Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 18990.
Il procedimento sommario di cognizione ed il rito rito a cognizione piena diverso e alternativo rispetto a quello ordinario
Il procedimento sommario di cognizione, disciplinato dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c., non è adottabile per le controversie assoggettate ad un rito a cognizione piena diverso e alternativo rispetto a quello ordinario, quale quello delle cause di lavoro o locatizie, atteso, da un lato, il riferimento espresso, contenuto nelle norme richiamate, all’art. 183 c.p.c., ed all’art. 163 c.p.c., indice della volontà del legislatore di limitare l’applicabilità del procedimento in questione alle controversie che possono essere promosse con il rito ordinario a cognizione piena, e, dall’altro, che non è consentita un’interferenza del procedimento sommario con i riti speciali di cognizione, contrassegnati da concentrazione processuale o da una ufficiosità dell’istruzione, in quanto espressamente considerati dal decreto di semplificazione dei riti (d.lgs. n. 150 del 2011) come modelli alternativi l’uno all’altro.
Ordinanza|| n. 18990. Il procedimento sommario di cognizione ed il rito rito a cognizione piena diverso e alternativo rispetto a quello ordinario
Data udienza 7 febbraio 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Affitto di azienda – Procedimento sommario di cognizione ex artt. 702 bis e ss. c.p.c. – Inapplicabilità alle cause assoggettate a riti alternativi come quelle di lavoro o locatizie – Declaratoria di inammissibilità con ordinanza non impugnabile – Onere del giudice di esercitare tale potere alla prima udienza – Censure di merito – Inammissibilità
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – rel. Presidente
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28423/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS) s.a.s. e (OMISSIS), entrambi rappresentati e difesi dall’Avv. (OMISSIS) (p.e.c. indicata: (OMISSIS));
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS) (p.e.c. indicata: (OMISSIS)) e dall’avv. (OMISSIS) (p.e.c. indicata: (OMISSIS)), con domicilio eletto presso lo studio del primo in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 2693/2019, depositata il 21 marzo 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2023 dal Presidente Relatore Raffaele Gaetano Antonio Frasca.
Il procedimento sommario di cognizione ed il rito rito a cognizione piena diverso e alternativo rispetto a quello ordinario
RILEVATO
CHE:
1. Con atto di citazione notificato il 12 gennaio 2011 la (OMISSIS) s.a.s. convenne in giudizio avanti il Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Senigallia, la (OMISSIS) s.a.s. chiedendo accertarsi la simulazione relativa del contratto di affitto di azienda alberghiera stipulato tra le parti il 31 dicembre 1993 e dichiararsi che tra le stesse era effettivamente intercorso un contratto di locazione di immobile a destinazione alberghiera L. 27 luglio 1978, n. 392, ex articolo 27, comma 3, con ogni conseguenziale statuizione. La societa’ convenuta si costitui’ chiedendo il rigetto della domanda.
2. Con separato successivo ricorso ex articolo 702-bis c.p.c. la (OMISSIS) s.a.s. adi’ il medesimo Tribunale chiedendo dichiararsi, in contraddittorio con la (OMISSIS) s.a.s., la risoluzione per inadempimento del contratto di affitto di azienda con conseguente condanna al rilascio.
3. Riuniti i giudizi e disposto il mutamento di rito, da ordinario a speciale, il Tribunale di Ancona – cui la causa era stata trasmessa a seguito della soppressione delle sezioni distaccate – con sentenza n. 1515 del 20 novembre 2017 rigetto’ la domanda di simulazione ed accolse quella di risoluzione contrattuale.
4. Con sentenza n. 2693/2018, depositata in data 21 marzo 2019, la Corte d’appello di Ancona ha rigettato l’appello interposto dalla (OMISSIS) s.a.s. e da (OMISSIS), quale socio accomandatario, confermando la decisione di primo grado e compensando le spese del grado.
3. Avverso tale decisione (OMISSIS) s.a.s. e (OMISSIS), quale socio accomandatario, propongono ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
La (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS), vi resiste depositando controricorso.
I ricorrenti depositano controricorso per resistere a quanto affermato al par. XXIII del controricorso, da essi interpretato come motivo di ricorso incidentale.
La trattazione e’ stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
La controricorrente ha depositato memoria.
Nell’imminenza dell’adunanza, a causa di impedimento sopravvenuto, il Relatore designato e’ stato sostituito dal Presidente del Collegio.
