I presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 29 aprile 2019, n. 2739.

La massima estrapolata:

I presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall’originaria illegittimità del provvedimento, dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari; l’esercizio del potere di autotutela è dunque espressione di una rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l’Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l’ambito di motivazione esigibile è integrato dall’allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall’eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l’Amministrazione.

Sentenza 29 aprile 2019, n. 2739

Data udienza 11 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7598 del 2012, proposto dal signor Vi. La., anche in qualità di legale rappresentante della ditta La. S.p.a., rappresentato e difeso dall’avvocato Pa. Di Fr. ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Fa. Ce. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. La. D’A. ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Le. Sa. in Roma, via (…);
nei confronti
il signor An. Pi., nella sua qualità di dirigente del Comune di (omissis), non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sez. VIII, 5 giugno 2012 n. 2652, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e i documenti prodotti;
Esaminate le ulteriori memorie depositate da entrambe le parti, anche di replica ed i nuovi documenti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 luglio 2018 il Cons. Stefano Toschei e udito, per la parte appellante, l’avvocato Ma., in dichiarata delega dell’avvocato Pa. Di Fr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. – Con ricorso in appello il signor Vi. La., anche in qualità di legale rappresentante della ditta La. S.p.a., ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sez. VIII, 5 giugno 2012 n. 2652, con la quale è stato respinto il ricorso (R.G. n. 1885/2007) che egli aveva proposto ai fini dell’annullamento dell’ordinanza 2 gennaio 2007 prot. n. 1709/Urb con cui il dirigente del Settore urbanistica del Comune di (omissis) aveva ingiunto la demolizione di una scaffalatura metallica realizzata in seguito al rilascio del permesso di costruire n. 7485/2005, in quanto tale titolo abilitativo era stato rilasciato in assenza della preventiva acquisizione del nulla osta paesaggistico, reso indispensabile dalla circostanza che l’immobile, nel quale erano state realizzate le opere, ricade nella fascia di rispetto dei c.d. Regi Lagni sottoposta a regime di tutela ambientale ai sensi della l. 8 agosto 1985, n. 431, di conversione del d.l. 27 giugno 1985, n. 312.
2. – La documentazione prodotta in giudizio dalle parti controvertenti in sede di appello (nonché nel giudizio di primo grado) consente di ricostruire la vicenda contenziosa come segue, limitatamente alle questioni fatte oggetto di ricorso in primo grado e decise con la sentenza della quale qui si chiede la riforma:
– la La. S.p.a, il cui rappresentante legale è il signor Vi. La., esercita attività industriale di produzione di arredi per ufficio ed operata attraverso uno stabilimento ubicato in zona A.S.I. sud del Comune di (omissis);
– dopo avere ottenuto un il permesso di costruire n. 6364/2001, dai competenti uffici del predetto Comune, per la realizzazione di una palazzina per l’allocazione di uffici e l’ampliamento di un preesistente capannone industriale, il signor La., in data 14 agosto 2002, presentava al Comune un progetto di variante per la realizzanda palazzina, che otteneva dapprima il parere favorevole del consorzio ASI di Caserta nonché della ASL CE/1 di (omissis). Il progetto veniva ulteriormente modificato nel corso del procedimento di rilascio del nuovo titolo edilizio attraverso un aggiornamento degli originari grafici al fine di realizzare un ampliamento planovolumetrico dello stabilimento da destinare a deposito e da realizzarsi a mezzo di scaffalatura metallica autoportante;
– dopo avere proceduto ad una integrazione documentale, per come era stato richiesto dagli uffici comunali, l’odierno appellante otteneva il rilascio del permesso di costruire n. 7485 del 2005 per realizzare quanto sopra, evento che si concretizzava con la costruzione della scaffalatura e rispetto alla quale veniva rilasciato il certificato di collaudo statico, poi trasmesso al Comune;
– accadeva però che con il provvedimento comunale 2 gennaio 2007 n. 1709 gli uffici annullavano in autotutela il permesso di costruire perché nel corso della procedura non era stato acquisito il prescritto titolo autorizzatorio in materia paesaggistica;
– l’odierno appellante proponeva quindi ricorso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania che respingeva il ricorso proposto con la sentenza qui oggetto di appello.
Fin qui i fatti che hanno preceduto la proposizione del ricorso in sede di appello.
3. – Il signor La. sostiene la erroneità della sentenza del Tribunale amministrativo regionale, prospettando tre motivi di appello ai fini della riforma della pronuncia di primo grado.
