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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 29 febbraio 2016, n. 3931. Il coerede che abbia migliorato i beni comuni da lui posseduti, pur non potendo invocare l’applicazione dell’art. 1150 c.c., che riconosce il diritto ad una indennità, può pretendere il rimborso delle spese eseguite per la cosa comune, le quali si ripartiscono al momento della attribuzione delle quote, secondo il principio nominalistico, dato che lo stato di indivisione riconduce all’intera massa i miglioramenti stessi. Inoltre, in tema di divisione giudiziale immobiliare, il debito da conguaglio che grava sul condividente assegnatario di un immobile non facilmente divisibile ha natura di debito di valore, da rivalutarsi anche d’ufficio se e nei limiti in cui l’eventuale svalutazione si sia tradotta in una lievitazione del prezzo del mercato del bene tale da comportare una chiara sproporzione nel valore delle quote di cui sono titolari i condividenti; l’esistenza dei poteri officiosi del giudice, peraltro, non esclude che la parte sia comunque tenuta ad allegare l’avvenuta verificazione di tale evento, posto che la rivalutazione non può avvenire tramite criteri automatici

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 29 febbraio 2016, n. 3931 Considerato in fatto I germani W.H. e M. convenivano nel 2003 innanzi al Tribunale di Bolzano Sezione Distaccata di Merano la sorella W.A. proponendo domanda di scioglimento della Comunione dei bei ereditati dal padre W.W. , deceduto nel 2001 ab intestato. Costituitasi in...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 24 marzo 2016, n. 12470. Non costituisce atto abnorme l’ordine di iscrizione della persona non sottoposta ad indagini nel registro delle notizie di reato in relazione a fatti che emergano a suo carico in conseguenza delle indagini già espletate. Tale ordine risulta, infatti, ricompreso nel potere del giudice di ordinare nuove indagini cui fa riferimento, nel suo complesso, l’art. 409 cod. proc. pen., perché l’attività di indagine presuppone la necessaria iscrizione dell’indagato nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen.. E, per le stesse ragioni, l’iscrizione relativa a nuovi fatti di reato può anche riguardare soggetti già indagati . In tali ipotesi, però, il giudice non può imporre al pubblico ministero un termine per la conclusione delle indagini, perché l’azione penale, comprensiva delle indagini stesse, rientra nella completa disponibilità del pubblico ministero secondo le regole ordinarie. Ne consegue che deve essere ritenuto abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari, nell’accogliere la richiesta di archiviazione formulata nei confronti dell’indagato, e nell’ordinare contestualmente l’iscrizione di quest’ultimo per altri titoli di reato, ritenuti configurabili nel fatto investigato, assegni al pubblico ministero un termine per lo svolgimento delle nuove indagini, in quanto in tale ipotesi non è applicabile la disposizione di cui all’art. 409, comma 4, cod. proc. pen.

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 24 marzo 2016, n. 12470 Ritenuto in fatto 1. – Con ordinanza del 2 maggio 2014, il Gip del Tribunale di Palermo ha rigettato la richiesta di archiviazione proposta dal pubblico ministero, in un procedimento penale per più reati di cui agli artt. 30 e 44 del d.P.R....

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 marzo 2016, n. 5778. Il licenziamento del dirigente, motivato da una condotta colposa o comunque manchevole, deve essere considerato di natura disciplinare, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari previste dallo specifico regime dei rapporto, sicché deve essere assoggettato alle garanzie dettate a tutela del lavoratore circa la contestazione degli addebiti e il diritto di difesa.

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 23 marzo 2016, n. 5778 Svolgimento del processo Con sentenza dell’11 – 18.10.2012 la Corte d’appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza n. 199/2011 del Tribunale di Mantova impugnata da M. A., ha condannato la Alsafil s.p.a, a pagare a quest’ultimo la somma di € 108.330,00 a...

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Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 23 marzo 2016, n. 5777. In tema di licenziamento, la nozione di giusta causa è nozione legale e il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi; tuttavia ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità. II relativo accertamento va operato caso per caso, valutando la gravità in considerazione delle circostanze di fatto e prescindendo dalla tipologia determinata dai contratti collettivi, ed il giudice può escludere che il comportamento costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato come tale dai contratti collettivi, solo in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (nella specie è stato riyenuto legittimo il licenziamento del dipendente che timbra il cartellino per il collega assente: il comportamento, infatti, rompendo il vincolo di fiducia che lega il lavoratore alla società è idoneo a configurare la giusta causa di recesso)

Suprema Corte di Cassazione sezione lavoro sentenza 23 marzo 2016, n. 5777 Svolgimento del processo Con sentenza pubblicata il 28.1.2013 la Corte d’appello di Ancona, pronunziando sull’impugnazione proposta da C.L., ha riformato la sentenza del giudice dei lavoro del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato inammissibile la domanda di quest’ultimo volta all’annullamento del licenziamento...