Il procedimento sommario di cognizione ed il rito rito a cognizione piena diverso e alternativo rispetto a quello ordinario
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano “violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli articoli 1414, 1418, 1421 e 1424 c.c. per avere confermato la sentenza di 1 grado e conseguentemente rigettato la domanda di simulazione del contratto di affitto di azienda stipulato il 31/12/1993… intercorso tra la (OMISSIS) s.a.s. e la (OMISSIS) s.a.s.”.
Lamentano che la motivazione addotta sul punto dalla Corte d’appello:
– e’ difforme da quella del primo giudice (consistita nel rilievo della mancata produzione di una controdichiarazione scritta);
– e’ errata nella premessa, postulandosi in essa, contrariamente al vero, che il contratto dissimulato di cui si chiedeva l’accertamento fosse quello della cessione d’azienda;
– si sviluppa in “cinque punti” sulla base di rilievi fattuali inficiati, essi sostengono, da letture parziali o errate del contratto o di altre coeve scritture tra le stesse parti o tra la societa’ ricorrente e il precedente gestore della struttura alberghiera.
2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4), in relazione all’inammissibilita’ e conseguente nullita’ del giudizio di primo grado (iscritto al n. 658/12 R.G.) e secondo grado (iscritto al n. 2296/2017 R.G.) introitato ex articolo 702-bis c.p.c.”.
Lamentano che la Corte d’appello ha erroneamente rigettato il motivo di gravame con il quale si reiterava l’eccezione di inammissibilita’ della domanda di risoluzione in quanto introdotta in primo grado nelle forme del rito sommario, non applicabile alle cause soggette al rito del lavoro.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano “violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3), in relazione al mancato rigetto della domanda di risoluzione contrattuale avanzata dalla (OMISSIS) s.a.s. nel giudizio iscritto in primo grado al n. 658/12 R.G.”.
Lamentano che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto infondata l’eccezione di inadempimento opposta a giustificazione del mancato pagamento di canoni.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano “violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’articolo 360 n. 3) c.p.c., in relazione all’articolo 1461 c.c. rigetto eccezione mancata risoluzione del contratto de quo causa mutamento delle condizioni patrimoniali della (OMISSIS) s.a.s.” (cosi’ nell’intestazione).
Lamentano che erroneamente la Corte anconetana ha ritenuto “non riscontrata” l’eccezione suddetta.
5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano, infine, “omesso esame da parte della Corte di appello di Ancona in merito all’eccezione di mancata risoluzione del contratto di affitto di azienda per cui e’ causa per tolleranza della parte avente diritto” (cosi’ nell’intestazione).
Lamentano che “sul motivo di gravame espresso in epigrafe (cfr. pagg. 31/33 ricorso in appello) la Corte Territoriale ha omesso decisione” (cosi’ testualmente nei primi due righi della successiva illustrazione del motivo).
Affermano che alla luce del comportamento della (OMISSIS) s.a.s. successivo alla manifestazione della volonta’ di avvalersi della clausola risolutiva espressa, quale in particolare risultante da tre missive dei suoi legale datate tra novembre del 2008 e febbraio del 2009, e considerato anche quanto leggibile nel ricorso dagli stessi redatto, il Giudice di secondo grado avrebbe dovuto ritenere implicitamente rinunciata la manifestata volonta’ di avvalersi della clausola risolutiva espressa.
6. Il primo motivo e’ inammissibile.
6.1. Occorre preliminarmente rilevare che non puo’ tenersi conto dell’eccezione di giudicato (esterno) con riferimento ad esso opposta nel controricorso.
Deve invero rammentarsi che in tema di giudicato esterno formatosi nel corso del giudizio di secondo grado, qualora la sua esistenza non sia stata eccepita dalla parte interessata, la sentenza d’appello pronunciata in difformita’ e’ impugnabile con il ricorso per revocazione ex articolo 395, n. 5, c.p.c. e non con quello per cassazione, mentre, nelle ipotesi in cui l’esistenza di tale giudicato abbia costituito oggetto di eccezione ritualmente sollevata in giudizio, la sentenza d’appello difforme non e’ impugnabile con il ricorso per revocazione ma solo con il ricorso per cassazione (Cass. n. 28733 del 04/10/2022; n. 22506 del 04/11/2015).
