Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 18676.
Costruzioni che confinano con strade pubbliche o piazze e l’obbligo dei 10 mt tra edifici frontistanti
Per le costruzioni che confinano con strade pubbliche o piazze non vige l’obbligo di distanza di dieci metri tra le finestre di edifici frontestanti. Posto che tutte le disposizioni in materia sono finalizzate a tutelare gli interessi pubblici e in particolare la sicurezza stradale non vi è alcun diritto del privato alla tutela rispristinatoria nel caso di mancato rispetto delle distanze tra le vedute di costruzioni confinanti con strade pubbliche.
Ordinanza|| n. 18676. Costruzioni che confinano con strade pubbliche o piazze e l’obbligo dei 10 mt tra edifici frontistanti
Data udienza 15 marzo 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Distanze – Costruzioni – Finestre – Pubblica via – Obbligo non sussiste
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14627/2020 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS)) che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) ((OMISSIS));
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 1812/2019 depositata il 25/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/03/2023 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI.
Costruzioni che confinano con strade pubbliche o piazze e l’obbligo dei 10 mt tra edifici frontistanti
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine dalla domanda proposta innanzi a Tribunale di Catanzaro da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS), con la quale lamento’ che il convenuto avesse realizzato una costruzione a piano terra e, successivamente, una sopraelevazione dello stesso immobile in violazione delle norme sulle distanze tra costruzioni e vedute.
Instauratosi il contraddittorio con la costituzione del convenuto, all’esito dei giudizi di merito, la Corte d’appello di Catanzaro confermo’ la sentenza di primo grado, che aveva rigettato la domanda perche’ tra gli immobili appartenenti alle parti vi era una strada comunale e trovava applicazione l’articolo 879 c.c., secondo cui alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applicano le norme relative alle distanze, ma devono osservarsi le leggi e i regolamenti che le riguardano.
Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di tre motivi.
Ha resistito con controricorso (OMISSIS).
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 873 c.c. e 979 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto che non fosse applicabile la normativa sulle distanze perche’ tra le costruzioni era interposta una pubblica via, mentre, nel caso in esame, si tratterebbe di un vicolo cieco che non collegava le due strade pubbliche. Il ricorrente sostiene che la Corte d’appello ha errato nella qualificazione della zona retrostante Via (OMISSIS) in termini di strada pubblica, facendo riferimento alle caratteristiche necessarie per ritenere che la strada faccia parte del demanio comunale ovvero l’uso pubblico da parte di un numero indeterminato di persone, l’ubicazione della strada all’interno dei luoghi abitati, l’inclusione nella toponomastica del Comune e la numerazione civica. Non basterebbe, invece, l’inserimento nell’elenco delle strade comunali. Nella specie, si tratterebbe di vicolo cieco, che non collegava due strade e non svolgeva era destinato alla circolazione di veicoli e pedoni, a nulla rilevando l’inclusione nell’elenco delle strade comunali per l’assoggettamento ad ad uso pubblico.
Il motivo e’ infondato.
In linea di principio, va ricordato che al fine di determinare l’appartenenza di una strada al demanio comunale costituiscono indici di riferimento oltre l’uso pubblico, cioe’ l’uso da parte di un numero indeterminato di persone (il quale isolatamente considerato potrebbe indicare solo una servitu’ di passaggio), l’ubicazione della strada all’interno dei luoghi abitati, l’inclusione nella toponomastica del Comune, la posizione della numerazione civica, il comportamento della P.A. nel settore dell’edilizia e dell’urbanistica. Per converso non puo’ ritenersi elemento da solo sufficiente, l’inclusione o rispettivamente la mancata inclusione nell’elenco delle strade comunali, stante la natura dichiarativa e non costitutiva dell’elenco anzidetto (tra le varie, Cass. n. 4345/00; Cass. n. 6337/94).
Nel caso in esame, la Corte di merito ha accertato, sulla base della verifica dello stato dei luoghi svolta dal CTU e dalla documentazione dell’Ufficio Tecnico del Comune di (OMISSIS), che l’area posta tra gli immobili delle parti era una strada comunale, come da attestazione del responsabile dell’Area Tecnica del Comune di (OMISSIS) (pag.3 della sentenza impugnata).
