Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 30786.
Il riconoscimento dei vizi dell’opera da parte dell’appaltatore
Il riconoscimento dei vizi dell’opera da parte dell’appaltatore perché sia efficace ai fini dell’esenzione del pagamento non necessità di essere accompagnato da una confessione stragiudiziale.
Ordinanza|| n. 30786. Il riconoscimento dei vizi dell’opera da parte dell’appaltatore
Data udienza 19 ottobre 2023
Integrale
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERTUZZI Mario – Presidente
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere
Dott. AMATO Cristina – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 36794/2018 proposto da:
(OMISSIS), in persona del titolare (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS), e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 743/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 29/10/2018;
udita la relazione della causa svolta in Camera di consiglio dal Consigliere Dott. Oliva.
Il riconoscimento dei vizi dell’opera da parte dell’appaltatore
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 13.12.2011 (OMISSIS) S.r.l. evocava in giudizio la (OMISSIS) innanzi il Tribunale di Terni, invocando la condanna della convenuta al pagamento del corrispettivo dovuto a fronte dei lavori eseguiti dalla societa’ attrice in adempimento di un contratto di appalto avente ad oggetto l’ampliamento di un immobile di proprieta’ della parte convenuta, pari ad Euro 212.880,47.
Si costituiva quest’ultima, resistendo alla domanda ed instando, in via riconvenzionale, per la condanna della societa’ attrice ad eliminare vizi e difetti riscontrati nelle opere eseguite, con conseguente riduzione del prezzo e condanna della stessa al risarcimento del danno.
Con sentenza n. 721/2015 il Tribunale accoglieva la domanda principale, condannando la convenuta al pagamento della somma di Euro 177.400,61 e rigettava la domanda riconvenzionale.
Interponeva appello avverso detta decisione la (OMISSIS) e la Corte di Appello di Perugia, nella resistenza della (OMISSIS) S.r.l., dapprima, con sentenza non definitiva n. 279/2017, confermava la pronuncia di prime cure in relazione all’accoglimento dell’eccezione di prescrizione della domanda di accertamento dei vizi delle opere oggetto di causa, e poi, con sentenza definitiva n. 742/2018, riformava parzialmente la decisione di primo grado, che nel resto confermava, condannando l’appaltatore a risarcire il danno cagionato alla committente, pari ad Euro 22.300.
Propone ricorso per la cassazione di tale pronuncia la (OMISSIS), affidandosi a quattro motivi.
Resiste con controricorso la (OMISSIS) S.r.l..
In prossimita’ dell’adunanza camerale la parte ricorrente ha depositato memoria.
Il riconoscimento dei vizi dell’opera da parte dell’appaltatore
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1667, 2697, 2730 e 2733 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto preclusa la domanda di accertamento dei vizi dell’opera eseguita dall’appaltatore, in presenza della sua ricezione senza riserve da parte del committente. A parere della ricorrente, sia la denuncia dei vizi, da parte del committente, che il loro riconoscimento, da parte dell’appaltatore, sono atti a forma libera e dunque possono desumersi anche per facta concludentia; nel caso di specie, il titolare della societa’ appaltatrice aveva affermato, in sede di interrogatorio, che nel (OMISSIS) erano state riscontrate infiltrazioni nel locale interrato adibito a cantina (cfr. pag. 13 del ricorso) e la circostanza era stata confermata anche per via testimoniale. Di conseguenza, il giudice di merito avrebbe dovuto ritenere tempestivamente denunciato il vizio dell’opera eseguita da (OMISSIS) S.r.l..
La censura e’ fondata.