A maggior ragione tanto deve affermarsi nel caso di specie, nel quale la detta eccezione risulta effettivamente sollevata in appello e pure espressamente esaminata dalla Corte di merito, che ha ritenuto di poterne prescindere per il rilievo attribuito ad altre considerazioni, non senza tuttavia incidentalmente rilevare che dal giudicato esterno si traeva “solo il riconoscimento dell’esistenza di un valido titolo legittimante la pretesa creditoria” (v. sentenza, pag. 3, ultimo capoverso).
In tale contesto, per riproporre l’eccezione, la parte avrebbe pertanto dovuto proporre ricorso incidentale condizionato.
6.2. Nondimeno il motivo si appalesa inammissibile poiche’ gli argomenti di critica non colgono l’effettiva ratio decidendi addotta in sentenza a fondamento del confermato rigetto della domanda di simulazione ed anzi ne rivelano un evidente fraintendimento.
Ed invero, diversamente da quanto postulato in ricorso, tale motivazione consiste nel rilievo, prioritario e assorbente, della mancata prova circa l’esistenza di una controdichiarazione. Non altrimenti puo’ intendersi, infatti, quanto e’ scritto nel penultimo capoverso della terza pagina della sentenza: “non avendo la parte provato documentalmente
o attraverso confessione o giuramento (articoli 2699 e ss., 2730 e ss. c.c., articoli 228 e ss. c.p.c., articoli 2736 e ss. c.c. e articoli 233 e ss. c.p.c.) un contenuto contrario al contratto asseritamente simulato, formato anteriormente o contemporaneamente rispetto a quello apparente, non puo’ ritenersi provata l’assunta simulazione”.
Il segnalato erroneo riferimento ad un contratto di cessione di azienda e’ in realta’ un mero ininfluente errore materiale che incide non gia’ nella identificazione del contratto pretesamente dissimulato, ma in quello (pretesamente) simulato e, in ogni caso, non ha alcuna refluenza sul ragionamento decisorio e sulla sua piana comprensibilita’: si scrive “cessione di azienda” ma in realta’ si intendeva chiaramente scrivere “affitto di azienda” (questo il passaggio in questione, leggibile a pag. 3 della sentenza, terzultimo capoverso: “va innanzitutto detto, per ineludibili esigenze di razionalizzazione e sintesi, che le censure tutte relative al rigetto della domanda di simulazione relativa vanno ricondotte alla reale natura giuridica del contratto stipulato e quindi alla sua concreta riferibilita’ alla fattispecie della cessione di azienda piuttosto che a quella della locazione alberghiera”).
Tutta la parte successiva della motivazione (dall’ultimo capoverso di pag. 3 fino al termine del penultimo capoverso di pag. 4), sulla quale si concentrano le diffuse critiche dei ricorrenti, non e’ affatto posta a giustificazione del convincimento espresso circa la infondatezza della domanda di simulazione (giustificazione che, giova ripetere, si esaurisce nel rilievo della mancata prova di “un contenuto contrario al contratto asseritamente simulato, formato anteriormente o contemporaneamente rispetto a quello apparente”: ovvero, in sostanza, nella mancata prova di una controdichiarazione), ma si preoccupa di confutare una prospettiva causale alternativa a quella della simulazione, muoventesi sul diverso piano della interpretazione del contratto.
Del tutto eccentrici e inconferenti, dunque, oltre che comunque di mero contenuto fattuale, si appalesano gli sforzi argomentativi compiuti in ricorso per criticare tale parte della sentenza, dal momento che non possono comunque giovare a supportare l’unica prospettiva censoria perseguita in ricorso, riferita espressamente al rigetto della domanda di simulazione e non anche ad una supposta alternativa causa petendi legata alla interpretazione del contratto come di locazione e non di affitto di azienda, della quale peraltro nemmeno si dice se e come dedotta in primo grado e poi in appello.
7. Il secondo motivo e’ – come si spieghera’ – inammissibile, anche se consente a questa Corte di affrontare un problema esegetico nuovo.
7.1. Secondo orientamento decisamente prevalente in dottrina, che questa Corte ritiene preferibile, il procedimento sommario di cognizione, quale disciplinato dagli articolo 702-bis e ss. c.p.c., non e’ in realta’ adottabile per le cause che sono assoggettate ad un rito (a cognizione piena) diverso e alternativo rispetto a quello ordinario, quale appunto quello delle cause di lavoro o locatizie (v. anche in tal senso, sia pure in obiter dictum, Cass. 01/02/2023, n. 2965, in motivazione, par. 8, pag. 10).