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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 marzo 2016, n. 5689. Una sentenza espressamente emessa secondo il modello di cui all’art. 281 sexies C.P.C. non può convertirsi in una sentenza di tipo ordinario per il solo fatto che – difettando la motivazione- risulti difforme dal modello legale: la sentenza, benché viziata, conserva dunque la sua natura di atto decisionale, in cui la volontà del giudice si è espressa e consumata con la lettura del dispositivo e la sottoscrizione del verbale, attività che integrano la pubblicazione della sentenza e comportano l’esonero del Cancelliere dall’obbligo di procedere al deposito ex art. 133 C.P.C. e, altresì, l’irrilevanza della motivazione successiva, in quanto estranea alla struttura dell’atto processuale ormai compiuto e proveniente da soggetto che ha esaurito il proprio potere decisorio. Pertanto, deve ritenersi che il termine lungo per l’impugnazione non possa che decorrere dalla sottoscrizione del verbale d’udienza, che il legislatore ha espressamente equiparato alla pubblicazione della sentenza, restando invece del tutto irrilevante -anche ai fini della tempestività dell’impugnazione- la successiva (irrituale) pubblicazione della motivazione

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 23 marzo 2016, n. 5689 Svolgimento del processo Pronunciando sulla domanda risarcitoria proposta da L.G. nei confronti della ASL n. 9 di Grosseto e del dott. Armando Natale, il Tribunale di Grosseto la rigettò con pronuncia ex art. 281 sexies C.P.C. emessa in data 22.3.2006 mediante lettura del...

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Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 21 marzo 2016, n. 5551. Negli edifici in condominio, poiché la funzione dei cortili comuni è quella di fornire aria e luce alle unità abitative che vi prospettano, lo spazio aereo ad essi sovrastante non può essere occupato dai singoli condomini con costruzioni proprie in aggetto, non essendo consentito a terzi, anche se comproprietari insieme ad altri, ai sensi dell’art. 840 comma terzo c.c., l’utilizzazione ancorché parziale a proprio vantaggio della colonna d’aria sovrastante ad area comune, quando la destinazione naturale di questa ne risulti compromessa. La costruzione di manufatti nel cortile comune di un fabbricato condominiale, pertanto, è consentita al singolo condomino solo se non alteri la normale destinazione di quel bene, non anche quando si traduca in corpi di fabbrica aggettanti, con incorporazione di una parte della colonna d’aria sovrastante ed utilizzazione della stessa a fini esclusivi

Suprema Corte di Cassazione sezione II sentenza 21 marzo 2016, n. 5551 Svolgimento del processo Con atto di citazione del 23-10-1991 P.A. e P.P. convenivano dinanzi al Tribunale di Bologna M.I.M. , per sentirla condannare alla demolizione di un corpo di fabbrica edificato dal padre della convenuta negli anni 1972-1973 in aderenza al fabbricato condominiale...

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Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 25 marzo 2016, n. 6021. I ritardi nel deposito dei provvedimenti, quando per la reiterazione e l’entità superino ogni limite di tollerabilità e ragionevolezza, integrano gli estremi dell’illecito disciplinare di cui all’art. 2, Collima l, lettera q), del d.lgs. 24 febbraio 2006, n. 109, costituendo palese violazione del dovere fondamentale di diligenza del magistrato, e ciò anche nei casi di accertata laboriosità dello stesso e di sussistenza di ragioni personali estranee all’ambiente di lavoro che abbiano influito sulla sua attività, le quali non possono risolversi in un ostacolo al buon funzionamento del servizio giustizia e lasciano aperte, ove il magistrato non sia in grado di svolgere il proprio lavoro in condizioni di apprezzabile serenità ed efficienza, le vie consentite dall’ordinamento giudiziario per potersi assentare temporaneamente dal servizio, quali congedi straordinari e aspettative per motivi familiari

Suprema Corte di Cassazione sezioni unite sentenza 25 marzo 2016, n. 6021 Svolgimento del processo Con la decisione impugnata, la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura – in relazione a capo di incolpazione (con successive integrazioni) fondato su notizie circostanziate acquisite tra il 5/11/2012 all’11/9/2013, il 27/6/2014 ed il 10/4/2015, ha ritenuto il Dott....