Consiglio di Stato, Sentenza|28 dicembre 2020| n. 8391.
La messa in sicurezza di un sito inquinato costituisce una misura di prevenzione dei danni, espressione del principio di precauzione e del principio dell’azione preventiva, che grava sul proprietario o sul detentore o sul gestore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l’accertamento del dolo o della colpa.
Sentenza|28 dicembre 2020| n. 8391
Data udienza 27 novembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Inquinamento – Sito inquinato – Messa in sicurezza – Misura di prevenzione – Principio di precauzione – Risvolti applicativi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6948 del 2014, proposto da
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dell’Interno, Ministero della Salute, Ministero dello Sviluppo Economico, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
contro
Soc. Ed. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ni. Ba., Ma. Bu., Gi. Ba. Co., Si. Vi., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Ba. Co. in Roma, via (…);
Comune di Taranto, Regione Puglia non costituiti in giudizio;
Il. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Pi., Al. De., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Pi. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce Sezione Prima n. 00228/2014, resa tra le parti, concernente intervento di bonifica di interesse nazionale relativo al sito di Taranto
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Soc. Ed. S.p.A. e di Il. S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 27 novembre 2020 il Cons. Sergio Santoro
L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, decreto-legge 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25, co.2, del Decreto Legge 137 del 28 ottobre 2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La sentenza appellata riguarda un’area in Taranto, sulla quale erano state costruite due centrali termoelettroniche cogenerative costruite dalla soc. Is., cui l’area nel 1992 era pervenuta da parte di Il. Laminati Piani. Quest’ultima, insieme con Is. è stata acquisita da parte del gruppo Ed.. A sua volta, nel 2004, l’I. è stata fusa per incorporazione in Ed. S.p.A.
L’area in questione, nel 1990 e nel 1997, era dichiarata dal Governo a elevato rischio di crisi ambientale, e poi inserita tra i siti di interesse nazionale ex art. 1 l. 426/1998 da bonificare.
2. A seguito del procedimento di caratterizzazione, iniziato su istanza della società proprietaria, era prescritto alla società di attivarsi al fine “di porre in essere immediatamente idonei interventi di messa in sicurezza di emergenza” delle “acque di prima e di seconda falda”, di presentare entro 60 giorni i risultati di tali interventi e delle indagini di caratterizzazione integrativa, nonché di inoltrare, entro il medesimo termine, un progetto preliminare di bonifica.
Tale provvedimento era stato quindi impugnato dinanzi al primo giudice nella parte in cui contiene prescrizioni concernenti la messa in sicurezza della falda e la predisposizione del progetto preliminare di bonifica.
La ricorrente, proprio in quanto incorporante per fusione, ha assunto tutti i diritti e obblighi della società Is., tra cui anche l’eventuale responsabilità dell’inquinamento.
3. La sentenza appellata, quanto alla responsabilità della ricorrente e alla necessità che venga comunque accertata la sua colpa in relazione all’evento inquinante, ha rilevato che l’Adunanza Plenaria (25 settembre 2013 n. 21) aveva rimesso alla Corte di Giustizia la seguente questione pregiudiziale “se i principi dell’Unione Europea in materia ambientale sanciti dall’art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla direttiva 2004/35/Ce del 21 aprile 2004 (articoli 1 e 8, n. 3; tredicesimo e ventiquattresimo considerando) – in particolare, il principio “chi inquina paga”, il principio di precauzione, il principio dell’azione preventiva, il principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente – ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 244, 245, 253 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che, in caso di accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il soggetto responsabile della contaminazione o di impossibilità di ottenere da quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità amministrativa di imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica”.
Il primo Giudice, al riguardo, aveva ritenuto che allo stato la nostra legislazione ha recepito il principio “chi inquina paga”, per il quale è il responsabile dell’inquinamento il soggetto sul quale gravano, ai sensi dell’art. 242 e ss. D.lgs. n. 152 del 2006, gli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale, mentre nell’ipotesi di mancata individuazione del responsabile, o di mancata esecuzione degli interventi in esame da parte dello stesso – e sempreché non vi provvedano spontaneamente il proprietario del sito o altri soggetti interessati – le opere di recupero ambientale sono eseguite dall’Amministrazione competente (art. 250), che potrà rivalersi sul proprietario del sito, nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (art. 253), con la precisazione che il principio “chi inquina paga”, presuppone comunque l’accertamento della responsabilità del soggetto inquinatore. Nella specie, era stato accertato il superamento, nei terreni della ricorrente, dei livelli di agenti inquinanti riconducibili all’attività da essa svolta (rame e idrocarburi), mentre per quanto riguarda l’inquinamento delle acque di falda, non era stata accertata l’effettiva riconducibilità alla ricorrente della responsabilità dello stato di contaminazione riscontrato.
Pertanto, con la sentenza appellata il ricorso era in parte accolto (per quanto riguarda l’inquinamento della falda) e in parte respinto (per quanto riguarda l’inquinamento dei terreni).
Avverso la sentenza suindicata sono insorti con l’appello principale il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché il Ministero dell’Interno, il Ministero della Salute, il Ministero dello Sviluppo Economico e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, e con l’appello incidentale la soc. Ed. spa., concludendo rispettivamente per la riforma della sentenza in parte qua nei limiti del proprio interesse, riproponendo gli argomenti già spiegati in primo grado.
4. Ai fini della presente decisione, gli appelli principale e incidentale possono esaminarsi congiuntamente, essendo sufficiente infatti individuare univoci criteri che possano regolare la fattispecie dedotta in giudizio.
