Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 30999.
Il valore della causa nei giudizi per pagamento di somme anche a titolo di danno
In materia di spese processuali, la regola contenuta nell’art. 5 del d.m. n. 140 del 2012, secondo cui il valore della causa, nei giudizi per pagamento di somme, anche a titolo di danno, va fissato sulla base della somma attribuita alla parte vincitrice e non di quella domandata, ha lo scopo di calmierare le liquidazioni a favore di chi abbia richiesto importi eccesivi rispetto al dovuto, mantenendo a carico di chi agisce i possibili maggiori costi di difesa cagionati da una pretesa esorbitante rispetto a quanto spettante; ne consegue che, in un giudizio di appello introdotto per rivendicare importi superiori a quelli riconosciuti e definito con pronuncia di rigetto, il valore è pari all’importo domandato e dunque, nella specie, alla differenza tra quanto preteso in sede di gravame e quanto già liquidato, non avendo alcun legame con il giudizio di secondo grado la fissazione del valore sulla base di quanto attribuito e non più in discussione.
Ordinanza|| n. 30999. Il valore della causa nei giudizi per pagamento di somme anche a titolo di danno
Data udienza 25 settembre 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Ingiuria, minacce e lesioni – Risarcimento del danno – Utilizzabilità delle prove raccolte nel giudizio penale definito con sentenza passata in giudicato da parte del giudice civile – Autonoma valutazione in merito alla misura del danno – Liquidazione equitativa – Congruità della motivazione – Rigetto
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere
Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17128/2021 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), ( (OMISSIS)), pec: (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 150/2021 depositata il 22/03/2021 e notificata il 31 marzo 2021;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 25/09/2023 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.
Il valore della causa nei giudizi per pagamento di somme anche a titolo di danno
RILEVATO IN FATTO
che:
con la sentenza n. 56/2011, divenuta irrevocabile in data 4 giugno 2011, il Tribunale penale di Messina aveva riconosciuto (OMISSIS) colpevole dei reati di ingiuria e di minacce di cui agli articoli 594 e 612 c.p., e del reato di lesioni personali di cui all’articolo 582 c.p., unificati dal vincolo della continuazione, e lo aveva condannato alla pena di Euro 1.000,00 di multa ed al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, a favore di (OMISSIS), costituitasi parte civile;
il Tribunale civile di Messina, con sentenza n. 1585/2019, condannava, accogliendo parzialmente la domanda di (OMISSIS) che aveva richiesto Euro 100.000,00 per danno morale, (OMISSIS) al pagamento, a titolo risarcitorio, della somma di Euro 10.468,00, ritenendo vincolante la sentenza penale in ordine all’accertamento dei fatti potenzialmente produttivi di danno – due episodi di violenza a carico della moglie tra il (OMISSIS) – e, rigettata l’istanza di prova orale dell’attrice, verificava la sussistenti del danno biologico e del danno morale che liquidava in via equitativa;
la Corte d’Appello di Messina, con la sentenza n. 150/2021 depositata il 22/03/2021 e notificata il 31 marzo 2021, ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS) ed ha confermato la decisione del Tribunale;
avvalendosi di tre motivi, (OMISSIS) ricorre per la cassazione di detta sentenza;
nessuna attivita’ difensiva e’ svolta in questa sede da (OMISSIS), rimasto intimato;
la trattazione del ricorso e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380-bis 1 c.p.c.;
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
Il valore della causa nei giudizi per pagamento di somme anche a titolo di danno
CONSIDERATO
che:
1) con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1226, 2056, 2059 c.c., e degli articoli 113, 115 e 132 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ la violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa e/o insufficiente e/o illogica motivazione sull’applicazione del criterio equitativo nella liquidazione del danno non patrimoniale;
il motivo non puo’ accogliersi;
