapporto giuridico e che abbiano quale punto fondamentale comune l’illegittimità dell’atto amministrativo generale e la sua potenzialità lesiva della situazione giuridica soggettiva della parte privata presente in entrambi i giudizi.
In sintesi, le due azioni risarcitorie trovano fondamento in fatti costitutivi che non sono tra loro totalmente diversi (come nei precedenti in cui si è esclusa la preclusione nascente dal giudicato, per essere distinto l’oggetto della domanda o perché comunque la pretesa trovava fondamento in fatti costitutivi diversi: cfr. Cons. Stato, IV, 17 novembre 2015, n. 5223, citata dalla ricorrente) ma coincidenti, sia pure parzialmente.
5.3.2. Nel caso di specie, l’ambito oggettivo del giudicato è delineato dalla sentenza di questa Sezione V, 13 marzo 2014, n. 1181, in termini tali da doversi escludere che esso consentisse la (ri)proposizione della domanda risarcitoria per l’illegittimità (derivata) delle convenzioni esecutive della deliberazione n. 751/2009 dichiarata illegittima e perciò annullata, perché la decisione ha escluso, in radice, l’efficacia lesiva nei confronti di Me. (quindi, la sussistenza di un “danno ingiusto”, effetto) dell’atto di indirizzo favorevole ad In..
La sentenza infatti ha respinto l’appello incidentale, con il quale era stata riproposta la pretesa risarcitoria di Me. connessa al ristoro delle attività sottratte alle ordinarie dinamiche concorrenziali, in termini di perdita di chance concorrenziali, già disattesa dal tribunale amministrativo regionale con la sentenza del 2 aprile 2013, n. 458, espressamente condividendo le argomentazioni del primo giudice “quanto ad assenza di prova specifica del danno” ed osservando che ” […] quando si chiede il risarcimento da perdita di chance, si fa valere il danno associato alla perdita di una probabilità non trascurabile di conseguire il risultato utile, con la conseguenza che l’istanza non può essere accolta ove il danneggiato non dimostri, anche in via presuntiva, ma con serietà ed adeguatezza, l’esistenza dei concreti presupposti per la realizzazione del risultato sperato; va quindi dedotta una probabilità di successo maggiore del 50%, statisticamente valutabile con giudizio prognostico ex ante, in base agli elementi di fatto forniti dal danneggiato, e alla mancanza di tale prova non è possibile sopperire con una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c., atteso che l’applicazione di tale norma richiede che risulti provata o comunque incontestata l’esistenza di un danno risarcibile ed è diretta a far fronte all’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 4 settembre 2013, n. 4408).
Nel caso di specie, non essendovi alcuna dimostrazione di una probabilità di successo maggiore del 50%, da parte dell’appellante incidentale, di poter ottenere i servizi che sono stati illegittimamente chiusi alle dinamiche concorrenziali, la relativa domanda risarcitoria non può essere accolta”.
5.3.3. La sentenza, quindi, ha escluso la risarcibilità del danno da perdita di chance non per la natura di atto generale a contenuto programmatorio della deliberazione impugnata né per la mancata stipulazione (o per la mancata deduzione in giudizio della stipulazione) delle convenzioni attuative, bensì perché è mancata la prova da parte di Me. di avere una “probabilità di successo maggiore del 50%” (così irrevocabilmente individuata la chance rilevante) in riferimento a tutti “i servizi che sono stati illegittimamente chiusi alle dinamiche concorrenziali”.
La portata preclusiva di tale statuizione è evidente, in quanto riferisce il difetto di prova ad un punto fondamentale comune sia a quel giudizio che al presente, vale a dire la (mancanza di) efficacia lesiva nei confronti di Me. della deliberazione illegittima con riferimento a tutti i servizi regionali ivi contemplati o ad essa riconducibili. Costituendo tale deliberazione l’antecedente logico-giuridico necessario delle determinazioni dirigenziali e/o convenzioni che nel presente giudizio si assumono viziate da illegittimità derivata, la mancanza di prova “del danno” risarcibile (id est, del ” danno ingiusto”) nei confronti della ricorrente così come accertata nella sentenza passata in giudicato, rende impossibile, in forza del principio del ne bis in idem, colmare tale lacuna probatoria, fornendo nel presente giudizio la prova dell’evento di danno in riferimento a ciascuno dei servizi, poi fatto oggetto di specifico affidamento.
5.4. La riferibilità della pronuncia di questa Sezione n. 1181/2014 a tutte le attività sottratte alle dinamiche concorrenziali in forza della deliberazione impugnata con l’azione di annullamento è confermata da altra sentenza intervenuta tra le stesse parti, parimenti passata in giudicato, secondo quanto appresso.
5.4.1. Con ricorso per ottemperanza ai sensi dell’art. 112 Cod. proc. amm. proposto dinanzi al T.a.r. per la Puglia la società Me., nel denunciare l'(asserita) inerzia della Regione Puglia nel conformarsi alla sentenza n. 458/2013, aveva infatti richiesto ancora una volta la condanna della regione al ristoro dei danni subiti con riferimento sia “alla perdita delle chanches contrattuali di Me. di risultare aggiudicataria a seguito di gara pubblica delle attività già oggetto di affidamento in favore di In.” sia ad un'(asserita) elusione del giudicato.
Già la sentenza di primo grado del 7 luglio 2016, n. 864, nell’escludere tale ultima fattispecie, aveva ritenuto formato il giudicato di rigetto sulla domanda risarcitoria per perdita di chance contrattuali, in forza delle sentenze n. 458/2013 e n. 1181/2014.
