CONSIGLIO DI STATO
SEZIONE V
ORDINANZA 17 luglio 2015, n. 3587
ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
sul ricorso numero di registro generale 3273 del 2007, proposto da:
Impresa Pizzarotti & C. S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. Marco Annoni, Diego Vaiano, Paolo Vaiano, Felice Eugenio Lorusso e Roberto Mastroianni, con domicilio eletto presso l’avv. Paolo Vaiano in Roma, Lungotevere Marzio, 3;
contro
Comune di Bari, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Trisorio Liuzzi, Renato Verna e Rosannna Lanza, con domicilio eletto presso l’avv. Roberto Ciociola in Roma, viale delle Milizie, 2;
nei confronti di
Complesso Residenziale Bari 2 S.r.l.;
Commissione di Manutenzione della Corte d’Appello di Bari;
Giuseppe Albenzio quale commissario ad acta;
Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Regione Puglia in Persona del Presidente P.T., rappresentata e difesa dall’avv. Anna Bucci, con domicilio eletto presso l’Ufficio Delegazione Romana della Regione Puglia in Roma, via Barberini, 36;
sul ricorso numero di registro generale 5746 del 2010, proposto da:
Impresa Pizzarotti & C. Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Diego Vaiano, Felice Eugenio Lorusso, Marco Annoni e Roberto Mastroianni, con domicilio eletto presso l’avv. Diego Vaiano in Roma, Lungotevere Marzio, 3;
contro
Comune di Bari, rappresentato e difeso dagli avv. Aldo Loiodice, Isabella Loiodice e Renato Verna, con domicilio eletto presso l’avv. Aldo Loiodice in Roma, Via Ombrone, 12, Pal. B;
nei confronti di
Commissione di Manutenzione della Corte d’Appello di Bari;
Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l’esecuzione
quanto al ricorso n. 3273 del 2007 e al ricorso n. 5746 del 2010:
della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. V n. 04267/2007 e delle sentenze di ottemperanza del Consiglio di Stato – Sez. V n. 03817/2008, n. 2153/2010 e n. 8420/2010 rese tra le parti e sulle istanze di Giuseppe Albenzio quale commissario ad acta proponente richiesta di chiarimenti ex art. 112, comma 5, c.p.a. con relazione del 10 agosto 2012 e con successiva relazione del 23 ottobre 2012 e 5 maggio 2015;
Visti i ricorsi in oggetto e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia, della Regione Puglia in Persona del Presidente P.T., del Comune di Bari, della Commissione di Manutenzione della Corte d’Appello di Bari e del Commissario ad Acta nominato con decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, n.. 3817-2008;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 maggio 2015 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Felice Eugenio Lorusso, Roberto Mastroianni, Rosanna Lanza, Anna Bucci, Isabella Loiodice e l’Avvocato dello Stato Paolo Gentili;
Ritenuto di potere procedere alla previa riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, aventi nella sostanza il medesimo oggetto;
Richiamata la vicenda oggetto del presente giudizio, già riassunta nella sentenza di questa Sezione 15 aprile 2010, n. 2153 e nell’ordinanza di questa Sezione 10 aprile 2013, n. 1962;
Rilevato che la sentenza della Corte UE, Sezione II, 10 luglio 2014, C-213/13 ha stabilito che l’art. 1, lett. a), Direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, deve essere interpretato nel senso che un contratto che abbia per oggetto principale la realizzazione di un’opera che risponda alle esigenze formulate dall’amministrazione aggiudicatrice, come nell’ipotesi in esame, costituisce un appalto pubblico di lavori e non rientra, pertanto, nell’esclusione di cui all’articolo 1, lett. a), III), Direttiva 92/50/CEE del Consiglio, del 18 giugno 1992, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, anche quando comporti un impegno a locare l’opera di cui trattasi, come nell’ipotesi in esame;
Rilevato che la sentenza di questa Sezione 1° agosto 2007, n. 4267 aveva dichiarato “l’obbligo dell’Amministrazione comunale appellata di portare a conclusione il procedimento relativo all’intervento di edilizia giudiziaria per cui è causa nei sensi di cui in motivazione”;
