segue pagina antecedente
[…]
La Commissione Provinciale accoglieva il ricorso della contribuente, La CTR della Lombardia, adita con ricorso in appello proposto dall’Agenzia, con sentenza n. 115/28/2010 del 29.1/11.6.2010 rigettava il gravame e confermava la decisione di prime cure.
Avverso tale decisione, ha proposto ricorso l’Agenzia, affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso (OMISSIS) s.p.a., nella predetta qualita’ di incorporante di (OMISSIS) s.p.a. E’ stata depositata, nelle more dell’udienza, memoria difensiva da parte della stessa contro ricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, articolo 7 (rectius, 6) come modificato dal Decreto Legge 12 luglio 2004, n. 168, conv. dalla L. 30 luglio 2004, n. 191; Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 106 e L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 3 in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
L’Agenzia rileva, in particolare, che non incorre nel divieto di retroattivita’, sancito dalla L. n. 212 del 2000, articoli 1 e 3 l’interpretazione del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articolo 7 {rectius, 6) come modificato dal Decreto Legge n. 168 del 2004, articolo 2 “invertito con modificazioni dalla L. n. 191 del 2004, secondo la quale diverrebbero indeducibili, a decorrere dall’esercizio 2005, anche le quote (c.d. “noni pregressi”) delle svalutazioni sui crediti gia’ considerate deducibili ai sensi dell’articolo 106, comma 3 t.u.i.r., dal momento che il diritto alla deduzione in nove quote costanti di tali “noni” non avrebbe un ambito di operativita’ pluriennale e, quindi, non potrebbe configurarsi come “gia’ acquisito” al momento dell’entrata in vigore delle predette modifiche normative; di qui la conclusione che le deduzioni consentite nella determinazione del reddito di esercizio potevano essere soltanto quelle previste dalla normativa in vigore nell’anno di riferimento (dovendosi ritenere che, quando la deduzione di una quota non e’ piu’ consentita da una normativa sopravvenuta, la deduzione stessa non possa piu’ essere operata anche se il suo ammontare e’ determinato in base a valori capitali contabilizzati in esercizi anteriori).
Secondo la societa’ contribuente, invece, il diritta di imputare al valore della produzione imponibile ai fini Irap i c.d. noni relativi alle svalutazioni operate sui crediti esposti in bilancio si consolida nel periodo di imposta in cui tali rettifiche sono operate ed imputate nel conto economico, ex articolo 106, comma 3 t.u.i.r., ed il differimento della deduzione assume valenza meramente finanziaria.
2. Il motivo di ricorso e’ infondato.
Ai fini di un conveniente inquadramento dei termini della questione giuridica controversa, concernente il regime tributario applicabile ai fini Irap, nella specie con riferimento ad un’impresa esercente attivita’ finanziaria, ed alle rettifiche di valore operate su crediti risultanti dal bilancio di esercizio, va premesso che, sulla base del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articolo 6 per le imprese assicurative, bancarie ed esercenti attivita’ finanziarie, la deduzione delle svalutazioni, al fine della determinazione del valore della produzione netta, sino al 2005 veniva frazionata pro’ quota nell’esercizio in corso e nei nove esercizi successivi. La ratio della introduzione di tali quote era quella di realizzare un miglior adeguamento della normativa fiscale a quella civilistica, riconoscendo le svalutazioni imputate al conto economico al fine di allineare il valore fiscale del credito a quello risultante in bilancio, con un limite massimo di deducibilita’ per singolo esercizio.
Tale regime tributario e’ mutato a partire dall’esercizio 2005 per effetto del Decreto Legge n. 168 del 2004, “invertito dalla L. n. 191 del 2004, che ha modificato del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, l’articolo 6 abrogandone le lettera e) ed n) a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto stesso. In attuazione della richiamata modifica legislativa, dunque, dall’anno 2005 le perdite e le svalutazioni relative ai crediti esposti in bilancio non erano piu’ deducibili ai fini Irap.
3. In mancanza di disposizioni transitorie, non ha mancato di proporsi all’attenzione degli interpreti la questione relativa all’applicabilita’ della predetta disciplina anche alla deduzione pluriennale dei c.d. “noni pregressi” delle svalutazioni e perdite su crediti verso la clientela gia’ realizzate negli esercizi precedenti. In ordine a tale problematica, questa Corte ha adottato un orientamento ormai consolidato, al quale il Collegio intende dare continuita’ (cfr., fra tutte, Cass. sez. 5, 04/04/2012, n. 5403; Cass. sez. 5, 21/01/2015, n. 1111; Cass. sez. 5, 22/05/2015, n. 10591; Cass., sez. 5, 21/12/2016, n. 26597), in virtu’ del quale appare coerente col quadro normativo di riferimento ritenere che la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio di esercizio determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale dei ricavi, onde l’indeducibilita’ introdotta dal Decreto Legge n. 168 del 2004, articolo 2, comma 2, a partire dall’esercizio 2005 non attinge le quote di competenza degli esercizi anteriori, in quanto relative a svalutazioni di crediti operate nei corrispondenti bilanci, ed oggetto, quindi, di una situazione giuridica sostanziale gia’ consolidata.
Pertanto, al differimento della deduzione pluriennale dei “noni pregressi” va attribuita valenza esclusivamente finanziaria, costituendo una semplice modalita’ di deduzione non incidente sulla competenza fiscale, che resta fissata nell’esercizio in cui il fatto che ha dato origine alla agevolazione (perdita o svalutazione di crediti) si e’ realizzato ed e’ stato rilevato contabilmente. Da cio’ discende che la deducibilita’ in piu’ annualita’ costituisce un diritto acquisito, sul quale non puo’ avere effetto la predetta modifica legislativa, posto che, diversamente, si verrebbe ad attribuire alla legge successiva valore retroattivo, in violazione del principio di cui all’articolo 11 preleggi e, per le leggi tributarie, alla L. 27 luglio 2000, n. 212, articolo 3 (Statuto del contribuente), in mancanza di una chiara previsione di retroattivita’ (cfr. Cass. sez. 5, 09/12/2009, n. 25722; Cass. sez. 5, 13/04/2012, n. 5853).
La sentenza impugnata, pertanto, nel fare sostanziale applicazione di tali principi, si sottrae alle censure formulate dal ricorrente ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3.
4. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate deve essere, pertanto, rigettato. Le spese del giudizio vanno compensate fra le parti, in considerazione del fatto che l’orientamento giurisprudenziale di legittimita’ in materia si e’ consolidato soltanto in epoca successiva alla proposizione del ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del giudizio.
Leave a Reply