A fondamento di tale assunto si e’ condivisibilmente rimarcato che:
– il riferimento espresso, contenuto nelle norme richiamate, all’articolo 183 c.p.c. ed anche all’articolo 163 c.p.c. e’ sicuramente un indice della volonta’ del legislatore di limitare l’applicabilita’ del procedimento sommario alle controversie che possono essere promosse con il rito ordinario a cognizione piena e, peraltro, anche il contenuto degli atti introduttivi del procedimento sommario (ricorso e comparsa di risposta) e’ pressoche’ identico a quello dei corrispondenti atti del rito ordinario di cui agli articoli 163 e 167 c.p.c., mentre presenta notevoli diversita’ rispetto a quello del ricorso e della memoria difensiva di cui agli articoli 415 e 416 c.p.c.;
– non sembra consentita un’interferenza del procedimento sommario con i riti speciali di cognizione contrassegnati, come il rito del lavoro, da concentrazione processuale o da una ufficiosita’ dell’istruzione in quanto entrambe sono espressamente considerati come modelli alternativi l’uno all’altro dal decreto di semplificazione dei diritti (Decreto Legislativo 1 settembre 2011, n. 150), in piena coerenza con i criteri e principi direttivi posti dalla legge delega: il primo infatti e’ posto come modello per le controversie di maggiore speditezza e ad esso pertanto sono ricondotti i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa; il secondo invece e’ indicato come modello dei procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosita’ dell’istruzione, fermo restando la natura di procedimento tecnicamente a cognizione piena e non sommaria dello stesso;
– per di piu’ il procedimento sommario non sembra sempre capace di garantire una celerita’ maggiore di quella assicurata dal rito del lavoro sia perche’, come si e’ gia’ ricordato, nel procedimento sommario l’indicazione negli atti introduttivi dei mezzi di prova di cui le parti intendono avvalersi (e dei documenti offerti in comunicazione) non e’ prevista a pena di decadenza, sia perche’ il richiedere per l’ammissione di nuove prove e documenti nel giudizio di gravame il requisito della mera “rilevanza” ex articolo 702-quater c.p.c. – in luogo di quello della “indispensabilita’” richiesta ex articolo 437 c.p.c., comma 2, – puo’ tradursi in un prolungamento dei tempi del processo in quanto la maggiore ampiezza della formula usata trova la sua logica giustificazione nella istruttoria deformalizzata di cui all’articolo 702-bis c.p.c. che, come e’ stato evidenziato, puo’ lasciare fuori dal giudizio di primo grado prove che sarebbe state utile ammettere;
– una conferma ulteriore di queste considerazioni si puo’ rinvenire nell’introduzione dell’articolo 183-bis, ad opera del Decreto Legge 12 settembre 2014, n. 132, articolo 14, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. 10 novembre 2014, n. 162: la previsione della conversione in rito sommario da un altro rito con forme e cognizione piena e’ stata limitata al rito ordinario;
7.2. Sussisterebbe dunque l’errore denunciato, il quale, diversamente da quanto ritenuto dal giudice d’appello, non potrebbe ritenersi sanato dal mutamento disposto dal Tribunale e dalla celebrazione unitaria dei due giudizi.
Premesso che la riunione dei procedimenti, secondo pacifico insegnamento, non fa venir meno l’autonomia delle cause riunite nello stesso processo, la tesi della sanatoria per mutamento di rito si appalesa destituita di fondamento alla luce del chiaro e univoco disposto dell’articolo 702-ter c.p.c., commi 2 e 7 secondo cui, se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’articolo 702-bis, il giudice la dichiara inammissibile con ordinanza non impugnabile e provvede sulle spese (cfr. al riguardo Cass. n. 2965 del 2023, cit.).
7.3. Il Collegio e’ consapevole che in dottrina sono stati sollevati dubbi sulla compatibilita’ con la Costituzione di tale aspetto della disciplina.
Si e’ ritenuto che questa soluzione, derogando alle regole generali che concernono l’erronea introduzione della causa sotto il profilo del rito ed escludendo qualsiasi conservazione degli effetti processuali e sostanziali della domanda, sia inutilmente drastica, apparendo piu’ opportuna anche in tal caso una soluzione di conversione del rito, analoga a quella prevista dall’articolo 702-ter c.p.c., comma 3. In particolare, l’irragionevolezza (e quindi l’incostituzionalita’) di tale previsione e’ stata affermata evidenziando la configurabilita’ nel nostro ordinamento di un principio generale di conservazione degli effetti della domanda nei casi di errore sul rito, come confermato dal Decreto Legislativo n. 150 del 2011, articolo 4, comma 5, (anche se, peraltro, la portata eccezionale di tale disposizione sembra di recente sostenuta da C. Cost. 2.3.2018, n. 45) o sulla composizione dell’organo giudicante (articolo 281-septies) o sulla competenza e giurisdizione (articolo 50 c.p.c. e L. n. 69 del 2009, articolo 59).
