Corte di Cassazione, civile, Sentenza|| n. 16794.
Scioglimento della comunione di un bene gli usufruttuari non rivestono la qualità di litisconsorti necessari
Nel giudizio di scioglimento della comunione di un bene, gli eventuali usufruttuari non rivestono la qualità di litisconsorti necessari, giacché, in ossequio al principio dispositivo, il litisconsorzio necessario, stante la sua natura eccezionale, opera nei soli casi previsti dalla legge.
Sentenza|| n. 16794. Scioglimento della comunione di un bene gli usufruttuari non rivestono la qualità di litisconsorti necessari
Data udienza 21 febbraio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: COMUNIONE E CONDOMINIO – COMUNIONE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere
Dott. CAPONI Remo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26417/2017 proposto da:
(OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), domiciliato in Roma presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), domiciliata in Roma presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
nonche’
(OMISSIS), E (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI TRENTO n. 217/2017 depositata il 27/07/2017;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 21/02/2023 dal consigliere Dott. REMO CAPONI;
udito il P.M., nella persona del sostituto procuratore generale, CORRADO MISTRI, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Uditi gli avvocati (OMISSIS), per il ricorrente e (OMISSIS), per la controricorrente.
Scioglimento della comunione di un bene gli usufruttuari non rivestono la qualità di litisconsorti necessari
FATTI DI CAUSA
Nel 2002 il comproprietario di quota di un bene immobile (il (OMISSIS), in provincia di (OMISSIS)), (OMISSIS), conveniva (OMISSIS), (E ALTRI OMISSIS)
Nella prima parte sono state rigettate le contestazioni formulate dall’appellata con riguardo alla notificazione dell’atto di appello per integrazione del contraddittorio nei confronti di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in ragione del fatto che costoro, pur avendo ceduto a (OMISSIS) in corso di causa le loro quote di comproprieta’ dell’immobile, non erano stati estromessi dalla causa. (Successivamente vi era stata la notificazione per pubblici proclami nei confronti degli eredi di (OMISSIS) e (OMISSIS), anche nella loro qualita’ di eredi per rappresentazione di (OMISSIS)). Nella seconda parte e’ stata rigettata l’eccezione di difetto di integrazione del contraddittorio nei confronti di due usufruttuari del castello, (OMISSIS) e (OMISSIS), ciascuno pro quota di 6/72. La Corte di appello ritiene che gli effetti della sentenza vadano ad incidere solo sui rapporti tra i due proprietari, non sui diritti di usufrutto, talche’ l’eccezione e’ infondata.
La maggior parte della sentenza e’ dedicata alla valutazione del compendio probatorio e specialmente testimoniale, a partire dalla testimonianza di (OMISSIS), custode del castello dal 1964 al 1995. La Corte di appello ritiene che le sue dichiarazioni siano tutte coerenti fra loro e descrivano una ripartizione del possesso dell’immobile ben precisa (appartamento del piano terra a (OMISSIS), appartamento del primo piano alla famiglia di (OMISSIS) e appartamento del secondo piano a (OMISSIS)) e che da’ conto dell’accordo, allegato da (OMISSIS), intervenuto tra i tre fratelli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), di procedere di fatto a una divisione fra loro del castello, benche’ la loro domanda di divisione dell’immobile fosse stata respinta con la sentenza del Tribunale n. 272/41 del 1941 con la quale era stata disposta la vendita all’incanto da effettuare in un unico lotto un anno dopo la conclusione del trattato di pace.
Ricorre in cassazione (OMISSIS) con sette motivi, illustrati da memoria, con cui si chiede tra l’altro la notificazione per pubblici proclami nei confronti degli eredi di (OMISSIS) e (OMISSIS), anche nella qualita’ di eredi per rappresentazione di (OMISSIS). Resiste (OMISSIS) con controricorso, illustrato da memoria.
Scioglimento della comunione di un bene gli usufruttuari non rivestono la qualità di litisconsorti necessari
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo si denuncia l’omessa integrazione del contraddittorio nei confronti di due usufruttuari del castello (per la quota di 6/72 per ciascuno), (OMISSIS) e (OMISSIS) (si deduce violazione dell’articolo 102 c.p.c.).
Il primo motivo e’ infondato.
