Rigettata la richiesta della moglie per l’annullamento del matrimonio in conseguenza dell’orchite epididimite sofferta dal marito. La Corte ha rilevato che non si trattava di un problema tale da incidere sulla fertilità visto che la malattia era perfettamente curabile con apposito antibiotico.
Suprema Corte di Cassazione
sezione VI civile
ordinanza 13 febbraio 2017, n. 3742
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere
Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30231/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’Avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta mandato a margine del controricorso;
– controricorrente –
nonche’ da:
avverso la sentenza n. 1331/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 25/08/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/07/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MARIA ACIERNO;
udito l’Avvocato Maurizio Moro per delega dell’Avvocato (OMISSIS) difensore della ricorrente che si riporta agli atti;
udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore del resistente che si riporta agli scritti.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che e’ stato depositata la seguente relazione in ordine al procedimento civile iscritto al R.G. 30231/2014:
“Nel 2013, il Tribunale di Palermo rigettava la domanda avanzata dalla sig.ra (OMISSIS) nei confronti del marito sig. (OMISSIS) volta ad ottenere l’annullamento del matrimonio per essere stata ingannata sull’esistenza di una malattia (orchide epididimite) della quale il sig. (OMISSIS) era affetto e che, pregiudicando la procreazione ed il normale svolgimento della vita coniugale, aveva viziato il suo consenso al matrimonio, che non avrebbe prestato se fosse stata a conoscenza dell’infermita’.
In sede d’Appello, la sig.ra (OMISSIS) impugnava la decisione per i seguenti motivi:
1) Il Tribunale aveva erroneamente applicato il disposto dell’articolo 122 c.c., in quanto doveva essere attribuito il giusto rilievo, come chiedeva la norma, alle condizioni personali dell’attrice, il cui consenso al matrimonio era stato indubbiamente viziato dalla mancata conoscenza della malattia della quale era affetto il sig. (OMISSIS), dato che la sig.ra (OMISSIS) aveva contratto il matrimonio essenzialmente in vista della prole;
2) Non era stato adeguatamente valutato l’impatto che la conoscenza della patologia della quale era affetto il sig. (OMISSIS) aveva avuto in concreto sulla sig.ra (OMISSIS).
Il giudice d’Appello, confermando la sentenza gravata, respingeva il ricorso sulla base delle seguenti argomentazioni: la lettura della norma che ha fatto l’appellante e’ parziale, dato che tale incidenza soggettiva dell’errore presuppone che esso riguardi l’esistenza di una malattia fisica o psichica o di un’anomalia o deviazione sessuale tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale. Nel sistema delineato dall’articolo 122 c.c., l’errore essenziale che consente al coniuge l’impugnazione del matrimonio non e’ collegato alle reazioni soggettive che la scoperta della malattia preesistente al matrimonio puo’ determinare nel coniuge che ne era all’oscuro, ma riguarda esclusivamente il verificarsi di una malattia di gravita’ tale da incidere sulle relazioni intersoggettive in generale e da vanificare la vita coniugale in particolare, secondo le normali aspettative del coniuge in errore. Quella manifestata dal convenuto non e’ una malattia tale da impedire il normale svolgimento della vita coniugale. Dunque non rileva la particolare incidenza che la conoscenza della malattia avrebbe avuto sulla volonta’ dell’altro coniuge.
Peraltro dalle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio svolta nel primo grado del giudizio era emerso che la malattia era insorta subito dopo il matrimonio e non prima. Avverso tale pronuncia veniva proposto ricorso per Cassazione dalla sig.ra (OMISSIS) affidato al seguente unico motivo:
1) Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’articolo 122 c.c. e all’articolo 346 c.p.c.: il ricorrente evidenziava una errata interpretazione ed applicazione dell’articolo 122 c.c. e di cio’ si aveva immediata conferma procedendo alla lettura integrale della sentenza, nella quale si afferma che il giudice debba procedere alla valutazione della rilevanza dell’infermita’, ma cio’ riguardo alle aspettative del coniuge in errore, tenendo presenti le sue condizioni e tutte le circostanze obbiettive emergenti dagli atti. La ratio della disciplina delle nullita’ matrimoniali risiede nella necessita’ di valorizzare l’aspetto della percezione della patologia, anziche’ quello della effettiva qualificazione clinica.
Il sig. (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
Il ricorso e’ manifestamente infondato. Risulta che la ricorrente abbia solo parzialmente censurato quanto affermato dalla sentenza del Giudice d’Appello, il quale ha ampiamente illustrato la questione in fatto e in diritto.
L’articolo 122 c.p.c., afferma che l’essenzialita’ dell’errore sulle qualita’ personali sussiste qualora l’errore riguardi, tra gli altri, l’esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale. E’ orientamento consolidato di questa Corte (Cass. 4876 del 2006; 3407 del 2013) che il coniuge che impugna il matrimonio per errore ai sensi del predetto articolo 122, e’ tenuto a provare l’esistenza di una malattia fisica o psichica dell’altro coniuge e la mancata conoscenza della stessa prima della celebrazione del matrimonio, alla influenza di detta mancata conoscenza sul proprio consenso, mentre e’ rimesso al giudice l’apprezzamento della rilevanza della infermita’ ai fini dell’ordinario svolgimento della vita familiare. Nel caso di specie, la mancata conoscenza da parte della sig.ra (OMISSIS) della malattia di cui era affetto il marito prima della celebrazione del matrimonio non sussiste dal momento che risulta che il sig. (OMISSIS) sia risultato affetto dalla predetta malattia solo in costanza di matrimonio. Inoltre, sia il giudice di primo grado prima che quello di secondo grado poi, hanno ampiamente riportato le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, neanche minimamente contestate dal ricorrente, secondo cui l’orchiepididimite e’ un processo flogistico delle vie seminali che, trattato con comuni antibiotici, regredisce abitualmente senza esiti sulla capacita’ fecondativa dell’uomo.
L’esame obiettivo e gli accertamenti eseguiti sul sig. (OMISSIS) non mostrano condizioni tali da impedire la procreazione in assoluto. Pertanto, tale malattia non costituisce un impedimento al normale svolgimento della vita coniugale.
In conclusione ove si condividano i predetti rilievi il ricorso deve essere respinto”.
Il collegio condivide senza rilievi la relazione, rigetta il ricorso ed applica il principio della soccombenza in ordine alle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e per l’effetto condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio da liquidarsi in Euro 3.000,00 per compensi e Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge. Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalita’ di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalita’ e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella ordinanza.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis
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