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– che il motivo e’ palesemente infondato, ponendosi in contrasto con il principio piu’ volte ribadito da questa Corte secondo cui “in tema di sanzioni tributarie, dovendo la violazione meramente formale non punibile rispondere a due concorrenti requisiti – non arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo – il ritardo nel versamento del tributo”, che e’ l’ipotesi di specie, pacificamente ammessa dalla stessa ricorrente, “integra una violazione sostanziale e non formale ed e’ sanzionato dal Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13, in quanto incide sul versamento del tributo ed arreca pregiudizio all’incasso erariale” (cfr. Cass. n. 4960 del 2017), nella specie neppure escluso dalla ricorrente, che ne sostiene, pur non dimostrandola, l’irrisorieta’, essendosi altresi’ precisato che “ogni ritardato incasso integra una violazione sostanziale verso il fisco e giammai una violazione solo formale trovando la sanzione dell’articolo 13 cit. fondamento nei principi generali del diritto delle obbligazioni e, in particolare, nella mora ex re riguardo alla scadenza del termine per la prestazione “nummaria” da eseguirsi al domicilio del creditore (articolo 1219 c.c.; v. Cass. 5897/13 cit.). Il che porta ad escludere qualsiasi dubbio di tenuta costituzionale attesa la ratio di certezza e stabilita’ del gettito fiscale, che e’ sottesa alla normativa in esame, a nulla rilevando che il debito d’imposta possa trovare compensazione o elisione in una successiva fase del procedimento tributario, nella specie quella della dichiarazione annuale, atteso il transitorio deficit di cassa che si viene a creare per effetto dell’inadempimento delle parte tenuta al versamento periodico salvo conguaglio” (v., in motivazione, Cass. n. 23755 del 2015);
– che con il secondo motivo la ricorrente deduce la nullita’ della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla domanda di applicazione anche alle sanzioni inflitte per il ritardo nel versamento dell’IVA dovuta per l’anno di imposta 2002, delle agevolazioni previste dall’istituto del ravvedimento operoso nonche’ sulla domanda di applicazione del cumulo giuridico;
– che il motivo e’ infondato con riferimento alla prima questione posta, in quanto i giudici di appello, dopo aver dato atto che “l’omesso o il tardivo versamento delle imposte da corrispondere in tempo determinato ha una incidenza sostanziale, hanno affermato che per tale violazione “non e’ prevista, nel caso del suo accertamento, alcuna riduzione o agevolazione” (sentenza, pag. 2), giungendo ad escludere anche il beneficio del pagamento ridotto previsto dal Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 17, comma 2 e articolo 16, comma 3;
– che il secondo profilo di doglianza prospettato nel motivo in esame e’ inammissibile per difetto di autosufficienza, avendo la ricorrente omesso di indicare il tempo ed il modo di deduzione nel giudizio di merito, e fin dal primo grado, della domanda che assume essere stata pretermessa dai giudici di appello, non essendo all’uopo idonea la trascrizione del contenuto del “punto 4 della comparsa” depositata in appello, in cui la richiesta di applicazione dell’istituto del cumulo giuridico di cui al Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 12, e’ riferito esclusivamente alle “sanzioni del ravvedimento, cosi’ come indicato al precedente punto 3” del predetto atto difensivo; in ogni caso, il motivo e’ infondato impattando con il principio affermato da questa Corte (Cass. n. 1540 del 2017) e condiviso dal Collegio, secondo cui “le violazioni tributarie che si esauriscono nel tardivo od omesso versamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione fiscale non sono soggette all’istituto della continuazione disciplinato dal Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 12, comma 2, perche’ questo concerne le violazioni potenzialmente incidenti sulla determinazione dell’imponibile o sulla liquidazione del tributo, mentre il ritardo o l’omissione del pagamento e’ una violazione che attiene all’imposta gia’ liquidata, per la quale il Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13, dispone un trattamento sanzionatorio proporzionale ed autonomo per ciascun mancato pagamento”;
– che, in estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara l’inammissibilita’ del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze, compensando tra le parti le spese processuali; rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente costituita, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
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