Responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazione del feto

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|19 giugno 2024| n. 16967.

Responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazione del feto

In tema di responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazione del feto, il danno conseguente all’impossibilità di prepararsi psicologicamente al parto (ad es., mediante la tempestiva organizzazione della vita in modo compatibile con le future esigenze di cura del figlio ovvero il ricorso a una psicoterapia) integra un pregiudizio diverso da quello correlato alla mancata interruzione della gravidanza, stante l’autonoma rilevanza dell’informazione allo scopo di evitare o mitigare la sofferenza indotta dal suddetto evento, indipendentemente da qualsivoglia profilo di strumentalità rispetto all’eventuale scelta abortiva della donna.

 

Ordinanza|19 giugno 2024| n. 16967. Responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazione del feto

Data udienza 5 aprile 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Responsabilita’ civile – Professionisti – Attivita’ medico – Chirurgica omessa diagnosi di malformazione del feto – Danni da lesione del diritto all’interruzione della gravidanza e del diritto all’informazione – Autonomia – Fondamento.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dai Ill.mi Sigg.ri Magistrati

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere

Dott. RUBINO Lina – Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 02283/2021 R.G.,

proposto da

Li.Gi., Co.An.; rappresentati e difesi dall’Avvocato Ug.Ri. (pec dichiarata: …), in virtù di procura su foglio separato, da intendersi apposta in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrenti –

nei confronti di

(…) Spa; rappresentata e difesa dall’Avvocato Gi.Ci. (pec dichiarata: …), in virtù di procura in calce al controricorso;

nonché di

Ca.Ma.: rappresentata e difesa dall’Avvocato Gi.Ge. (pec dichiarata: …), in virtù di procura in calce al controricorso;

– contro ricorrente –

avverso la sentenza n. 294/2020 della CORTE d’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 9 aprile 2020;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 aprile 2024 dal Consigliere Paolo Spaziani.

Responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazione del feto

FATTI DI CAUSA

1. I coniugi Li.Gi. e Co.An., anche in rappresentanza del figlio minore, Co.Gi., nato il (Omissis) – premesso che il piccolo Co.Gi. era nato malformato per essere affetto da “tetraoligoectrodattilia”, con mancanza integrale del piede sinistro e con l’altro piede e le mani solo abbozzati; che tali malformazioni erano state colpevolmente ignorate nell’ecografia eseguita in occasione del secondo semestre di gravidanza dal medico Ca.Ma., operante presso la Casa di cura privata “Villa El.” Srl; che, in conseguenza dell’errore diagnostico, il medico aveva altrettanto colpevolmente violato l’obbligo di informazione sulle patologie malformative del feto e il correlativo diritto della madre di esercitare una libera e consapevole scelta in ordine all’interruzione della gravidanza – convennero la Casa di cura “Villa El.” Srl e la dottoressa Ca.Ma. dinanzi al Tribunale di Locri, chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali da essi subiti in conseguenza del loro inadempimento.

Le convenute, costituitesi in giudizio, chiamarono in manleva le rispettive società di assicurazione, (…) Spa e (…) Spa

Il Tribunale di Locri, espletate due CTU, con sentenza non definitiva n. 469/2006: a) rilevò il difetto di legittimazione attiva del minore Co.Gi.; b) dichiarò cessata la materia del contendere tra gli attori, da un lato, e la struttura sanitaria e la (…) Spa, dall’altro, per intervenuta transazione; c) accertò la responsabilità della dottoressa Ca.Ma., nonché l’obbligo di (…) Spa di tenerla indenne delle somme che fosse stata condannata a corrispondere agli attori fino alla concorrenza del massimale di polizza, pari ad oltre 774.000 Euro.

Con sentenza definitiva n.516/2008, lo stesso Tribunale liquidò i danni patrimoniali e non patrimoniali subìti da Li.Gi. e Co.An. e condannò, in solido, al ristoro degli stessi la dottoressa Ca.Ma. e (…) Spa

2. Le sentenze non definitiva e definitiva furono gravate da appello principale proposto da (…) e (…) (succeduta negli oneri derivanti dalla polizza) e da appello incidentale proposto da Ca.Ma.; avverso la sentenza definitiva proposero impugnazione incidentale anche gli attori.