I dubbi di costituzionalita’ della norma che rileva, del resto, potrebbero sembrare non manifestamente infondati se si ritiene che con essa si incide sul diritto alla tutela giurisdizionale (in tal caso, infatti, un controllo sulla stessa si rende costituzionalmente necessario); non invece se si ritiene che essa attiene in realta’ solo ad una delle possibili modalita’ di tutela giurisdizionale, fra l’altro neppure costituzionalmente necessaria.
7.4. Tuttavia, il Collegio deve rilevare che nel caso di specie il motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile, il che esclude che ci si possa interrogare sull’ipotizzato problema di costituzionalita’.
Queste le ragioni.
Nella norma dell’articolo 702-ter c.p.c., comma 2, e’ vero che il comma 1 di essa dice, chiaramente riferendosi ad un potere a rilievo officioso ed attribuendolo come tale al giudice, che questi giudice deve valutare se la domanda e’ compresa fra quelle indicate dall’articolo 702-bis c.p.c. e nel caso negativo deve far luogo alla declaratoria di inammissibilita’, che, peraltro, se del caso si estende, per una sorta di par condicio anche all’eventuale domanda riconvenzionale, tanto se essa sia quanto se essa non sia procedibile con il rito sommario.
Tuttavia, il relativo potere giudiciale e, dunque, anche il potere della parte convenuta di dedurre l’inammissibilita’ a sua volta sollecitando l’esercizio del potere del giudice di disporre ai sensi del detto comma 2, e’ da reputare ristretto alla prima udienza.
Lo si desume dallo stesso articolo 702-ter c.p.c., comma 4 il quale dettando il modus procedendi dice come deve procedere il giudice alla trattazione e lo fa riferendo la previsione a tutti i casi in cui il giudice “non provvede ai sensi del comma precedente”.
Da tato deriva che, qualora il giudice alla prima udienza non rilevi l’inammissibilita’ della trattazione con il rito sommario ai sensi dell’articolo 703-ter, comma 2 ma anche l’incompetenza ai sensi del comma 1 e la non trattabilita’ della controversia con il rito sommario per non essere adeguata un’istruzione sommaria (con conseguente applicazione anche del disposto del comma 4), si deve ritenere che il relativo potere officioso e, dunque, anche quello della parte di sollecitarne l’esercizio restino preclusi.
Ebbene, nell’esposizione del fatto del ricorso a pag. 2 di dice che, a seguito del ricorso del novembre 2021 avverso ex articolo 702-bis si costituiva tempestivamente e ritualmente la (OMISSIS) “depositando numerosissimi documenti, chiedendo l’ammissione di numerosi mezzi istruttori e la reiezione della domanda”, ma non si dice se venne eccepita l’inammissibilita’ ai sensi dell’articolo 703-ter c.p.c., comma 2.
La costituzione dovette avvenire, dato che la si dice tempestiva, dieci giorni prima dell’udienza, della quale non si indica peraltro la data.
Nessuna indicazione di che cosa avvenne nella prima non indicata udienza del procedimento sommario viene fornita, ma si parla genericamente di prosieguo dei due procedimenti per poi evocare l’ordinanza del 28 giugno 2013, nemmeno prodotta (vedi elenco produzioni in calce a ricorso).
Nella descritta situazione non risultando quando ebbe luogo la prima udienza del procedimento sommario, non risulta in alcun modo verificabile se all’omesso esercizio del potere officioso del giudice del sommario abbia fatto riscontro l’eccezione di inammissibilita’ nella prima udienza.
E’ vero che nell’esordio dell’illustrazione del secondo motivo la sentenza di primo grado dice testualmente che “in relazione alla preliminare eccezione della (OMISSIS) sas di inammissibilita’ del rito sommario per essere la questione…afferente il rito delle locazioni…si conferma in questa sede quanto rilevato nell’ordinanza della Dott. (OMISSIS) del 28/6/2013…”, ma tale passo della sentenza di primo grado lascia oscuro sempre quando si tenne la prima udienza del procedimento sommario, che era, per quanto si e’ prima osservato, la sede necessaria dell’esercizio del potere officioso e del correlato potere di parte.
