Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 10 febbraio 2015, n. 715

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE SESTA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6666 del 2014, proposto da:

Na.Te., rappresentata e difesa dall’avv. An.Ab., con domicilio eletto presso An.Ab. in Roma, Via (…);

contro

Comune di Napoli, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Fa.Ma.Fe., An.An., con domicilio eletto presso Nicola Laurenti in Roma, Via (…); Ati Ed. s.a.s.;

nei confronti di

Eq. s.p.a.;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE IV n. 01252/2014, resa tra le parti, concernente recupero somme a seguito intervento di demolizione delle opere edilizie realizzate – ris.danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2015 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati An.Ab. e l’avvocato La. per delega dell’avvocato An.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Campania la signora Na.Te., attuale appellante, impugnava alcuni atti concernenti la pretesa del Comune di Napoli del pagamento di demolizioni eseguite in danno della stessa, per essersi resa inadempiente a precedenti e reiterati ordini di demolizione.

Le demolizioni erano state effettuate nel febbraio 2011 dalla Ic. s.r.l., affidataria dal Comune di Napoli con contratto in data 9 febbraio 2010 rep.n.80523. A seguito delle effettuate demolizioni in danno, in data 12 aprile 2011, venivano notificate le disposizioni dirigenziali nn.79 e 80 del 5 aprile 2011, di recupero delle somme per l’intervento di demolizione delle opere edili abusivamente realizzate in Napoli alla via Torciolano, 45. In particolare, con ordinanza n.79 del 2011 veniva richiesta la somma di euro 14.845,75 per i lavori di cui all’ordinanza n. 679 del 2011 (impugnata con ricorso, poi definito con sentenza 4332 del 2013) e la stessa somma veniva richiesta per i lavori di cui all’ordinanza di demolizione n.677 del 2011 (impugnata a sua volta con ricorso poi definito con sentenza n.4331 del 2013). A tali ordinanze il Comune allegava i dati dei costi dei mancati interventi dell’8 giugno 2010 e del 19 luglio 2010, chiedendo il pagamento alla Ati Ed. s.a.s..

La signora Na., proprietaria dal 2001 di un terreno di circa 4.000 metri quadri in Pianura, aveva realizzato tre distinte unità abitative, poi sottoposte a sequestro. Essa si era poi resa inadempiente a distinte ordinanze di demolizione (impugnate dinanzi al Tribunale amministrativo regionale).

Nel ricostruire la vicenda amministrativa e giudiziaria, la sentenza qui impugnata ha rilevato che le spese addossate con gli atti impugnati erano in sostanza riferibili a due diversi tentativi di demolizione, che non era stato possibile eseguire a causa delle proteste di donne e bambini che bloccavano l’accesso ai mezzi, tanto che era sembrato opportuno desistere vista anche la dichiarata disponibilità dei proprietari a eseguire essi stessi la demolizione e fermo restando che il costo degli interventi non eseguiti avrebbe dovuto essere addossato alla stessa ricorrente, come da verbali sottoscritti e dalla stessa non impugnati. Per la sentenza erano infondate anche le contestazioni sul quantum, poiché al provvedimento impugnato era stata allegata una nota con specificazione delle voci di spesa degli interventi di demolizione non eseguiti. Infine, considerato che i ricorsi avverso le ordinanze di demolizione erano stati respinti con sentenze del primo giudice (nn. 4331 e 4332 del 2013) andavano respinte anche le censure di illegittimità derivata.

Avverso la sentenza propone appello la signora Na., che deduce l’ingiustizia della pretesa di pagare anche quanto il Comune ha dovuto pagare alla Ati Ed. s.a.s. per i mancati interventi dell’8 giugno 2010 e del successivo 19 luglio 2010 in virtù di contratto di appalto tra il Comune e tale soggetto, concluso solo in data 22 giugno 2010 e quindi sia dopo il contratto stipulato con Ic. nel mese di febbraio 2010 che dopo l’intervento dell’8 giugno 2010; la demolizione è stata effettuata in fatto solo da Ic. s.r.l.. La Ic. ha stipulato il contratto con il Comune il 9 febbraio 2010. La Ic. s.r.l. era presente sia in data 8 giugno 2010 che in data 19 luglio 2010 per gli interventi che poi non hanno comportato la demolizione effettiva. Nel febbraio 2011 la Ic. in mancanza di autodemolizione ha provveduto alla demolizione degli immobili in danno della Na. in esecuzione delle ordinanze nn.677 e 679 del 2009. Per quanto dovuto a Ic. il Comune di Napoli il 12 giugno 2011 ha notificato alla stessa le ordinanze di pagamento nn.79 del 2011 e 80 del 2011 (avverso le quali non è stata proposta opposizione). Secondo l’appello, la Na. non è tenuta a pagare, oltre le spese di demolizione e del ripristino dello stato dei luoghi effettuati dall’amministrazione comunale, anche eventuali altri oneri contrattuali patiti dalla amministrazione con proprie società fiduciarie.