Cfr. Cass. 27412/2005: proposta domanda di divisione della nuda proprieta’, l’usufruttuario pro quota dell’immobile non e’ parte necessaria del giudizio. Cfr., inoltre, Cass. 20040/2019: ove l’azione confessoria o negatoria a tutela di fondo gravato da usufrutto sia promossa dal (o contro il) nudo proprietario, non e’ necessaria la partecipazione dell’usufruttuario. Infatti, non vi sono i presupposti di applicazione analogica dell’articolo 1012 c.c., comma 2. Non solo, quest’ultimo prescrive piuttosto il contrario: e’ norma di legittimazione straordinaria in capo all’usufruttuario e dispone la partecipazione necessaria del nudo proprietario, legittimato ordinario, in linea con il principio dispositivo.
Ottime sono le ragioni di cio’. Nessuna norma giuridica prevede che, se si agisce in giudizio per lo scioglimento della comunione di un bene, gli eventuali usufruttuari debbano necessariamente partecipare al processo. Gia’ il tenore letterale dell’articolo 102 c.p.c. rivela il ruolo residuale che, in un sistema processuale espressione della cultura giuridica liberale Europea, occupa un istituto legislativo come il litisconsorzio necessario. Di regola, e’ la persona (non la legge) che decide nei confronti di chi agire in giudizio (oltre che decidere se, quando e su che cosa agire in giudizio). Una delle voci classiche, al vertice della dottrina di diritto processuale civile (non solo italiano), aveva argomentato che l’articolo 102 c.p.c. dovesse applicarsi esclusivamente nei casi in cui pochissime altre disposizioni legislative esplicitamente o quanto meno inequivocabilmente dispongano il litisconsorzio necessario (ad es., articoli 784 c.p.c., articolo 247, articolo 1012 c.c., comma 2, articolo 2900 c.c., comma 2, Decreto Legislativo n. 209 del 2005, articolo 144, comma 3). In altri termini, l’articolo 102 c.p.c., comma 1 avrebbe dovuto essere interpretato come un’espressione breviloquente di rinvio a tali disposizioni. Rispetto a tale impianto rigoroso, si sarebbero dovute accordare eccezioni solo nei casi di sostituzione processuale ex articolo 81 c.p.c., ove il “caso espressamente previsto dalla legge” avesse omesso di affiancare la chiamata in giudizio del legittimato ordinario. Non vi e’ chi non veda che si tratta della classica eccezione che conferma la regola: la partecipazione necessaria del legittimato ordinario e’ presidio del principio dispositivo. Relativamente al caso di specie, gli orientamenti di questa Corte (come gia’ rilevato), confermano questa impostazione.
Il primo motivo e’ rigettato.
2. – Con il secondo motivo si denuncia l’inosservanza di un giudicato del 1941 che aveva stabilito l’indivisibilita’ del bene – a cagione del vincolo storico-artistico apposto dalla Sovrintendenza alle Belle Arti nel 1923 – e la vendita agli incanti dopo la fine della guerra. Si deduce violazione degli articoli 2909, 720 c.c., nonche’ delle leggi sulle belle arti (L. n. 364 del 1909, L. n. 1089 del 1939, Decreto Legislativo n. 490 del 1999, Decreto Legislativo n. 42 del 2004).
La parte censurata della sentenza e’ la seguente: “Le dichiarazioni sono tutte coerenti fra loro e descrivono una ripartizione del possesso dell’immobile ben precisa (appartamento piano terra a (OMISSIS), appartamento primo piano alla famiglia di (OMISSIS) e appartamento secondo piano a (OMISSIS)) e che da’ conto, come sottolineato dal giudice di primo grado, dell’accordo, allegato da (OMISSIS), intervenuto tra i tre fratelli (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) di procedere comunque di fatto a una divisione fra loro del castello, benche’ la loro domanda di divisione dell’immobile fosse stata respinta con la sentenza del Tribunale n. 272/41 del 1941 con la quale era stata disposta la vendita all’Incanto da effettuare in un unico lotto un anno dopo la conclusione del trattato di pace”.
Il secondo motivo e’ infondato.
