Consiglio di Stato, Sentenza|5 febbraio 2021| n. 1077.
In materia di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, il CSM gode di un margine di apprezzamento particolarmente ampio che è sindacabile in sede di legittimità solo se inficiato da irragionevolezza, omissione o travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione. E’ quindi precluso al sindacato giurisdizionale la valutazione dell’opportunità o convenienza dell’atto dell’organo di governo autonomo.
Sentenza|5 febbraio 2021| n. 1077
Data udienza 21 gennaio 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Presidente di Sezione della Corte di Cassazione – procedura concorsuale – art. 21, Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria per gli incarichi direttivi di legittimità – Requisiti – indicatori di attitudine direttiva – artt. 10 E 12, d.lgs. n. 160 del 2006 – Violazione del principio di imparzialità – Violazione art. 51 c.p.c. – Incompatibilità del relatore – Apprezzamento del CSM non sindacabile in sede di legittimità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8389 del 2020, proposto da
Ta. An., rappresentata e difesa dall’avvocato Gi. Na., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
CSM – Consiglio Superiore della Magistratura, Ministero della giustizia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Ra. Ge., rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Fa., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sez. I, n. 6752/2020, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del CSM – Consiglio Superiore della Magistratura, del Ministero della Giustizia e del dott. Ra. Ge.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 gennaio 2021 il Cons. Stefano Fantini; sono presenti in collegamento da remoto gli avvocati Na., Ma. Ru., Fa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- La dott.ssa Ta. An. ha interposto appello nei confronti della sentenza 19 giugno 2020, n. 6752 del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. I, che ha respinto il suo ricorso avverso la delibera del Plenum del CSM in data 3 luglio 2019 con cui, nella procedura concorsuale per la copertura di un posto di Presidente di Sezione della Corte di Cassazione, è stato conferito l’incarico al controinteressato dott. Ra. Ge..
La delibera impugnata, alla stregua dei parametri fissati dall’art. 21 del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria per gli incarichi direttivi di legittimità, ha fondato il giudizio di prevalenza del dott. Ra. sull’assenza, nel profilo della ricorrente, dell’esperienza alle Sezioni Unite ed all’attività di spoglio, sulle plurime esperienze organizzative del controinteressato nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, di merito e di legittimità, sul maggiore periodo di esercizio delle funzioni di legittimità rispetto alla ricorrente, facendo inoltre riferimento a ritardi nel deposito di provvedimenti, poi recuperati a seguito dell’adozione di un piano di rientro.
Con il ricorso in primo grado la dott.ssa Ta. ha censurato l’erroneità della prevalenza accordata al dott. Ra., deducendo l’istruttoria carente compiuta dall’organo di governo autonomo, la contraddittoretà ed irragionevolezza, oltre che la violazione degli artt. 10/12 del d.lgs. n. 160 del 2006 e la violazione dell’art. 21 del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria del 2015, nell’assunto che non rileva la mera designazione alle Sezioni Unite, ma l’esperienza concreta maturata presso tale collegio, che il dott. Ra. ha svolto l’attività di spoglio nella sezione feriale e per non più di cinque giorni, a fronte dell’omessa valutazione della propria attività presso la sezione stralcio, contestando altresì la incongrua valutazione delle proprie esperienze organizzative rispetto a quelle del dott. Ra., come pure la rilevanza del maggiore periodo di esercizio delle funzioni di legittimità svolte dal controinteressato, atteso che l’indicatore specifico fa riferimento solamente al maturarsi di un’anzianità minima congrua, fissata in sei anni nelle funzioni, la rilevanza delle pubblicazioni scientifiche e contestando altresì l’omessa considerazione degli indicatori attitudinali generali da lei posseduti e la maggiore anzianità nel ruolo, nonché, da ultimo, il riferimento ai ritardi maturati nel deposito dei provvedimenti senza tenere conto delle ragioni personali e del carico di lavoro; la dott.ssa Ta. ha censurato altresì le modalità di verbalizzazione delle sedute della Quinta Commissione, nonché la violazione del principio di imparzialità e dell’art. 51 Cod. proc. civ. stante l’incompatibilità del relatore della proposta della Quinta Commissione (dott. P. Davigo) che è anche presidente della Sezione penale cui il dott. Ra. è assegnato.
