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La ricorrente si duole del fatto che la Corte dei conti non abbia in alcun modo considerato la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo resa nel caso Grande Stevens contro Italia, debitamente prodotta in giudizio, e che non abbia quindi esaminato i profili di illegittimita’ costituzionale derivanti dai principi in quella decisione enunciati e ripresi da questa Corte nell’ordinanza n. 950 del 2015, in cui si e’ rilevato come al fine di stabilire se i fatti su cui si e’ formato il giudicato sono da considerarsi i medesimi per i quali si procede in altro giudizio, occorre aver riguardo non al fatto inteso in senso giuridico, ma al fatto in senso storico naturalistico, ossia alla fattispecie concreta oggetto dei due giudizi e come il presupposto al quale e’ collegata l’efficacia preclusiva di un nuovo giudizio sullo stesso fatto storico sia costituito dal passaggio in giudicato del provvedimento che definisce uno dei due procedimenti riconducibili alla materia penale.
Nella specie, osserva la ricorrente, il fatto storico consiste nello svolgimento da parte sua di 34 consulenze commissionate dalla Procura della Repubblica di Pinerolo, senza effettive necessita’ di indagine, nella consapevolezza della illiceita’ degli incarichi; e per tale condotta il giudice penale, con sentenza passata in giudicato l’8 luglio 2011, ha applicato la pena di anni uno di reclusione e ha disposto la confisca di beni mobili, immobili e crediti fino all’ammontare di Euro 191.641,00, disponendo altresi’ la restituzione da parte di essa ricorrente alto Stato della somma di Euro 191.641,00, pari a quanto illecitamente percepito. Per la medesima condotta – osserva la ricorrente – il giudice contabile la ha invece condannata al pagamento della somma di Euro 348.439,16, pari a quanto illecitamente percepito al lordo dei tributi di legge e degli oneri previdenziali. Tale seconda pronuncia violerebbe, quindi, in modo evidente il divieto di bis in idem di cui all’articolo 4 del Protocollo 7 della CEDU, che assicura il diritto del privato a non essere perseguito o giudicato due volte per la stessa condotta; con la precisazione che a tali fini cio’ che rileverebbe non e’ la natura afflittiva o risarcitoria dei provvedimenti giudiziari ovvero la finalita’ preventiva e sanzionatoria della confisca diversa dalla finalita’ restitutoria della condanna risarcitoria, ma soltanto il bene della vita e l’interesse perseguito. Entrambe le misure sono dirette a tutelare il creditore, e cioe’ l’erario, in relazione alla medesima ragione di credito dipendente dalla medesima condotta illecita.
Ad avviso della ricorrente, il principio del ne bis in idem dovrebbe allargarsi anche ai rapporti tra processi e quindi tra giurisdizioni, sicche’ la sentenza impugnata sarebbe erronea. Ove poi non dovesse pervenirsi a tale soluzione, si renderebbe necessaria la proposizione di una questione di legittimita’ costituzionale delle disposizioni indicate in epigrafe.
In conclusione, osserva la ricorrente, sussisterebbe il denunciato difetto di giurisdizione della Corte dei conti in quanto, dopo in giudicato penale di accertamento e liquidazione a titolo di confisca di somme dàdenaro, l’avvio, la prosecuzione e la conclusione di un processo di responsabilita’ amministrativa per gli stessi fatti e per il medesimo danno pubblico, viola il principio del ne bis in idem, dovendo “la sentenza impugnata della Corte dei conti considerarsi a tutti gli effetti equiparabile a quella penale in punto confisca, in corrispondenza della sua natura sostanzialmente restitutoria prevalente sulla forma solo nominalmente sanzionatoria”.
3. – Con il proprio ricorso i ricorrenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) denunciano “Violazione di legge, con riferimento agli articoli 111 e 117 Cost., articolo 6 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, articolo 4 del protocollo n. 7 allegato alla Convenzione (…), articoli 1321, 1372, 1965 e 2909 c.c., articolo 649 c.p.p., con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 1 e articolo 111 Cost.”, sostenendo che la sentenza impugnata sarebbe affetta da difetto assoluto di giurisdizione e da eccesso di potere giurisdizionale.
I ricorrenti ricordano che nel giudizio penale era stata perfezionata una transazione con l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano per il risarcimento integrale dei danni subiti dall’amministrazione statale, e per essa anche dal Ministero della giustizia, con riferimento alle consulenze affidate dal Procuratore della Repubblica di Pinerolo dal 1997 al 2006, e che per effetto di tale transazione l’avvocatura aveva rinunciato alla costituzione di parte civile nel giudizio penale ed era stata pronunciata sentenza di patteggiamento, nella quale si dava atto della mancata pronuncia sull’azione civile proprio perche’ su questa era intervenuta rinuncia. Quindi, premesso che il risarcimento del danno convenuto in sede penale era integrale, i ricorrenti sostengono che la Corte dei conti non avrebbe compreso che, nella specie, non era in discussione il fatto che la procura contabile sia l’unico soggetto legittimato ad esercitare l’azione avanti alla Corte dei conti, ma la possibilita’ per il Procuratore regionale di procedere come se non fossero stati celebrati altri giudizi o non fossero intervenuti specifici accordi tra l’amministrazione danneggiata e il soggetto danneggiante.
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