A prescindere dalle obiezioni della controricorrente (mancanza della certificazione ex articolo 124 disp. att. c.p.c. del passaggio in giudicato della sentenza, mancanza della trascrizione integrale del testo, preclusione da giudicato interno per mancata formulazione di un motivo specifico di appello sul punto), il motivo e’ infondato sulla base dell’interpretazione degli stralci della sentenza riportati dal ricorrente. Infatti, l’ostacolo che si frappone all’invocare il valore precettivo (in termini di indivisibilita’ del (OMISSIS)) del giudicato del 1941 nell’attuale controversia discende dal principio che la portata precettiva delle regole concrete di condotta promananti da un giudicato rimane saldamente ancorata al suo valore di ratio decidendi, cioe’ al suo carattere – non gia’ di disposizione generale astratta (che nel caso di specie sarebbe, nella prospettiva fatta valere dal ricorrente: “il castello non e’ divisibile”) bensi’ – di risposta ad una specifica domanda giudiziale, a sua volta perimetrata su di una determinata situazione di fatto dedotta in giudizio. Nel caso di specie si tratta di una domanda giudiziale di divisione del Castello in tre parti. La portata precettiva della statuizione di indivisibilita’ e’ una proiezione di tale domanda. Non si tratta quindi di una indivisibilita’ (per cosi’ dire) assoluta, bensi’ di una indivisibilita’ relativa, delimitata dalla sua qualita’ di risposta decisoria a quel petitum. Cio’ trova un precipitato testuale nell’ulteriore stralcio di motivazione citato dal ricorrente, laddove si parla di “danno, che deriverebbe da una rabberciata e contorta divisione dell’immobile, venendo a formare tre parti mozze e di cattivo gusto”. Il carattere rabberciato e contorto della divisione, contrastante con gli scopi del vincolo storico-artistico, e’ valutato dalla sentenza del 1941 come effetto della richiesta divisione in tre parti “mozze e di cattivo gusto”. Nessuna valenza precettiva e’ in grado di proiettare tale dictum su di una controversia che si polarizza sull’acquisto per usucapione della proprieta’ di un appartamento all’interno del Castello. In ogni caso, l’acquisto per usucapione sarebbe compatibile finanche con un pregresso giudicato di accertamento del diritto dominicale, ove il possessore possa invocare – come nel caso di specie – che l’intero decorso del tempo necessario ad usucapire si e’ svolto dopo il passaggio in giudicato (cfr. Cass. 36627/2021).
Il secondo motivo e’ rigettato.
3. – Con il terzo motivo si denuncia che la Corte di appello abbia ritenuto essersi verificata una divisione di fatto tra gli originari comproprietari ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), per desumerne interversione del possesso esclusivo in capo a (OMISSIS), padre della convenuta, e successione del possesso ex articolo 1146 c.c., comma 1 in capo alla figlia (OMISSIS). In realta’ tale accordo bonario di divisione e’ stato contestato e mai provato. Si deduce violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c.
Del terzo motivo e’ da dichiarare l’inammissibilita’.
Il ricorrente aspira a sovrapporre il proprio apprezzamento di parte della situazione di fatto rilevante all’accertamento che il giudice di merito ha espresso in una motivazione che non si espone a censure in sede di giudizio di legittimita’. Nell’esposizione dei fatti di causa si e’ gia’ osservato che la maggior parte della sentenza e’ dedicata alla valutazione analitica del compendio probatorio e specialmente testimoniale.
Il terzo motivo e’ inammissibile.
4. – Con il quarto motivo si denuncia che la Corte di appello: (a) abbia qualificato come possesso esclusivo utile ex articolo 714 c.c., u.p. ai fini dell’usucapione cio’ che invece e’ un semplice godimento differenziato; (b) abbia accertato in capo alla convenuta una successione nel possesso esclusivo del padre (OMISSIS). Si deduce violazione degli articoli 714, 1146 c.c.
Parte censurata della sentenza: “Va infatti evidenziato che se a un comproprietario viene assegnato il possesso di un bene del compendio in base a una divisione bonaria, non formale ma di fatto, in assenza di un contestuale mandato ad amministrare nell’interesse di tutti i compartecipi, l’attuazione della divisione con apprensione materiale e godimento del bene determina di per se stessa una interversione del titolo del possesso in possesso esclusivo senza necessita’ di una interversione formale o di una ulteriore manifestazione del mutamento di fatto del titolo del possesso (Cass. 12260/02)”.
Scioglimento della comunione di un bene gli usufruttuari non rivestono la qualità di litisconsorti necessari
Il quarto motivo e’ infondato.
Affinche’ il coerede possa vantare con successo un possesso esclusivo utile ad usucapire, se non e’ necessario che egli compia un atto di formale interversione (nonostante la lettera dell’articolo 1102 c.c., comma 2, di cui l’articolo 714 c.c. costituisce pur sempre specificazione), e’ tuttavia indispensabile che egli estenda di fatto il proprio possesso in forma esclusiva, tale cioe’ da escludere il compossesso degli altri coeredi nella realta’ effettuale. Infatti, quanto all’animus, egli e’ fin dall’inizio possessore uti condominus. Per passare al possesso uti dominus, e’ sufficiente la effettiva esclusione degli altri coeredi dai beni (cfr. Cass. 9359/2021), quale si esprime attraverso un’attivita’ durevole, apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui (cfr., tra le altre, Cass. 19478/2007). Tale e’ situazione che, nel caso di specie, risulta dall’accertamento dei fatti (cfr. l’esame del motivo precedente).
