Suprema Corte di Cassazione
sezioni unite
sentenza 13 febbraio 2015, n. 2889
Svolgimento del processo
Il dottor M.C. , giudice del Tribunale di Sulmona, veniva sottoposto a procedimento disciplinare ai sensi degli artt. 1 primo comma e 2 primo comma lettera q) del D. LGS. 23-2-2006 n. 109 per avere ritardato in modo reiterato, grave ed ingiustificato il compimento di atti relativi all’esercizio delle proprie funzioni di giudice del lavoro del Tribunale di Chieti; in particolare veniva contestato al menzionato magistrato di aver depositato nel periodo compreso tra l’11-1-2006 ed il 30-12-2010 con ritardi superiori al triplo del termine concesso dalla legge la motivazione di 530 sentenze e 132 ordinanze riservate, con la specificazione che in 3 casi il ritardo nel deposito delle sentenze aveva superato tre anni, in 83 casi due anni, in 137 l’anno, in 132 casi 120 giorni; in 19 casi la riserva era stata sciolta dopo sei mesi, in 42 casi dopo 90 giorni.
La Sezione Disciplinare del CSM con sentenza del 12-5-2014 ha dichiarato il M. responsabile della incolpazione ascrittagli e gli ha inflitto la sanzione della censura; al riguardo, premesso che non era contestabile la ricorrenza nella specie dei requisiti della reiterazione e della gravità dei ritardi, sì trattava soltanto di stabilire se detti ritardi potessero essere giustificati dalle circostanze addotte dall’incolpato, ed in particolare dall’eccessivo carico di lavoro e dalle sue precarie condizioni di salute.
La Sezione Disciplinare ha escluso la sussistenza della prima circostanza, caratterizzata dall’aver svolto il M. le sue funzioni di giudice del lavoro presso il Tribunale di Chieti quale giudice unico (fatta eccezione per il periodo dal 2001 al 2004) e per aver al tempo stesso assolto l’incarico di giudice tributario dal 2005 al 2010 con una notevole produttività quale Presidente del Collegio; invero, in presenza di ritardi in 3 casi superiore a tre anni, in 83 casi superiore a due anni ed in 137 casi superiore ad un anno, non poteva certo rappresentare una idonea causa di giustificazione la pur incontestabile laboriosità personale del M. , specie considerando che la sua attività giurisdizionale si era svolta quasi esclusivamente in materia di lavoro e previdenziale, e che la sua funzione di giudice tributario era stata dallo stesso sollecitata, mentre proprio il lamentato carico di lavoro avrebbe dovuto suggerire di non esercitare altre funzioni oltre quella di giudice del lavoro: quanto poi alle carenze di organico, si trattava di circostanze comuni alla gran parte degli uffici giudiziari del nostro Paese, che non potevano di per sé essere considerate eccezionali.
Con riferimento poi alle condizioni di salute del M. come documentate dagli organismi pubblici a tal fine deputati, esse non erano tali da configurare quelle situazioni eccezionali e transitorie che, tenuto conto della reiterazione e della gravità dei ritardi, potessero assumere rilievo giustificativo; del resto, qualora le sue condizioni di salute avessero ostacolato o impedito l’esercizio delle sue funzioni, il M. avrebbe avuto l’onere di ricorrere a quegli istituti che comportano la sospensione e/o la cessazione del rapporto di pubblico impiego senza incorrere in quei ritardi pluriennali che si traducono in autentiche forme di denegata giustizia; d’altra parte l’affermata laboriosità dell’incolpato valeva di per sé a smentire quel carattere impeditivo delle funzioni giurisdizionali che sarebbe derivato dalle condizioni di salute dell’incolpato.
La sentenza impugnata ha inoltre ritenuto che al di là degli attestati rilasciati dal locale Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, i ritardi contestati avevano pregiudicato, sia sotto il profilo della loro gravità che sotto quello della reiterazione, il prestigio del magistrato e dell’intero ordine giudiziario, e fossero quindi preclusivi dell’applicazione dell’esimente di cui all’art. 3 bis del D.LGS. 23-2-2006 n. 109; pertanto doveva essere affermata la responsabilità dell’incolpato con la condanna, motivata dalla laboriosità e dalle imperfette condizioni di salute, alla sanzione minima della censura.
Per la cassazione di tale sentenza il dottor M. ha proposto un ricorso articolato in tre motivi;
il Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente, denunciando mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla mancata o pretermessa valutazione della perizia del dottor P. versata in atti, rileva che la sentenza impugnata, nell’escludere rilievo giustificativo alle condizioni di salute dell’esponente “quali documentate dagli organismi pubblici a ciò deputati”, ha svolto un ragionamento manifestamente tautologico e privo delle ragioni che dovrebbero supportare tale convincimento; inoltre assume che è stato omesso l’esame della menzionata perizia di parte, in relazione alla quale era stata formulata in data 25-3-2014 istanza di ammissione di prova testimoniale del dotto P. quale estensore della stessa, rigettata con decreto del 27-3-2014 del Presidente della Sezione Disciplinare, che aveva ritenuto che non si ravvisava “la rilevanza delle escussioni testimoniali richieste stante la natura documentale sia delle contestazioni che delle circostanze di prova”; orbene alla luce di tale provvedimento contraddittoriamente la Sezione Disciplinare ha omesso ogni valutazione su tale perizia di parte e sulle conclusioni del perito in ordine alla sicura eziologia esistente tra la grave patologia certificata e riconosciuta a carico del dottor M. (stato ansioso con somatizzazioni viscerali cardiache ed intestinali, ipertensione arteriosa non controllata dalla terapia farmacologica, aritmie ipercinetiche ventricolari e sopraventricolari”) ed i ritardi contestati.
Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione dell’art. 606 primo comma lettera d) c.p.p., assume che, nell’ipotesi che non si ritenesse dovuta la valutazione della sopra richiamata perizia di parte, viene censurata la mancata ammissione della prova testimoniale riguardante l’escussione del dottor P. , che avrebbe condotto logicamente ad escludere la responsabilità disciplinare del dottor M. , stante l’idoneità del suo stato patologico a giustificare tutti i ritardi contestatigli; infatti nella suddetta perizia il dottor P. aveva concluso che “il complesso patologico” da cui era affetto l’esponente “per la natura ed entità delle affezioni, ha inciso pesantemente e negativamente sulla capacità lavorativa del Dott. M.C. , determinando di fatto una rilevante riduzione delle performances lavorative dello stesso, con incidenza non sotto il profilo qualitativo bensì sotto quello quantitativo e della tempistica richiesta”.
Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando inosservanza o erronea applicazione dell’art. 606 primo comma lettera b) c.p.p. in relazione all’art. 2 primo comma lettera q) del D. LGS. 23-2-2006 n. 109, premesso che uno stato di salute del magistrato compromesso in rapporto di causalità specifica con i ritardi nel deposito dei provvedimenti oggetto di contestazione indubbiamente costituisce una causa giustificativa degli stessi, evidenzia che l’esponente soffriva nel periodo oggetto di contestazione di uno “Stato ansioso con somatizzazioni viscerali cardiache e intestinali”, infermità qualificata espressamente con D. M. n. 5182 ter del 13-7-2006 quale aggravamento della “Sindrome ansiosa reattiva” già riconosciuta come dipendente da causa di servizio ed indennizzata con D. M. n. 5182/96 e D.M. n. 5182 bis/96; inoltre la sopra richiamata perizia di parte del dottor P. attestava chiaramente la stretta correlazione tra le condizioni di salute dell’incolpato e le sue capacità lavorative, cosicché tali condizioni di salute assumevano rilievo giustificativo anche per il ritardo nel deposito di provvedimenti superiori ad un anno, per la giustificabilità dei quali è richiesto il concorso di fattori eccezionali e proporzionati alla particolare gravità dei ritardi stessi, come appunto nella specie, avuto riguardo anche alle oggettive difficoltà dell’ufficio in cui lavorava il M. ed all’immane carico di lavoro; il ricorrente ritiene poi infondato il rilievo della sentenza impugnata secondo cui eventualmente l’esponente, qualora le sue condizioni di salute avessero effettivamente pregiudicato l’esercizio delle sue funzioni, avrebbe dovuto ricorrere agli istituti della sospensione o della cessazione dal rapporto di pubblico impiego; invero tale fatto era diverso da quello oggetto di contestazione e sfornito della necessaria consequenzialità logica con la circostanza giustificativa del ritardo; e d’altra parte, se da un lato si accredita il convincimento che il dedotto stato di salute avrebbe potuto o dovuto indurre l’esponente ad una richiesta come quella prospettata dalla sentenza impugnata, confermando pertanto che detto stato era incidente sui ritardi e dunque causa giustificativa degli stessi, dall’altro è singolare che potesse pretendersi da un soggetto che giustificava una propria incapacità temporanea con una sofferta contingente patologia un comportamento verosimilmente anch’esso compromesso dalla medesima patologia.
Gli enunciati motivi, da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione, sono infondati.
La sentenza impugnata ha puntualmente valutato le circostanze addotte dall’incolpato a giustificazione dei ritardi particolarmente gravi e reiterati riscontrati nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali anche con specifico riferimento alle asserite precarie condizioni di salute del dottor M. quali documentate dagli organismi pubblici al riguardo preposti, ritenendole inidonee a configurare quelle situazioni eccezionali e transitorie che, in considerazione della reiterazione e della gravità dei ritardi, sole possono assumere rilievo giustificativo; è quindi evidente che la Sezione Disciplinare del CNF ha puntualmente indicato le fonti del suo convincimento, ritenendo probanti le attestazioni in tal senso emergenti dalla documentazione rilasciata dagli enti pubblici a ciò deputati, e quindi disattendendo implicitamente le diverse conclusioni contenute nella perizia di parte prodotta dall’incolpato; d’altra parte la sentenza impugnata ha aggiunto che, qualora le condizioni di salute avessero effettivamente pregiudicato il corretto svolgimento delle sua attività lavorativa, il dottor M. avrebbe dovuto ricorrere a quegli istituti che consentono la sospensione e/o la cessazione del rapporto di pubblico impiego, evitando così di rendersi responsabile dei gravi ritardi riscontrati nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali.