In accoglimento dell’appello proposto dalle società assicuratrici e dalla dottoressa Ca.Ma., la Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza 9 aprile 2020, n. 294: a) in parziale riforma della sentenza di primo grado non definitiva n. 469/2006, confermata nel resto, ha “revocato” la statuizione di accertamento della responsabilità del medico; b) in totale riforma della sentenza di primo grado definitiva n. 516/2008, ha rigettato la domanda risarcitoria degli attori, compensando le spese dei due gradi di giudizio.

3. La Corte d’appello – rinnovata la consulenza medico-legale – ha deciso sulla base dei seguenti rilievi:

I – l’inesatto adempimento da parte del medico doveva reputarsi sussistente: infatti, sebbene, da un lato, le consulenze tecniche espletate avessero evidenziato la difficoltà di accertamento ecografico delle malformazioni fetali, avuto riguardo alle conoscenze tecniche dell’epoca e alla natura della patologia – e sebbene, dall’altro lato, la sig.ra Li.Gi. si fosse recata con ritardo (solo alla ventiquattresima settimana) a svolgere l’ecografia del secondo trimestre di gravidanza, fissata per la ventesima settimana – tuttavia proprio l’ecografia del secondo semestre (da svolgersi tra le 20 e le 22 settimane) sarebbe stata quella deputata, secondo le linee guida sugli screening ecografici, alla valutazione dell’eco-anatomia fetale per il rilievo di eventuali malformazioni e allo studio della biometrica fetale, mentre l’ecografia precedente del primo trimestre (tra le 19 e le 12 settimane) e quella del terzo trimestre (tra le 30 e le 34 settimane) avrebbero invece avuto funzioni differenti.

Pertanto, la dottoressa Ca.Ma., in occasione della ecografia del secondo semestre, avrebbe dovuto porsi l’obiettivo di visualizzare le estremità degli arti (eventualmente segnalando le difficoltà o le impossibilità di visualizzazione in concreto incontrate) e, comunque, nell’osservanza delle regole di perizia e diligenza professionali, avrebbe dovuto avvedersi della mancanza del piede sinistro, totalmente assente, e della mano sinistra, mancante dell’articolazione del polso;

in contrario, non poteva attribuirsi rilievo al ritardo con cui la gestante si era presentata all’esame ecografico, poiché soltanto alla ventottesima settimana di gravidanza la riduzione dell’ampiezza dei movimenti fetali e della quantità di liquido amniotico avrebbe reso difficile la predetta visualizzazione e, con essa, la diagnosi delle malformazioni e il regolare adempimento dell’obbligo informativo.

II – peraltro, gli attori non avevano dimostrato il nesso causale tra il rilevato inadempimento del medico e il danno da loro lamentato: infatti, avuto riguardo, da un lato, all’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (secondo cui spetta al genitore che agisce per il risarcimento del danno da nascita indesiderata provare, anche attraverso presunzioni, che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza – ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale) e, dall’altro lato, al principio per cui il giudizio circa la sussistenza del grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna (circostanza cui l’art.6, lett. b), l. n. 194/1978, subordina la possibilità di abortire) va condotto con giudizio ex ante, doveva escludersi, sotto quest’ultimo profilo, il rilievo della consulenza medica espletata (che aveva diagnosticato a carico della sig.ra Li.Gi. una lieve sindrome ansioso-depressiva comportante un esiguo danno biologico di grado pari al 4%, tra l’altro, senza alcuna certezza sulla sua derivazione causale dalla condotta colposa del medico, anche alla luce dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità circa l’incidenza della “ectrodattilia” del feto sulla salute psichica o fisica della madre) e doveva prendersi atto, quanto all’onere di dimostrare la scelta abortiva, che nessuna prova, anche presuntiva, era stata in tal senso fornita dagli attori, deponendo anzi in senso contrario proprio la circostanza che la sig.ra Li.Gi. si era recata all’effettuazione della ecografia del secondo semestre dopo che erano ormai trascorse 24 settimane dall’inizio della gravidanza, malgrado questo screening fosse notoriamente fondamentale per la diagnosi di sindromi o malformazioni del concepito e a dispetto della vitale importanza da attribuirsi, a salvaguardia della scelta abortiva, alla precocità di detta diagnosi in relazione al disposto dell’art. 7 della legge n. 194/1978, secondo cui la sussistenza della possibilità di vita autonoma del feto limita la scelta della madre di interrompere la gravidanza alla sola ipotesi di cui all’art. 6 lett. a) della stessa legge, inerente al grave pericolo per la vita della donna.

