In tema di retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Sentenza 17 maggio 2019, n. 13425.

La massima estrapolata:

In tema di retribuzione dovuta nel periodo di godimento delle ferie annuali, ai sensi dell’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE, per come interpretata dalla Corte di Giustizia, sussiste una nozione europea di “retribuzione” che comprende qualsiasi importo pecuniario che si pone in rapporto di collegamento all’esecuzione delle mansioni e che sia correlato allo “status” personale e professionale del lavoratore.

Sentenza 17 maggio 2019, n. 13425

Data udienza 7 marzo 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 20450/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS);
– resistente –
avverso la sentenza n. 101/2014 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 20/02/2014, R.G.N. 2110/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/03/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Gabriella, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega verbale Avvocato (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Messina rigettava il ricorso proposto dal lavoratore con cui lo stesso chiedeva, previa declaratoria di nullita’ dei contratti integrativi aziendali nella parte relativa alla indennita’ di navigazione cd. “(OMISSIS)”, che ne fosse riconosciuta la natura retributiva, con conseguente inclusione nella base di calcolo della retribuzione imponibile (in misura totale) e di quella per la determinazione del trattamento di fine rapporto con condanna, altresi’, della parte datoriale al pagamento di differenze retributive a titolo di gratifica natalizia e pasquale, di ferie oltre al versamento delle differenze di contribuzione in favore dell’INPS.
2. La Corte di appello di Messina, con sentenza n. 101 del 2014, respingeva il gravame interposto dal lavoratore.
La Corte territoriale osservava, in primo luogo, come la parte appellante, nel censurare la ricostruzione della natura dell’emolumento (id est: dell’indennita’ di navigazione cd. (OMISSIS)) resa dal Tribunale, insistesse nelle originarie domande; quindi, premesso il contenuto dell’articolo 325 c.n., di rinvio alle norme dei contratti collettivi di lavoro per la determinazione della misura e delle componenti della retribuzione, osservava come tutti i contratti collettivi nazionali, dal 1999 e fino al 2007, avessero previsto un’indennita’ di navigazione (di natura non retributiva, volta a compensare il disagio richiesto dalle peculiari esigenze della navigazione marittima a lungo corso, non inclusa nella base di calcolo per la determinazione dei compensi dovuti in relazione agli istituti indiretti) non estensibile agli equipaggi delle navi traghetto in servizio locale; per questi ultimi, la contrattazione collettiva nazionale riconosceva la possibilita’ di individuare indennita’ di natura diversa, compensativa di particolari oneri e prestazioni, il cui importo complessivo rimanesse equivalente all’importo dell’indennita’ di navigazione non corrisposta.
Secondo la Corte distrettuale, l’indennita’ di navigazione cd. “(OMISSIS)” rappresentava appunto un’indennita’ di natura diversa, sostitutiva ma equivalente a quella di navigazione, avente natura non retributiva, come expressis verbis le parti collettive avevano convenuto, diretta, invero, a compensare i disagi connessi ad un particolare tipo di navigazione, non di lungo corso, quale quella dello (OMISSIS) che prevede anche l’eventuale trasporto di merci pericolose; indennita’ che non era computabile nella base di calcolo per la determinazione della retribuzione degli istituti indiretti.
3. Avverso la decisione ha proposto ricorso il lavoratore, affidato a tre motivi, ed illustrato con memoria.
4. Ha resistito con controricorso la societa’ datoriale. L’Inps ha depositato procura speciale rilasciata in calce al ricorso notificato ma non ha svolto attivita’ difensiva.
5. Il ricorso, all’esito dell’adunanza camerale del 17.10.2018, originariamente fissata, con ordinanza interlocutoria e’ stato rimesso alla pubblica udienza, per la trattazione congiunta con i procedimenti recanti i nn. 2691 e 2692 del 2017.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, e’ dedotta – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’articolo 325 c.n., articolo 35 bis CCNL, articolo 1363 c.c. e articolo 112 c.p.c., nonche’ – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame della clausola dell’accordo integrativo.
1.1. Secondo la parte ricorrente, la Corte di Appello di Messina avrebbe errato nel ritenere legittima la clausola dell’accordo integrativo aziendale istitutiva dell’indennita’ di navigazione cd. “(OMISSIS)”, che qualificava l’emolumento come di natura non retributiva ed equivalente all’indennita’ prevista dall’articolo 35 bis del CCNL 1999.