Tale accertamento, non solo non e’ stato contestato nei gradi di merito ma, al contrario, e’ stato lo stesso ricorrente a qualificare della strada come strada comunale nei suoi scritti difensivi (pag 3-4 della sentenza impugnata)
In sede di legittimita’, il ricorrente si e’ limitato ad una generica contestazione sulle caratteristiche e qualificazione della strada, affermando, in modo apodittico, che si trattava di un vicolo cieco, che non collegava due strade e non era destinato alla circolazione di veicoli e pedoni, senza neppure specificare da dove ha tratto tale conclusione.
Il motivo, oltre a difettare di specificita’, si fonda sull’affermazione che il giudice di merito abbia travisato le risultanze della consulenza tecnica, configurando un’ipotesi di travisamento dei fatti processuali contro cui era esperibile solo il rimedio della revocazione, ai sensi dell’articolo 395, n. 4, c.p.c..
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del DM 1444-68, articolo 9 e dell’articolo 21 del Regolamento Edilizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la Corte di merito applicato la norma relativa alle distanze, prevista dal Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, che prevede il distacco minimo di dieci metri tra pareti finestrate degli edifici frontistanti.
Il motivo e’ infondato.
E’ consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche non si applica il Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, che prevede il distacco minimo di dieci metri tra pareti finestrate degli edifici frontistanti (Cass. Civ., Sez. II, n. 27634/2018).
Le disposizioni di legge e regolamentari tra le quali, fra l’altro, il Codice della Strada ed il relativo regolamento di esecuzione, cui rinvia l’articolo 879 c.c., non sono dirette alla regolamentazione dei rapporti di vicinato ed alla tutela della proprieta’, ma alla protezione di interessi pubblici, con particolare riferimento alla sicurezza della circolazione stradale, ragione per la quale e’ da ritenersi insussistente un diritto soggettivo suscettibile di dar luogo a tutela ripristinatoria (Cass. n. 5204 del 2008).
Per l’accoglimento della domanda di riduzione in pristino proposta dal proprietario danneggiato dalla violazione delle norme sulle distanze fra costruzioni contenute in leggi speciali e regolamenti edilizi locali e’ necessario, invece, che le norme violate abbiano carattere integrativo delle disposizioni del codice civile sui rapporti di vicinato e che si tratti di costruzioni soggette all’obbligo delle distanze e quindi non confinanti con vie o piazze pubbliche (articolo 879 c.c., comma 2); resta pertanto esclusa la riduzione in pristino se tra i fabbricati siano interposte strade pubbliche, ancorche’ la norma edilizia locale applicabile prescriva che la distanza minima prevista debba essere osservata anche nel caso che tra i fabbricati siano interposte aree pubbliche (Cass. n. 3567 del 1988; conf. Cass. n. 2436 del 1988; Cass. n. 5378 del 1996).
Con il terzo motivo di ricorso, si deduce l’omessa pronuncia sulla normativa antisismica del DM 16.1.1996, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perche’ il giudice d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla conformita’ della costruzione eseguita da (OMISSIS) alla normativa antisismica, che, nella specie, sarebbe stata violava.
Il motivo e’ inammissibile.
La questione relativa al rispetto della normativa antisismica e’ stata dedotta per la prima volta in grado d’appello, come affermato dallo stesso ricorrente, mentre nessun riferimento alla normativa antisismica era contenuta nell’atto introduttivo.
Orbene, il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di appello non e’ configurabile in relazione ad una domanda nuova, non proposta in primo grado, giacche’ la proposizione di una domanda inammissibile non determina l’insorgere di alcun potere-dovere del giudice adito di pronunciarsi su di essa (Cassazione civile sez. I, 31/03/2010, n. 7951).
Inoltre, per far valer il vizio di omessa pronuncia, il ricorrente doveva denunciare la nullita’ della sentenza e non la violazione di legge o il vizio di motivazione, come si legge nella rubrica del motivo e nella sua argomentazione (pag.13 del ricorso).
Come, infatti, affermato dalle Sezioni Unite con sentenza del 24.7.2013, n. 17931, il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non e’ indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilita’ della fattispecie di cui al n. 4 del comma 1 dell’articolo 360 c.p.c., con riguardo all’articolo 112 c.p.c., purche’ il motivo rechi univoco riferimento alla nullita’ della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorche’ sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
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