In tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, rileva la nozione di malattia non solo fisica ma anche della mente, di portata “più ampia di quelle concernenti l’imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d’ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento

Ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 571 cod. pen. il pericolo di una malattia fisica o psichica non deve essere accertato necessariamente attraverso una perizia medico – legale, ma può essere desunto anche dalla natura stessa dell’abuso, secondo le regole della comune esperienza; e può ritenersi, senza bisogno di alcuna indagine eseguita sulla base di particolari cognizioni tecniche, allorquando la condotta dell’agente presenti connotati tali da risultare suscettibile in astratto di produrre siffatta conseguenza. Né occorre, trattandosi di tipico reato di pericolo, che questa si sia realmente verificata, atteso che l’esistenza di una lesione personale è presa in considerazione come elemento costitutivo della ipotesi diversa e più grave prevista dal secondo comma dell’art. 571

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI penale

sentenza 25 gennaio 2017, n. 3801

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato quella emessa dal Tribunale di Palmi il 02/12/2013 con la quale F. T. è stato condannato alla pena di un mese di reclusione, oltre alle statuizioni in favore della parte civile costituita, perché ritenuto responsabile del reato di abuso dei mezzi di correzione e di disciplina (art. 571 cod. pen.) in danno di allievi a lui affidati, frequentatori di un istituto di pubblica istruzione sito in Palmi (Re).
La Corte territoriale ha ritenuto infondate le doglianze dell’appellante riguardanti la credibilità dei minori sentiti come testimoni e ritenuto congrua la ricostruzione degli eventi, respingendo, infine, anche le censure circa la commisurazione della pena.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, che con i primi due motivi di ricorso, ripercorrendo le cadenze argomentative dell’atto di appello, si duole che la sentenza impugnata abbia considerato in via esclusiva uno degli episodi contestati a titolo di abuso (la ‘manata’ inferta all’allievo A. F.), trascurando gli altri e omettendo in tal modo di confrontarsi con i fatti specifici in addebito nonché con il problema della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 571 cod. pen. e in particolare del presupposto del ‘pericolo di malattia’.
Deduce, inoltre, violazione dell’art. 133 cod. pen. perché, nel confermare la sentenza di primo grado, la Corte d’appello ha omesso di specificare il peso attribuito alle varie condotte ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio nonché di adeguare il dispositivo alla motivazione della prima sentenza, in cui gli era stato riconosciuto il diritto alla sospensione condizionale della pena.

Considerato in diritto

1. Il ricorso si rivela complessivamente generico oltre che manifestamente infondato nel merito e come tale deve essere dichiarato inammissibile.
2. L’atto di appello si appuntava, infatti, quasi esclusivamente (pagg. 2-5 sulle sette in totale) sull’episodio della ‘manata’ inferta al minore A. F., così che, soffermandosi su di esso, la Corte territoriale ha assolto all’obbligo di affrontare gli specifici punti della decisione oggetto del gravame (art. 597, comma 1 cod. proc. pen.), del che ora il ricorrente non può affatto dolersi.
Il T. deduce, inoltre, che la sentenza d’appello avrebbe omesso di considerare la sussistenza del pericolo di malattia, quale elemento indefettibile del reato di cui all’art. 571 cod. pen.
Con l’atto d’appello egli aveva, infatti, denunziato assoluta carenza probatoria sul punto anche olla luce di una evidente inadeguatezza dell’intero contesto scolastico” in seno al quale aveva dovuto prestare “la sua attività lavorativa in clima di grande ostilità, incomprensione e disistimai
Balza, dunque, evidente la sostanziale genericità della doglianza, talché con una sintetica ma puntuale ricostruzione del complesso delle condotte contestate (rimproveri, ingiurie, offese verbali, grida, pacche sulla schiena, strattonamenti per la maglia, lancio di un banco), la Corte d’appello ha assolto al compito di fornire adeguata ed esauriente motivazione della sussistenza dei requisiti del reato contestato.
Vale, infatti, ricordare che in tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, rileva la nozione di malattia non solo fisica ma anche della mente, di portata “più ampia di quelle concernenti l’imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d’ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento (Sez. 6, sent. n. 16491 del 07/02/2005, Cagliano ed altro, Rv. 231452)
Ed inoltre ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 571 cod. pen. “il pericolo di una malattia fisica o psichica non deve essere accertato necessariamente attraverso una perizia medico – legale, ma può essere desunto anche dalla natura stessa dell’abuso, secondo le regole della comune esperienza; e può ritenersi, senza bisogno di alcuna indagine eseguita sulla base di particolari cognizioni tecniche, allorquando la condotta dell’agente presenti connotati tali da risultare suscettibile in astratto di produrre siffatta conseguenza. Né occorre, trattandosi di tipico reato di pericolo, che questa si sia realmente verificata, atteso che l’esistenza di una lesione personale è presa in considerazione come elemento costitutivo della ipotesi diversa e più grave prevista dal secondo comma dell’art. 571” (Sez. 6, sent. n. 6001 del 01/04/1998, D. C. M, Rv. 210535)
3. Quanto alla commisurazione della pena, si è al cospetto di una misura talmente modesta da apparirne del tutto giustificata la determinazione onnicomprensiva operata dal giudice d’appello in relazione alla pluralità delle condotte in concreto ascritte al ricorrente.
La questione del mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena di cui all’art. 163 cod. pen. o meglio della mancata previsione in dispositivo di quanto, invece, era stato positivamente riconosciuto in motivazione dal giudice di primo grado risulta, infine, inammissibile non essendo stata dedotta con l’atto di appello, in espressa violazione, pertanto, del disposto di cui all’art. 606, comma 3 cod. proc. pen., ultima ipotesi.
4. Alla dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione segue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in Euro 1.500,00 (millecinquecento).

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 (millecinquecento) in favore della cassa delle ammende

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