Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 4 giugno 2019, n. 15173.
La massima estrapolata:
Il dipendente pubblico ammesso a frequentare corsi di dottorato di ricerca che non fruisca di borsa di studio, conserva il trattamento economico di cui godeva presso l’amministrazione di appartenenza, comprensivo di tutte le voci retributive spettanti in ragione della qualifica rivestita, esclusi solo i compensi caratterizzati “da aleatorietà, perché subordinati alla ricorrenza di ulteriori condizioni, da verificare in relazione alle effettive modalità di svolgimento della prestazione”.
Ordinanza 4 giugno 2019, n. 15173
Data udienza 16 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7008-2014 proposto da:
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “FORO ITALICO”, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS), che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5911/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/09/2013 R.G.N. 8585/2009.
RILEVATO
CHE:
1. la Corte d’Appello di Roma ha parzialmente accolto l’appello di (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato il ricorso, proposto nei confronti dell’Universita’ degli Studi di Roma Foro Italico, volto ad ottenere la condanna dell’amministrazione convenuta al pagamento dell’indennita’ di risultato relativa all’anno 2005 nonche’ dell’indennita’ accessoria mensile e dell’indennita’ di responsabilita’ per il periodo 1 gennaio 2005/31 dicembre 2007;
2. la Corte territoriale ha premesso che l’appellante aveva fruito di congedo straordinario per lo svolgimento di dottorato di ricerca, ai sensi della L. n. 476 del 1984, articolo 2 come modificato dalla L. n. 448 del 2001, articolo 52, comma 57, che riconosce il diritto del dipendente, ammesso alla frequenza del dottorato e non titolare di borsa di studio, a conservare il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento;
3. ad avviso della Corte capitolina la norma di legge, per il suo tenore letterale e per la sua ratio, non consente di escludere dalla garanzia di conservazione tutte le voci che compongono il salario accessorio, ivi comprese quelle dovute per il solo fatto dello svolgimento della prestazione lavorativa, bensi’ solo quelle componenti caratterizzate da aleatorieta’, ossia di incerta corresponsione in tutto o in parte;
4. il giudice d’appello, quindi, ha ritenuto che dovessero essere corrisposte all’appellante sia l’indennita’ accessoria mensile che l’indennita’ di risultato, perche’ l’accordo integrativo del 3 ottobre 2005 ne aveva previsto l’erogazione in misura fissa, a prescindere dalla ricorrenza di ulteriori condizioni;
5. ha escluso, invece, il diritto a percepire l’indennita’ di responsabilita’, in quanto legata all’individuazione ed alla graduazione delle posizioni organizzative, delle funzioni specialistiche e delle responsabilita’;
6. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Universita’ degli Studi di Roma Foro Italico sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, ai quali (OMISSIS) ha resistito con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
1. con il primo motivo l’Universita’ ricorrente denuncia, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla L. n. 476 del 1984, articolo 2 come modificato dalla L. n. 448 del 2001, articolo 52, comma 57 nonche’ al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 7, comma 5” e rileva che l’interpretazione dell’articolo 52 deve tener conto del divieto imposto alle pubbliche amministrazioni di erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese;
1.1. la ricorrente ne trae la conseguenza che il trattamento economico, la cui conservazione e’ garantita dal richiamato articolo 52, e’ solo quello fondamentale e non ricomprende le voci collegate alla valutazione dell’effettivo apporto dei lavoratori al miglioramento della produttivita’ dell’amministrazione e della qualita’ dei servizi;
1.2. aggiunge che lo svolgimento del dottorato non e’ assimilabile al servizio effettivo e che il legislatore ogni qual volta ha ritenuto di dover includere nel trattamento economico conservato al dipendente anche quello accessorio lo ha detto espressamente;
2. la seconda censura addebita alla sentenza impugnata “violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c. in relazione all’accordo integrativo del 3/10/2005 nonche’ violazione e falsa applicazione di norme dei contratti collettivi nazionali di lavoro in relazione all’articolo 41, comma 4, del CCNL comparto Universita’ 2002/2005 del 27/1/2005, all’articolo 10, comma 1, lettera e) del CCNL 28.3.2006, nonche’ all’articolo 68, comma 2, lettera d) e articolo 69 del CCNL 1998/2001 del 9.8.2000 e all’articolo 88, comma 2, lettera d) e articolo 89 del CCNL comparto Universita’ 2006/2009 del 16/10/2008”;
2.1. in relazione all’indennita’ accessoria mensile, quantificata in misura fissa dal contratto integrativo, la ricorrente evidenzia che la Corte territoriale, nello statuire sulla natura della indennita’, non poteva prescindere dal rinvio alla contrattazione nazionale, con la quale si era previsto che l’emolumento avrebbe riassorbito altre indennita’, ossia quelle disciplinate dagli articoli 68 e 69 del CCNL 2000, correlate agli effettivi incrementi di produttivita’ e di miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi;
2.2. anche l’articolo 89 del CCNL 16.10.2008 prevede che l’attribuzione dei compensi puo’ avvenire solo dopo la necessaria verifica e certificazione a consuntivo dei risultati totali o parziali conseguiti;
2.3. ad avviso della ricorrente, pertanto, l’indennita’ in questione, che al pari degli istituti che l’avevano preceduta era stata pensata per compensare l’incremento di produttivita’, non poteva essere attribuita al (OMISSIS) il quale, in quanto assente, non aveva concorso al miglioramento complessivo dell’ufficio;
3. con la terza critica l’Universita’ censura il capo della sentenza impugnata relativo all’indennita’ di risultato e denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio” nonche’ violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., nelle quali la Corte territoriale sarebbe incorsa nell’interpretare l’accordo integrativo del 3.10.2005;
3.1. l’Universita’ sostiene che il giudice d’appello avrebbe dovuto esaminare e valutare quanto dedotto nella memoria difensiva, con la quale era stato sottolineato che l’indennita’ di risultato andava a sostituire quella individuale disciplinata dall’accordo integrativo del 9.11.2001 e, quindi, era ancorata agli stessi presupposti, ossia alla presenza in servizio, alla partecipazione ad iniziative formative, all’innovazione degli assetti produttivi;
3.2. l’interpretazione dell’accordo del 3.10.2005 andava condotta alla luce delle previsioni contenute nella precedente intesa del 2001, il cui mancato esame si risolve, oltre che nel vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, nell’errata applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale;
4. non sussiste il profilo di inammissibilita’ del primo motivo, denunciato dal controricorrente, perche’ solo le questioni giuridiche implicanti accertamenti di fatto non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione, se non prospettate nei precedenti gradi di giudizio, non gia’ quelle che attengono all’esatta individuazione ed interpretazione delle norme di legge, che la Corte di Cassazione, nella sua funzione nomofilattica, puo’ rilevare anche d’ufficio (Cass. n. 18775/2017; Cass. n. 11868/2016; Cass. n. 3437/2014);
5. il motivo, peraltro, e’ infondato in quanto la Corte territoriale ha correttamente interpretato la L. n. 476 del 1984, articolo 2 come modificato dalla L. n. 448 del 2001, articolo 52, comma 57;
5.1. la norma, nella sua versione originaria, si limitava a prevedere che “Il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca e’ collocato a domanda in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. Il periodo di congedo straordinario e’ utile ai fini della progressione di carriera, del trattamento di quiescenza e di previdenza”;
5.2. con la L. n. 448 del 2001, articolo 52 il legislatore ha inserito, nel citato articolo 2, comma 1 due ulteriori periodi stabilendo che “In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l’interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale e’ instaurato il rapporto di lavoro. Qualora, dopo il conseguimento del dottorato di ricerca, il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica cessi per volonta’ del dipendente nei due anni successivi, e’ dovuta la ripetizione degli importi corrisposti ai sensi del secondo periodo”;
