Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 25726.
Sussiste il vizio di nullità della sentenza quando essa contiene due affermazioni insanabilmente contraddittorie
Sussiste il vizio di nullità della sentenza quando essa contiene due affermazioni insanabilmente contraddittorie, per tali intendendo affermazioni che non possono essere entrambe contemporaneamente vere o contemporaneamente false (Nel caso di specie, relativo ad un’azione di risarcimento danni derivanti da responsabilità medica e sanitaria, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata in quanto la corte del merito, chiamata a pronunciarsi sull’esistenza o meno di un nesso causale tra la somministrazione di un farmaco e la cecità della paziente ed odierna ricorrente, anziché vagliare le varie possibili cause stabilendo quale fosse la meno improbabile o spiegare per quali ragioni non fosse possibile formulare un giudizio di graduazione probabilistica fra le varie possibili cause, si era limitata a giustificare il proprio giudizio di insussistenza richiamando e trascrivendo acriticamente le conclusioni, irrazionali in quanto insanabilmente contraddittorie, rese dal consulente tecnico d’ufficio).
Ordinanza|| n. 25726. Sussiste il vizio di nullità della sentenza quando essa contiene due affermazioni insanabilmente contraddittorie
Data udienza 3 luglio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Procedimento civile – Sentenza – Contenuto – Motivazione – Affermazioni insanabilmente contraddittorie – Nullità – Fattispecie relativa ad azione di risarcimento danni derivanti da responsabilità medica e sanitaria. (Cpc, articoli 132 e 360; Disp, att. c.p.c., articolo 118)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. CIRILLO Francesco – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere
Dott. AMBROSI Irene – Consigliere
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 15531/20 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC del proprio difensore, difesa dall’avvocato (OMISSIS) in virtu’ di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
-) Azienda U.L.S.S. n. 2 “Marca Trevigiana”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato (OMISSIS) in virtu’ di procura speciale apposta in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia 19 febbraio 2020 n. 634;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 luglio 2023 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2005 (OMISSIS) (nella sentenza impugnata: ” (OMISSIS)”) convenne dinanzi al Tribunale di Treviso l’Azienda Ulss 9 della stessa citta’ (che in seguito prendera’ il nome di Azienda ULSS n. 2 “Marca Trevigiana”), esponendo che:
-) tra il mese di dicembre e il mese di marzo del 2003 era stata ricoverata nell’ospedale di Treviso;
-) la malattia venne curata con vari farmaci fra i quali l’etambutolo;
-) a causa di un sovradosaggio del farmaco contrasse una neurite ottica, che le provoco’ la perdita della vista bilateralmente.
Concluse pertanto chiedendo la condanna dell’azienda convenuta al risarcimento del danno.
2. La convenuta si costitui’ contestando la sussistenza di un valido nesso di causa tra la condotta dei sanitari e il danno.
L’Azienda dedusse che al momento del ricovero la paziente si trovava in gravi condizioni generali, in quanto gia’ affetta da AIDS, da tubercolosi disseminata e da insufficienza renale cronica; dedusse che l’etambutolo era il farmaco indicato per la cura della tubercolosi; che non vi erano alternative terapeutiche; che il dosaggio del farmaco fu conforme alle indicazioni delle leges artis.
In sostanza, la convenuta dedusse che la neurite ottica non fu una conseguenza dell’assunzione di etambutolo.
3. Dopo aver disposto due consulenze di ufficio con due diversi consulenti, e dopo aver richiesto nell’uno e nell’altro caso ulteriori chiarimenti agli ausiliari, il Tribunale di Treviso con sentenza 4 giugno 2009 n. 1114 rigetto’ la domanda per difetto di nesso causale tra i trattamenti sanitari e la cecita’.
La sentenza fu appellata dalla soccombente.
4. La Corte d’appello di Venezia, dopo avere richiesto ulteriori chiarimenti ad uno dei consulenti nominati in primo grado, con sentenza 10 gennaio 2017 n. 28 rigetto’ il gravame, anch’essa ritenendo insussistente la prova del nesso di causa.
La sentenza fu impugnata per Cassazione dalla soccombente.
5. Con ordinanza 12 febbraio 2019 n. 3992 questa Corte casso’ con rinvio la sentenza d’appello, per avere il giudice di merito pronunciato la propria decisione senza dare conto, nella motivazione, delle risposte fornite dal consulente d’ufficio all’esito del supplemento di perizia eseguito in grado di appello.
6. Riassunta la causa, la Corte d’appello di Venezia con sentenza 19 febbraio 2020 n. 634 rigetto’ per la seconda volta il gravame proposto da (OMISSIS).
La Corte d’appello ha adottato una motivazione cosi’ riassumibile:
-) ha dato conto che secondo il consulente d’ufficio, esisteva un “sospetto senza dubbio rilevante che la cecita’ potesse essere stata causata dalla somministrazione di etambutolo”; che la “natura iatrogena” della neurite ottica era stata rilevata dagli stessi sanitari sin dal 2003; che in effetti l’etambutolo era controindicato per chi, come la paziente, fosse affetto da insufficienza renale cronica; che secondo il consulente d’ufficio “appare maggiormente probabile sotto il profilo causale che si possa effettivamente trattare di una patologia conseguente a tossicita’ da etambutolo”;
-) ha tuttavia ritenuto, anche in questo caso condividendo le conclusioni del consulente d’ufficio, che non fosse possibile quantificare in termini di probabilita’ “l’apporto causale dell’etambutolo alla neurite ottica”, in special modo a causa delle modiche quantita’ di farmaco che erano state somministrate;
-) pertanto la somministrazione di etambutolo doveva ritenersi una causa possibile, ma non probabile della cecita’, e di conseguenza non era soddisfatto il criterio della preponderanza dell’evidenza.
7. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione da (OMISSIS) con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.
La Azienda Ulss n. 2 Marca Trevigiana ha resistito con controricorso illustrato da due memorie (la prima depositata il 24 maggio, la seconda il 16 giugno), di identico contenuto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo la ricorrente, prospettando la violazione di cinque diverse norme del codice civile e di quattro norme del codice di rito, lamenta congiuntamente sia il vizio di violazione di legge, sia quello di omesso esame di un fatto decisivo.
Al di la’ di tali riferimenti normativi, non tutti pertinenti, nella illustrazione del motivo in buona sostanza si deduce che la Corte d’appello non si sarebbe attenuta ai principi stabiliti da questa Corte con l’ordinanza 3992 del 2019, con la quale come gia’ detto venne cassata con rinvio la prima sentenza d’appello.
1.1. Il motivo e’ infondato.
Con l’ordinanza n. 3992 del 2019 questa Corte ha cassato la prima sentenza d’appello non per violazione di legge, ma per omesso esame di un fatto decisivo, rappresentato dal supplemento di perizia disposto in grado di appello.
Tale supplemento e’ stato effettivamente esaminato dalla Corte d’appello in sede di rinvio (pp. 8-11 della sentenza impugnata).
Pertanto:
-) violazione dell’articolo 384 c.p.c. non vi e’ stata, perche’ l’ordinanza cassatoria non ha affermato alcun principio di diritto cui la Corte d’appello dovesse attenersi;
-) omesso esame di fatto decisivo non vi e’ stato, perche’ la Corte d’appello ha effettivamente preso in esame il supplemento di perizia.
2. Col secondo motivo la ricorrente prospetta il vizio di nullita’ della sentenza, ai sensi dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in quanto fondata su una motivazione contraddittoria.
Sostiene la ricorrente che la Corte d’appello, recependo l’altrettanto contraddittoria valutazione del consulente d’ufficio, da un lato ha condiviso l’affermazione secondo cui la causa “maggiormente probabile” della cecita’ doveva ravvisarsi nella somministrazione di etambutolo; nello stesso tempo, pero’, ha inspiegabilmente concluso nel senso che la somministrazione di etambutolo fu la causa possibile, ma non probabile, della neurite ottica.
2.1. Il motivo e’ fondato.
Sussiste il vizio di nullita’ della sentenza quando essa contiene affermazioni insanabilmente contraddittorie.
Due affermazioni sono insanabilmente contraddittorie quando non possono essere contemporaneamente vere o contemporaneamente false entrambe.
Nel caso di specie la Corte d’appello doveva stabilire se vi fosse o non vi fosse nesso di causa fra la somministrazione di etambutolo e la cecita’ della paziente. A tale quesito ha dato risposta negativa richiamando e trascrivendo le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio.
2.2. Le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio (che la ricorrente ha trascritto alle pp. 106-108 del proprio ricorso) erano gia’ esse un paradosso di Epimenide, in quanto l’ausiliario:
-) dichiara sussistente un “sospetto senza dubbio rilevante” del nesso di causa tra cecita’ ed etambutolo;
-) ricorda che un referto del 2003 qualifico’ la neurite come “iatrogena” (e dunque causata da un atto medico, e non da fattori naturali);
-) dichiara che “appare maggiormente probabile sotto il profilo causale che si possa effettivamente trattare di una patologia conseguente a tossicita’ da etambutolo”.
Dopo avere affermato cio’, tuttavia, il c.t.u. concluse affermando che “esiste una possibilita’ non quantificabile in termini di probabilita’ che la neurite ottica sia conseguenza dell’utilizzo di etambutolo”.
2.3. Ora, nella lingua italiana l’avverbio “maggiormente” e’ un comparativo dell’avverbio “molto”. “Maggiormente probabile” vuol dire quindi “piu’ probabile di altre cause”.
Se una condotta e’ stata la causa “maggiormente probabile” d’un evento, non puo’ essere contemporaneamente vero che quella condotta sia stata, rispetto a quell’evento, una “possibilita’ non quantificabile in termini di probabilita’”.
La Corte d’appello, a fronte di questa irrazionale risposta del c.t.u., avrebbe potuto convocare il c.t.u. in camera di consiglio (articolo 197 c.p.c.); oppure affermare o negare – motivando – l’esistenza del nesso di causa. Non poteva, invece, giustificare il proprio giudizio di insussistenza del nesso causale richiamando quelle conclusioni cosi’ inspiegabili.
Il criterio che avrebbe dovuto seguire la Corte d’appello era passare in rassegna le varie possibili cause e stabilire quale fosse la meno improbabile; oppure spiegare per quali ragioni non fosse possibile formulare un giudizio di graduazione probabilistica fra le varie possibili cause.
3. Il terzo motivo, col quale la ricorrente investe il merito del giudizio di causalita’, resta assorbito dall’accoglimento del secondo motivo.
4. Le spese del presente giudizio di legittimita’ vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo; dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.
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