3. Avverso la sentenza della Corte reggina hanno proposto ricorso per cassazione Li.Gi. e Co.An., sulla base di otto motivi.

Hanno risposto con distinti controricorsi (…) Spa e Ca.Ma.

La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis. 1, cod. proc. civ.

Il Procuratore Generale non ha depositato conclusioni scritte.

I ricorrenti e la controricorrente Ca.Ma. hanno depositato memoria.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

La preliminare eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, sollevata dalla controricorrente Ca.Ma. sul rilievo della violazione del termine semestrale di cui all’art. 327 cod. proc. civ., va rigettata per manifesta infondatezza, atteso che il giudizio è iniziato prima del 4 luglio 2009, sicché il termine “lungo” di decadenza dall’impugnazione, da computarsi a far tempo dalla pubblicazione della sentenza d’appello (9 aprile 2020), era quello annuale previsto dall’art. 327 cod. proc. civ., nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 69 del 2009; la notifica del ricorso, effettuata (in data 10 gennaio 2021) ben prima della scadenza di questo termine è dunque tempestiva; inoltre, risulta rispettato anche il termine “breve” di sessanta giorni di cui all’art.325 cod. proc. civ., poiché i ricorrenti hanno ricevuto la notifica della sentenza d’appello in data 11 novembre 2020.

1. Con il primo motivo viene denunciata la “Nullità della Sentenza e/o del procedimento in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 – violazione artt. 340, 343, 324, 325, 327 C.P.C.; inammissibilità dell’appello principale proposto dalle Compagnie assicuratrici per maturata decadenza dall’impugnazione in relazione alla invalidità della riserva d’appello spiegata sulla sentenza non definitiva n. 469/2006 Tribunale di Locri”.

2. Con il secondo motivo viene denunciato “Error in iudicando; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 comma 1, n.5 C.P.C.; violazione diritto difesa e principio del contraddittorio; contraddittorietà”.

I primi due motivi vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione.

I ricorrenti pongono in evidenza che la dichiarazione di riserva d’appello della sentenza non definitiva del Tribunale di Locri n. 469/2006, formulata, nel corso del giudizio di primo grado, al verbale d’udienza del 27 settembre 2006, era stata resa dal difensore di Ca.Ma. sia nell’interesse della parte da lui rappresentata, sia, quale delegato del difensore delle compagnie assicurative ((…) Spa e (…) Spa), nell’interesse di queste ultime. Osservano che, peraltro, da un lato, non esisteva un delega scritta in tal senso rilasciata dal difensore delle società assicuratrici al difensore della dott.ssa Ca.Ma.; dall’altro, quest’ultimo non avrebbe potuto comunque compiere attività difensiva per conto delle società assicuratrici, stante il conflitto di interessi tra queste ultime e il medico.

Concludono che, pertanto, la riserva d’appello della sentenza di primo grado non definitiva n. 469/2006 era stata invalidamente ed inefficacemente formulata per le compagnie assicurative, con conseguente inammissibilità dell’appello da esse successivamente proposto e con conseguente passaggio in giudicato di quella sentenza nei loro confronti. Soggiungono che l’inammissibilità dell’appello principale proposto dalle società assicuratrici avrebbe travolto anche l’appello incidentale del medico, con conseguente passaggio in giudicato verso tutte le parti della sentenza non definitiva sull’ai debeatur.