Rilevato che nella motivazione dell’anzidetta sentenza, questo Consiglio aveva stabilito che “l’Amministrazione comunale, nel rispetto dei principi di ragionevolezza, buona fede ed affidamento, deve, dando consequenzialità ai propri atti, dare al procedimento una conclusione plausibilmente congrua, verificando, nell’ambito delle proposte pervenute, la possibilità di realizzazione dell’opera nei limiti del mutato quadro economico”;
Rilevato che la successiva sentenza di questa Sezione, già citata, 15 aprile 2010, n. 2153 per l’ottemperanza dell’anzidetta sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 1° agosto 2007, n. 4267 ha stabilito che “I provvedimenti adottati dal Commissario ad acta sono corretti (…) nella parte in cui si accerta e riconosce che la proposta Pizzarotti, pacificamente preferibile alle altre pervenute secondo le risultanze della procedura indetta dal Comune e denominata “ricerca di mercato”, è rispettosa anche dei mutamenti del quadro economico intervenuti successivamente”;
Rilevato che, pertanto, per la predetta sentenza, “sotto il profilo considerato, si tratta di atti con cui si accerta e si riconosce che la proposta Pizzarotti risponde alle richieste del bando di gara e del quadro esigenziale da esso richiamato. E risponde anche considerando i mutamenti del quadro economico determinati dalla perdita di cespiti finanziari originariamente disponibili”;
Rilevato che sempre la sentenza di questa Sezione 15 aprile 2010, n. 2153 ha, inoltre, affermato (punto 8 della motivazione) che “l’attività di esecuzione dell’ordine del Giudice, che oramai peraltro riveste i caratteri del giudicato anche in senso formale, dev’essere portata a quella “conclusione plausibilmente congrua” imposta dalla decisione n. 4267-2007”;
Rilevato che la medesima sentenza ha quindi concluso (punto 12 della motivazione) che “la proposta Pizzarotti è rispondente al bando ed alle richieste di questo, nonostante i mutamenti intervenuti nel quadro economico”; pertanto, “dovrà procedersi all’adozione degli atti necessari alla concreta realizzazione della stessa, verificando, quanto agli ulteriori presupposti in fatto e in diritto, la coerenza di tali atti con il sistema normativo ed il quadro amministrativo comunale”;
Rilevato che, per l’effetto, la medesima sentenza ha statuito che si deve “dare completa ottemperanza alle decisioni di cui in epigrafe e per concludere il procedimento in via sostitutiva, secondo le indicazioni ed i criteri di cui in motivazione”;
Considerato che, come è noto, in sede di giudizio di ottemperanza il giudice amministrativo può esercitare cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e può, conseguentemente, integrare l’originario disposto della sentenza con statuizioni che ne costituiscono non mera esecuzione, ma attuazione in senso stretto, dando luogo al c.d. giudicato a formazione progressiva (da ultimo, cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 febbraio 2011, n. 748; principio da ultimo autorevolmente confermato dalla sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Pl., 15 gennaio 2013, n. 2);
Considerato che anche la Corte costituzionale ha avuto occasione di affermare che il “il giudizio di ottemperanza, secondo l’attuale elaborazione giurisprudenziale, ricomprende una pluralità di configurazioni (in relazione alla situazione concreta, alla statuizione del giudice e alla natura dell’atto impugnato), assumendo talora (quando si tratta di sentenza di condanna al pagamento di somma di denaro esattamente quantificata e determinata nell’importo, senza che vi sia esigenza ulteriore di sostanziale contenuto cognitorio) natura di semplice giudizio esecutivo (…) e quindi qualificabile come rimedio complementare che si aggiunge al procedimento espropriativo del codice di procedura civile, rimesso alla scelta del creditore. In altri casi il giudizio di ottemperanza può essere diretto a porre in essere