La sentenza di questa Sezione, 27 luglio 2017, n. 3704, decidendo l’appello proposto in sede di ottemperanza, l’ha respinto anche nella parte in cui contestava la “ratifica” da parte della Regione Puglia dei rapporti contrattuali pregressi, conclusi con In., quando questa non era un soggetto in house, motivando che “sotto questo profilo, risulta dirimente la considerazione secondo cui, essendosi questi rapporti ormai svolti, non c’è più interesse da parte di Me. ad ottenerne la caducazione o l’accertamento della inefficacia. I relativi servizi, già espletati, non potrebbero, infatti, essere oggi oggetto di gara. Potrebbe al più residuare un profilo risarcitorio (in termini di danno da perdita della chance, per non esserci stata la gara in conseguenza dell’illegittimo affidamento diretto illo tempore disposto a favore di In.).
Questo tipo di danno, tuttavia, è riconducibile al provvedimento originariamente impugnato e, dunque, oggi anche la correlata pretesa risarcitoria è coperta dal giudicato che aveva respinto, per difetto di prova, la domanda di risarcimento del danno provocato dal provvedimento annullato”.
Anche tale sentenza evidenzia, quindi, il rapporto di pregiudizialità logico-giuridica esistente, nel caso concreto, tra la pronuncia riguardante la domanda risarcitoria dei danni causati dall’atto deliberativo generale e la presente pronuncia, non potendosi reputare esistente, in riferimento ai servizi pubblici via via affidati, quella “probabilità di successo maggiore del 50%” che è stata esclusa in riferimento ai medesimi servizi unitariamente considerati come oggetto della deliberazione di giunta.
5.5. Come argomentato nella memoria di replica dell’appellante, è tuttora controverso l’indirizzo interpretativo secondo cui la risarcibilità del danno da perdita di chance sia condizionata alla prova certa di una probabilità di successo almeno pari al 50%. Tuttavia, la preclusione nascente dal giudicato impedisce di riconsiderare, nel presente giudizio, sia la statuizione in diritto contenuta nella sentenza n. 1181/2014 sia l’accertamento in fatto che ne sta a fondamento (circa la mancata dimostrazione delle probabilità di aggiudicazione, da parte di Me., di gare pubbliche aventi ad oggetto i servizi informatici affidati in house a In., in misura superiore alla soglia del 50%), per le ragioni sopra esposte.
5.6. Per tali ragioni, va confermata la sentenza appellata di inammissibilità della domanda risarcitoria per violazione del principio del ne bis in idem.
6. Al punto sub 4) del ricorso in appello si sostiene, in subordine, che tale conclusione non sarebbe riferibile a quegli affidamenti diretti ad In. che non rinverrebbero il loro immediato presupposto nell’atto deliberativo generale, perché estranei all’elenco delle 14 tipologie di attività analiticamente descritte nelle schede contrassegnate con le sigle da INP001 a INP0014 allegate alla stessa deliberazione.
La censura non merita favorevole apprezzamento.
6.1. Il ricorso depositato il 18 ottobre 2013 è proposto per la “condanna della Regione Puglia al risarcimento del danno ingiusto conseguente all’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, così come accertato e dichiarato dal TAR Puglia – Bari, sez. I, con sentenza n. 458/2013 del 2 aprile 2013” (come da intestazione) e nella parte espositiva, come già detto, la deliberazione di giunta n. 751/2009 è individuata come l’effettiva fonte del danno lamentato, in quanto “presupposto fondante la decisione di avvalersi di In. senza ricorrere a procedure di evidenza pubblica” ed in quanto anche gli affidamenti relativi a servizi (asseritamente) ivi non contemplati, risulterebbero “perfezionati in ragione (e secondo il regolamento negoziale) della convenzione generale oggetto di approvazione con la DGR n. 751/2009”; parimenti, nella memoria depositata il 4 giugno 2015, pur essendosi precisato che il danno lamentato sarebbe da imputarsi in via diretta ed immediata, non tanto alla predetta deliberazione (ed all’altra precedentemente impugnata, adottata col n. 516/2009), bensì agli atti dirigenziali recanti l’affidamento diretto ad In., si continua ad individuare questi ultimi come attuativi di quelle deliberazioni.
Da qui la novità della prospettazione contenuta nell’atto di appello.
6.2. Correlato a tale profilo di inammissibilità risulta quello, dirimente, dovuto all’assoluta genericità della domanda.
Ed invero, proprio in ragione del fatto che negli scritti del primo grado la ricorrente non aveva nettamente distinto gli affidamenti diretti aventi ad oggetto i servizi contemplati nell’allegato alla deliberazione n. 751/2009 da quelli riguardanti servizi (asseritamente) diversi ed ulteriori, né in tali scritti né in quelli del giudizio di appello si rinviene indicazione alcuna riguardante tali ultimi servizi, né quanto alla loro individuazione né quanto alle ragioni dell’asserita loro non riconducibilità all’elenco di cui alla ridetta deliberazione di giunta.
Si tratta di elementi di fatto costitutivi della domanda risarcitoria che la ricorrente aveva l’onere di allegare già con il ricorso introduttivo, previo eventuale accesso agli atti, e la cui mancata indicazione dà luogo ad una lacuna che non può essere colmata in giudizio mediante attività istruttoria (in particolare, con l’ordine di esibizione o con la verificazione o la CTU su cui si insiste con l’atto d’appello) che avrebbe finalità “esplorative”, oltre che inammissibilmente integrative degli atti di parte.
7. In conclusione, l’appello va respinto.
7.1. La novità delle questioni di diritto poste dal ricorso rende di giustizia la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese processuali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 luglio 2019 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Federico Di Matteo – Consigliere
Alberto Urso – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere, Estensore
Elena Quadri – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *