Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 9 marzo 2016, n. 9874
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CONTI Giovanni – Presidente
Dott. GIANESINI Maurizio – Consigliere
Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere
Dott. GIORDANO Emilia An – rel. Consigliere
Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 30/3/2015 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIORDANO Emilia Anna;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. DI LEO Giovanni che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano che, concessegli le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza alla contestata aggravante di cui all’articolo 61 codice penale, n. 10, e la diminuente del rito abbreviato, aveva condannato il (OMISSIS) alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione.
2. Il (OMISSIS) e’ stato ritenuto colpevole del reato di calunnia, con condotte commesse in (OMISSIS) il (OMISSIS), perche’, nell’ambito di una narrazione complessivamente veridica, riferiva all’autorita’ giudiziaria particolari volutamente falsi integranti autonomi e distinti profili di responsabilita’ penale nei confronti dei Carabinieri (OMISSIS) e (OMISSIS) affermando, nel quadro di violenze effettivamente subite ad opera dei predetti, di avere anche subito la avulsione dell’incisivo superiore destro, con conseguente deformazione dell’armonia della simmetria facciale (caratteristiche queste proprie dello sfregio permanente del viso di cui all’articolo 583 codice penale, comma 2, n. 4), e cio’ faceva nella consapevolezza della innocenza dell’ (OMISSIS) e del (OMISSIS) su questo specifico ed esclusivo punto, avendo riportato l’avulsione dentale nel corso di una lite ingaggiata con alcuni cittadini extracomunitari per motivi connessi alla compravendita di sostanze stupefacenti e prima dell’intervento dei Carabinieri.
3. Con i motivi di ricorso il difensore del (OMISSIS) denuncia vizio di violazione di legge penale, in relazione all’articolo 368 codice penale, e conseguente vizio di motivazione. Rileva che la Corte di merito, pur avendo evidenziato che il (OMISSIS) aveva effettivamente subito lesioni nel corso delle violenze alle quali era stato sottoposto in Caserma, come accertato dalla sentenza definitiva a carico dei Carabinieri, non aveva valorizzato che fin dalla contestazione era ascritto al (OMISSIS) di avere denunciato una falsa circostanza aggravante – integrante appunto la lesione dello sfregio permanente del viso – aggravante che, anche a voler ritenere accertata la falsita’ del racconto del (OMISSIS) sul punto, non avrebbe comportato alcuna modifica essenziale della condotta effettivamente realizzata dagli accusati e, in ogni caso, la modifica della qualificazione giuridica del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
2. La Corte di merito, condividendo la ricostruzione in fatto compiuta dal giudice di primo grado, ha ritenuto integrato il reato di calunnia poiche’, sia pure nel contesto di un racconto veritiero, il (OMISSIS) aveva denunciato “una condotta diversa, posta in essere dagli accusati ovvero avergli procurato con un pugno l’avulsione di un dente mentre tale evento lesivo era stato, in realta’, provocato da altri, cosa di cui l’accusatore, era pienamente consapevole”. In punto di qualificazione giuridica della condotta, la Corte e’ pervenuta alla conclusione che non si verte in ipotesi nella quale la falsita’ del racconto investa una circostanza aggravante, non incidente sull’essenza del fatto, bensi’ che l’imputato aveva denunciato anche una condotta diversa posta in essere dagli accusati ovvero avergli procurato, con un pugno, l’avulsione di un dente, evento lesivo in realta’ procuratogli da altri.
3. Ritiene il Collegio che le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici di merito siano corrette e in linea con la giurisprudenza di legittimita’ secondo la quale sussiste il reato di calunnia anche quando il fatto, oggetto della falsa incolpazione, sia diverso e piu’ grave di quello effettivamente commesso dalla persona incolpata, condizione che si verifica allorche’ la diversita’, incidendo sull’essenza del fatto, riguardi modalita’ essenziali della sua realizzazione, che ne modifichino l’aspetto strutturale e incidano sulla sua maggiore gravita’ ovvero sulla sua identificazione (Sez. 5, n. 14202 del 29/01/2015, Messina, Rv. 264784). Il principio enunciato, che risponde al fondamento giuridico del delitto di calunnia individuato nell’interesse al regolare funzionamento dell’attivita’ giudiziaria, e’ applicabile alla fattispecie in esame in cui il (OMISSIS) non si e’ limitato alla enfatizzazione dei fatti narrati o alla loro ricostruzione con modalita’ particolarmente allarmanti, ma ha compiuto una descrizione nella quale denunciava un fatto che incideva sull’essenza degli illeciti denunciati e sulla qualificazione giuridica della condotta degli agenti ai quali e’ valso la contestazione del reato di cui all’articolo 583 codice penale, da altri commesso in danno del ricorrente.
4. Non puo’, dunque, condividersi il precedente (Sez. 6, n. 2805 del 20/11/2006 (dep. 2007), Zitelli, Rv. 235722) richiamato nei motivi di ricorso, che si riferisce a fattispecie (articolo 341 codice penale) in relazione alla quale la contestazione di una mera circostanza aggravante della condotta, riguardante, quindi modalita’ secondarie, non aveva comportato una modifica della qualificazione giuridica del fatto, contrariamente al caso in esame in cui la divergenza del racconto ha riguardato modalita’ essenziali della condotta, divergenti da quelle effettivamente accadute.
5. Consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
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