5.3. la ratio della disposizione e’ gia’ stata evidenziata in precedenti pronunce di questa Corte (Cass. n. 432/2019; Cass. n. 3096/2018; Cass. n. 10695/2017; Cass. n. 2422/2013), con le quali si e’ sottolineato che la legge del 2001 ha previsto il diritto dei dipendenti pubblici alla conservazione del trattamento economico al fine di incentivare l’arricchimento del bagaglio culturale dei dipendenti stessi, a prescindere da soglie di reddito;
5.4. nello stesso tempo, pero’, il legislatore ha fissato un periodo minimo di due anni di permanenza nel posto di lavoro successivamente al conseguimento del titolo, per consentire all’amministrazione di fruire delle conoscenze acquisite dal dipendente grazie agli studi post-universitari, ed in tal modo “ha ritenuto di contemperare il diritto allo studio del pubblico dipendente con l’interesse della pubblica amministrazione, stabilendo, da una parte, l’incondizionata erogazione di un emolumento economico (la borsa di studio o la retribuzione) e dall’altra una condizione di stabilita’ del rapporto di pubblico impiego, che giustifica la deroga, per il periodo di svolgimento del dottorato, al principio generale di sinallagmaticita’”;
5.5. la questione qui controversa, che attiene all’individuazione delle componenti della retribuzione che concorrono a formare il “il trattamento economico… in godimento”, va risolta, ad avviso del Collegio, tenendo conto, da un lato, del tenore letterale della disposizione, dall’altro delle finalita’ che la stessa persegue;
5.6. quanto al primo aspetto e’ significativo che il legislatore abbia omesso qualsiasi richiamo alla distinzione fra trattamento economico fondamentale e trattamento accessorio, operata dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 45 e, in precedenza, dal Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 49 come sostituito dal Decreto Legislativo n. 546 del 1993, articolo 23 ed abbia, invece, utilizzato la dizione onnicomprensiva che compare nell’articolo 2, comma 3, dello stesso decreto, nella parte in cui, ai fini del riassorbimento, attribuisce rilievo al complessivo “trattamento economico in godimento”;
5.7. il tal modo il legislatore ha voluto estendere la garanzia della conservazione a tutti gli emolumenti spettanti al dipendente in ragione della qualifica rivestita, escludendo solo quelli caratterizzati da aleatorieta’, perche’ subordinati alla ricorrenza di ulteriori condizioni, da verificare di volta in volta in relazione alle effettive modalita’ di svolgimento della prestazione;
5.8. al riguardo va, infatti, osservato che la L. n. 448 del 2001 e’ stata approvata in un momento storico in cui la contrattazione collettiva era gia’ intervenuta a pieno titolo a disciplinare il trattamento economico dei dipendenti dei vari comparti ed aveva incluso nel trattamento accessorio anche emolumenti caratterizzati dalla predeterminatezza e dalla continuita’ dell’erogazione (si pensi all’indennita’ di amministrazione per il comparto ministeri, di ente per il personale degli enti locali, di ateneo per i dipendenti delle universita’), sicche’ la dizione volutamente generica ed onnicomprensiva, utilizzata dal legislatore nel dettare una disposizione destinata a valere per la totalita’ dei dipendenti pubblici, esprime, al pari del gia’ richiamato articolo 2, la volonta’ di garantire la conservazione di tutte le voci retributive che, a prescindere dalla qualificazione alle stesse data dalle parti collettive, risultino connesse alla posizione “ordinaria” rivestita e siano svincolate dalla valutazione della prestazione lavorativa resa;
5.9. detta esegesi, fondata sul tenore letterale della norma, tiene conto anche della finalita’ della disposizione e del bilanciamento di interessi che la stessa esprime, perche’, una volta previsto il pagamento della retribuzione a prescindere dal nesso sinallagmatico con la prestazione lavorativa, solo l’aleatorieta’ dell’emolumento puo’ giustificare la sua sottrazione alla garanzia concessa dal legislatore;
5.10. non e’ pertinente il richiamo al Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 7 perche’ la disposizione, nella parte in cui fa divieto alle amministrazioni pubbliche di erogare trattamenti accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese, si riferisce all’ipotesi del normale funzionamento del sinallagma negoziale, mentre nella fattispecie viene in rilievo la norma speciale, con la quale il legislatore ha voluto, sostanzialmente, sospendere l’obbligazione gravante a carico del dipendente e riconoscere, cio’ nonostante, il diritto dello stesso a ricevere il corrispettivo, pur in assenza di prestazione;
6. parimenti infondato e’ il secondo motivo, perche’ correttamente la Corte territoriale ha ritenuto il carattere fisso e continuativo dell’indennita’ accessoria mensile, prevista dall’articolo 41, comma 4, del CCNL 27.1.2005 per il personale del comparto universita’;
6.1. con la disposizione contrattuale in parola le parti collettive hanno previsto che “Nell’ambito della contrattazione integrativa ed a valere sulle risorse del Fondo per le progressioni economiche e per la produttivita’ collettiva ed individuale di cui all’articolo 67 del CCNL 9/8/2000, al netto di quelle previste dal comma 1, lettera f, gli Atenei istituiranno un’indennita’ accessoria mensile, erogabile per dodici mensilita’. Tale emolumento riassorbe e sostituisce le eventuali indennita’ gia’ corrisposte con carattere di generalita’.”; 6.2. successivamente, con il CCNL 28.3.2006, articolo 10, lettera e), e’ stato aggiunto all’ultimo periodo l’inciso ” e non e’ decurtabile se non in caso di sciopero”, con il quale e’ stato ribadito il carattere fisso e continuativo della voce retributiva, carattere gia’ desumibile dal chiaro tenore letterale della disposizione originaria, che ne aveva previsto l’attribuzione senza subordinarla a nessun’altra condizione e rinviando alla contrattazione integrativa solo la quantificazione dell’importo, da corrispondersi mensilmente;
6.3. anche il CCNL 6.10.2008 ribadisce detta natura dell’indennita’ perche’, nel disciplinare all’articolo 88 le modalita’ di utilizzazione del fondo per le progressioni economiche e per la produttivita’, precisa che il fondo stesso deve essere utilizzato per “… c) corrispondere compensi per la remunerazione di compiti che comportano oneri, rischi, o disagi particolarmente rilevanti nonche’ la reperibilita’ collegata alla particolare natura dei servizi che richiedono interventi di urgenza; d) erogare compensi diretti ad incentivare la produttivita’ ed il miglioramento dei servizi; e) incentivare le specifiche attivita’ e prestazioni correlate alla utilizzazione che specifiche disposizioni di legge finalizzano alla incentivazione di prestazioni o di risultati del personale; f) indennita’ mensile”;
6.4. l’indennita’ mensile, quindi, viene mantenuta distinta dalle altre voci del trattamento accessorio e non risulta collegata ne’ a particolari modalita’ della prestazione (lettera c) ne’ all’incentivazione della produttivita’, dei risultati ed al miglioramento dei servizi (lettera d ed e);
6.5. la tesi sostenuta dalla ricorrente, secondo cui l’erogazione dell’indennita’ sarebbe subordinata alle medesime condizioni richieste in precedenza dall’articolo 69 del CCNL 2000, e’ chiaramente smentita dal tenore letterale della clausola contrattuale che a dette condizioni non fa rinvio e, al contrario, nel prevedere che l’emolumento “riassorbe e sostituisce le eventuali indennita’ gia’ corrisposte con carattere di generalita’”, sancisce il totale e definitivo superamento della disciplina previgente;
7. il terzo motivo e’ inammissibile nella parte in cui ravvisa il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 nell’omesso esame dell’accordo del 9.11.2001, con il quale erano stati dettati i criteri per l’erogazione dell’indennita’ individuale, tutti implicanti la presenza in servizio del dipendente;
7.1. le Sezioni Unite di questa Corte hanno evidenziato che “l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. S.U. n. 8053/2014);