Con il primo motivo l’appellante ritiene che il giudice di primo grado nella sentenza qui appellata non si sia avvisto della illegittimità provvedimento di annullamento del permesso di costruire e della connessa sanzione ripristinatoria ripristinatoria dal momento che l’intervento edilizio è stato realizzato sulla base di un permesso di costruire rilasciato dallo stesso Comune di (omissis) titolare, per legge, anche della sub delega ad esprimere il provvedimento di assenso (nulla osta) paesaggistico.
Peraltro, sotto il profilo procedurale, il Comune non ha fatto precedere l’adozione dell’ordinanza impugnata in primo grado dalla necessaria comunicazione di avvio del procedimento ed il ridetto provvedimento sanzionatorio non è stato accompagnato da una congrua motivazione in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi, limitandosi in tale atto il Comune a richiamare il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. Nella sentenza qui oggetto di appello il giudice di primo grado ha richiamato gli artt. 146 e 159 del predetto decreto legislativo delegato, ma non ne ha fatto corretta applicazione dal momento che “(…) nel caso di specie al decorso del sessantesimo giorno l’autorizzazione paesaggistica si intendeva rilasciata dalla stessa autorità sub delegata, ai sensi dell’art 159 in comb disp. con lart. 146 – per cui – una volta formato il silenzio assenso, in difetto di annullamento, il potere di annullamento per decorso del termine perentorio di 60 giorni risultava anche decaduto” (così, testualmente, a pag. 11 dell’atto di appello).
Con il secondo motivo di ricorso il signor La. contesta l’assenza, nell’istruttoria svolta dal Comune e nell’atto conclusivo del procedimento sanzionatorio, di qualsivoglia valutazione da parte degli uffici circa la consistenza delle opere con riferimento all’impatto paesaggistico, che avrebbe poi dovuto esplicitarsi nella motivazione del provvedimento sanzionatorio, ponendo in luce la caratteristica tipologica del manufatto e il suo eventuale contributo caratterizzante, insieme agli elementi vegetazionali e panoramici, del quadro naturale paesaggistico che attraverso il regime vincolistico si è inteso tutelare. Di tale doveroso percorso istruttorio e motivazionale non vi è però traccia nel provvedimento impugnato in primo grado.
Erroneamente, quindi, il giudice di primo grado ha ritenuto di poter superare le doglianze in quella sede prospettate dall’odierno appellante, non potendo egli non rilevare “la contraddittorietà e la carenza di motivazione in relazione al difetto di un interesse pubblico prevalente” (così, testualmente, a pag. 17 dell’atto di appello).
Con il terzo motivo di appello il signor La. lamenta che il Tribunale amministrativo regionale non “(…) ha spiegato come i provvedimenti impugnati dall’appellante fossero sostanzialmente privi di una congrua motivazione, al cospetto della puntuale censura proposta dal ricorrente per la quale neppure apoditticamente negli atti gravati viene svolto il giudizio di prevalenza voluto espressamente dal legislatore, avendo ben presente che non pare sufficiente in casi del genere una ipotetica ragione di ripristino della legalità violata (…)”(così, testualmente, a pag. 21 dell’atto di appello).
Concludeva dunque l’appellante chiedendo, in riforma della sentenza gravata, l’accoglimento del ricorso di primo grado con annullamento dell’atto impugnato oltre all’accoglimento della domanda risarcitoria, già formulata nel corso del giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale.
4. – Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) contestando analiticamente le avverse prospettazioni e confermando la correttezza della sentenza del giudice di primo grado. Chiedeva quindi che venisse respinto l’appello e confermata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale.
5. – Va in via preliminare chiarito che il provvedimento impugnato in primo grado reca la seguente motivazione (che vale la pena di riprodurre testualmente per maggiore chiarezza ai fini della decisione del presente contenzioso): “Premesso che in data 28.10.2005 è stato rilasciato il P.C. n° 7485/05 al sig. La. Vi. rappresentante legale della La. SpA per “Variante alla C.E. n° 6364/01 per realizzazione di una scaffalatura metallica autoportante da destinare a deposito, come da progetto redatto dall’ing. Al. Ab. da (omissis)”; Che l’intervento di cui sopra, pertinenziale ad una attività iniziata già nel 1981, quindi prima dell’entrata in vigore della Legge Galasso, ricade su una fascia di rispetto dei “Regi Lagni”; Che il sopradetto P.C. n° 7485/05 è stato rilasciato in mancanza del necessario N.O. in materia paesaggistica; Considerato che ai sensi della normativa vigente non è possibile rilasciare N.O. paesaggistico in sanatoria; Vista l’interpellanza del Consigliere Comunale Salzillo Pasquale a nome del gruppo U.D.C.; Vista la comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 e seguenti della L.241/90 inviata al sig. La. Vi. in data 07.12.2006 prot. n° 12867; Richiamata la normativa edilizia statale e regionale vigente; Visto l’art. 167 del D.Lvo n° 42/2004 ORDINA (…)” (così, testualmente, nel provvedimento impugnato in primo grado).