Con altro motivo di appello essa contesta anche la quantificazione della pretesa, considerato che per la Ic. s.r.l. il Comune ha preteso la somma di euro 28.155,98 in cui sono stati conteggiati i costi del personale, i mezzi di trasporto, la fase demolitoria (demolizione totale dei fabbricati comprese le strutture in calcestruzzo e ripristino del fondo del terreno) e la fase di smaltimento dei rifiuti, i lavori di spostamento di mobili ed arredi. Viceversa, per la Ati Ed. s.a.s. il Comune pretende la sproporzionata somma di euro 21.009,94 per sette operai, senza aver eseguito una lavorazione edile e senza prova dei lavori eseguiti o delle voci da calcolare.

Si è costituito il Comune di Napoli che chiede il rigetto dell’appello, ribadendo la legittimità del suo operato; con la memoria di costituzione ribadisce l’eccezione di inammissibilità del ricorso originario (ai sensi dell’art. 101 comma 2 Cod. proc. amm.) in quanto la ricorrente non aveva impugnato i verbali, dai quali si evinceva che si rendevano edotti i responsabili, tra cui la Na., che le spese del mancato intervento di demolizione ricadevano a loro (suo) carico (in tal senso allegato alla nota n.840095 del 5 novembre 2012). Dopo avere accertato la mancata demolizione spontanea entro il termine concesso, il Comune e l’Ati Ed. s.a.s. in data 19 luglio 2010 si recavano nuovamente sul luogo e prendendo atto della manifestazione di protesta inscenata da donne e bambini che bloccavano il passaggio, “vista la disponibilità dei proprietari a voler continuare con propria ditta le operazioni già iniziate in data 8 giugno 2010 […] .fermo restante che il mancato intervento da parte delle ditte nominate dal Comune di Napoli sarà contabilizzato dal competente ufficio SAE Settore demolizioni e i cui costi cadranno a carico degli stessi proprietari…”. Il riconoscimento della dovutezza, da parte dell’appellante Na., di quanto speso dal Comune per i mancati interventi di demolizione dell’8 giugno 2010 e del 19 luglio 2010 (entrambi per euro 10.504,72 a volta) è contenuto nei verbali di sopralluogo; in relazione alla circostanza che l’appalto con Ati Ed. sarebbe successiva all’8 giugno 2010 (data dell’intervento a vuoto) si precisa che con la ditta era in vigore il contratto per l’esecuzione delle demolizioni nel biennio e fino all’esaurimento dell’importo contrattuale di euro 307.291,80 e che l’ente aveva già provveduto, a quelle date, alla consegna dei lavori sotto riserva di legge, nelle more della stipula del contratto.

Riguardo alla legittimità del suo operato e rispetto alle censure già proposte in prime cure e riproposte (in buona parte) in appello, il Comune deduce che la censura di omessa comunicazione dell’avvio del procedimento è infondata sia per la natura vincolata dell’ingiunzione di pagamento per somma da esecuzione in danno, sia perché la partecipazione non avrebbe comportato un diverso esito del procedimento. La censura di difetto di motivazione è infondata, atteso che nelle ingiunzioni si specifica a sufficienza la ragione della pretesa, riguardo al recupero delle somme occorse per il mancato intervento di demolizione delle opere abusive. Come detto, il difetto di istruttoria è insussistente perché dalla ricostruzione in fatto sul contratto di appalto con Ati Ed. si evince che era già stata effettuata la consegna dei lavori sotto riserva di legge nelle more della stipula del contratto di appalto. Sul quantum contestato, la pretesa è stata di circa diecimila euro per ogni intervento andato a vuoto (euro 10.504,52 moltiplicato due), mentre per l’intervento di demolizione effettiva la somma ammonta a euro 28.923,77.

Con ordinanza n. 4412 del 2014 del 30 settembre 2014 questa Sezione ha accolto la domanda cautelare e sospeso l’esecutività della sentenza rinviando per la discussione all’udienza del 27 gennaio 2015.

Con memoria depositata il 23 dicembre 2014 l’appellante ha insistito nelle sue conclusioni ribadendo le censure già proposte.

All’udienza pubblica del 27 gennaio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. In primo luogo viene riproposta dal Comune l’eccezione, non esaminata in primo grado, relativa all’inammissibilità del ricorso originario per mancata impugnazione dei verbali.

L’eccezione è infondata, indipendentemente dalla mancanza di lesività dei verbali in sé considerati.