I ricorrenti deducono che il contrasto di posizioni tra compagnia assicurativa e medico sarebbe emerso in particolare dalla circostanza che la compagnia aveva chiesto la sospensione dell’esecutività della sentenza nei suoi confronti e a tale istanza si era opposta la dott.ssa Ca.Ma. per evitare di essere esposta, a sua volta, all’azione esecutiva; inoltre, la Corte d’appello aveva accolto l’istanza nei confronti della società assicuratrice e non nei confronti di Ca.Ma.

2.1. I motivi appena illustrasti non sono fondati.

In ordine alla censura per mancanza di delega scritta va osservato che, nell’ipotesi in cui il difensore costituito venga sostituito per il compimento di singoli atti, la mancanza di delega scritta può essere rilevata d’ufficio o dalla controparte solo prima del compimento degli atti stessi, mentre l’eccezione successiva a tale momento è consentita soltanto alla parte il cui procuratore sia stato, di fatto ed irregolarmente, sostituito (Cass., Sez. Un., 05/07/2007, n. 15142; Cass. 16/10/2001, n. 12597; Cass. 15/10/2014, n. 21840; Cass. 14/11/2019, n. 29490).

Il rilievo circa il conflitto di interessi tra medico e società di assicurazione si infrange sul motivato accertamento di merito della Corte territoriale, la quale ha osservato che nella fattispecie non vi era tale conflitto, dato che entrambi le impugnazioni erano concordemente dirette a contestare la fondatezza della domanda principale risarcitoria e non quella della domanda di garanzia.

In ordine alla circostanza di cui si sarebbe asseritamente omesso l’esame (ovverosia, la circostanza che la compagnia assicurativa aveva proposto istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza sulla resistenza di Ca.Ma., e che l’inibitoria era stata concessa soltanto alla prima) è agevole osservare che l’esecutività, quale prerogativa della sentenza di condanna, concerneva la sentenza definitiva n. 516/2008, non quella non definitiva n. 469/2006, di mero accertamento. La ratio della concessione dell’inibitoria alla sola società assicurativa risiedeva, poi, con tutta evidenza, nell’errore (appunto commesso dal primo giudice nella sentenza definitiva, non in quella non definitiva) di avere pronunciato la condanna di (…) Spa (in solido con Ca.Ma.), in assenza di azione diretta degli attori verso la società assicurativa.

I primi due motivi, pertanto, vanno rigettati.

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3. Con il terzo motivo viene denunciata la “Nullità della Sentenza in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 CPC.; violazione principio devolutivo dell’appello; intangibilità sentenza non definitiva per mancata impugnativa della stessa nelle conclusioni formulate con l’appello incidentale”.

I ricorrenti ribadiscono che la sentenza non definitiva del 2006 sarebbe passata in giudicato perché: a) l’appello principale delle compagnie assicurative, stante l’invalidità della riserva di appello, doveva reputarsi limitato alla sentenza definitiva del 2008 sul quantum; b) l’appello incidentale di Ca.Ma. era aspecifico tranne che per tre questioni (domanda di risarcimento del danno all’immagine professionale, dichiarata inammissibile in appello per novità; riforma della sentenza non definitiva del 2006 in ordine all’estromissione della casa di cura e della sua società assicurativa, rigettata per infondatezza; richiesta di rigetto del motivo di gravame sull’insussistenza della solidarietà passiva spiegato dalle appellanti principali) che non riguardavano l’an della pretesa attorea.

3.1. Il motivo è inammissibile, poiché si traduce nella riproposizione delle doglianze già proposte dinanzi alla Corte d’appello e da questa motivatamente rigettate, senza investire le argomentazioni poste a fondamento della statuizione di rigetto, le quali avrebbero invece dovuto essere specificamente criticate con le censure veicolate con il ricorso per cassazione.