Orbene pare evidente dalla, davvero sintetica, motivazione del provvedimento di annullamento in autotutela con ordine di ripristino dello stato dei luoghi, ma non per questo idonea a far comprendere la vicenda giuridico-fattuale che sottende al presente contenzioso, che:
– l’area nella quale è stata realizzata l’opera è caratterizzata da un vincolo paesaggistico rispetto al quale non è consentito procedere al rilascio di un titolo abilitativo a costruire in sanatoria;
– l’opera è stata assentita con un permesso di costruire rilasciato dal Comune di (omissis) che fin dall’origine si palesava contra legem in quanto non accompagnato da una specifica autorizzazione paesaggistica che il medesimo Comune avrebbe dovuto valutare se rilasciare o meno;
– il Comune di (omissis) non ha inteso porre rimedio a tale illegittimità originaria intervenendo in autotutela;
– il Comune ha inteso procedere recta via alla adozione di un ordine di ripristino dello stato dei luoghi;
– di tale intendimento ha reso partecipe l’interessato con comunicazione di avvio del procedimento di autotutela 7 dicembre 2006, prot. n. 12867.
6. – In virtù di quanto sopra, da un punto di vista schiettamente giuridico, il provvedimento assunto dal Comune di (omissis) lascia spazio ad alcune considerazioni preliminari:
– non è in discussione che l’area nella quale si trova l’immobile in cui è stato realizzato l’intervento edilizio assentito con permesso di costruire rilasciato dal Comune di (omissis) in data 28 ottobre 2005 sia sottoposto a vincolo paesaggistico preesistente rispetto al rilascio del predetto permesso di costruire;
– è parimenti evidente che il titolo abilitativo a costruire doveva essere accompagnato dalla valutazione comunale circa la compatibilità paesaggistica delle opere da esprimersi con apposito nulla osta;
– di conseguenza l’adozione di un permesso di costruire privo della valutazione paesaggistica da parte del medesimo comune competente si appalesava illegittima, ma ciò avrebbe dovuto condurre alla rimozione, in sede di autotutela da parte dei competenti uffici dell’ente locale, del permesso di costruire illegittimo perché incompatibile con la tutela paesaggistica del luogo ove insiste l’immobile.
A tali insuperabili considerazioni si aggiungono le puntualizzazioni che seguono, al fine di rispondere specificamente ai motivi di appello ed ai riproposti motivi di ricorso dedotti in primo grado
7. – Quanto alla non assentibilità in via postuma dell’autorizzazione paesaggistica mai rilasciata dal Comune di (omissis), vale la pena di ricordare che gli artt. 16 (Autorizzazione) e 26 (Procedimento di autorizzazione in via transitoria) d.lgs. 24 marzo 2006, n. 157 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 27 aprile 2006, n. 97, S.O. e quindi applicabile ratione temporis alla vicenda in esame), hanno sostituito integralmente i rispettivi artt. 146 e 159 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 legando la durata del regime transitorio ad un termine certo (quello individuato dall’art. 156, primo comma, in tema di verifica e adeguamento dei piani paesistici entro l’1 maggio 2008) e disponendo espressamente (al sesto comma) che anche nel periodo transitorio si applica l’art. 146, comma 12, d.lgs. 42/2004 (secondo cui “L’autorizzazione paesaggistica, fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”).
Ne deriva che i competenti uffici del Comune di (omissis) non avrebbero potuto procedere ad una sanatoria della carenza di nulla osta paesaggistico, ma ciò non avrebbe loro impedito di comportarsi diversamente, come di seguito si andrà ad illustrare.
8. – Va infatti rilevato che, effettivamente, per come contestato dall’odierno appellante, a fronte di un permesso di costruire rilasciato dal Comune di (omissis) in data 28 ottobre 2005, l’intervento repressivo sanzionatorio è avvenuto nel gennaio 2007, ad oltre un anno dal rilascio del titolo abilitativo a costruire e ad opere già realizzate e collaudate. Tutto ciò senza che il permesso di costruire venisse formalmente annullato in autotutela dal Comune.
