Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 giugno 2023| n. 16564.
La parte convenuta per l’eliminazione di vedute e la prova del diritto
La parte convenuta per l’eliminazione di vedute, poste a distanza inferiore a quella prescritta dall’articolo 905 del codice civile, ha l’onere, ove affermi il proprio diritto a mantenerle, di provare l’avvenuto acquisto, a titolo negoziale od originario, della relativa servitù, non rilevando la mera preesistenza, di fatto, di tali aperture, il cui possesso, di risalenza anche ultraventennale, non ne implica necessariamente l’appartenenza originaria a detto convenuto.
Ordinanza|| n. 16564. La parte convenuta per l’eliminazione di vedute e la prova del diritto
Data udienza 9 maggio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: EDILIZIA ED URBANISTICA – DISTANZE LEGALI
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – rel. Consigliere
Dott. CAPONI Remo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N. R.G. 31197/2018) proposto da:
(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), in proprio e quale erede di (OMISSIS) e (OMISSIS), rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dagli Avv.ti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)) e (OMISSIS) (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 1159-2018, pubblicata il 23 luglio 2018, notificata il 24 luglio 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 maggio 2023 dal Consigliere relatore Cesare Trapuzzano;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’articolo 380-bis.1. c.p.c..
La parte convenuta per l’eliminazione di vedute e la prova del diritto
FATTI DI CAUSA
1.- Con atto di citazione notificato il 24 maggio 2004, (OMISSIS) e (OMISSIS) convenivano, davanti al Tribunale di Nocera Inferiore, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), al fine di sentire dichiarare l’irregolarita’ delle luci aperte dalle convenute sul loro immobile, con la condanna a renderle conformi alle prescrizioni di legge, nonche’ al fine di sentire dichiarare l’illegittimita’ delle finestre-vedute aperte dalle convenute sia sul lato nord che sul lato est del giardino di proprieta’ degli attori, con la conseguente condanna all’eliminazione della veranda e alla chiusura delle vedute.
Si costituivano in giudizio (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), le quali contestavano le pretese attoree ed eccepivano la formazione del giudicato – all’esito della pronuncia della Corte d’appello di Salerno di cui alla sentenza n. 797-2011, depositata l’11 ottobre 2011, passata in cosa giudicata il 26 novembre 2012 -, in ordine all’esistenza del diritto reale di veduta degli istanti.
Nel corso del giudizio era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 340-2013, depositata il 19 aprile 2013, accoglieva le domande proposte dagli attori e, per l’effetto, dichiarava l’illegittimita’ delle vedute delle convenute sul giardino di proprieta’ degli attori, condannando queste ultime all’eliminazione delle vedute esercitate dalla finestra della veranda posta al primo piano e dalle due finestre poste al secondo piano del loro fabbricato. Condannava altresi’ le convenute a rendere conformi alle prescrizioni di cui all’articolo 901 c.c. le due luci al piano terra, con l’apposizione delle grate fisse al finestrino, e al primo piano, con l’apposizione dell’inferriata a grate fisse.
2.- Con atto di citazione notificato il 3-5 luglio 2013, proponeva appello (OMISSIS), in proprio e quale erede di (OMISSIS) e (OMISSIS), la quale deduceva l’erroneita’ della sentenza di primo grado nella parte in cui: 1) era stata rigettata l’eccezione di inammissibilita’ dell’avversa domanda per l’esistenza del precedente giudicato esterno in ordine alla legittimita’ della veduta dalla parete finestrata; 2) era stata rigettata l’eccezione di inammissibilita’ dell’avversa domanda per l’acclarata esistenza ab immemorabili della servitu’ di veduta attraverso la veranda e, comunque, per essersi costituita una servitu’ di veduta per destinazione del padre di famiglia; 3) erano state confermate acriticamente le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio; 4) era stata disposta la condanna alla regolarizzazione delle luci.
Si costituivano nel giudizio di impugnazione (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali resistevano al gravame e ne chiedevano il rigetto, spiegando appello incidentale nella parte in cui la pronuncia di prime cure aveva omesso la liquidazione, a carico delle parti soccombenti, del compenso di consulenza tecnica d’ufficio.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Salerno, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’appello principale e accoglieva l’appello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della pronuncia impugnata, disponeva che l’appellante rimborsasse agli appellati le spese di consulenza tecnica d’ufficio.
A sostegno dell’adottata pronuncia il Giudice d’appello rilevava, per quanto interessa in questa sede: a) che doveva essere confermato il rigetto dell’eccezione di giudicato esterno, posto che, a seguito della sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore n. 1046-2005 e della Corte d’appello di Salerno n. 797/2011, i coniugi (OMISSIS) (OMISSIS) erano stati condannati alla demolizione – poi di fatto eseguita – di un manufatto posto a distanza inferiore di ml. 10,00 dalla parete finestrata delle controparti, parete finestrata in ordine alla quale era stata affermata la “preesistenza” di una veduta dalla veranda in questione, senza peraltro che fosse stata dichiarata la legittimita’ di detta veduta; b) che, pertanto, nel giudizio evocato l’oggetto dell’accertamento verteva sull’osservanza o meno della distanza di ml. 10,00 del manufatto dei coniugi (OMISSIS) (OMISSIS) rispetto alla parete finestrata della veranda (OMISSIS) (OMISSIS), laddove l’oggetto dell’accertamento della vertenza in esame concerneva la legittimita’ delle vedute verso il fondo dei coniugi (OMISSIS) (OMISSIS), aperte nella veranda al primo piano e di cui alle finestre al secondo piano dell’immobile (OMISSIS) (OMISSIS);
c) che il riferimento all’acclarata esistenza ab immemorabili doveva tradursi nella necessita’ di provare un legittimo acquisto della servitu’ di veduta, a titolo derivativo od originario, prova nella fattispecie assolutamente carente e neppure allegata, anche con riguardo alla costituzione per destinazione del padre di famiglia, deduzione peraltro avvenuta per la prima volta solo in sede di appello e dunque inammissibile, oltre che priva di riscontri; d) che, a tal fine, erano del tutto irrilevanti i documenti prodotti e segnatamente le due sentenze del Tar Salerno, la citata sentenza della Corte d’appello di Salerno ed alcune planimetrie catastali degli anni âEuroËœ40, prive peraltro della relativa attestazione di conformita’; e) che, in conseguenza, conformemente alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, non era possibile ricavare, ne’ l’epoca di realizzazione originaria delle vedute al primo e al secondo piano, ne’ le loro caratteristiche; f) che non poteva essere considerata un atto emulativo la pretesa di regolarizzazione delle luci, quale diritto espressamente riconosciuto dall’articolo 902 c.c.; g) che doveva essere accolto lo spiegato appello incidentale, nella parte in cui il Giudice di primo grado aveva omesso di liquidare le spese di consulenza tecnica d’ufficio anticipate dagli attori-odierni appellati a carico delle parti soccombenti.
3.- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, (OMISSIS), in proprio e quale erede di (OMISSIS) e (OMISSIS). Hanno resistito con controricorso gli intimati (OMISSIS) e (OMISSIS).
4.- Le parti hanno depositato memorie illustrative.
La parte convenuta per l’eliminazione di vedute e la prova del diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2909 c.c. e 324 c.p.c., per avere la Corte di merito dichiarato inammissibile o, comunque, infondata nel merito l’eccezione di giudicato esterno sollevata sul presupposto che fosse diverso l’oggetto dei due giudizi, nell’un caso inerente al rispetto delle distanze legali tra costruzioni e nel giudizio successivo attinente alla regolarita’ delle luci e vedute del vicino.
Obietta l’istante che l’attualita’ del diritto reale di veduta avrebbe costituito una condizione dell’azione, volta ad ottenere l’osservanza, da parte del vicino, delle distanze di cui all’articolo 907 c.c., e come tale avrebbe dovuto essere rilevata anche d’ufficio dal giudice, salvo che da parte del convenuto non vi fosse stata ammissione, esplicita o implicita, purche’ inequivoca, della sussistenza di tale diritto.
Con la conseguenza che si sarebbe formato il giudicato nel precedente giudizio in ordine all’eccezione di negatoria servitutis, con la quale i convenuti (OMISSIS) (OMISSIS) avrebbero ampliato l’oggetto del giudizio, facendo valere l’inesistenza, per mancanza di ogni titolo, della servitu’ di veduta in favore dell’immobile (OMISSIS) (OMISSIS).
2.- Con il secondo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 901, 902, 907, 873, 2909 c.c. e dell’articolo 324 c.p.c., per avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile la proposta eccezione di giudicato sul presupposto che il diritto reale di veduta non costituisse condizione dell’azione reale per il rispetto delle distanze legali tra proprieta’ vicine, in spregio alla costante giurisprudenza di legittimita’ secondo la quale il diritto reale di veduta costituisce condizione dell’azione promossa per la violazione delle distanze legali dalla veduta o luce.
Ad avviso dell’istante, il giudicato si sarebbe formato sul principio di diritto in forza del quale la norma sulle distanze tra costruzioni va rispettata, poiche’ dall’istruttoria svolta nel precedente giudizio sarebbe emersa la “preesistenza” della servitu’ di veduta legittima (ossia la preesistenza, rispetto alla veranda, di una parete munita di veduta ubicata sul confine), laddove il convenuto aveva eccepito (con un’eccezione riconvenzionale) la sua illegittimita’, sicche’, a fronte di tale accertamento irretrattabile, non sarebbe stato consentito proporre una nuova domanda, volta ad accertare l’inesistenza del diritto reale di veduta da tale parete finestrata (ossia dalla veranda), essendo quest’ultima proprio la condizione per l’esercizio dell’azione atta ad ottenere il rispetto delle distanze legali.
2.1.- I due motivi, che possono essere affrontati congiuntamente, in quanto connessi sul piano logico e giuridico, sono infondati.
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Si premette che l’asserita formazione del giudicato rivendicata dall’odierna ricorrente – e in tesi disconosciuta colpevolmente dalla pronuncia impugnata – si riferisce all’ipotizzato accertamento del diritto reale di veduta dalla veranda (OMISSIS) (OMISSIS), posta sul lato nord rispetto al giardino di proprieta’ (OMISSIS) (OMISSIS), nell’ambito del giudizio diretto all’accertamento della violazione delle distanze legali tra costruzioni (e precisamente del manufatto realizzato dai coniugi (OMISSIS) (OMISSIS) sul loro giardino, a distanza inferiore di ml. 10,00 dalla parete finestrata di cui alla veranda (OMISSIS) (OMISSIS), distanza prescritta dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9).
Per contro, il giudizio da cui e’ scaturita la sentenza impugnata e’ stato proposto dai coniugi (OMISSIS) (OMISSIS) per ottenere l’inibitoria delle vedute e la regolarizzazione delle luci aperte nell’immobile (OMISSIS) (OMISSIS) a danno del giardino degli istanti (e precisamente sia della veduta esercitata dalla veranda sul lato nord, sia delle luci aperte al piano terra e al primo piano sul lato est, sia della veduta esercitata dalle due finestre al secondo piano sul lato est).
Tanto premesso, il rilievo del giudice d’appello, secondo cui nessun giudicato si e’ formato sul diritto della (OMISSIS) di esercitare la veduta dalla veranda, non e’ confutato dalle deduzioni svolte dalla ricorrente e, dunque, resiste a tali critiche.
E cio’ perche’ la verifica effettuata nel giudizio evocato, circa la “preesistenza” di una veduta rispetto alla veranda in questione, non e’ significativa dell’avvenuto accertamento, neanche in via incidentale, della legittimita’ dell’esercizio della veduta da tale veranda.
Ne’ d’altronde l’oggetto di quel giudizio, attinente alla pretesa di osservare le distanze tra costruzioni, e’ destinato ad esplicare effetti pregiudicanti sull’oggetto del giudizio da cui e’ derivata la pronuncia impugnata, che invece riguarda il diverso aspetto della contestata illegittimita’ dell’apertura di luci e vedute sul fondo vicino.
Infatti, nell’un caso, il rispetto delle distanze tra costruzioni e’ diretto a prevenire la formazione di intercapedini dannose per la salubrita’, l’igiene, il decoro e la sicurezza degli abitati, a salvaguardia di interessi collettivi, viceversa, nell’altro, il divieto di aprire vedute e luci sul fondo vicino mira a tutelare il proprietario dall’indiscrezione del vicino, a difesa di interessi esclusivamente privati.
Con l’effetto che si tratta di domande diverse, alla stregua dell’eterogenea oggettivita’ giuridica di categoria protetta, conclusione rispetto alla quale non assume rilievo la natura autodeterminata dei diritti coinvolti, poiche’ dette azioni non riguardano l’accertamento del diritto di proprieta’ o di altri diritti reali di godimento, postulando, al contrario, che questi non siano controversi (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11226 del 24/04/2019; Sez. 2, Sentenza n. 15070 del 11/06/2018; Sez. 2, Sentenza n. 10622 del 28/04/2017; Sez. 2, Sentenza n. 16808 del 09/08/2016; Sez. 2, Sentenza n. 4967 del 12/03/2015; Sez. 2, Sentenza n. 18595 del 29/10/2012).
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Ebbene, nel procedimento incardinato allo scopo di salvaguardare le distanze legali tra costruzioni (e, in specie, nella sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore n. 1046/2005 e nella successiva sentenza di conferma della Corte d’appello di Salerno n. 797/2011), nessun pronunciamento vi e’ stato in ordine all’esistenza di un legittimo diritto di veduta dalla veranda (OMISSIS) (OMISSIS).