In primo luogo, come si è già evidenziato esaminando i precedenti motivi, non era invalida la riserva d’appello della sentenza non definitiva formulata nell’interesse delle compagnie assicurative, sicché l’impugnazione principale da loro spiegata era ammissibile ed era idonea a rimettere in discussione l’accertamento della responsabilità del medico.

In secondo luogo, quanto alla circostanza che l’appello incidentale della dott.ssa Ca.Ma. avrebbe posto questioni estranee all’an della pretesa attorea, va rilevato che, al contrario, la Corte d’appello ha evidenziato che con esso l’appellante si era doluta anzitutto dell’accertamento della sua responsabilità, richiamando le due consulenze mediche che l’avrebbero esclusa (pp.3 e 4 della sentenza impugnata).

Deve pertanto ritenersi che l’accertamento contenuto nella sentenza non definitiva del 2006 non era affatto passato in giudicato in quanto censurato sia con l’appello principale delle società assicurative che con l’appello incidentale del medico.

4. Con il quarto motivo vengono denunciati “Error in iudicando; nullità della sentenza; violazione principio della domanda ex art. 99 C.P.C. e principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 C.P.C.; violazione diritto di difesa e principio del contraddittorio; violazione principio del giusto processo ex art. 111 Cost.; ultrapetizione ed extrapetizione; violazione art. 342 C.P.C. sul principio della specificità dei motivi d’appello e art. 345 C.P.C. sul divieto di nova in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 C.P.C.”.

5. Con il quinto motivo vengono denunciati “Error in iudicando; violazione e/o falsa applicazione della L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b), dell’art. 32 Cost. , dell’art. 2697 c.c. e del principio di non contestazione ex art. 115 C.P.C. in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3, C.P.C.”.

Il quarto e il quinto motivo vanno trattati congiuntamente per ragioni di connessione.

Viene dedotta, da un lato, la violazione del principio dispositivo in senso materiale (art. 112 cod. proc. civ.) per ultrapetizione; dall’altro lato, la violazione del principio dispositivo in senso formale (art. 115 cod. proc. civ.) per violazione del principio di non contestazione.

I ricorrenti (originari attori) richiamano la deduzione contenuta a pag. 5 dell’atto di citazione ove essi avevano affermato che “di certo infatti la Li.Gi., ancora molto giovane e con modeste risorse economiche, dunque impreparata ad affrontare i disagi morali e materiali derivanti dalla nascita di un figlio con gravi handicaps fisici, avrebbe optato per l’interruzione di gravidanza”.

Evidenziano che questa deduzione non era stata contestata e sostengono che, pertanto, la Corte d’appello, nel ritenere che spettasse a parte attrice la prova della circostanza che, ove tempestivamente informata delle malformazioni del feto, la gestante avrebbe optato per l’interruzione della gravidanza, per un verso, avrebbe introdotto ex officio una questione non controversa tra le parti; per l’altro, avrebbe ritenuto non provata una circostanza non contestata.

5.1. Il quarto e il quinto motivo non sono fondati.

5.1. a. In primo luogo, deve escludersi il dedotto vizio di ultrapetizione, dal momento che la prova di cui la Corte d’appello ha reputato la mancanza attenesse ad un fatto costitutivo della domanda.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, stabilito che “in tema di responsabilità medica da nascita indesiderata, il genitore che agisce per il risarcimento del danno ha l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza -ricorrendone le condizioni di legge – ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale; quest’onere può essere assolto tramite “praesumptio hominis”, in base a inferenze desumibili dagli elementi di prova, quali il ricorso al consulto medico proprio per conoscere lo stato di salute del nascituro, le precarie condizioni psico-fisiche della gestante o le sue pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva, gravando sul medico la prova contraria, che la donna non si sarebbe determinata all’aborto per qualsivoglia ragione personale” (Cass., Sez. Un., 22 dicembre 2015, n. 25767).