1.2. Per la parte ricorrente, i giudici di merito avrebbero violato il canone legale di interpretazione complessiva delle clausole di cui all’articolo 1363 c.c., per non aver correttamente interpretato le une per mezzo delle altre. Inoltre, la Corte territoriale avrebbe del tutto ignorato che la disposizione aziendale sarebbe stata assunta al di fuori delle materie delegate e che, sotto altro profilo, sarebbe stato illegittimo un patto di conglobamento, tale da forfetizzare, in un unico emolumento, piu’ voci retributive.
1.3. Il motivo e’ inammissibile.
1.4. Si imputa, nella sostanza, alla sentenza della Corte di appello di Messina una cattiva esegesi delle fonti contrattuali, nazionali ed aziendali di riferimento.
1.5. E’ pacifico che l’indennita’ di navigazione cd. “(OMISSIS)” rappresenti emolumento di fonte collettiva aziendale.
1.6. L’interpretazione delle disposizioni di un contratto collettivo aziendale, in ragione della sua efficacia limitata (diversa da quella propria degli accordi e contratti collettivi nazionali, oggetto di esegesi diretta da parte della Corte di Cassazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006), e’ riservata all’esclusiva competenza del giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimita’, ad un sindacato limitato al controllo della motivazione, nei limiti di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tempo per tempo vigente nonche’ alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale; in tale ultima ipotesi, con l’onere per il ricorrente della specifica indicazione del modo attraverso il quale si sarebbe realizzata la violazione degli stessi (id est: dei canoni ermeneutici).
1.7. Nella fattispecie di causa, prima ancora del rilievo che la censura si risolve in una generica deduzione di violazione dei canoni legali di interpretazione, il motivo difetta della trascrizione integrale, ovvero nei passaggi salienti, della clausola contrattuale istitutiva dell’indennita’ cd. “(OMISSIS)”, in violazione degli oneri di deduzione e specificazione imposti dall’articolo 366 c.p.c., n. 6.
1.8. Tale omissione impedisce al Collegio di valutare la ricorrenza della denunciata violazione.
1.9. A tale assorbente considerazione, si aggiunge, quale ulteriore profilo di inammissibilita’, il difetto di integrale trascrizione delle clausole dei CCNL rilevanti ai fini della compiuta valutazione degli errori denunciati (cfr. Cass. n. 25728 del 2013; Cass. n. 2560 del 2007; Cass. n. 24461 del 2005).
2. Con il secondo motivo, e’ dedotta – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 – violazione o falsa applicazione dell’articolo 38 Cost., L. n. 153 del 1969, articolo 12, L. n. 662 del 1996, articoli 48/51 e Decreto Legislativo n. 314 del 1997(T.U.I.R.) articolo 2120 c.c. e dell’articolo 9 dell’accordo interconfederale del 27.10.1946 esteso erga omnes con Decreto del Presidente della Repubblica n. 1070 del 1960.
2.1. Secondo la parte ricorrente, la Corte di appello di Messina avrebbe errato nel ritenere corretta la computabilita’, nella misura del 50%, della indennita’ in oggetto ai fini della determinazione del reddito imponibile, con ogni conseguente effetto sul trattamento previdenziale, e nell’escluderne l’incidenza ai fini degli istituti indiretti del TFR e delle mensilita’ aggiuntive.
2.2. Anche il secondo motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilita’.
2.3. La sua formulazione, in radice, si pone in violazione della disposizione di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4 e confligge con il costante insegnamento di questa Corte secondo cui: “quando nel ricorso per cassazione e’ denunziata violazione e falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere il suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione” (ex plurimis, Cass. n. 7380 del 2018; Cass. n. 19973 del 2013, n. 16038; Cass. n. 8143 del 2012).
2.4. In altri termini, le censure devono avere i caratteri della specificita’, della completezza e della riferibilita’ alla decisione stessa. Cio’ comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di argomentazioni da cui sia possibile desumere il preciso contenuto dei rilievi formulati e identificare l’errore di attivita’ o di giudizio nel quale e’ incorso il giudice del merito.
2.5. Nella fattispecie, il motivo non soddisfa affatto l’indicato grado di specificita’ e completezza, limitandosi a cumulare una pluralita’ di riferimenti normativi, di principi di questa Corte, di considerazioni di carattere generale, disgiunti da un successivo, adeguato svolgimento di pertinenti argomentazioni a sostegno; invero, all’iniziale elencazione di una sequela di norme assertivamente violate, non fa poi seguito una trattazione puntuale nella quale, per ciascuna di esse, siano sviluppati argomenti in diritto, con i contenuti richiesti dal combinato,disposto dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 e dell’articolo 366 c.p.c., n. 4, affinche’ al motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’uno, possa essere riconosciuto il requisito della specificita’, imposto dall’altro, che ne consente la valutazione ad opera di questa Corte.