2. – La sentenza appellata ha, con diffusa motivazione, respinto tutti i motivi di ricorso.
3.- Con il ricorso in appello la dott.ssa Ta., ha dedotto l’erroneità della sentenza, in rito per l’omesso esame dei documenti e delle memorie depositati rispettivamente il 28 aprile ed il 4-8 maggio 2020, e nel merito sostanzialmente reiterando, alla stregua di motivi di critica, le censure svolte in primo grado.
4. – Si sono costituiti in resistenza il dott. Ra. Ge., il CSM ed il Ministero della giustizia eccependo l’inammissibilità per genericità (il solo dott. Ra.) e comunque l’infondatezza nel merito (tutte le parti) del ricorso in appello.
5.- All’udienza pubblica del 21 gennaio 2021 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.-Va preliminarmente confermato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui, nel conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi, il CSM gode di un apprezzamento che è sindacabile in sede di legittimità solo se inficiato da irragionevolezza, omissione o travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione (tra le tante Cons. Stato, V, 9 gennaio 2020, n. 192; V, 27 giugno 2018, n. 3944; V, 11 dicembre 2017, n. 5828; V, 16 ottobre 2017, n. 4786); resta dunque preclusa al sindacato giurisdizionale la valutazione dell’opportunità o convenienza dell’atto dell’organo di governo autonomo. La legge assegna infatti al CSM un margine di apprezzamento particolarmente ampio ed il sindacato deve restare parametrico della valutazione degli elementi di fatto compiuta dall’amministrazione. Ma al contempo deve assicurare la puntuale ed effettiva verifica del corretto e completo apprezzamento dei presupposti di fatto costituenti il quadro conoscitivo posto a base della valutazione, la coerenza tra gli elementi valutati e le conclusioni cui è pervenuta la deliberazione, la logicità della valutazione, l’effettività della comparazione tra i candidati, e dunque, in definitiva, la sufficienza della motivazione (Cons. Stato, V, 18 giugno 2018, n. 3716; V, 11 febbraio 2016, n. 607).
Importa altresì premettere, in termini generali, che il conferimento degli uffici direttivi da parte dell’organo di governo autonomo della magistratura è disciplinato dal d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della l. 25 luglio 2005, n. 150), che prefigura e definisce un quadro per la valutazione dell'”attitudine direttiva” (art. 12, commi 10, 11 e 12) in base alla tipologia dell’incarico da conferire (funzioni semidirettive e direttive di merito: art. 12, comma 10; funzioni direttive di legittimità, art. 12, comma 11), i cui “indicatori oggettivi” sono individuati dal CSM d’intesa con il Ministro della giustizia (art. 11, comma 3, lett. d), seconda parte).
Con riferimento a queste previsioni, il CSM ha adottato il Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria (circolare n. P-14858-2015, approvata con deliberazione del 28 luglio 2015) che – sostituendo la previgente circolare n. P. 19244 del 3 agosto 2010, delibera del 30 luglio 2010 – mette a punto un articolato sistema di “indicatori generali” (artt. 6-13) e di “indicatori specifici” delle attitudini direttive (artt. 14-23), parametrati ai diversi incarichi oggetto di conferimento.
Vale ancora ricordare che, per consolidata giurisprudenza, il Testo unico sulla dirigenza giudiziaria non è – difettando la clausola legislativa a regolamentare ed essendo comunque materia riservata alla legge (art. 108, primo comma, Cost.) – un atto di natura regolamentare, cioè un atto normativo, ma un atto amministrativo di autovincolo nella futura esplicazione della discrezionalità del CSM a specificazione generale di fattispecie in funzione di integrazione o anche suppletiva dei principi specifici espressi dalla legge, vale a dire soltanto una delibera che vincola in via generale la futura attività discrezionale dell’organo di governo autonomo (cfr. Cons. Stato, IV, 14 luglio 2008, n. 3513; 28 novembre 2012, n. 6035; 6 dicembre 2016, n. 5152; V, 17 gennaio 2018, n. 271; V, 6 settembre 2017, nn. 4215 e 4216; 6 settembre 2017, n. 4220; 17 gennaio 2018, n. 271; 23 gennaio 2018, n. 432; 2 agosto 2019, n. 5492; V, 2 gennaio 2020, nn. 8 e 9; 7 gennaio 2020, nn. 71 e 84; 9 gennaio 2020, nn. 192 e 195; V, 22 gennaio 2020, n. 524; V, 7 febbraio 2020, n. 976; 28 febbraio 2020, nn. 1448 e 1450: 19 maggio 2020, n. 3171; 14 maggio 2020, n. 3047; 21 maggio 2020, n. 3213).