Pare evidente quindi che il Comune di (omissis), riferendosi espressamente nel provvedimento recante l’ordine di ripristino al permesso di costruire rilasciato per la realizzazione delle opere delle quali si ingiungeva la demolizione, ha posto nel nulla il predetto atto assentivo facendogli perdere rilevanza, il che equivale ad averlo annullato in autotutela, essendo evidente che il comportamento dell’amministrazione si traduce in un ripensamento circa la legittimità del permesso di costruire a suo tempo rilasciato, equivalente ad un provvedimento implicito di autotutela (per l’ammissibilità dell’intervento implicito in autotutela cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 novembre 2014 n. 5887).
D’altronde si è più volte chiarito in giurisprudenza che è illegittima l’ordinanza di demolizione non preceduta da un atto esplicito – sussistendone i presupposti – di annullamento del permesso di costruire in sanatoria assentito. Ciò in quanto, in osservanza del principio di stretta legalità, l’Amministrazione anziché provvedere a ingiungere il ripristino dello stato dei luoghi sul rilievo delle difformità urbanistico-edilizie dell’intervento, in via diretta, con una ordinanza di demolizione, sprovvista di una motivazione sull’assenza della prescritta autorizzazione paesaggistica, avrebbe dovuto far precedere l’emissione della ingiunzione a demolire, sussistendone i presupposti, da un provvedimento esplicito e autonomo di esercizio dell’autotutela, corredato delle garanzie, anche motivazionali, previste dall’art. 21-nonies l. 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 settembre 2014 n. 4780).
Va poi specificato, in punto di diritto e per migliore intelligenza della questione rispetto alla corretta applicazione dell’istituto dell’autotutela ai sensi dell’art. 21-nonies l. 241/1990, che:
– all’epoca dei fatti non era stato ancora introdotto il principio c.d. limite ordinario dei diciotto mesi per l’esercizio del potere di autotutela nell’ambito del richiamato art. 21-nonies (la nuova disposizione del comma 1, primo periodo, a mente del quale “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. (…)”, è stata introdotta dall’art. 6, comma 1, lett. d), n. 1), l. 7 agosto 2015, n. 124 e quindi in epoca successiva rispetto all’adozione del provvedimento di autotutela in questione);
– all’epoca dell’adozione del provvedimento di autotutela impugnato dinanzi al Tribunale amministrativo regionale vigeva l’originario testo dell’art. 21-nonies l. 241/1990 che, nello stabilire la necessità che il provvedimento di secondo grado venga adottato “entro un termine ragionevole”, va interpretato ed applicato in base alla legislazione allora vigente ed in particolare alla stregua disposizione dell’art. 1, comma 136, l. 30 dicembre 2004, n. 311 (Legge finanziaria per il 2005), norma pienamente vigente fino alla sua abrogazione operata con l’art. 6, comma 2, della l. 124/2015, il quale stabiliva che “136. Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”;
– la norma della legge finanziaria per il 2005, d’altronde “nel fissare un preciso limite temporale (tre anni) entro il quale le Amministrazioni pubbliche possono esercitare il potere di riesame dei provvedimenti dalle stesse adottati (nella specie, tetti di spesa per strutture sanitarie private accreditate), traduceva (prima della sua abrogazione per effetto dell’art. 6, l. 7 agosto 2015, n. 124) in un dato concreto il parametro indeterminato del “termine ragionevole” di cui all’art. 21 nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241 previsto in via generale per l’esercizio di tale potere e individuava legislativamente un punto di equilibrio tra il potere di annullamento d’ufficio per ragioni di convenienza economico-finanziaria e l’esigenza di certezza nei rapporti contrattuali fra Pubblica amministrazione e privati, senza lasciare quindi alcuno spazio ulteriore per l’esercizio dell’autotutela finalizzata ad evitare un illegittimo esborso di pubblico denaro” (così, in termini, Cons. Stato, Sez. III, 17 novembre 2015 n. 5259).
9. – Ciò non toglie, però, che il provvedimento n. 1709 del 2 gennaio 2007 presenti carenze evidenti sotto il profilo della esternazione delle motivazioni che hanno indotto l’amministrazione comunale ad intervenire, con l’ordine di ripristino, su un’opera realizzata in virtù del titolo edificatorio rilasciato dal medesimo Comune.
La verifica della sufficienza della motivazione dell’ordine di ripristino, costituente un significativo parametro di legittimità dell’atto impugnato, a più riprese sollecitata dall’odierno appellante sia nel corso del giudizio di primo grado che nel presente giudizio di appello, merita di essere considerata anche alla luce della circostanza che, come si è sopra evidenziato, il Comune di (omissis) è intervenuto con un atto repressivo in costanza di un permesso di costruire rilasciato e che quindi deve intendersi, sia pure implicitamente, superato (in autotutela, sia pure inespressa) per decisione del medesimo comune.