La Corte di Appello, con la sentenza non definitiva n. 279/2017, ha dato atto che i lavori previsti dal contratto di appalto, sottoscritto nel 2000, erano conclusi all’inizio della causa; che nel (OMISSIS) si era manifestato un primo allagamento del locale interrato; che a tale evento non era seguita una denuncia formale del vizio da parte del committente nei confronti dell’appaltatore, ma soltanto la contestazione di una scorretta progettazione geologica dell’intervento edilizio, dovuta alla mancata considerazione della prossimita’ di un torrente e della presenza di acque di falda superficiali (cfr. pag. 11); che pertanto erano stati eseguiti alcuni pozzi di raccolta delle acque di falda, su consiglio del progettista; che solo con la comparsa di costituzione e risposta, e dunque tardivamente, il committente aveva contestato all’appaltatore la presenza del vizio (cfr. pag. 12).
La statuizione non e’ coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui “Il riconoscimento dei vizi della cosa venduta da parte del venditore – che rende superflua la denunzia dei vizi stessi o la comunicazione della denunzia entro i prescritti termini – non e’ soggetto ad una forma determinata e puo’ esprimersi attraverso qualsiasi manifestazione, purche’ univoca e convincente, senza alcuna necessita’ che ad esso si accompagni l’ammissione di una responsabilita’ o l’assunzione di obblighi” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4464 del 20/05/1997, Rv. 504522; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6641 del 12/06/1991, Rv. 472627). La sentenza impugnata, al riguardo, afferma chiaramente che l’appaltatore era stato reso edotto della presenza di infiltrazioni e dunque aveva avuto conoscenza del vizio denunciato dalla committenza sin dal primo fenomeno di allagamento, collocato temporalmente nel (OMISSIS) (cfr. pagg. 10 e 12 della sentenza). Il giudice di merito, inoltre, da’ atto che, successivamente a tale data, le parti avevano eseguito alcuni interventi per eliminare il difetto, risultati tuttavia non idonei allo scopo.
Al riguardo, va ribadito il principio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “L’appaltatore, attivandosi per rimuovere i vizi denunciati dal committente, tiene una condotta che costituisce tacito riconoscimento di quei vizi, e che – senza novare l’originaria obbligazione gravante sull’appaltatore – ha l’effetto di svincolare il diritto alla garanzia del committente dai termini di decadenza e prescrizione di cui all’articolo 1667 c.c.” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6263 del 20/04/2012, Rv. 622318; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13613 del 30/05/2013, Rv. 626504). Peraltro, va anche ribadito che “In tema di appalto, il riconoscimento dell’appaltatore di vizi e difformita’ dell’opera, perche’ sia valido agli effetti dell’articolo 1667 c.c., comma 2, seconda parte, non deve accompagnarsi alla confessione stragiudiziale della sua responsabilita’. Pertanto, la denuncia del committente prescritta a pena di decadenza e’ superflua anche quando l’appaltatore, riconoscendo l’esistenza di vizi o difformita’, contesti o neghi di doverne rispondere” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27948 del 24/11/2008, Rv. 605859; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2733 del 05/02/2013, Rv. 624876).
In applicazione dei richiamati principi, dunque, la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare, nella condotta tenuta dall’appaltatore nel caso di specie, il riconoscimento del difetto denunciato dalla committenza, escludendo di conseguenza la necessita’ della relativa denuncia.
L’accoglimento del primo motivo implica l’assorbimento della quarta censura, con la quale il ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perche’ la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento dei danni ulteriori, non suscettibili di riparazione in forma specifica, rappresentati anche dal mancato guadagno. Il rigetto della domanda risarcitoria, infatti, consegue all’erronea statuizione relativa alla tardivita’ della denuncia del vizio dell’opera, onde il giudice del rinvio dovra’ procedere ad un nuovo esame della fattispecie, valutando l’esistenza e l’entita’ sia di eventuali vizi delle opere eseguite dall’appaltatore che dei correlati danni.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1223, 1224, 1225 e 1227 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe erroneamente limitato il danno risarcibile al solo importo di Euro 22.300,00 senza considerare che il vizio al quale detto pregiudizio si riferiva, rappresentato dal cedimento di un muretto e di una scala in tufo, era lo stesso che aveva causato, nel tempo, il distacco dei marciapiedi esterni dal fabbricato a causa di un errore nell’ancoraggio dei primi al secondo. Ad avviso della parte ricorrente, la Corte di merito avrebbe dovuto considerare che anche il danno ulteriore, manifestatosi in corso di giudizio, era dovuto al medesimo vizio, e parametrare di conseguenza l’onere risarcitorio.