In questa cornice è essenziale la motivazione sulle attitudini e i relativi indicatori posseduti dai candidati, che deve dar conto delle ragioni che giustificano una valutazione di maggiore capacità professionale e conducono a preferire un candidato rispetto ad altri.
Nella fattispecie qui controversa rilevano in particolare gli “indicatori specifici per gli uffici direttivi giudicanti di legittimità ” di cui all’art. 21 del Testo Unico, alla cui stregua “costituiscono specifici indicatori di attitudine direttiva per il conferimento degli incarichi direttivi giudicanti di legittimità : a) l’adeguato periodo di permanenza nelle funzioni di legittimità almeno protratto per sei anni complessivi anche se non continuativi; b) la partecipazione alle Sezioni Unite; c) l’esperienza maturata all’ufficio spoglio; d) le esperienze e le competenze organizzative maturate nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, anche con riferimento alla presidenza dei collegi”.
2. – Ciò premesso, e disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per genericità, essendo sufficientemente sviluppati i motivi di critica della sentenza, va rilevato che il primo motivo di appello lamenta l’omesso esame di documenti, memorie e repliche da parte della sentenza, attinenti alle ragioni dei ritardi nei depositi dei provvedimenti rilevati a carico dell’appellante, e desunto dalla mancata evidenziazione degli argomenti nel corpo della sentenza stessa.
Il motivo, oltre a presentare profili di genericità, è infondato.
Infatti, in linea generale, l’omesso esame di atti difensivi, dall’appellante erroneamente prospettato come violazione dell’art. 73, comma 1, Cod. proc. amm., è ravvisabile solo qualora si traduca in omissione di pronuncia su domande ed eccezioni della parte medesima, in violazione dell’art. 112 Cod. proc. civ.; ovvero, rispetto ad atti che non siano idonei a contenere tali domande od eccezioni, allorchè si deduca che detto mancato esame abbia comportato una svista percettiva del giudice, evitabile mediante la lettura di quegli scritti, in ordine all’esistenza od inesistenza di una circostanza fattuale di natura decisiva (con conseguente rilevanza a fini revocatori).
Tali situazioni nemmeno sono prospettate dall’appellante; al di fuori delle stesse non è ravvisabile sul piano formale un difetto di motivazione della sentenza, che va valutata nel suo complesso.
In ogni caso, andando oltre il motivo oggetto di scrutinio, anche l’omessa pronuncia su una censura non si configura quale error in procedendo. Pertanto, in forza del principio devolutivo, il giudice di appello decide nei limiti della domanda riproposta anche sul motivo non esaminato dal giudice di prime cure.
3. – Il secondo motivo di appello si incentra sulla contestazione della positiva valutazione della “esperienza maturata” dal controinteressato presso l’Ufficio spoglio, nell’assunto che il dott. Ra. abbia svolto la funzione in questione allorché, assegnato alla sezione feriale, nel periodo dal 9 al 14 agosto 2010, è stato chiamato promiscuamente a svolgere l’attività anche di spoglio, e dunque per un periodo del tutto irrisorio; deduce dunque l’appellante la violazione dell’art. 21, lett. c), del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria, di cui alla delibera del 28 luglio 2015, che, nel richiedere la “esperienza maturata all’ufficio spoglio” quale indicatore specifico per gli uffici giudicanti di legittimità, non annette rilievo a solo un qualche giorno di spoglio (uno o due) presso la sezione feriale. Ne consegue, per l’appellante, che nessuno dei due candidati possedeva l’esperienza maturata all’Ufficio spoglio.
Il motivo è infondato.