Sulla motivazione degli atti di autotutela va detto che:
– come è noto, l’Adunanza plenaria di questo Consiglio (sentenza 17 ottobre 2017, n. 8) ha, da un lato, escluso che sussista ex se l’interesse pubblico al ripristino della legalità violata per effetto del rilascio di un titolo edilizio illegittimo, dovendo essere espressamente circostanziato, e, dall’altro, ha negato la “teoria dell’inconsumabilità del potere”, altrimenti nota come “perennità della potestà amministrativa di annullare in via di autotutela gli atti invalidi”, con la conseguenza che il decorso del tempo “onera l’amministrazione del compito di valutare motivatamente se l’annullamento risponda ancora a un effettivo e prevalente interesse pubblico di carattere concreto e attuale”;
– questo Consiglio, nel fare applicazione di tali principi, ha quindi di recente rilevato che i “presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio dei titoli edilizi sono costituiti dall’originaria illegittimità del provvedimento, dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari; l’esercizio del potere di autotutela è dunque espressione di una rilevante discrezionalità che non esime, tuttavia, l’Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l’ambito di motivazione esigibile è integrato dall’allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell’interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall’eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l’Amministrazione” (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 29 marzo 2018 n. 1991);
– ne deriva che, l’annullamento d’ufficio di un titolo edilizio, successivamente valutato come illegittimo, è possibile anche “ad una distanza temporale considerevole dal titolo medesimo”, ma deve essere adeguatamente motivato “in relazione alla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale”, tenuto anche conto degli interessi dei privati coinvolti.
Ebbene non si evince, pur se la scarna motivazione dell’atto con il quale si ordina il ripristino dello stato dei luoghi permette di comprendere che lo stesso è stato adottato in quanto il permesso di costruire non era stato accompagnato dal nulla osta paesaggistico, una adeguata valutazione del sacrificio imposto al privato derivante dal ritiro degli atti autorizzativi (che nel caso di specie è operazione riferibile all’ordine di solo ripristino adottato dal comune, per quanto si è sopra detto), in quanto, come è stato evidenziato da questa Sezione, “l’interesse pubblico che legittima e giustifica la rimozione d’ufficio di un atto illegittimo deve consistere nell’esigenza che quest’ultimo cessi di produrre i suoi effetti, siccome confliggenti, in concreto, con la protezione attuale di valori pubblici specifici, all’esito di un giudizio comparativo in cui questi ultimi vengono motivatamente giudicati maggiormente preganti di (e prevalenti su) quello privato alla conservazione dell’utilità prodotta da un atto illegittimo” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 27 gennaio 2017 n. 341).
Il Comune non ha, peraltro, dedicato alcun passaggio motivazionale alla possibilità di individuare una soluzione mitigata, rispetto all’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, individuando formula di realizzazione dell’opera compatibili con le effettive condizioni urbanistico edilizie del territorio, al fine di contemperare le contrapposte esigenze recando il minore sacrificio possibile alla posizione giuridica del privato (cfr., per ipotesi analoghe, Cons. Stato, Sez. III, 28 luglio 2017 n. 3780 e Sez. VI, 18 luglio 2017, n. 3524).
10. L’accoglimento dell’appello non consente però di scrutinare la domanda risarcitoria, (ri)proposta nel secondo grado di giudizio dall’appellante, in quanto non sono stati offerti parametri valutabili da parte del Collegio circa l’effettivo danno patito dall’appellante medesimo.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663 e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 18 luglio 2016 n. 3176). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
11. – In ragione delle suesposte osservazioni l’appello va accolto e quindi, in riforma dell’appellata sentenza, va accolto il ricorso di primo grado con il conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Ad avviso del Collegio e tenuto conto delle oscillazioni giurisprudenziali che hanno caratterizzato l’arco temporale in cui si sono svolti i due gradi di giudizio sussistono i presupposti, secondo le indicazioni di cui all’art. 92 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., per compensare integralmente le spese di entrambi i gradi di giudizio tra le parti controvertenti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello n. R.g. 7598/2012, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Napoli, Sez. VIII, 5 giugno 2012 n. 2652, accoglie il ricorso proposto in primo grado (R.G. n. 1885/2007) ed annulla il provvedimento impugnato.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle Camere di consiglio del 12 luglio 2018, del 29 novembre 2018 e dell’11 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere, Estensore

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