3. Con il terzo motivo, e’ dedotta – ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 36 Cost., articolo 2109 c.c. e dell’articolo 7 della direttiva n. 88 del 2003.
3.1. La sentenza impugnata e’ censurata nella parte in cui ha escluso, dalla base di calcolo della retribuzione per il periodo feriale, la somma erogata a titolo di indennita’ di navigazione “(OMISSIS)”; la soluzione cui e’ pervenuta la Corte di appello di Messina non terrebbe in alcun conto, secondo la parte ricorrente, non solo il diritto interno ma altresi’ quello comunitario e si porrebbe, dunque, in contrasto con gli stessi.
3.2. Il terzo motivo e’, invece, fondato.
4. Il diritto del lavoratore a ferie retribuite trova una disciplina sia nel diritto interno (articolo 36 Cost., comma 3″ Il lavoratore ha diritto (…) a ferie annuali retribuite”, articolo 2109 c.c., comma 2: “Ha (…) diritto (id est: il prestatore di lavoro) (…) ad un periodo annuale di ferie retribuite” e del Decreto Legislativo n. 66 del 2003, articolo 10, ratione temporis applicabile: “(…) il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo (…) di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane”) che in quello dell’Unione (articolo 7 della Direttiva 2003/88/CE).
5. Con specifico riferimento alla disciplina Europea, l’articolo 7 della direttiva 2003/88, intitolato “Ferie annuali”, stabilisce quanto segue:
“1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinche’ ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali (…)”.
Il diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite e’ peraltro espressamente sancito all’articolo 31, n. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, cui l’articolo 6, n. 1, TUE riconosce il medesimo valore giuridico dei trattati (sentenze dell’8 novembre 2012, Heimann e Toltschin, C-229/11 e C-230/11, punto 22; del 29 novembre 2017, King, C-214/16, punto 33, nonche’ del 4 ottobre 2018, Dicu, C-12/17, punto 25).
6. L’articolo 31 della Carta, intitolato “Condizioni di lavoro giuste ed eque”, per quanto qui maggiormente rileva, prevede che: “(…) 2. Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite”.
7. Il diritto alle ferie retribuite di almeno quattro settimane, secondo giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione (sentenza del 20 luglio 2016, Maschek, C-341/15, punto 25 e giurisprudenza ivi citata); ad esso non si puo’ derogare e la sua attuazione da parte delle autorita’ nazionali competenti puo’ essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88 (vedi sentenza del 12.6.2014, Bollacke, C-118/13, punto 15 e giurisprudenza ivi citata).
8. Piu’ specificamente, secondo la direttiva n. 88 del 2003, il beneficio (id est: il diritto) alle ferie annuali e quello all’ottenimento di un pagamento a tale titolo rappresentano due aspetti (id est: le due componenti) dell’unico diritto “a ferie annuali retribuite” (sentenze del 20 gennaio 2009, Schultz-Hoff e altri, C-350/06 e C520/06, punto 60, del 15 settembre 2011, Williams e altri, C-155/10, punto 26, del 13 dicembre 2018, causa To.He, C-385/17, punto 24).
9. Peraltro, dalla formulazione dell’articolo 1, paragrafo 1 (“La presente direttiva stabilisce prescrizioni minime(…)”) e paragrafo 2, lettera a) (“ai periodi minimi di (…) ferie annuali”) dell’articolo 7, paragrafo 1, nonche’ dell’articolo 15 della direttiva n. 88 del 2003, si ricava, anche, come quest’ultima si limiti a fissare prescrizioni minime di sicurezza e salute in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, facendo salva la facolta’ degli Stati membri di applicare disposizioni nazionali piu’ favorevoli alla tutela dei lavoratori (sentenza cit. 13 dicembre 2018, causa To.He, C-385/17, punto 30 e punto 31).
10. Per cio’ che riguarda, in particolare, “l’ottenimento di un pagamento” a titolo di ferie annuali, la Corte di Giustizia, sin dalla sentenza 16 marzo 2006, cause riunite C-131/04 e C-257/04, Robinson-Steele e altri (punto 50), ha avuto occasione di precisare che l’espressione “ferie annuali retribuite” di cui all’articolo 7, n. 1, della direttiva n. 88 del 2003 intende significare che, per la durata delle ferie annuali, “deve essere mantenuta” la retribuzione; in altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo (negli stessi sensi, anche sentenza CGUE 20 gennaio 2009 in C-350/06 e C- 520/06, Schultz-Hoff e altri, punto 58 nonche’).
11. L’obbligo di monetizzare le ferie e’ volto a mettere il lavoratore, in occasione della fruizione delle stesse, in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro (v. cit. sentenze Robinson-Steele e altri, punto 58, nonche’ Schultz-Hoff e altri, punto 60).