L’indicatore specifico di attitudine direttiva enucleato dall’art. 21, lett. c), del Testo unico sulla dirigenza giudiziaria è costituito dalla “esperienza maturata nell’ufficio spoglio”, che costituisce di suo un valore o parametro in sé, estranea a un contesto comparativo, salva naturalmente la dimostrazione dell’esito negativo.
Si intende cioè dire che l’aspetto quali/quantitativo dell’esperienza maturata si impone, sul piano logico prima ancora che giuridico, in caso di necessaria comparazione tra più concorrenti che abbiano svolto tale compito in modo e per un tempo diversificato.
Nella fattispecie in esame ciò non occorre: l’appellante non possiede infatti un tale indicatore specifico. Né appare rilevante che l’esperienza all’ufficio spoglio sia avvenuta in modalità promiscua con la sezione feriale, trattandosi comunque di due attività solo occasionalmente (per finalità organizzative) congiunte.
4. – Il terzo mezzo censura l’ulteriore indicatore specifico per gli uffici direttivi giudicanti di legittimità costituito dalla “partecipazione alle Sezioni Unite”. L’appellante critica la sentenza che non avrebbe rilevato la circostanza dell’assenza, in capo al dott. Ra., al momento della pubblicazione della vacanza (20 dicembre 2018), di un siffatto requisito, previsto dall’art. 21, lett. b), del Testo Unico sulla dirigenza giudiziaria; la delibera consiliare gravata ha infatti omesso ogni valutazione in ordine alla sua partecipazione nel 2018, limitandosi ad indicare la data di formale designazione dal 13 aprile 2018, evincendosi solamente la partecipazione alle udienze del 2019 e 2020, e dunque risalenti ad un periodo successivo alla vacanza.
Il motivo è infondato.
Come rileva la sentenza appellata, la decorrenza dell’assegnazione alle Sezioni Unite del dott. Ra. è dal 13 aprile 2018: dunque per un breve periodo al momento della vacanza del posto e della presentazione della domanda per l’incarico direttivo. Il che evidenzia una durata limitata dell’esperienza, che “tuttavia non è idonea ad integrare alcun vizio nella valutazione del rilievo attribuito a tale esperienza rispetto a quella della ricorrente, se si considera che quest’ultima, al momento della domanda, ancora non poteva vantare alcun titolo”. Di qui il corretto giudizio di prevalenza del proposto dott. Ra., che aveva dalla sua un quid pluris nel curriculum rispetto all’appellante. Va, del resto, considerata, a giustificazione di un’accezione ampia dell’indicatore specifico della “partecipazione alle Sezioni Unite”, la complessità del procedimento che porta a siffatta designazione, che implica la domanda dell’interessato, la valutazione e il parere espresso dal Presidente titolare della Sezione, la successiva valutazione della Conferenza dei Presidenti titolari delle Sezioni penali, il cui esito – e su proposta del Primo Presidente – è sottoposto alla decisione del Consiglio direttivo: passaggi, questi, che seppure non concludenti, testimoniano un positivo apprezzamento del magistrato riguardo alla sua attitudine a partecipare alla funzione di nomofilachia rinforzata propria delle Sezioni Unite.
5. – Il quarto motivo si incentra sul confronto tra le esperienze e competenze organizzative (in particolare, esperienze di funzioni e di presidenza dei collegi), in relazione alle quali la sentenza ha valutato non illegittima la ritenuta equivalenza tra il dott. Ra. e la dott.ssa Ta., di cui alla delibera impugnata.
Lamenta l’appellante che le esperienze dei due magistrati non sono equivalenti mancando, nel dott. Ra., le funzioni requirenti, nonché importanti esperienze organizzative (in particolare del tipo di quella attribuita all’appellante per la riorganizzazione della sezione fallimentare del Tribunale di Palermo, nonché presso la Procura generale presso la Corte di Appello di Palermo), come pure di partecipazione all’attività formativa specifica presso la scuola Superiore della Magistratura; inoltre l’appellante ha presieduto i collegi nella Sezione VII della Cassazione dal 2014 ed in I Sezione dal 2014, mentre il dott. Ra. ha presieduto la Sezione II dal 31 ottobre 2018.
