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Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 7 gennaio 2016, n. 98. Ai sensi del quale la modificazione dell’art. 606 lett. e) c.p.p., introdotta dalla legge n. 46/2006 consente la deduzione del vizio del travisamento della prova là dove si contesti l’introduzione, nella motivazione, di un’informazione rilevante che non esiste nel processo, ovvero si ometta la valu-tazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia. Il sindacato della corte di cassazione resta tuttavia quello di sola legittimità, sì che continua a esulare dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e più adeguata valutazione delle risultanze processuali. Da ciò consegue che gli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” menzionati dal testo vigente dell’art. 606, comma primo, lett. e), c.p.p., non possono che essere quelli concernenti fatti decisivi che, se convenientemente valutati anche in relazione all’intero contesto probatorio, avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, rimanendo esclusa la possibilità che la verifica sulla correttezza e completezza della motivazione si tramuti in una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito. Ai fini della correttezza e della logicità della motivazione della sentenza, non occorre che il giudice di merito dia conto, in essa, della valutazione di ogni deposizione assunta e di ogni prova, come di altre possibili ricostruzioni dei fatti che possano condurre a eventuali soluzioni diverse da quella adottata, egualmente fornite di coerenza logica, ma è indispensabile che egli indichi le fonti di prova di cui ha tenuto conto ai fini del suo convincimento, e quindi della decisione, ricostruendo il fatto in modo plausibile con ragionamento logico e argomentato, sempre che non emergano elementi idonei a sostanziare la ragionevolezza del dubbio in ordine alla responsabilità dell’imputato: evenienza plausibilmente del tutto esclusa nel caso di specie.

Suprema Corte di Cassazione sezione IV sentenza 7 gennaio 2016, n. 98 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza resa in data 13/12/2011, la Corte d’appello di Genova ha confermato la decisione in data 10/3/2011 con la quale il Tribunale di Genova ha condannato V.M. alla pena di giustizia, in relazione ai reati di violenza sessuale,...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 4 gennaio 2016, n. 21. La giusta causa e il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche di comportamenti ugualmente idonei a legittimare la cessazione del rapporto di lavoro, l’uno con effetto immediato e l’altro con preavviso. E se ciò in generale abilita il giudice a convertire (rectius, valutare) un licenziamento per giusta causa in termini di licenziamento per giustificato motivo soggettivo senza che ciò comporti violazione dell’art. 112 c.p.c. (fermo restando il principio dell’immutabilità della contestazione e persistendo la volontà del datore di risolvere il rapporto), dal momento che nelle più ampie pretese economiche collegate dal lavoratore all’annullamento dei licenziamento ritenuto ingiustificato ben può ritenersi compresa quella di minore entità derivante da un licenziamento che, pur qualificandosi come giustificato, preveda il diritto dei lavoratore al preavviso, il carattere meramente qualificatorio della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo comporta che, ove il datore di lavoro impugni globalmente la sentenza di primo grado che ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento, nella sua domanda al giudice d’appello di dichiarare la legittimità della risoluzione del rapporto per giusta causa deve ritenersi compresa la minor domanda di dichiarare la risoluzione dello stesso rapporto per la sussistenza di giustificato motivo soggettivo

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 4 gennaio 2016, n. 21 Fatto Con sentenza depositata il 21.11.2013, la Corte d’appello di Torino confermava la statuizione di prime cure che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato dalla s.r.l. Fratelli C. a R.L. e condannato la società appellante a reintegrare la lavoratrice nel proprio posto di...

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Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 7 gennaio 2016, n. 60. L’opposizione a decreto ingiuntivo soggetta al rito del lavoro deve essere proposta con ricorso e, ove proposta erroneamente con citazione, questa può produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositata in cancelleria entro il termine di cui all’art. 641 cod. proc. civ., non essendo sufficiente che entro tale data sia stata comunque notificata alla controparte. E’ consentito all’opponente, allorché sia stato il creditore a scegliere il rito ordinario e le forme del procedimento monitorio, di seguire integralmente il rito ordinario, anche in relazione ai termini per proporre opposizione, fanno riferimento ad alcune ipotesi particolari, non assimilabili al caso di specie, in cui la scelta del rito ordinario da parte del creditore richiedente il ricorso si sia tradotta non solo e non tanto nella mancata indicazione della materia richiedente un rito speciale nel ricorso ma nella scelta processuale di richiedere l’emissione del ricorso per decreto ingiuntivo al giudice che sarebbe stato competente secondo le regole ordinarie anziché al giudice funzionalmente competente

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 7 gennaio 2016, n. 60 In fatto e in diritto È stata depositata in cancelleria la seguente relazione: “- L. s.a.s. di B.F. , F. e Fr. , e L.F. ottenevano un decreto ingiuntivo nei confronti della C.C. e C. s.a.s. di C.C. , avverso il quale la...