12. Maggiori e piu’ incisive precisazioni si rinvengono nella pronuncia della Corte di Giustizia 15 settembre 2011, causa C-155/10, Williams e altri (punto 21) dove si afferma che la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore e che una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione.
13. In tale pronuncia, la Corte di Giustizia ha avuto modo di osservare come ” sebbene la struttura della retribuzione ordinaria di un lavoratore di per se’ ricada nelle disposizioni e prassi disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non puo’ incidere sul diritto del lavoratore (…) di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all’esercizio del suo lavoro” (v. sentenza Williams e altri cit., punto 23); pertanto “qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all’esecuzione delle mansioni che il lavoratore e’ tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva del lavoratore (…) deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell’ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali” (v. sentenza Williams e altri cit., punto 24); all’opposto, non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell’importo da versare durante le ferie annuali “gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell’espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro” (v. sentenza Williams e altri cit., punto 25). Del pari, vanno mantenuti, durante le ferie annuali retribuite, gli elementi della retribuzione “correlati allo status personale e professionale” del lavoratore (v., sentenza Williams e altri cit., punto 28).
14. Il delineato concetto di retribuzione, dovuta durante le ferie annuali, e’ confermato dalla successiva giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 22 maggio 2014, causa C-539/12, Z.J.R. Lock, punti 29, 30, 31); in tale pronuncia, quanto agli elementi correlati allo status personale e professionale, si precisa che tali possono essere quelli che si ricollegano alla qualita’ di superiore gerarchico, all’anzianita’, alle qualifiche professionali (sentenza Z.J.R. Lock cit., punto 30).
15. Alla stregua di tale nozione, e’ stata, per esempio, ritenuta contraria al diritto dell’Unione la non inclusione, nella retribuzione versata (recte nel pagamento da versare) ai lavoratori a titolo di ferie annuali, degli importi supplementari corrisposti ai piloti (OMISSIS) in ragione delle ore di volo e/o del tempo trascorso fuori dalla Base (sentenza Williams e a, cit C-155/10) ovvero del compenso variabile rappresentato da provvigioni sul fatturato realizzato (sentenza Z.J.R. Lock, C-539/12), cosi’ come la previsione, per contratto collettivo, di una riduzione dell'”indennita’ per ferie retribuite” derivante da una situazione di disoccupazione parziale, nel periodo temporale di riferimento (sentenza To.He, C-385/17).
16. In definitiva puo’, dunque, affermarsi che sussiste una nozione Europea di “retribuzione” dovuta al lavoratore durante il periodo di ferie annuali, fissata dall’articolo 7 della direttiva 88/2003, come sopra interpretato dalla Corte di Giustizia.
17. Questa Corte di legittimita’ ha piu’ volte ribadito che l’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia, interprete qualificata del diritto UE, ha efficacia ultra partes, sicche’ alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali sia emesse in sede di verifica della validita’ di una disposizione UE, va attribuito “il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensi’ in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunita’” (cfr. Cass. n. 22577 del 2012 e giurisprudenza ivi richiamata).
18. In modo conforme al diritto dell’Unione deve essere interpretata la normativa interna laddove riconosce il diritto del prestatore di lavoro a “ferie retribuite” nella misura minima di quattro settimane, senza, tuttavia, recare una specifica definizione di retribuzione.
19. A tale riguardo, deve allora osservarsi come sia compito del giudice di merito valutare, in primo luogo, il rapporto di funzionalita’ (id est: il nesso intrinseco, v. sentenza CGUE 15 settembre 2011, Williams e a., C-155/10, cit., punto 26) che intercorre tra i vari elementi che compongono la retribuzione complessiva del lavoratore e le mansioni ad esso affidate in ossequio al suo contratto di lavoro e, dall’altro, interpretate ed applicate le norme pertinenti del diritto interno conformemente al diritto dell’Unione, verificare se la retribuzione corrisposta al lavoratore, durante il periodo minimo di ferie annuali, sia corrispondente a quella fissata, con carattere imperativo ed incondizionato, dall’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE.
20. Tale verifica non e’ stata condotta dalla sentenza impugnata con riferimento all’indennita’ di navigazione cd. “(OMISSIS)”, stabilita dal contratto collettivo aziendale, che va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di Appello di Palermo; il giudice del rinvio, nel riesaminare la fattispecie, procedera’ al relativo accertamento conformandosi ai principi sopra enunciati; provvedera’, altresi’, alla regolazione anche delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Palermo, cui demanda di provvedere anche in merito alle spese del giudizio di legittimita’.

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