Oltre alla prova che, se fosse stata debitamente informata, la gestante avrebbe abortito, nell’ipotesi in cui – come nella fattispecie – l’aborto avrebbe dovuto essere praticato dopo i 90 giorni dall’inizio della gravidanza, la parte attrice deve anche fornire l’ulteriore dimostrazione della sussistenza di un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna, requisito imposto dall’art. 6, lett. b), della l. n. 194 del 1978 (cfr., ad es., Cass. 15 gennaio 2021, n. 653 e, in precedenza, Cass. 11/04/2017, n. 9251, la quale ha anche affermato che la mancanza della mano sinistra del nascituro non è una malformazione idonea a determinare tale grave pericolo).

Dunque, nel porre la questione relativa alla prova di tali due circostanze, la Corte d’Appello non è andata ultra-petita ma ha indagato sulla sussistenza dei fatti costituitivi della domanda, ponendosi il problema del riparto dell’onere della prova e risolvendolo correttamente nel senso che esso gravasse sugli attori.

Responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazione del feto

5.1. b. In secondo luogo, deve altresì escludersi la dedotta violazione del principio di non contestazione.

La prova, incombente sulla danneggiata, della volontà di esercitare la facoltà di interrompere la gravidanza, può essere fornita anche mediante presunzioni, le quali devono essere valutate dal giudice secondo un modello “atomistico-analitico”, fondato sul rigoroso esame di ciascun singolo fatto indiziante e sulla successiva valutazione congiunta, complessiva e globale, degli stessi, da compiersi alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale e concordanza (Cass. 27/06/2023, n. 18327).

Parimenti, l’accertamento della sussistenza del grave pericolo per la salute della donna – presupposto necessario, ai sensi dell’art. 6, lett. b), della l. n. 194 del 1978, per l’interruzione della gravidanza dopo i primi 90 giorni – dev’essere compiuto con valutazione prognostica “ex ante” (Cass. n. 18327 del 2023, cit.).

Nella fattispecie, non si pone il problema della non contestazione poiché non erano stati dedotti fatti specifici indizianti, idonei a fornire la prova della prima o della seconda circostanza (ad es., con riguardo alla prima, che vi erano stati un ricorso al consulto medico per conoscere lo stato di salute del nascituro, o che vi erano state pregresse manifestazioni di pensiero propense all’opzione abortiva; oppure, con riguardo alla seconda, che la gestante si trovava in precarie condizioni psico-fisiche o che erano presenti malformazioni fetali idonee a determinare il grave pericolo per la salute della donna) rispetto ai quali i convenuti avrebbero avuto l’onere di contestazione.

Al contrario, erano emersi fatti indizianti (lieve danno biologico per sindrome ansioso depressiva; malformazioni fetali che non determinavano il detto grave pericolo; ritardo nel recarsi all’esame ecografico del secondo semestre) che deponevano in senso inverso e che hanno indotto la Corte di merito a reputare motivatamente che le predette circostanze non fossero state provate.

L’affermazione contenuta nell’atto di citazione in cui si deduceva che la sig.ra Li.Gi. avrebbe optato per la scelta abortiva non conteneva l’allegazione di alcun fatto specifico, ad eccezione del rilievo circa la giovane età e le modeste condizioni economiche: circostanze non contestate da ritenere senz’altro pacifiche ma che, ex se, non avevano alcun valore indiziante nel senso della scelta abortiva.

Va ribadito che l’onere di specifica contestazione si pone in capo al convenuto solo se vi è stata una specifica allegazione da parte dell’attore (Cass. 23/03/2022, n. 9439).

Il quarto e il quinto motivo, congiuntamente esaminati, vanno dunque rigettati.

6. Con il sesto motivo viene denunciata “Violazione e falsa applicazione artt. 24 e 111 Cost.; violazione art. 2697 CPC in relazione all’art. 360 comma 1, n. 4 CPC; illegittimità applicazione overruling sostanziale e processuale su questioni già introdotte, istruite e decise in costanza di precedenti giurisprudenziali consolidati e mutati a distanza di circa quindici anni dai fatti di causa”.