Con il quinto motivo la dott.ssa Ta. censura la statuizione secondo cui “i ritardi riscontrati sono stati ritenuti, nella comparazione delle capacità organizzative, indice di una, quantomeno temporanea, minore capacità organizzativa, rispetto al percorso del controinteressato che non ha evidenziato analoghi episodi, in assenza di elementi che potessero far ritenere che il carico di lavoro di quest’ultimo fosse stato minore o più agevole”, come pure in assenza di documentate giustificazioni personali od oggettive. Deduce in particolare l’appellante come il CSM non abbia valutato le sue esperienze maturate nel lavoro giudiziario, di cui all’art. 8 del Testo Unico, e contesta il riferimento ai ritardi, senza considerare i documenti depositati il 28 aprile 2020, idonei a dimostrarne le ragioni, dipendenti dalle condizioni specifiche della Sezione I penale, dal cumulo delle funzioni di relatore e presidente, e da ragioni anche personali, nonché l’irrilevanza in termini di attitudini e di giudizio prognostico, come emergente dai pareri attitudinali del 17 gennaio 2019 ed anche del 6 febbraio 2017, che danno atto della ottima “capacità auto ed etero organizzativa”.
Anche tali motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della loro complementarietà, sono infondati.
Procedendo per ordine, sotto il profilo delle esperienze e competenze organizzative, la sentenza ha ritenuto che “il giudizio di equivalenza operato nella delibera non presenta alcuna incongruenza rispetto al dato documentale, ma anzi ne costituisce una ragionevole valutazione”.
In particolare, la delibera impugnata evidenzia che il dott. Ra. ha maturato significative esperienze di gestione degli uffici attraverso l’esercizio delle funzioni monocratiche di giudice dell’esecuzione immobiliare e di giudice delegato ai fallimenti; quale giudice del Tribunale di Piacenza ha presieduto collegi sia civili che penali; con riguardo al servizio presso la Corte di Cassazione ha presieduto, di media una volta al mese, collegi oltre che della Sezione VII, anche della II (presso quest’ultima dal 31 ottobre 2018). Per l’appellante dott.ssa Ta. vengono evidenziate le plurime esperienze di presidente di collegio, le esperienze organizzative nelle funzioni di merito (collaborazione per la riorganizzazione della Sezione fallimentare del Tribunale di Palermo ed incarichi, anche di riorganizzazione del lavoro del personale amministrativo, presso la Procura generale presso la Corte d’Appello di Palermo).
Appare al Collegio, nei limiti del sindacato di ragionevolezza consentito al giudice amministrativo, che non vi siano ragioni per ritenere inattendibile il giudizio di sostanziale equivalenza tra i due candidati.
La delibera consiliare pone expressis verbis in evidenza che la prevalenza del dott. Ra. si fonda sull’assenza nel profilo della dott.ssa Ta. delle esperienze alle Sezioni Unite e allo spoglio, nonché nel più significativo e prolungato esercizio delle funzioni di legittimità, svolte dal dott. Ra. per oltre dieci anni.
È dunque possibile evincere, quanto ai ritardi maturati dall’appellante nel deposito dei provvedimenti, che la delibera consiliare ha dato atto che sono stati recuperati a seguito dell’adozione e del puntuale rispetto di apposito piano di rientro, e li ha valutati come espressione di “una minore attenzione a quei profili organizzativi, che viceversa paiono richiesti ad un Presidente di Sezione”. Il profilo dei ritardi ha assunto, come si evince dalla motivazione del provvedimento e dalla sua scansione strutturale, un rilievo non determinante nello scrutinio comparativo da parte del CSM
Ne consegue che non appare rilevante, neppure nella prospettiva probatoria, la contestata omessa valutazione della documentazione prodotta nel corso del giudizio di primo grado in data 28 aprile 2020, ammesso anche che la stessa, invero per lo più successiva alla delibera impugnata (il riferimento è ai pareri), sia idonea a superare i dati statistici del rapporto del Presidente della Sezione.