la sentenza penale emessa dal Tribunale di Messina aveva accertato la potenzialita’ dannosa tanto dei reati di danno quanto del nesso di causalita’ materiale tra questi e la condotta del responsabile, senza pronunciarsi sul nesso di causalita’ giuridica che legava gli eventi di danno alle conseguenze dannose dell’illecito, ex articolo 1223 c.c., per l’accertamento delle quali aveva ritenuto necessaria un’ulteriore indagine, rimessa al giudice civile chiamato ad effettuare altri accertamenti istruttori, circa la consistenza delle conseguenze pregiudizievoli dell’evento (al fine di procedere alla relativa liquidazione (Cass. 5/05/2020, n. 8477; Cass. 24/01/2023, n. 2040) e la Corte d’Appello, confermando la sentenza del Tribunale civile investito della quantificazione del danno, ha fatto corretta applicazione del principio, al quale si intende prestare adesione, secondo cui “il giudice civile, investito della domanda di risarcimento del danno da reato, ben puo’ utilizzare, senza peraltro averne l’obbligo, come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in giudicato e fondare la propria decisione su elementi e circostanze gia’ acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, essendo in tal caso peraltro tenuto a procedere alla relativa valutazione con pienezza di cognizione al fine di accertare i fatti materiali all’esito del proprio vaglio critico” (cosi’, da ultimo, Cass. 06/07/2022, n. 21402; Cass. 7/05/2021, n. 12164);
parimenti deve escludersi che il giudice civile avesse l’obbligo di rinnovare l’istruttoria dibattimentale (imposto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo con la sentenza 21 settembre 2010, Marcos Barrios c. Italia, in relazione all’articolo 6, par. 1 della Convenzione EDU) che si pone soltanto in ambito penalistico ogni qualvolta si intenda riformare la sentenza assolutoria di primo grado in ossequio della regola di giudizio “al di la’ di ogni ragionevole dubbio” e della garanzia costituzionale della presunzione di non colpevolezza di cui all’articolo 27 Cost., comma 2 (cfr. Cass. 14/09/2022, n. 27016);
per fatto accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialita’ fenomenica costituita dall’accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalita’ materiale tra l’una e l’altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso, con conseguente preclusione di un nuovo accertamento da parte del giudice civile quanto alla ricostruzione dell’episodio, ma con liberta’ di indagare su altre modalita’ del fatto non considerate dal giudice penale ai fini del giudizio a lui demandato, negli aspetti in nessun modo esaminati dal giudice penale ed incidenti sull’apporto causale nella produzione dell’evento;
nel caso di specie la Corte d’appello si e’ pienamente conformata a tali principi, peraltro, espressamente richiamandoli;
ha rigettato il motivo di appello e confermato la decisione del Tribunale che, “rilevando l’effetto vincolante del giudicato penale limitatamente all’accertamento dei fatti e rivendicando la propria autonoma valutazione in merito alla sussistenza ed alla misura dei danni”, aveva rigettato le istanze istruttorie anche perche’ “tendenti ad ampliare le fonti di danno in contrasto con quanto accertato dal giudice penale” in ordine: all’avvenuto prelievo da parte dell’odierna ricorrente della consistente somma di Lire 200.000.000 dal conto corrente cointestato col il marito che aveva originato il deterioramento dei rapporti tra i coniugi, la disponibilita’ di altri conti correnti con saldo attivo tali da escludere la privazione dei mezzi di sussistenza, la frequenza di sfoghi verbali culminati in insulti e minacce e in due occasioni in due episodi di violenza;
avendo quindi il giudice penale gia’ preso in considerazione i fatti – ingiurie, vessazioni, violenze, mancato sostentamento – oggetto delle prove richieste in sede civile, ha giudicato corretta la decisione del Tribunale per non averle ammesse;
in ordine alla quantificazione del danno la Corte territoriale non ha accolto la richiesta di CTU, ritenendola meramente esplorativa in ordine allo stato depressivo della ricorrente, atteso che le prove prodotte in giudizio quanto allo stato ansioso e/o depressivo, rappresentate da certificazioni mediche, erano state rilasciate a circa dieci anni dalla cessazione di ogni rapporto tra i due coniugi; ha confermato, anche perche’ non censurata, la quantificazione del danno alla salute temporaneo, pari ad Euro 468,00 Euro (Euro 46,88 per ogni giorno di invalidita’ temporanea assoluta); ha ritenuto equo liquidare a titolo di danno morale l’importo di Euro 10.000,00, a fronte della richiesta di Euro 100.000,00, perche’ i fatti allegati relativi ad una gravissima condotta delittuosa, sostanziatasi in umiliazioni, prevaricazioni protrattesi per trent’anni, accompagnate da un crescendo di violenza erano stati smentiti dall’istruttoria penale e l’appellante non aveva evidenziato aspetti ulteriori non presi in considerazione dal Tribunale;