Il quarto motivo e’ rigettato.
5. – Con il quinto motivo si denuncia che: (a) non poteva darsi un possesso utile per usucapire, se non violando la sentenza del 1941; (b) si lamenta che il possesso sia stato esercitato in modo violento, ovvero in violazione della volonta’ presunta degli altri comproprietari; (c) che l’accordo divisorio sia stato mal interpretato; (d) che atti di amministrazione compiuti dalla convenuta senza il consenso degli altri comproprietari siano stati interpretati come manifestazioni di possesso uti domina. Si deduce violazione degli articoli 1158, 1163, 1367, 1164, 2697 c.c.
Del quinto motivo e’ da dichiarare l’inammissibilita’.
L’argomentazione del motivo e’ ispirata dalla idea erronea che: (a) si possa dischiudere la prospettiva di un accoglimento se si prospettano come errori di diritto quelli che in realta’ sono (reputati) errori commessi nella ricostruzione e apprezzamento della situazione di fatto rilevante in causa; (b) di conseguenza, si possa chiedere ad una corte di legittimita’ di sovrapporre il proprio apprezzamento dei fatti rilevanti alla valutazione delle corti di merito, ove questa sia attestata – come nel caso di specie – da una motivazione effettiva, resoluta e riducibile a coerenza (cfr. l’esame del terzo motivo).
Il quinto motivo e’ inammissibile.
6. – Con il sesto motivo si denuncia l’omesso esame del riconoscimento da parte della convenuta: (a) delle risultanze tavolari nel contratto di amministrazione del 1990; (b) del ruolo di (OMISSIS) di amministratore delle proprieta’ immobiliari in nome e per conto di tutti i coeredi.
Del sesto motivo e’ da dichiarare l’inammissibilita’.
La sentenza di secondo grado e’ conforme a quella di primo grado e il giudizio di appello e’ stato instaurato dopo il 12/09/2012 (cfr. articolo 348-ter c.p.c., comma 5). In ogni caso, il fatto non e’ decisivo, poiche’ nel contratto si da’ semplicemente atto della realta’ delle iscrizioni tavolari, senza che cio’ possa logicamente escludere la volonta’ di contrapporvi una situazione di fatto idonea a far maturare l’acquisto della proprieta’ esclusiva dell’appartamento. Inoltre, il ruolo di amministratore affidato ad un altro coerede non esclude il possesso utile ai fini dell’usucapione, come accertato nel caso di specie (cfr. l’esame del terzo motivo).
Il sesto motivo e’ inammissibile.
7. – Con il settimo motivo si denuncia che la Corte di appello non abbia rilevato di ufficio che il conflitto tra (OMISSIS), quale avente causa inter vivos, e (OMISSIS), quale acquirente per usucapione, debba risolversi alla stregua del Regio Decreto n. 499 del 1929, articolo 5, comma 1 e 3. Si deduce violazione della legge tavolare (Regio Decreto n. 499 del 1929, articolo 5), nonche’ degli articoli 2727, 2728 c.c. In particolare, si allegano due atti di donazione del 1990 e del 1999, per i quali (OMISSIS) aveva acquistato la comproprieta’ anteriormente alla trascrizione della domanda di usucapione (2002), con la conseguenza che, non essendo stata superata la presunzione di buona fede Regio Decreto n. 499 del 1929, ex articolo 5, comma 3 l’acquisto e’ inopponibile.
Del settimo motivo e’ da dichiarare l’inammissibilita’.
Si tratta di questione nuova inammissibile in quanto implica un apprezzamento di fatto (la buona fede di cui al Regio Decreto n. 499 del 1929, articolo 5, comma 3) non consentito a questa Corte.
Il settimo motivo e’ inammissibile.
8. – L’inammissibilita’ o infondatezza di ogni motivo determina il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari al contributo unificato per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio in favore della parte controricorrente, che liquida in Euro 10.000, oltre a Euro 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella dovuta per il ricorso, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
La diffusione dei provvedimenti giurisdizionali “costituisce fonte preziosa per lo studio e l’accrescimento della cultura giuridica e strumento indispensabile di controllo da parte dei cittadini dell’esercizio del potere giurisdizionale”.
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