Occorre in ogni caso aggiungere che gli elementi discretivi posti a base della comparazione, in particolare la partecipazione alle Sezioni Unite, hanno in sé una portata assorbente, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, che annette a tale indicatore la dimostrazione del possesso di attitudini di per sé congrue alla funzione direttiva giudicante di legittimità . Ciò in ragione della posizione ordinamentale della Corte di Cassazione, cui spetta la preminente funzione di nomofilachia, cioè “l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale” (art. 65 dell’Ordinamento giudiziario – r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), che si manifesta a livello rinforzato nelle pronunce delle Sezioni Unite (che sono investite in caso di contrasto giurisprudenziale o quando il caso rappresenta “una questione di massima di particolare importanza” ai sensi dell’art. 374 Cod. proc. civ.). L’esperienza della funzione nomofilattica mediante la partecipazione alle Sezioni Unite è caratteristica massimamente appropriata e coerente per l’incarico direttivo in questione, in considerazione del suo primario significato per la coerenza dell’ordinamento, l’unificazione e la stabilità della giurisprudenza, l’interesse generale alla sicurezza giuridica e alla certezza del diritto (in termini Cons. Stato, V, 6 settembre 2017, n. 4220; 24 febbraio 2020, 1365; 15 luglio 2020, n. 4584; 4 dicembre 2020, n. 7695).
5.1. – Un’ultima precisazione si impone sul tema dei ritardi nei depositi, con riguardo all’istanza dell’appellante, contenuta nella memoria in data 5 gennaio 2021, di cancellazione, ai sensi dell’art. 89 Cod. proc. civ., delle espressioni asseritamente offensive contenute alle pagine 18 e 22 della memoria di costituzione del controinteressato dott. Ra..
L’istanza è infondata: le espressioni criticate dall’appellante, pur nella parziale “disattenzione” alla sensibilità del contraddittore restano comunque inerenti l’oggetto della controversia e dunque risultano funzionali alla difesa svolta a prescindere dalla fondatezza della tesi difensiva proposta, e comunque contenute nei limiti della formale continenza.
6. – Le considerazioni da ultimo esposte inducono a disattendere anche il sesto motivo che lamenta l’erroneo apprezzamento, da parte della sentenza, del maggiore periodo di esercizio delle funzioni di legittimità da parte del dott. Ra. (dieci anni) rispetto a quello svolto dall’appellante (meno di nove); deduce che il requisito attitudinale sia costituito dal raggiungimento di un periodo minimo adeguato, stimato in sei anni, senza che dunque possa rilevare uno scarto, postulato come modesto, tra i due concorrenti, che altro non sarebbe se non la reintroduzione surrettizia del criterio della anzianità .
Occorre invero considerare che nel delineato contesto ordinamentale delle funzioni direttive giudicanti di legittimità, il fattore temporale, cioè di permanenza nell’ufficio, non è irrilevante, e proprio nella prospettiva della valutazione comparativa prevista dagli artt. 25 (Finalità ) e 26 (Valutazione comparativa delle attitudini) del Testo Unico della dirigenza giudiziaria. D’altro canto, l’art. 21 dello stesso Testo Unico enuclea, quale indicatore specifico, sub a), “l’adeguato periodo di permanenza nelle funzioni di legittimità almeno protratto per sei anni complessivi anche se non continuativi”, ove i sei anni sono presupposto imprescindibile (requisito di legittimazione, come si desume dall’art. 12, comma 11, del d.lgs. n. 160 del 2006) per essere scrutinabile per le funzioni direttive, ma ovviamente assume rilievo anche la protrazione di ulteriore esperienza (di circa due anni), specie se recente e congruente con l’ufficio domandato.
7. – Il settimo motivo lamenta, in sintesi, il vizio motivazionale della delibera della Quinta Commissione che ha proposto al Plenum, all’unanimità, il dott. Ra., nell’assunto che abbia effettuato un’unificazione dei risultati dell’istruttoria, caratterizzata dall’esame dei profili dei candidati, con la motivazione vera e propria; deduce altresì l’illegittimità della motivazione postuma, ravvisata nell’approvazione della relazione nella seduta successiva, ed il difetto dell’istruttoria stessa.
Anche tale motivo è infondato.
Ferma la distinzione concettuale tra la fase dell’istruttoria e la fase decisoria nel procedimento amministrativo, la doglianza attiene in realtà alla tecnica redazionale dell’atto della Commissione, caratterizzata dalla motivazione della decisione di proporre al Plenum il dott. Ra. per la nomina a Presidente di Sezione della Corte di Cassazione mediante una comparazione con gli altri concorrenti, dei quali vengono contestualmente individuati i profili.