operazioni materiali o atti giuridici di più stretta esecuzione della sentenza; in altri ancora ha l’obiettivo di conseguire una attività provvedimentale dell’Amministrazione ed anche effetti ulteriori e diversi rispetto al provvedimento originario oggetto della impugnazione; inoltre può essere utilizzato, in caso di materia attribuita alla giurisdizione amministrativa, anche in mancanza di completa individuazione del contenuto della prestazione o attività cui è tenuta l’amministrazione, laddove invece l’esecuzione forzata attribuita al giudice ordinario presuppone un titolo esecutivo per un diritto certo, liquido ed esigibile” (cfr. Corte cost. 12 dicembre 1998, n. 406);
Considerato che la già citata sentenza della Corte UE, Sezione II, 10 luglio 2014, C-213/13 ha statuito che “se le norme procedurali interne applicabili glielo consentono, un organo giurisdizionale nazionale, come il giudice del rinvio, che abbia statuito in ultima istanza senza che prima fosse adita in via pregiudiziale la Corte di giustizia ai sensi dell’articolo 267 TFUE, deve o completare la cosa giudicata costituita dalla decisione che ha condotto a una situazione contrastante con la normativa dell’Unione in materia di appalti pubblici di lavori o ritornare su tale decisione, per tener conto dell’interpretazione di tale normativa offerta successivamente dalla Corte medesima”;
Ritenuto che, alla luce di tale complessa ricostruzione di fatto e di diritto, la controversia, peraltro avente evidente carattere di massima, deve essere devoluta all’esame dell’Adunanza Plenaria ex art. 99, comma 1 e 3, c.p.a. non condividendosi il tradizionale insegnamento in tema di “giudicato a formazione progressiva” accolto dalla giurisprudenza amministrativa e dalla stessa Plenaria (da ultimo, con la citata sentenza 15 gennaio 2013, n. 2);
Ritenuto, infatti, che secondo il tradizionale insegnamento in tema di “giudicato a formazione progressiva”, nell’ipotesi in cui le statuizioni sopra richiamate venissero intese quali statuizioni intangibili in quanto rientranti nel concetto elastico di giudicato proprio del diritto processuale amministrativo, si potrebbe ritenere, come ambisce la ricorrente Pizzarotti, che la medesima abbia ottenuto il diritto di realizzare l’opera in contestazione;
Considerato, quindi, che il “giudicato intangibile” può essere individuato nel riconoscimento del diritto della società Pizzarotti di “eseguire l’opera” oggetto dell’originaria offerta e nel corrispettivo obbligo dell’Amministrazione comunale di Bari di “prenderla in carico” a titolo oneroso e di “utilizzarla” quale sede degli uffici giudiziari;
Ritenuto, tuttavia, che tale esito del giudizio comporterebbe una palese violazione del diritto comunitario, come sancito dalla predetta sentenza della Corte UE, Sezione II, 10 luglio 2014, C-213/13, con evidenti implicazioni in punto di responsabilità dello Stato Italiano, per di più provocate da decisioni di questa Sezione;
Ritenuto che tutte le ipotesi contrattuali elaborate dal Commissario ad acta nel corso del giudizio di ottemperanza non rispondono a quanto stabilito dalla Corte UE nella sentenza citata, che impone una procedura di appalto pubblico certamente ab origine assente;
Ritenuto dunque che sia indispensabile ritornare sulla propria decisione, come ha prospettato la stessa Corte UE nella sentenza citata, revocando quindi, nella sostanza, quanto stabilito nella sentenza di questa Sezione 15 aprile 2010, n. 2153;
Ritenuto che è pur vero che resta ferma la possibilità di ricostruire il fatto diversamente, deducendo dalle sentenze sopra indicate l’assenza di statuizioni suscettibili di giudicato nel senso sopra precisato, atteso che questo Consiglio nell’ordinanza di questa Sezione 10 aprile 2013, n. 1962 con cui è stata sollevata la questione pregiudiziale comunitaria, ha espressamente e solamente ipotizzato la sussistenza di un giudicato formatosi “eventualmente” in ordine al diritto dell’Impresa Pizzarotti di realizzare l’opera;