Ne’ il riferimento del tribunale alla “preliminare eccezione”, afferendo al solo profilo del carattere di priorita’ di trattazione dell’eccezione, fornisce alcuna indicazione al riguardo.
Ne segue che, al di la’ della motivazione resa dalla corte territoriale, la dedotta nullita’ per violazione di norme del procedimento non risulta articolata in modo che appaia decisiva e, dunque, non e’ ammissibile ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 2, secondo la lettura fornitane da Cass. n. 22341 del 2017 e successive conformi.
Solo se parte ricorrente, di fronte al dato incontestabile che nella ignota prima udienza del procedimento sommario il giudice affidatario del procedimento non rilevo’ l’inammissibilita’, avesse allegato che tanto era avvenuto ancorche’ la qui’ ricorrente avesse formulato la relativa eccezione e sollecitato a rilevarla, nonche’, di fronte all’eventuale diniego del giudice, avesse provveduto ad eccepire la nullita’ di tale diniego, il motivo risulterebbe, in quanto deduttivo di violazione di norma del procedimento, decisivo.
Non ricorrendo tale situazione, cioe’ non constando se nella prima udienza ci si era doluti del fatto che il giudice non avesse provveduto ai sensi del secondo dell’articolo 702-ter c.p.c., il motivo dev’essere ritenuto inammissibile ai sensi dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 2.
La stessa Corte territoriale, nel decidere sul motivo di appello che lamentava la mancata applicazione dell’articolo 702-ter c.p.c., comma 2, avrebbe dovuto considerare quanto si e’ osservato sul limite del potere del giudice e conseguentemente del dissenso della parte interessata in ordine all’articolo 702-ter, comma 2 e scrutinare eventualmente il motivo di appello nel senso indicato.
In questa sede di legittimita’, l’applicabilita’ dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 2 comporta l’inammissibilita’ del motivo per la ragione che esso e’ inidoneo, per come prospettato, ad evidenziare la decisivita’ dell’inosservanza della norma del procedimento di cui trattasi.
8. Venendo all’esame degli altri motivi, si osserva quanto segue.
Il terzo motivo e’ inammissibile perche’:
A) non si confronta con la motivazione della sentenza fondata sul triplice rilievo: a) della mancanza di prova; b) della insussistenza degli obblighi asseritamente inadempiuti, o quanto meno di alcuni di essi; c) della inidoneita’, comunque, delle dedotte inadempienze a giustificare la sospensione del pagamento dei canoni;
B) si risolve nella prospettazione di generiche censure in fatto, basta peraltro sulla evocazione di una serie di documenti totalmente inosservante degli oneri di specificita’ e autosufficienza.
Il quarto motivo e’ inammissibile, perche’ non solo prospetta una censura in facto ma lo fa anche in modo non rispetttos del principio di autosufficienza.
Il quinto motivo e’ anch’esso inammissibile: sembrerebbe prospettare un vizio di omessa pronuncia su motivo di gravame, in termini pero’ chiaramente inosservanti degli oneri di specificita’ e autosufficienza al riguardo da osservarsi.
Non esiste, inoltre, un ricorso incidentale su cui occorra provvedere alla luce del principio secondo cui “Un controricorso ben puo’ valere come ricorso incidentale, ma, a tal fine, per il principio della strumentalita’ delle forme – secondo cui ciascun atto deve avere quel contenuto minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo – occorre che esso contenga i requisiti prescritti dall’articolo 371 c.p.c. in relazione ai precedenti articoli 365, 366 e 369, e, in particolare, la richiesta, anche implicita, di cassazione della sentenza, specificamente prevista dall’articolo 366 c.p.c., n. 4” (Cass. Sez. U. n. 25045 del 07/12/2016; Cass. n. 8873 del 13/05/2020).
9. L’inammissibilita’ di tutti i motivi determina l’inammissibilita’ del ricorso.
La novita’ della questione prospettata con il secondo motivo, l’ipotizzato dubbio di costituzionalita’, nonche’ le precisazioni altrettanto nuove fatte da questa Corte in applicazione dell’articolo 360-bis c.p.c., n. 2 in ordine ai limiti temporali del potere di cui all’articolo 702-ter c.p.c., comma 2, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese del presente giudizio di legittimita’.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’articolo 1-bis dello stesso articolo 13.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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