Pertanto, per un verso, la richiesta del preveniente, atta ad esigere l’osservanza della distanza legale prescritta, in ordine alla costruzione eseguita dal prevenuto (e segnatamente il rispetto della distanza di ml. 10,00 dalla propria parete finestrata del manufatto realizzato nel giardino (OMISSIS) (OMISSIS)), non implicava affatto che il giudice di merito accertasse la legittimita’ della veduta da tale parete finestrata; e, per altro verso, a fronte dell’eccezione riconvenzionale sollevata dai coniugi (OMISSIS) (OMISSIS), circa l’illegittimo esercizio della veduta dalla veranda rispetto alla quale si pretendeva l’osservanza delle distanze legali tra costruzioni, la verifica e’ stata limitata alla dichiarazione della preesistenza di tale veduta, che non costituisce indicazione sintomatica della sua legittimita’, il cui accertamento e’ stato reputato irrilevante ai fini dell’applicazione della disciplina delle distanze tra costruzioni.
Ed invero, la domanda protesa ad ottenere, nell’ambito dei rapporti inter-privati, il rispetto delle distanze legali dalla propria parete finestrata non postula alcun accertamento della legittimita’ della costruzione o della relativa veduta (sulla possibilita’ di esigere l’osservanza di tale distanza anche a fronte di immobili abusivi, Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 28263 del 28/09/2022; Sez. 2, Sentenza n. 1764 del 20/01/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 2637 del 04/02/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 4833 del 19/02/2019; Sez. 6-2, Ordinanza n. 21354 del 14/09/2017; Sez. 2, Sentenza n. 5411 del 18/03/2015; Sez. 2, Sentenza n. 17286 del 12/08/2011; Sez. 2, Sentenza n. 7563 del 30/03/2006; Sez. 2, Sentenza n. 4372 del 27/03/2002; Sez. 2, Sentenza n. 10173 del 14/10/1998; Sez. U, Sentenza n. 5143 del 22/05/1998).
3.- Con il terzo motivo – articolato subordinatamente al mancato accoglimento dei primi due – la ricorrente contesta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 905 c.c., per avere la Corte distrettuale ritenuto che la convenuta appellante fosse onerata della prova dell’effettivo affaccio da una veduta per il tempo utile alla maturazione dell’acquisto per usucapione, in spregio all’orientamento secondo cui non avrebbe importanza la prova testimoniale specifica dell’esercizio della veduta, dalla quale sia pero’ possibile avvalersi della facolta’ obiettiva di guardare e affacciarsi comodamente verso il fondo vicino, essendo sufficiente ad integrare una servitu’ di veduta anche la dimostrazione attraverso piantine catastali attestanti l’esistenza della finestra come servitu’ apparente.
Secondo la ricorrente, sarebbe stata richiesta indebitamente la prova dell’esercizio effettivo dell’affaccio.
Per converso, a fronte dell’esistenza non contestata di una veduta, qualsiasi essa fosse e in qualunque modo fosse stata esercitata, sarebbe stata la controparte a dover dare dimostrazione dell’irregolarita’.
La parte convenuta per l’eliminazione di vedute e la prova del diritto
3.1.- La doglianza e’ infondata.
La sentenza d’appello ha, infatti, debitamente argomentato sulle ragioni che avrebbero potuto paralizzare la pretesa degli attori, atta ad ottenere l’eliminazione delle vedute illegittime, sostenendo appunto che il mantenimento delle vedute contestate avrebbe richiesto la dimostrazione del legittimo acquisto della servitu’, a titolo derivativo od originario, prova della quale non vi era traccia agli atti, neanche con riferimento all’acquisizione della servitu’ per destinazione del padre di famiglia, atteso che tale rilievo, non solo era stato tardivamente allegato solo in sede di gravame, ma era comunque sfornito di qualsiasi prova.
Ha, ancora, aggiunto la Corte d’appello che i documenti prodotti (ossia le due sentenze del Tar Salerno, la sentenza della Corte d’appello di Salerno n. 797/2011 e le planimetrie catastali degli anni âEuroËœ40, prive peraltro di attestazione di conformita’) non costituivano elementi idonei a comprovare tale acquisto della servitu’.
In ultimo, il Giudice del gravame ha evidenziato che neanche la consulenza tecnica d’ufficio espletata aveva determinato l’epoca di realizzazione delle vedute.