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Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 7 gennaio 2016, n. 58. La procura per il ricorso per cassazione, che necessariamente ha carattere speciale dovendo riguardare il particolare giudi2io davanti alla Corte di cassazione, è valida solo se rilasciata in data successiva alla sentenza impugnata, rispondendo tale prescrizione all’esigenza, coerente con il principio del giusto processo, di assicurare la certezza giuridica della riferibilità dell’attività svolta dal difensore al titolare della posizione sostanziale controversa

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 7 gennaio 2016, n. 58 Svolgimento del processo e ragioni della decisione E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione “F.D. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Piacenza la Dental Aesthetic’s s.n.c., chiedendo il risarcimento dei danni per errata esecuzione di interventi protesici; la domanda veniva accolta,...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 7 gennaio 2016, n. 101. In tema di sanzioni amministrative, le macchine da gioco, anche se conformi alle prescrizioni di cui al comma 7 dell’articolo 110 r.d. 18.6.1931 n. 773 (TULPS), come modificato dall’art. 22 comma 3 della legge 27.12.2002 n. 289, ove riproducano, in tutto o in parte, le regole fondamentali del gioco del “poker”, sono vietate a norma del comma 7 bis del suddetto articolo 110 del TULPS, introdotto dall’art.39 del d.l. 30.9.2003 n. 269, cony. nella 1.24.11.2003 n.326, e la distribuzione, l’installazione o il consentire l’uso delle stesse è sanzionato dal comma 9, lett. e), del medesimo art.110 del, TULPS . E’vincita in denaro anche quella che comporta un risparmio sull’acquisto di un prodotto ( Cass, pen. n. 3739112013) ed il fine di lucro che caratterizza il gioco illecito non deve necessariamente consistere in somme di denaro, essendo sufficiente che si tratti di un guadagno economicamente apprezzabile. E’ irrilevante, pertanto, che la direttiva comunitaria n. 2000131/CE preveda i c.d. giochi promozionali e che altri ordinamenti consentano l’utilizzo di determinate apparecchiature essendo necessario che si tratti di giochi consentiti dall’ordinamento interno. Il solo fatto che le apparecchiature in questione consentano la selezione dell’opzione “poker room” e distribuiscano premi, sia pure sotto forma di punti spendibili on line, corífigúra l’ipotesi del gioco d’azzardo e dell’alea, concretando il divieti oggetto delle contestazioni.

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 7 gennaio 2016, n. 101 Fatto e diritto L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e per quanto possa occorrere il Ministero dell’Economia e, delle Finanze propongono ricorso per cassazione contro S.M. G.m.b.h, che non svolge difese, avverso la sentenza della Corte di appello di Trento del 23.9.2013, che...

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Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 7 gennaio 2016, n. 56. La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 cod. dv., ha carattere oggettiva, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostratione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia: una volta provate queste circostan.Ze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale. Tuttavia, nei casi in cui il danno non sia f effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (scoppio della caldaia, scarica elettrica, frana della strada o simili), ma richieda che l’agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica e inerte, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno. A ciò deve aggiungersi che l’allocazione della responsabilità oggettiva per custodia in capo al proprietario del bene demaniale per i danni che esso può provocare agli utenti non esime gli utenti stessi dal dover far uso di una ragionevole prudenza, adeguata allo stato dei luoghi, a salvaguardia della propria incolumità

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 7 gennaio 2016, n. 56 Svolgimento del processo e ragioni della decisione E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione “nel 2006 P.G. conveniva in giudizio il Comune di Catania chiedendone la condanna al risarcimento dei danni alla persona e al mezzo riportati a seguito della caduta dal...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 10 dicembre 2015, n. 48943. È necessaria la celebrazione dell’udienza in camera di consiglio anche se il consenso è stato già espresso dalla persona richiesta in consegna su mandato di arresto europeo. La celebrazione dell’udienza in camera di consiglio prima dell’adozione dell’ordinanza che dispone la consegna, anche quando il consenso sia stato anteriormente prestato nelle forme previste, deve ritenersi inderogabilmente richiesta dall’art. 14, comma 4, della legge n. 69 del 2005

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 10 dicembre 2015, n. 48943 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. IPPOLITO Francesco – Presidente Dott. CARCANO Domenico – Consigliere Dott. MOGINI Stefano – Consigliere Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere Dott. CORBO Antoni...