Sulla premessa che il giudizio di primo grado è stato introdotto nel 1998, i ricorrenti osservano che a quell’epoca era prevalente l’orientamento giurisprudenziale che, in ipotesi di omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, attribuiva all’inadempimento del medico rilevanza impeditiva all’esercizio del diritto della donna di interrompere la gravidanza e reputava corrispondente a regolarità causale il compimento di tale scelta da parte della gestante, se informata di gravi malformazioni del feto, avuto riguardo alla previsione di legge che, in presenza di determinati presupposti, consente alla donna di evitare il pregiudizio che da quella condizione del figlio deriverebbe al proprio stato di salute (vengono citate Cass. 6735/2002 e Cass. 14488/2004).

Sostengono, dunque, i ricorrenti che il successivo mutamento di giurisprudenza – con l’affermazione dell’opposto principio secondo cui sul genitore che agisce per il risarcimento del danno incombe l’onere di provare che la madre avrebbe esercitato la facoltà d’interrompere la gravidanza, ricorrendone le condizioni di legge, ove fosse stata tempestivamente informata dell’anomalia fetale – non avrebbe potuto essere applicato retroattivamente in ossequio ai principi affermati dalla stessa giurisprudenza di legittimità in tema di overruling.

6.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Affinché un orientamento del giudice della nomofilachia non sia retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, ovvero affinché si possa parlare di prospective overruling, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: 1) che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; 2) che tale mutamento sia stato imprevedibile, in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso; 3) che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte.

Nella fattispecie non ricorre nessuna delle tre condizioni giacché: 1) la norma sull’onere della prova è una norma sostanziale (Cass. n. 1247/2000; Cass. n. 2751/2002; Cass. n. 6332/2014); 2) non vi era un orientamento lungamente consolidato poiché il riferito indirizzo giurisprudenziale, iniziato nel 2002, era stato messo in discussione già nel 2010 (Cass. 10/11/2010, n. 22837) e decisamente contrastato a partire dal 2013 (Cass.22/03/2013, n. 7269; Cass.10/12/2013, n. 27528), talché, prima di Cass. Sez. Un., n. 25767/2015, cit., sussisteva un vero e proprio contrasto (Cass. 26/05/2020, n. 9706); 3) l’applicazione retroattiva del nuovo orientamento non comportava un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte.

Responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazione del feto

Il sesto motivo, dunque, va rigettato.

7. Con il settimo motivo viene denunciata “Violazione o falsa applicazione di norme di legge; art. 6 L. 194/1978; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 comma 1, n.5 CPC; erroneità dei presupposti presi a sostegno della prova circa i presupposti legittimanti il cd. aborto terapeutico”.

I ricorrenti ribadiscono che il giudice d’appello avrebbe dovuto valorizzare – in funzione della prova della scelta abortiva in presenza dell’adempimento dell’obbligo di informazione da parte del medico – le seguenti circostanze: la giovane età della gestante; le ridotte possibilità economiche; il ricorso ad esami diagnostici; la sussistenza di due pregressi ricoveri; l’avvenuta effettuazione e il correlativo oneroso pagamento di numerose visite presso una professionista privata, non ostante la scarsità di risorse.

7.1. Il motivo è inammissibile poiché impinge nella ricostruzione dei fatti e nella valutazione delle prove, attività insindacabilmente riservate al giudice del merito.

8. Con l’ottavo motivo viene denunciato “Omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti in giudizio in relazione all’art. 360 comma 1, n. 5 CPC; disconoscimento diritto risarcitorio e mancato accoglimento dell’appello incidentale in ordine al riconoscimento del maggior danno patito ed incremento delle poste risarcitorie riconosciute in prime cure; omesso riconoscimento del danno da omessa tempestiva informazione del medico alla paziente”.

II motivo si articola in due doglianze.

Con la prima viene contestato il rigetto dell’appello incidentale sul quantum in ordine alla domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla lesione del diritto all’autodeterminazione consapevole in ordine alla scelta abortiva; la doglianza è infondata in ragione di quanto si è sopra rilevato nell’esame dei precedenti motivi.