La Corte di merito ha, per l’effetto, fatto buon governo del principio a mente del quale la parte convenuta per l’eliminazione di vedute, poste a distanza inferiore a quella prescritta dall’articolo 905 c.c., ha l’onere, ove affermi il proprio diritto a mantenerle, di provare l’avvenuto acquisto, a titolo negoziale od originario, della relativa servitu’, non rilevando la mera preesistenza, di fatto, di tali aperture, il cui possesso, di risalenza anche ultraventennale, non ne implica necessariamente l’appartenenza originaria a detto convenuto (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 36147 del 12/12/2022; Sez. 2, Sentenza n. 25342 del 12/12/2016; Sez. 2, Sentenza n. 20871 del 29/09/2009; Sez. 2, Sentenza n. 5734 del 13/06/1994; Sez. 2, Sentenza n. 1605 del 24/04/1975).
Non e’ stata, dunque, fornita la dimostrazione dell’esistenza di un titolo legittimante del mantenimento del diritto di veduta (e non gia’ dell’esercizio in concreto dell’affaccio).
Ne’ la ricorrente ha fornito dettagliati elementi volti a confutare tale assunto: ossia che effettivamente vi fosse un difetto radicale di allegazioni e prove significative dell’acquisto di un diritto di veduta in favore dei proprietari (OMISSIS) (OMISSIS).
4.- Con il quarto motivo – proposto in via subordinata al mancato accoglimento delle precedenti censure – la ricorrente si duole, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c., per avere la Corte d’appello respinto l’eccezione del convenuto in ordine al possesso ab immemorabili della servitu’ di veduta, esigendo una prova testimoniale ulteriore rispetto alla situazione di fatto.
Ad avviso dell’istante, cosi’ facendo la Corte territoriale avrebbe disatteso l’insegnamento secondo cui, in tema di dimostrazione del possesso ab immemorabili, l’istituto si caratterizza per una risalenza nel tempo di situazioni fattuali da cui si dovrebbe presumere l’esistenza di un titolo legittimo corrispondente, del quale tuttavia non vi e’ traccia documentale, ossia di una situazione cuius memoria non extat, per la quale sarebbe sufficiente la mera situazione di fatto in se’ e per se’ considerata.
All’uopo, la ricorrente deduce che la servitu’ di veduta si sarebbe costituita per destinazione del padre di famiglia sin dalla fine dell’Ottocento.
La parte convenuta per l’eliminazione di vedute e la prova del diritto
4.1.- Il motivo e’ inammissibile.
E tanto perche’, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. non puo’ porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6774 del 01/03/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 27847 del 12/10/2021; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 6-1, Ordinanza n. 1229 del 17/01/2019).
Nella fattispecie, la sentenza d’appello ha dato atto della carenza di alcuna prova giustificativa dell’acquisto del diritto di veduta, neanche per destinazione del padre di famiglia, peraltro all’esito di un’allegazione inammissibile perche’ avvenuta solo nel giudizio di gravame.
E sul punto nessuna smentita e’ stata addotta dall’istante, neanche con riferimento all’inutilizzabilita’ delle planimetrie catastali degli anni âEuroËœ40, perche’ prive dell’attestazione di conformita’.
4.2.- Quanto alla veduta praticata ab immemorabili, ossia per un tempo protratto ben oltre il tempo necessario ad usucapire, il mero dato deduttivo non e’ emblematico dell’effettiva integrazione della situazione dedotta, di cui e’ stata evidenziata la carenza di prova.
Ebbene, a fronte dell’assoluta carenza della dimostrazione dell’esercizio della servitu’ di veduta, la reclamata protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile, tale da fondare una presunzione di legittimita’ del possesso attuale basata sulla vetustas – cioe’ sul decorso di un tempo talmente lungo che si sia perduta la memoria dell’inizio di una determinata situazione di fatto, senza che vi sia memoria del contrario – rappresenta un mero elemento assertivo, non utilizzabile in difetto di un corrispondente riscontro asseverativo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2710 del 14/07/1976; Sez. 2, Sentenza n. 3508 del 23/10/1975; Sez. 1, Sentenza n. 837 del 26/03/1973).
A fortiori, si rileva che l’istituto dell’immemorabile non e’ piu’ applicabile ai rapporti privatistici, in quanto abrogato dal codice civile del 1865 e non richiamato in vigore dall’attuale codice civile. E’, invece, operante nei rapporti di diritto pubblico ed, in particolare, in quelli che hanno ad oggetto beni demaniali (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 587 del 14/01/2019; Sez. 1, Sentenza n. 4051 del 13/06/1983; Sez. 2, Sentenza n. 2289 del 18/06/1976), tra cui non ricade il caso di specie.
5.- Conseguentemente il ricorso deve essere rigettato.
Le spese e i compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore dei controricorrenti, delle spese di lite, che si liquidano in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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