In via generale deve ritenersi che la messa in sicurezza di un sito inquinato costituisce una misura di prevenzione dei danni, espressione del principio di precauzione e del principio dell’azione preventiva, che grava sul proprietario o sul detentore o sul gestore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente e, non avendo finalità sanzionatoria o ripristinatoria, non presuppone affatto l’accertamento del dolo o della colpa (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1089/2017). Pertanto, essa “può essere imposta a prescindere dall’individuazione dell’eventuale responsabile (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 8656/2019 e n. 1509/2016)”;
Le disposizioni, che esplicitano il principio comunitario del “chi inquina paga” contenuto nella direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno relativo, stabiliscono che ne risponda chiunque lo abbia determinato, in solido con il proprietario del suolo (e con i titolari dei diritti reali di godimento), nei cui confronti deve esservi un adeguato accertamento della sua responsabilità da effettuarsi in contraddittorio, ancorché basato su presunzioni, e secondo criteri di ragionevole esigibilità, coerenti con il principio colpevolistico, per il quale rilevano non solo le condotte attive dolose, ma anche quelle omissive colpose, caratterizzate dalla negligenza (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 4781/2019 e n. 4504/2015), anche secondo la disciplina comunitaria (art. 14, par. 1, della direttiva n. 2008/98/CE).
Questa regola costituisce un’applicazione del principio “chi inquina paga” (v. il’considerandò n. 1 della citata direttiva n. 2008/98/CE).
Tuttavia, quanto all’individuazione dei soggetti imputabili della responsabilità del recupero o dello smaltimento dei rifiuti e del ripristino dello stato dei luoghi – pur se l’Amministrazione non può imporre ai privati, che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull’origine del fenomeno di inquinamento contestato, lo svolgimento di attività di recupero e risanamento, tuttavia la messa in sicurezza del sito è una misura di correzione dei danni che rientra nel genus delle precauzioni, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all’ambiente. Pertanto, la relativa ordinanza non ha finalità sanzionatoria o ripristinatoria e può essere imposta a prescindere dall’individuazione dell’eventuale responsabile (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 8656/2019 e n. 1509/2016).
In sostanza, l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi può essere adottato anche nei confronti del proprietario o del detentore incolpevole, dato che l’adempimento degli obblighi di custodia, manutenzione e messa in sicurezza sono correlati alla sua situazione di attuale possessore o detentore del bene (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 1961/2020).
Sul piano della legittimazione passiva, d’altra parte, va osservato che l’Adunanza plenaria, con la sentenza n. 10/2019 (nel chiarire che le misure previste dal decreto legislativo n. 22 del 1997 sono applicabili anche a condotte di inquinamento poste in essere prima della sua entrata in vigore), ha ammesso che le attività di bonifica possano essere imposte alla società non responsabile dell’inquinamento, che sia subentrata nella precedente società per effetto di una fusione per incorporazione.
In tema di prevenzione (ambito nel quale dovrebbe essere collocato il provvedimento in esame), il principio “chi inquina paga” non richiede del resto, nella sua accezione comunitaria, anche la prova dell’elemento soggettivo, né l’intervenuta successione. Al contrario, la direttiva n. 2004/35/CE configura la responsabilità ambientale come responsabilità (non di posizione), ma, comunque, oggettiva, che rappresenta un criterio interpretativo per tutte le disposizioni legislative nazionali.
Secondo la giurisprudenza più recente, anche del Giudice ordinario, quel che rileva non è tanto la responsabilità dell’inquinamento ma, piuttosto, la “detenzione dell’area su cui si trovano i rifiuti”, con possibilità di far carico anche al detentore incolpevole dell’onere di rimozione degli stessi.
Ad esempio, in tema di inquinamento del suolo, è stata affermata la responsabilità solidale, con l’autore del fatto, del proprietario o dei titolari di diritti personali o reali di godimento sull’area interessata, purché la violazione sia agli stessi imputabile a titolo di dolo o colpa, quali l’omissione delle cautele e degli accorgimenti che l’ordinaria diligenza suggerisce per un’efficace custodia (Cass. civ., sez. III, 9 luglio 2020, n. 14612). Ed è stata ritenuta legittima l’ordinanza comunale di rimozione dei rifiuti e di bonifica rivolta al proprietario del terreno nella sua qualità di erede del responsabile dell’inquinamento, sul rilievo che l’obbligo ripristinatorio, avendo natura patrimoniale, è trasmissibile agli eredi (Cons. Stato, sez. V, 25 febbraio 2016, n. 765).
5. Sulla base dei criteri ora individuati come applicabili alla fattispecie, deve ritenersi legittimo il provvedimento che ha posto a carico della società Ed. s.p.a., in qualità di attuale proprietaria dell’area oggetto di procedura di bonifica di interesse nazionale, non solo gli interventi di messa in sicurezza di emergenza delle acque di prima e seconda falda, ma anche, successivamente, la predisposizione del progetto preliminare di bonifica a seguito delle determinazioni conclusive delle Conferenze di servizi decisorie relative al sito di bonifica di interesse nazionale di “Taranto”.
L’appello incidentale deve quindi essere rigettato mentre quello principale dev’essere accolto, dovendosi riformare soltanto la parte della sentenza appellata che aveva annullato il provvedimento riguardante l’inquinamento della falda e, per l’effetto, rigettare integralmente il ricorso di primo grado.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello principale e rigetta quello incidentale e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, rigetta il ricorso di primo grado.
Condanna la soc. Ed. s.p.a. alle spese di giudizio che liquida in complessivi Euro5.000,00 (cinquemila).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 novembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente, Estensore
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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