Con la seconda viene censurato il rigetto dell’ulteriore domanda con cui, indipendentemente dalla violazione del diritto ad esercitare l’interruzione della gravidanza, era stato chiesto il risarcimento del danno determinato dalla compromissione del diritto della gestante ad essere informata sulle malformazioni del nascituro per non essere stata posta in grado di prepararsi psicologicamente al parto.

8.1. Questa censura è fondata.

Con essa viene dedotta la violazione del diritto dei genitori ad essere informati, non in funzione dell’esercizio del diritto di autodeterminarsi in ordine alla scelta abortiva spettante alla madre, ma in vista della predisposizione ad affrontare consapevolmente l’evento doloroso della nascita malformata.

Viene, dunque, posta in evidenza la rilevanza autonoma dell’informazione, non in quanto strumentale ad orientare la scelta abortiva, ma in quanto idonea ex se a consentire di evitare o mitigare la sofferenza conseguente al detto evento, ad es., mediante il tempestivo ricorso ad una terapia psicologica o la tempestiva organizzazione della vita in modo compatibile con le future esigenze del figlio o anche, semplicemente, attraverso la preventiva acquisizione della consapevolezza della prossima nascita di un figlio malformato, in modo da prepararsi tempestivamente ad essa.

Questa Corte ha già più volte affermato (v. Cass. 26/06/2019, n. 16892; Cass. 26/05/2020, n. 9706; Cass. 31/01/2023, n. 2798) – e al principio deve darsi continuità – che dalla lesione, sotto tale profilo, del diritto all’informazione, possono derivare alla gestante (e possono essere accertate anche presuntivamente) conseguenze dannose non patrimoniali risarcibili, se non sotto il profilo esteriore dinamico-relazionale, quanto meno sotto il profilo della sofferenza interiore, dovendo presumersi che la possibilità, conseguente alla corretta informazione, di predisporsi ad affrontare consapevolmente le conseguenze di un evento particolarmente gravoso sul piano psicologico oltre che materiale, consenta con ogni evidenza di evitare o, almeno, di limitare la sofferenza ad esso conseguente, la quale è tanto più intensa quanto più inattesa a causa dell’omessa informazione.

Deve allora reputarsi illegittima, sia perché contra ius sia perché illogicamente motivata, la statuizione con cui la Corte d’appello – sul presupposto che la sofferenza psichica dei genitori sarebbe stata la medesima a prescindere dal tempestivo adempimento dell’obbligo informativo – ha rigettato la domanda di risarcimento del danno morale della gestante conseguente al trauma determinato dall’apprendere delle malformazioni del figlio al momento della nascita, dopo che, durante il periodo della gestazione, essa era stata rassicurata circa il normale stato di salute del feto.

L’ottavo motivo di ricorso va, pertanto, accolto, nei sensi di cui in motivazione.

9. In definitiva, va accolto, per quanto di ragione, l’ottavo motivo; vanno rigettati il primo, il secondo, il quarto, il quinto e il sesto; vanno dichiarati inammissibili il terzo e il settimo.

La sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte reggina in diversa composizione, la quale provvederà ad un nuovo esame della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla mancata tempestiva informazione e dalla conseguente perdita per la gestante della possibilità di predisporsi ad affrontare consapevolmente la nascita malformata.

Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate tra le parti.

10. Ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, deve disporsi che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi dei ricorrenti, dei controricorrenti e delle altre persone di cui si fa menzione.

Responsabilità del medico per omessa diagnosi di malformazione del feto

P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto di ragione l’ottavo motivo, rigetta il primo, il secondo, il quarto, il quinto e il sesto, dichiara inammissibili il terzo e il settimo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Reggio Calabria in diversa composizione.

Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196 del 2003, dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi dei ricorrenti, dei controricorrenti e delle altre persone in esso menzionate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 5 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2024.

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Le sentenze sono di pubblico dominio.

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