7.2. la censura esula all’evidenza dai limiti del riformulato articolo 360 c.p.c., n. 5, sia perche’ il contenuto delle intese che avevano preceduto la contrattazione integrativa del 3.10.2005 non integra un “fatto storico”, sia in quanto e’ comunque carente la decisivita’ del rilievo, posto che la precedente contrattazione integrativa, invocata dalla ricorrente, si riferiva ad una diversa indennita’, si era svolta nella vigenza del CCNL 9.8.2000, e non poteva orientare in merito alla natura dell’indennita’ di risultato che, in relazione alle previsioni del CCNL 27.1.2005, in sede decentrata, era stata riconosciuta per intero a tutto il personale, limitatamente agli anni 2004 e 2005, “nelle more del perfezionamento dei relativi criteri”, da definire entro il 31 dicembre 2005 e da valere a partire dall’anno 2006;
7.3. per il resto il motivo, pur denunciando nella rubrica la violazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., si risolve in un’inammissibile critica della valutazione di merito espressa dalla Corte territoriale che, esaminato il testo contrattuale, ha ritenuto di dover escludere ogni carattere di aleatorieta’ dell’importo liquidato per l’anno 2005, in quanto riconosciuto a tutti i dipendenti, a prescindere dalla qualita’ della prestazione dagli stessi resa e dal raggiungimento di obiettivi o risultati;
7.4. il Collegio ribadisce e fa proprio l’orientamento gia’ espresso da questa Corte secondo cui “l’interpretazione del contratto puo’ essere sindacata in sede di legittimita’ solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non puo’ dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicche’, quando di una clausola siano possibili due o piu’ interpretazioni, non e’ consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimita’ del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra” (Cass. n. 11254/2018);
7.5. e’ stato precisato al riguardo che l’accertamento della volonta’ delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto e, quindi, in sede di legittimita’ il ricorrente che denunci la violazione dei canoni legali di ermeneutica deve, non solo fare esplicito riferimento alle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma e’ tenuto, altresi’, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia dagli stessi discostato (cfr. fra le piu’ recenti Cass. n. 27136/2017);
7.6. i richiamati principi trovano applicazione anche qualora si discuta dell’interpretazione di clausole della contrattazione integrativa perche’ ” la regola posta dal Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 63 che consente di denunciare direttamente in sede di legittimita’ la violazione o falsa applicazione dei contratti ed accordi collettivi, deve intendersi limitata ai contratti ed accordi nazionali di cui all’articolo 40 del predetto D.Lgs., con esclusione dei contratti integrativi contemplati nello stesso articolo, in relazione ai quali il controllo di legittimita’ e’ finalizzato esclusivamente alla verifica del rispetto dei canoni legali di interpretazione e dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione sufficiente e non contraddittoria” (Cass. 9.6.2017 n. 14449);
7.7. nel caso di specie la ricorrente non ha precisato da quale canone ermeneutico la Corte territoriale si sarebbe discostata nel valorizzare il tenore letterale dell’accordo e si e’ limitata a riproporre la diversa esegesi non condivisa dal giudice d’appello, sollecitando un giudizio di merito, non consentito in sede di legittimita’;
8. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato, perche’ la sentenza impugnata e’ conforme al principio di diritto che il Collegio ritiene di dovere enunciare nei termini che seguono;
8.1 “il dipendente pubblico ammesso a frequentare corsi di dottorato di ricerca, che non fruisca di borsa di studio o rinunci alla stessa, conserva, ai sensi della L. n. 476 del 1984, articolo 2 come modificato dalla L. n. 448 del 2001, articolo 52, comma 57, il diritto a percepire il trattamento economico in godimento presso l’amministrazione di appartenenza, comprensivo di tutte le voci retributive spettanti in ragione della qualifica rivestita, con esclusione dei soli compensi caratterizzati da aleatorieta’, perche’ subordinati alla ricorrenza di ulteriori condizioni, da verificare in relazione alle effettive modalita’ di svolgimento della prestazione”;
9. alla soccombenza consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo;
9.1. sussistono le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. articolo 13, comma 1-bis.
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