La censura e’ infondata.
La Corte di Appello, con la sentenza definitiva n. 743/2018, ha ritenuto che mentre il vizio di cui alla lettera “b” (rappresentato dalle infiltrazioni interessanti il locale interrato dell’edificio di cui e’ causa) fosse dovuto alla “… rottura della pavimentazione soprastante, dovuta a sua volta alla mancata realizzazione, da parte del (OMISSIS), di idonei giunti di dilatazione che separino i calatoi del pavimento …” (cfr. pag. 3) quelli di cui alla lettera “d” (rappresentati dal cedimento di un muretto e di una scala in tufo) fossero dovuti alla “… mancata realizzazione da parte del (OMISSIS) di un’adeguata fondazione, resa necessaria dalla presenza di acqua nel sottosuolo” e che “… il distacco del marciapiede perimetrale e del cordolo di coronamento, accertato dal CTU su sollecitazione dell’appellante, ma da questi denunciato solo nel corso del giudizio d’appello, appare vizio diverso di quello di cui alla lettera b) anche se, secondo il CTU, esso e’ imputabile al medesimo errore di costruzione in discorso”. Di conseguenza, il giudice di merito ha ritenuto di non considerare l’ulteriore difetto oggetto della denuncia in appello, proprio perche’ trattavasi di vizio diverso da quelli originariamente denunciati dal committente, pur se causato dalla medesima svista costruttiva.
Il riconoscimento dei vizi dell’opera da parte dell’appaltatore
Nell’attingere tale statuizione, la parte ricorrente contrappone alla valutazione del fatto e delle prove scelta dal giudice di merito una diversa ipotesi di lettura delle evidenze istruttorie, senza tener conto che il motivo di ricorso non puo’ mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Ne’ e’ possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonche’ la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilita’ dei testi e sulla credibilita’ di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, ne’ appare manifestamente illogica, ed e’ idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
Con il terzo motivo, il ricorrente denunzia infine la violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ la Corte di Appello avrebbe ritenuto di accogliere le conclusioni del C.T.U., senza tuttavia dar conto dei motivi posti a fondamento di tale opzione interpretativa, ne’ dar conto delle criticita’ evidenziate dal consulente di parte dell’odierna ricorrente.
La censura e’ infondata, in quanto la Corte di Appello afferma che il CTU aveva “… congruamente risposto alle osservazioni dei CT delle parti” (cfr. pag. 4). La parte ricorrente contesta, peraltro genericamente, tale assunto, senza tuttavia indicare in modo puntuale, quali sarebbero gli argomenti critici evidenziati dal C.T. di parte che il C.Testo Unico non avrebbe considerato; anzi, a ben vedere lo stesso ricorso evidenzia che l’ausiliario aveva risposto alle sollecitazioni dei consulenti di parte, sia pure fornendo risposte non ritenute soddisfacenti (cfr. ad esempio quanto affermato, a pag. 21 del ricorso, in relazione alla tecnica di impermeabilizzazione mediante l’uso di guaina liquida). Anche in questo caso, dunque, la censura si risolve nella contrapposizione di una lettura alternativa del fatto e delle prove, rispetto a quella scelta dalla Corte distrettuale, onde si rinvia a quanto esposto in relazione alla seconda doglianza.
In definitiva, va accolto il primo motivo, dichiarato assorbito il quarto e rigettati il secondo ed il terzo. La sentenza impugnata va dunque cassata, nei limiti della censura accolta, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Perugia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo del ricorso, dichiara assorbito il quarto, rigetta il secondo ed il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimita’, alla Corte di Appello di Perugia, in diversa composizione.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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