Gli atti con cui il Comune liquida unilateralmente i diritti di credito di cui si assume titolare e ne intima il pagamento, non avendo natura provvedimentale, rilevano quali meri atti di esercizio di un diritto soggettivo (in tal senso Cons. Stato, IV, 25 gennaio 2003, n.361), sicché i destinatari non hanno l’onere di impugnarli dinanzi al giudice amministrativo in giurisdizione esclusiva, qual è la materia edilizia ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. f), Cod. proc. amm., rispettando il termine decadenziale previsto per il ricorso avverso i provvedimenti amministrativi.

2. L’appello è infondato nel merito.

L’art. 29 (Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a denuncia di inizio attività), comma 1, ultima parte, d.P.R. 6 aprile 2001, n. 380 prevede che l’autore dell’abuso edilizio sia tenuto alle spese per l‘esecuzione in danno in caso di demolizione delle opere realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell’abuso.

Qui si controverte se si possa configurare la sussistenza di questo obbligo di legge non già per lo stretto intervento di effettiva demolizione, ma anche per precedenti interventi (nella specie: di appaltatori dell’amministrazione comunale) andati a vuoto per ragioni comunque imputabili all’interessato, come quando si è dichiarato disponibile a effettuare direttamente l’intervento ripristinatorio e così ha dato causa alla interruzione della demolizione medesima.

Il Collegio ritiene che l’obbligo suddetto delle spese per l’esecuzione in danno ben ricomprenda anche le spese per siffatti precedenti interventi non portati a buon fine, pur se diretti alla demolizione. Vi è infatti uno spontaneo accollo di una demolizione in danno, e il fatto che questa non venga poi realizzata non può che ridondare in oggettivo danno dell’inadempiente accollante. Si è del resto in presenza, da parte dell’interessato, di un implicito riconoscimento della imputabilità del loro insuccesso, oltre che della conferma dell’assunzione dell’obbligo.

In sostanza, l’interessata aveva essa stessa chiesto di rinviare la demolizione, impegnandosi ad eseguire spontaneamente la stessa in un prossimo futuro: e tanto vale a configurare questa situazione.

E’ infondato anche il motivo di appello con cui l’appellante deduce la duplicazione di contratti del Comune con i due contraenti, perché il secondo appaltatore Ic. ha provveduto a demolire nell’anno 2011 le opere abusive, mentre l’appaltatore Ati Ed. era intervenuto nei due precedenti episodi del giugno e del luglio 2010, non portati a compimento.

Non ha rilievo la circostanza che l’effettivo contratto tra il Comune e l’appaltatore Ati Ed. fosse di alcuni giorni successivo al primo intervento in quanto, come dedotto dall’amministrazione comunale, già prima vi era stata una consegna urgente dei lavori e riserva e successiva stipulazione del contratto.

Allo stesso modo, non rileva la presenza eventuale di un’altra impresa ai tentativi andati a vuoto, se ciò non ha determinato – o non si dimostra che abbia determinato – una duplicazione effettiva dei costi in relazione allo specifico intervento.

E’ infondata anche la censura di appello che contesta la corretta quantificazione, sostenendo che, nel rapporto tra la effettiva demolizione (circa euro 28.000) e i tentativi andati a vuoto (circa 10.000 euro) vi sarebbe una sproporzione non giustificata.

Il Collegio osserva che talune delle voci della nota relativa all’intervento di demolizione (smaltimento dei rifiuti e altro) non possono essere contenute nelle note relative agli interventi inutili. Tuttavia, è evidente che le spese sostenute dall’appaltatore, e dovute a sua volta dal Comune, comprendessero i costi vivi sostenuti in quelle giornate, certo inferiori al reale intervento di demolizione, ma non per questo indifferenti.

L’ingiunzione di pagamento della somma occorsa per i lavori di demolizione in danno, atto meramente esecutivo e vincolato rispetto alle precedenti determinazioni, non richiede un’autonoma comunicazione di inizio del procedimento di cui all’art. 7, l.7 agosto 1990, n.241 (tra varie, Cons. Stato, IV, 27 luglio 2011, n.4506).

L’art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380 del 2001 prevede che l’opera acquisita sia demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso.

3.Per le considerazioni svolte, l’appello va respinto, con conferma dell’appellata sentenza.

Le spese del presente grado di giudizio seguono il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando l’appellata sentenza.

Condanna l’appellante Na. Teresa al pagamento delle spese del presente grado di giudizio sostenute dal Comune di Napoli, liquidandole in complessivi euro quattromila.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini – Presidente

Sergio De Felice – Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti – Consigliere

Vincenzo Lopilato – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere

Depositata in Segreteria il 10 febbraio 2015

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