Ritenuto, tuttavia, che l’esistenza del giudicato, nei termini sopra indicati, rimane allo stato una prospettiva certamente concreta e suscettibile di fondare una decisione che, in astratto, può ritenersi condivisibile sulla base dei noti e tradizionali principi processuali amministrativi in tema di giudicato a formazione progressiva;
Ritenuto, pertanto, che nel caso in esame, prima di esplorare la possibilità di ricostruire il fatto diversamente, deducendo dalle sentenze sopra indicate l’assenza di statuizioni suscettibili di giudicato, occorre previamente interrogarsi, dal punto di vista del diritto, sulla natura del giudicato a formazione progressiva, al fine di verificare, in primo luogo, se nel corrente quadro giuridico del processo amministrativo tale concetto sia ancora attuale; e, in secondo luogo, subordinatamente, per precisare il concetto medesimo allo scopo di stabilire se il dictum della sentenza 15 aprile 2010, n. 2153 abbia comportato e contenga soltanto misure esecutive, e quindi, sempre revocabili, ovvero sia idoneo ad integrare il giudicato della sentenza di cognizione 1° agosto 2007, n. 4267 e, come tale, avendo natura di giudicato, risulti intangibile;
Ritenuto, inoltre, nel caso in cui venga opzionata tale ultima soluzione (giudicato intangibile), di dovere deferire la questione se il concetto di ius superveniens, idoneo a circoscrivere l’effetto del giudicato, possa in primo luogo essere applicabile anche all’ipotesi di una giurisprudenza comunitaria sopravvenuta come quella in oggetto che impedisce giuridicamente l’attribuzione alla ricorrente Pizzarotti del contratto per la realizzazione dell’opera in contestazione; in secondo luogo, se la normativa nazionale sopravvenuta (ad esempio in riferimento all’edilizia giudiziaria- cfr. relazione del commissario ad acta 5 maggio 2015) possa incidere sul giudicato a formazione progressiva eventualmente formatosi, determinandone l’inidoneità a produrre gli effetti programmati e stabiliti;
Ritenuto, quanto alla questione dell’attualità del concetto di giudicato a formazione progressiva, che si debba verificare se, dopo la riforma del processo amministrativo attuata con l’adozione del relativo codice e l’introduzione di azioni processuali prima non riconosciute dal sistema processuale amministrativo, abbia ancora senso fare riferimento all’istituto in esame che è stato elaborato dalla giurisprudenza proprio per sopperire alle limitazioni proprie del processo amministrativo originario, centrato sulla sola azione di annullamento del provvedimento illegittimo; oppure se debba farsi riferimento ad un concetto di giudicato omologo a quello civilistico ed incentrato sul dictum contenuto nella sola sentenza di merito (che, nella specie, non conteneva alcun obbligo di affidamento in capo all’impresa Pizzarotti);
Ritenuto che il Collegio condivide tale ultima soluzione, benché tale opzione ermeneutica contrasti con la giurisprudenza consolidata di questo Consiglio; di qui la necessità di deferire tale questione all’Adunanza Plenaria;
Ritenuto, quanto alla questione del rapporto tra statuizioni della sentenza di ottemperanza suscettibili di passare in giudicato (a formazione progressiva) e mere misure esecutive, che occorra stabilire in astratto uno o più criteri, certi e ripetibili, per definire il discrimine tra tali due concetti, tanto più che l’istituto in esame (giudicato a formazione progressiva) non ha alcuna base normativa di carattere positivo ma è frutto di un’elaborazione giurisprudenziale, consolidatasi via via nei decenni, che non appare particolarmente sistematica e rispetto al quale appare necessario un pronunciamento dell’Adunanza Plenaria per ricondurre ad unità le diverse declinazioni possibili del contenuto di tale concetto, onde prevenire contrasti interpretativi;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), rimette l’esame della controversia all’Adunanza Plenaria, ai sensi dell’art. 99 c.p.a.
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