Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|20 settembre 2022| n. 27479.

Domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di danaro

Nella domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di danaro deve ritenersi sempre implicita la richiesta della condanna al pagamento di una somma minore, con la conseguenza che la pronuncia del giudice del merito di condanna ad una somma minore di quella richiesta non è viziata da extrapetizione.

Ordinanza|20 settembre 2022| n. 27479. Domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di danaro

Data udienza 14 giugno 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Giudizio di ottemperanza – Indennità di occupazione – Ripetizione dell’indebito – Definizione del giudizio presupposto – Vizio di ultra petizione – Rigetto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. AMBROSI Irene – Consigliere

Dott. SPAZIANI Paolo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27090/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS), gia’ (OMISSIS); elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo Studio dell’Avv. (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, in virtu’ di procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COMUNE di MONTEROTONDO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, in virtu’ di procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4082/2019 della CORTE di APPELLO di ROMA, depositata il 19 giugno 2019;
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14 giugno 2022 dal Consigliere Relatore Dott. Paolo SPAZIANI.

Domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di danaro

RILEVATO

Che:
Nel 2001 il Tribunale di Roma condanno’ il Comune di Monterotondo a pagare a (OMISSIS) la somma di oltre 190 milioni di Lire a titolo di indennita’ di occupazione di alcuni terreni di sua proprieta’.
In ottemperanza alla sentenza, il Comune provvide al pagamento della somma complessiva di Euro 124.215,47 ma propose appello avverso la sentenza del Tribunale, facendo valere un precedente giudicato tra le stesse parti, in cui l’ammontare dell’indennizzo era stato determinato in misura di gran lunga inferiore.
Nel 2004 la Corte di appello di Roma, in accoglimento dell’impugnazione, ridusse la condanna del Comune ad Euro 7.524,36.
Il Comune, pertanto, introdusse un autonomo giudizio nel quale propose domanda di restituzione della differenza tra quanto versato (Euro 124.215,47) e quanto effettivamente dovuto (Euro 7.524,36), che venne sospeso in attesa della definizione del ricorso per cassazione proposto dal sig. (OMISSIS) avverso la sentenza della Corte di appello di Roma del 2004.
Nel 2011, questa Corte rigetto’ il predetto ricorso e, passata in giudicato la sentenza della Corte di appello di Roma del 2004, il Comune riassunse il giudizio restitutorio sospeso.
Il primo grado di questo giudizio fu definito con sentenza del Tribunale di Roma del 24 luglio 2013, con cui la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal Comune fu accolta, senza pero’ l’attribuzione dei richiesti accessori del credito e con compensazione delle spese tra le parti.
La sentenza fu impugnata con appello principale dal Comune (che ne invoco’ la riforma nella parte in cui non gli aveva riconosciuto gli interessi e la rivalutazione e nella parte in cui non aveva condannato il sig. (OMISSIS) al pagamento delle spese di lite) e con appello incidentale dal privato (il quale invoco’ il rigetto della domanda per mancata determinazione del petitum, sul rilievo che la sentenza emessa dalla Corte di appello di Roma nel 2004, nel precedente giudizio di determinazione dell’indennita’, aveva riconosciuto il suo diritto ad ottenere, oltre la somma capitale di Euro 7.524,36, anche la rivalutazione monetaria dal 15 giugno 1988 e gli interessi sulle somme annualmente rivalutate sino al momento della decisione, nonche’ gli ulteriori interessi sino al saldo).
Con sentenza del 19 giugno 2019, la Corte di appello di Roma ha parzialmente accolto il primo motivo dell’appello principale del Comune rigettando il secondo, nonche’ l’appello incidentale del sig. (OMISSIS).

Domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di danaro

La Corte territoriale ha deciso sulla base dei seguenti rilievi:
a) in applicazione delle regole contenute nell’articolo 2033 c.c., in ordine alla corresponsione degli interessi (mentre la natura “di valuta” del credito sotteso all’azione restitutoria escludeva il diritto alla corresponsione della rivalutazione monetaria), al Comune dovevano riconoscersi gli interessi legali dal giorno della pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione che, rigettando il ricorso del privato nel precedente giudizio di determinazione dell’indennita’ di occupazione, aveva definitivamente sancito che il sig. (OMISSIS) aveva diritto ad ottenere la somma di Euro 7.524,36, anziche’ la somma di Euro 124.215,47; da quel momento, infatti, non sarebbe stato possibile dubitare della consapevolezza dell’accipiens circa il suo obbligo di restituire la differenza tra le due somme alla pubblica amministrazione creditrice;
b) non meritava riforma, invece, la statuizione di compensazione integrale delle spese di lite emessa dal tribunale, giacche’ non era stata dimostrata la malafede dell’appellato nel contesto della pendenza dei vari giudizi tra le parti;
c) neppure poteva essere accolta, infine, la doglianza formulata dal sig. (OMISSIS) in via incidentale, atteso che il petitum della domanda di ripetizione poteva essere agevolmente determinato attraverso gli opportuni calcoli volti, dapprima, ad aggiungere alla somma di Euro 7.524,36, gli accessori del credito riconosciuti dalla sentenza di appello del 2004 e, successivamente, a sottrarre il maggiore importo cosi’ ottenuto dalla somma di Euro 124.215,47.
Propone ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di sei motivi. Risponde con controricorso il Comune di Monterotondo.
Le parti hanno depositato memorie.

Domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di danaro

CONSIDERATO

Che:
1. Il primo motivo denuncia “nullita’ della sentenza o del procedimento” ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Il secondo motivo denuncia “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Il terzo motivo denuncia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’articolo 2909 c.c. e articolo 324 c.p.c..
Questi primi tre motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto, sotto tre diversi profili, enunciano, peraltro, la medesima doglianza.
Viene censurato, in sintesi, il giudizio formulato nella sentenza impugnata in ordine al dies a quo della decorrenza degli interessi sulla somma dovuta dal debitore.
Il ricorrente ritiene che il giudice di appello, dopo aver ritenuto di individuare tale decorrenza con riferimento alla data del passaggio in giudicato della sentenza emessa dalla Corte territoriale di Roma nel 2004 (con cui era stata definitivamente individuata l’entita’ della somma spettantegli a titolo di indennita’ di occupazione e, di conseguenza, era stato indirettamente, ma con certezza, identificato l’ammontare del suo obbligo restitutorio), avrebbe, pero’, dovuto identificare tale data, non gia’ con quella del deposito della sentenza della Corte di cassazione che aveva rigettato il ricorso avverso la predetta pronuncia di merito, bensi’ con quella del passaggio in giudicato della sentenza di legittimita’, che sarebbe avvenuto (vigente il vecchio testo dell’articolo 327 c.p.c.) un anno e 45 giorni dopo il predetto deposito.
1.1. I motivi in esame sono manifestamente infondati.
Va ribadito il principio, perspicuamente affermato da questa Corte ma gia’ agevolmente desumibile dalle regole generali del processo civile di cognizione e da quelle che governano i mezzi di gravame delle pronunce giudiziali (al quale non puo’ che darsi continuita’), secondo cui la pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione che rigetti o dichiari inammissibile il ricorso avverso la pronuncia che ha definito il giudizio presupposto, determina “ipso facto” il passaggio in giudicato di tale pronuncia, senza che rilevi la pendenza del termine per impugnare la sentenza della Corte Suprema per revocazione, come previsto dall’articolo 391-bis c.p.c., comma 5 (Cass. 03/05/2019, n. 11737).
Perfettamente conforme a diritto appare, dunque, la statuizione della Corte di appello che ha individuato nella pubblicazione della sentenza della Corte di cassazione, con cui era stato respinto il ricorso avverso la pronuncia di appello del 2004, il momento del passaggio in giudicato di detta pronuncia.
I motivi in esame vanno, dunque, rigettati.
2. il quarto motivo denuncia “nullita’ della sentenza o del procedimento”, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 4.
Il quinto motivo denuncia “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5.
Il sesto motivo denuncia “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’articolo 115 c.p.c..
Anche questi motivi vanno esaminati congiuntamente in quanto, sotto tre diversi profili, formulano, peraltro, una medesima doglianza.
Viene dedotto, in sintesi, il vizio di ultra-petizione della sentenza impugnata per avere la Corte di appello “giudicato al di fuori dei limiti costitutivi della domanda, posti dalla parte stessa”.

Domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di danaro

Il ricorrente evidenzia, al riguardo, che la domanda del Comune aveva un limite ben determinato, dato dalla differenza tra la somma pagata (Euro 124.215,47) e la somma dovuta (Euro 7.524,36).
Poiche’, con la domanda di ripetizione dell’indebito, era stata, dunque, precisamente richiesta la restituzione di questa differenza (pari a Euro 116.691,11), “senza alcun margine di diversa determinabilita’”, il giudice del merito non avrebbe potuto discostarsi dall’importo indicato dalla parte richiedente.
La Corte di appello aveva, invece, indebitamente disposto la rideterminazione in difetto della differenza dovuta, previo aumento dell’importo dovuto dal Comune (Euro 7.524,36) attraverso il rinvio ai criteri di calcolo che avrebbero permesso di accrescerne l’entita’ aggiungendovi le somme da liquidarsi a titolo di rivalutazione ed interessi. In tal modo il giudice del merito avrebbe “travisato” il contenuto della domanda consentendo una rideterminazione del petitum in mancanza della richiesta di parte.
2.1. Anche i motivi in esame sono manifestamente infondati.
La possibilita’ che il giudice, una volta invocata dall’attore la condanna del convenuto al pagamento di un determinato importo, riduca, anche d’ufficio, la somma spettante, nei limiti in cui ritenga il credito provato ed esigibile, trova fondamento nel principio, assolutamente pacifico e consolidato (e che va qui ribadito), secondo cui nella domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di denaro deve ritenersi sempre implicita la richiesta della condanna al pagamento di una somma minore, nell’ipotesi in cui il giudice ritenga la domanda stessa fondata per tale parte, salvo che lo stesso richiedente specifichi che non ha interesse ad ottenere meno di quanto ha domandato: solo in questo caso la pronuncia del giudice del merito, di condanna ad una somma minore di quella richiesta, sarebbe viziata da extra-petizione.
Di questo principio costituiscono specifica espressione numerose pronunce di questa Corte afferenti all’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in relazione al quale e’ stato reiteratamente statuito che nell’originaria domanda di pagamento di un credito, contenuta nel ricorso per ingiunzione e nella domanda di rigetto dell’opposizione (o dell’appello dell’opponente), e’ ricompresa quella subordinata di accoglimento della pretesa per un importo minore (tra le altre, Cass. 27/01/2009; n. 1954; Cass. 27/12/2004, n. 24021; Cass. 17/02/1998, n. 1656).
Il principio, peraltro, e’ stato affermato anche in termini generali, sia mediante l’enunciazione della regula iuris secondo cui nella domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di denaro deve ritenersi sempre implicita la richiesta della condanna al pagamento di una somma minore (Cass. 27/12/2013, n. 28660), sia attraverso la piu’ specifica statuizione che non viola il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato la decisione che, qualificando giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto (Cass. 05/11/2009, n. 23490) ne’ la decisione che, in sede di opposizione a ordinanza ingiunzione, condanni il ricorrente al pagamento di una somma diversa (e minore) rispetto a quella indicata nell’ordinanza ingiunzione (Cass. 04/11/2000, n. 14424).
Alla luce di questo consolidato principio, deve quindi ribadirsi che non e’ ravvisabile alcuna modifica di causa petendi o petitum quando il giudice riduce semplicemente la somma, rispetto a quella domandata: la condanna al minus e’ ricompresa nella domanda con cui si chiede una somma maggiore, talche’ essa non e’ viziata da extra-petizione.
Anche sotto tale profilo la decisione impugnata si mostra, allora, perfettamente conforme a diritto, con conseguente manifesta infondatezza delle censure prospettate dal ricorrente con il quarto, il quinto e il sesto motivo.
3. Il ricorso per cassazione proposto da (OMISSIS) deve, pertanto, essere rigettato.
4. Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
5. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato articolo 13, comma 1-bis, ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 5.250,00, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, ove dovuto.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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