Ritiene il Collegio che tale modus procedendi non sia di suo illegittimo, salva la necessità, in svariate occasioni sottolineata da questa Sezione, dell’adeguatezza motivazionale.
Si è già avuto modo di chiarire (es. Cons. Stato, V, 27 giugno 2018, n. 3944) che, se i provvedimenti del CSM non richiedono una motivazione particolarmente diffusa, il loro percorso formativo deve però esternare l’essenziale apprezzamento tecnico ed essere pertanto quanto più possibile manifesto, sì che le ragioni della scelta risultino sufficientemente conoscibili e valutabili da chiunque, anzitutto dai magistrati coinvolti.
Nel caso di specie l’esternazione della decisione di proporre il dott. Ra., in luogo dell’appellante, emerge con sufficiente chiarezza dall’atto impugnato, all’esito della presupposta valutazione analitica e puntuale degli indici di valutazione, che ha condotto, come epi, ad un giudizio complessivo ed unitario, frutto della valutazione integrata e non meramente cumulativa degli indicatori.
Si può ritenere rispettata la necessità di chiarezza e di comprensibilità della formazione lineare della decisione, che deve esternare l’essenziale apprezzamento tecnico né presentare salti logici, così che “lo sviluppo procedimentale si deve manifestare non solo come una sequenza formale di atti, ma anche come un autentico, coerente e logico percorso elaborativo della determinazione” (Cons. Stato, V, 28 ottobre 2016, n. 4552).
Non sono ravvisabili altri denunciati profili di illegittimità formale: è normale, nelle modalità di lavoro di un organo collegiale, che sussista una differenziazione temporale tra la formulazione della proposta e la sua motivazione, che tiene conto delle opinioni e valutazioni espresse nel corso del dibattito in Commissione. Né è ravvisabile il vizio di motivazione postuma, che assume valore patologico e risulta preclusa in sede giudiziale, per l’ovvia ragione che la motivazione costituisce il contenuto insostituibile della decisione amministrativa.
8. – L’ottavo ed ultimo motivo torna a dedurre poi, quale vizio del provvedimento impugnato, il conflitto di interessi, la violazione del principio di imparzialità e dell’art. 51 Cod. proc. civ. in relazione al rapporto professionale intercorrente tra il relatore della Quinta Commissione (dott. Davigo) ed il proposto (dott. Ra.), nella considerazione che il relatore ha finito per apprezzare e valorizzare sentenze di cui egli stesso era stato presidente (quale presidente della Sezione II, cui il dott. Ra. risulta assegnato).
Il motivo è infondato.
Bene ha ritenuto il primo giudice che “i rapporti professionali […] non possono ritenersi idonei ad integrare alcuna situazione di conflitto di interessi, essendo limitati ad una collaborazione professionale all’interno dell’ufficio ed in virtù di formali provvedimenti di assegnazione che non integrano alcun interesse nel procedimento e, quindi, alcun potenziale conflitto in tal senso”.
Giova aggiungere che nemmeno sono declinati i profili di conflitto di interesse, di incompatibilità, anche alla luce di un consolidato indirizzo giurisprudenziale per cui nelle procedure concorsuali l’appartenenza allo stesso ufficio del candidato ed il legame di subordinazione o collaborazione tra i componenti della Commissione ed il candidato non rientrano nelle ipotesi di cui all’art. 51 Cod. proc. civ. ed i componenti della Commissione hanno l’obbligo di astenersi solamente se ricorre una delle condizioni tassativamente indicate dalla suindicata norma, senza che le cause di incompatibilità previste dalla stessa possano essere oggetto di estensione analogica (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 17 novembre 2014, n. 5618).
9. – Alla stregua di quanto esposto, l’appello va respinto.
Sussistono i motivi prescritti dalla legge, in ragione della complessità della controversia, per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistono i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonchè di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 21 gennaio 2021, tenuta con le modalità di cui al combinato disposto dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e dell’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Federico Di Matteo – Consigliere
Stefano Fantini – Consigliere, Estensore
Alberto Urso – Consigliere
Elena Quadri – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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