Orbene tali argomentazioni sono immuni dalle censure al riguardo sollevate dal ricorrente, considerato anzitutto che in tema di ritardi del giudice nel deposito di provvedimenti giudiziari, l’allegazione di cause di giustificazione può escludere la punibilità se esse siano pregnanti, oggettive ed idonee a contrastare la contestazione e sempre che i ritardi non siano talmente prolungati, reiterati e sistematici da superare la soglia della ragionevolezza e della giustificabilità e da concretare un diniego di giustizia con conseguente lesione del prestigio dell’ordine giudiziario (Cass. S.U. 17-1-2012 n. 528); tanto premesso, deve poi richiamarsi l’orientamento già espresso da questa Corte secondo cui i ritardi nel deposito dei provvedimenti, quando per la reiterazione e l’entità superino ogni limite di tollerabilità e ragionevolezza (come appunto nella fattispecie), integrano gli estremi dell’illecito disciplinare di cui all’art. 2 primo comma lettera q) del D. LGS. 24-2-2006 n. 109, costituendo palese violazione del dovere fondamentale di diligenza del magistrato, e ciò anche nei casi di accertata laboriosità dello stesso e di sussistenza di ragioni personali estranee all’ambiente di lavoro che abbiano influito sulla sua attività, le quali non possono risolversi in un ostacolo al buon funzionamento del servizio giustizia e lasciano aperte, ove il magistrato non sia in grado di svolgere il proprio lavoro in condizioni di apprezzabile serenità ed efficienza, le vie consentite dall’ordinamento giudiziario per potersi assentare temporaneamente dal servizio, quali congedi straordinari e aspettative per motivi familiari (Cass. S.U. 17-5-2013 n. 12108); correttamente quindi la sentenza impugnata ha affermato che, qualora le condizioni di salute del dottor M. fossero state tali di pregiudicare il regolare svolgimento delle sue funzioni giurisdizionali, egli avrebbe potuto usufruire degli istituti che regolano la sospensione e/o la cessazione del rapporto di pubblico impiego, e quindi eventualmente chiedere un periodo di congedo straordinario, evitando così di incorrere nei sopra evidenziati ritardi nel deposito dei provvedimenti; né è comprensibile come le condizioni di salute del dottor M. evidenziate nel ricorso avrebbero impedito allo stesso di rendersi conto della opportunità di ricorrere a detti istituti; è quindi evidente che la richiamata statuizione della sentenza impugnata è assorbente di tutti i profili di censura attinenti alla asserita mancata valutazione delle condizioni di salute dell’incolpato come emergenti dalla sopra richiamata perizia di parte.
Deve poi aggiungersi che neppure risulta censurata, quantomeno in termini specifici, l’ulteriore affermazione della Sezione Disciplinare del CNF secondo cui la asserita laboriosità dell’incolpato valeva di per sé a smentire quel carattere impeditivo delle funzioni giurisdizionali che sarebbe derivato dalle condizioni di salute dell’incolpato.
Infine, premesso che, come sopra già esposto, i ritardi contestati al dottor M. sono sicuramente molto gravi e reiterati, avendo superato in 3 casi addirittura i tre anni, deve ritenersi che la durata di un anno nel ritardo nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali rende ingiustificabile la condotta dell’incolpato, se non siano allegate da quest’ultimo ed accertate dalla Sezione Disciplinare circostanze assolutamente eccezionali che giustifichino l’inottemperanza del precetto sui termini di deposito (Cass. S.U. 13-9-2011 n. 18697); tra le eccezionali circostanze che possono giustificare il ritardo di un anno non rientra la buona laboriosità del magistrato, che è doveroso in ogni caso per il magistrato assicurare (Cass. S.U. 26-4-2012 n. 6490), venendo in rilievo il dato oggettivo della lesione del diritto delle parti alla durata ragionevole del processo di cui all’art. Ili secondo comma Cost. e 6 paragrafo 1 CEDU, in quanto tale lesione evidenzia, in concreto, il superamento della soglia di giustificazione della condotta ed è idonea, di per sé, ad incidere sul prestigio della funzione giurisdizionale (Cass. S.U. 25-1-2013 n. 1768); pertanto deve escludersi che le ragioni giustificative di tali ritardi addotte dal ricorrente siano fondate, avuto altresì riguardo agli accertamenti in fatto compiuti dalla sentenza impugnata in ordine alla ritenuta insussistenza di situazioni di eccezionale carico di lavoro presso l’ufficio giudiziario dove il dottor M. svolgeva le funzioni giurisdizionali, caratterizzato da carenze di organico comuni alla gran parte degli uffici giudiziari italiani.
Il ricorso deve quindi essere rigettato; non occorre procedere ad alcuna statuizione in ordine alle spese di giudizio, non avendo la parte intimata svolto alcuna attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
La Corte Rigetta il ricorso.
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