anche detta liquidazione e’ oggetto di specifica censura che non merita accoglimento: premesso che e’ possibile censurare la liquidazione equitativa del danno in sede di legittimita’, allo scopo di verificare se il percorso liquidatorio utilizzato abbia risarcito tutto e solo il danno effettivamente patito (Cass. 21/04/2021, n. 10579; Cass. 22/02/2022, n. 5763) e che la liquidazione equitativa non si sia tradotta in arbitrio, deve escludersi che la Corte d’Appello merito le critiche che le sono state mosse; ha, infatti, apprezzato le circostanze che hanno inciso sull’ammontare del pregiudizio (Cass. 02/07/2021, n. 18795; Cass. 13/09/2018, n. 22272; Cass. 13/10/2017, n. 24070), ha liquidato la somma complessiva di Euro 10.498,00, indicando quanto di quell’importo dovesse ascriversi al danno da invalidita’ temporanea, cioe’ Euro 468,00, ed ha giustificato l’accoglimento assai contenuto della pretesa risarcitoria in considerazione del “forte ridimensionamento del quadro accusatorio, frutto di un’attenta valutazione delle prove acquisite in sede penale e correttamente utilizzate dal primo decidente” (p. 8);
2) con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., per essere stata condannata al pagamento di Euro 9.535,00 per le spese di lite, sebbene in primo grado non fosse stata soccombente, avendo ottenuto una sentenza favorevole; segnatamente, la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare la soccombenza ai fini della liquidazione delle spese in base ad un criterio unitario e globale e non gia’ ritenere la parte soccombente in un grado e vincitrice in un altro;
Il valore della causa nei giudizi per pagamento di somme anche a titolo di danno
il motivo e’ infondato;
la sentenza d’appello ha confermato quella impugnata, percio’ il giudice di secondo grado non era tenuto a rideterminare il regolamento delle spese processuali di primo grado, ripartendone gli oneri tenuto conto dell’esito complessivo del giudizio, percio’ ha provveduto correttamente alla liquidazione delle sole spese del giudizio di appello;
3) con il terzo motivo alla Corte d’appello si rimproverano la violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 5, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere quantificato le spese di lite in rapporto alla somma domandata con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado piuttosto che in base alla somma che aveva formato oggetto di impugnazione; segnatamente, anziche’ condannarla al pagamento di Euro 3.777,00 lo aveva condannato al pagamento di Euro 9.915,00;
il motivo va rigettato, perche’, sulla scorta della giurisprudenza di questa Corte – Cass. 18/08/2021, n. 23082; Cass. 13/11/2019, 29420 – non e’ fondato l’assunto di parte ricorrente secondo cui il valore della causa di appello avrebbe dovuto essere fissato sulla base di quanto riconosciuto in primo grado, quale “somma attribuita”;
Il valore della causa nei giudizi per pagamento di somme anche a titolo di danno
la regola contenuta nel Decreto Ministeriale n. 140 del 2012, articolo 5, propria di tutti i tariffari forensi, che prescrive che si debba avere riguardo nei giudizi per pagamento di somme, anche a titolo di danno, per la somma attribuita alla parte vincitrice e non per la somma domandata”, ha lo scopo di calmierare le liquidazioni a favore di chi abbia richiesto importi eccesivi rispetto al dovuto, mantenendo a carico di chi agisce i possibili maggiori costi di difesa cagionati da una pretesa esorbitante rispetto a quanto spettante; non ha dunque alcun senso l’applicazione di essa rispetto ad un giudizio di appello chiusosi con una pronuncia di rigetto del gravame imputabile all’originario attore di primo grado che, impugnando, pretendeva importi superiori a quelli riconosciuti dal Tribunale;
in tale ipotesi il valore non puo’ che essere quello dell’importo domandato e dunque, nel caso di specie, quello della differenza tra quanto preteso in appello e quanto gia’ riconosciuto in primo grado, non avendo alcun legame con il giudizio di secondo grado la fissazione del valore sulla base di quanto attribuito in primo grado e non piu’ in discussione; ne deriva che, risultando chiesto in appello un risarcimento per Euro 100.000,00 ed essendo stata riconosciuta in primo grado la somma di Euro 10.468,00, il valore di causa in appello era di Euro 89.532; pertanto, deve escludersi che vi sia stata esorbitanza dalla tariffa in se’ considerata (Cass. 20/03/2023, n. 7999; Cass. 18/09/2021, n. 23082);
4) il ricorso va rigettato;
5) non deve provvedersi alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimato svolto attivita’ difensiva in questa sede;
6) si da’ atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico della ricorrente l’obbligo del pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Le sentenze sono di pubblico dominio.
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