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1. Con sentenza del 18 febbraio 2016 la Corte di Appello di Milano ha confermato la sentenza del 14 aprile 2015 del Tribunale di Lodi, in forza della quale (OMISSIS) era stato condannato alla pena di anni due mesi sei di reclusione ed Euro 400 di multa per il reato di cui all’articolo 81 cpv. c.p., L. 20 febbraio 1958, n. 75, articolo 3, n. 5 e 8, con l’aggravante di cui all’articolo 4 della medesima legge, oltre alle sanzioni interdittive e con le attenuanti generiche equivalenti rispetto all’aggravante contestata ed alla recidiva.
2. Avverso il predetto provvedimento l’imputato, a mezzo del difensore, ha proposto ricorso per cassazione con tre articolati motivi d’impugnazione.
2.1. Col primo motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla fattispecie di cui alla citata Legge, articolo 3.
In particolare, il ricorrente ha osservato che la mera pubblicazione di annunci pubblicitari di prostitute sul sito web doveva interpretarsi come servizio reso a favore della persona che esercita il meretricio e non della prostituzione, attesa tra l’altro l’assenza di condotte tali da favorire il contatto tra prostituta e cliente. Non vi era poi la prova che l’uso della fotocopia del documento necessario per concludere il contratto di annunci pubblicitari fosse stato autorizzato dal titolare, mentre la sola sottoscrizione del contratto di locazione dell’immobile non rappresentava di per se’ condotta di favoreggiamento della prostituzione nel difetto della consapevolezza che ivi si sarebbe svolta attivita’ di meretricio.
2.2. Col secondo motivo di censura e’ stata dedotta la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e) in relazione agli articoli 520, 521, 522 e 527 c.p.p., atteso che il Tribunale aveva ritenuto sussistente in fatto l’aggravante di cui alla citata Legge, articolo 4, senza che al riguardo ve ne fosse traccia nel capo d’imputazione, ne’ vi era stata contestazione nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
In specie non vi era comunque prova della consapevolezza da parte dell’imputato dell’esistenza di piu’ persone all’interno dell’appartamento.
2.3. Col terzo motivo infine il ricorrente ha lamentato il diniego di concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, dal momento che i fatti di cui al casellario giudiziale erano risalenti nel tempo ed avevano avuto ad oggetto reati di natura quasi bagattellare.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilita’ del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso e’ inammissibile.
In via del tutto preliminare, peraltro, la Corte osserva che l’esame dei motivi di ricorso puo’ essere effettuato prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e cio’ in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni, che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente. E’ infatti appena il caso di ricordare che qualora il giudice d’appello abbia accertato e valutato, come in specie, il materiale probatorio con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado, le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entita’ logico-giuridica, alla quale occorre far riferimento per giudicare della congruita’ della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d’appello (Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Scardaccione, Rv. 197250). Invero, allorche’ le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (ex plurimis, Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906).
4.1. Del tutto infondato, cio’ posto, si presenta anzitutto il primo motivo di impugnazione.
Al riguardo, infatti, e’ stato ripetutamente osservato, anche dalla Corte territoriale, che non integra il reato di favoreggiamento della prostituzione la condotta di chi, nella gestione di un sito “internet”, pubblichi su di esso gli annunci pubblicitari, quand’anche corredati delle foto, a lui inviati dalle prostitute senza svolgere alcuna attivita’ di collaborazione organizzativa, come ad esempio la predisposizione di servizi fotografici nuovi (Sez. 3, n. 4443 del 12/01/2012, M., Rv. 251971; Sez. 3, n. 20384 del 29/01/2013, Bolzanello e altro, Rv. 255426; Sez. 3, n. 48981 del 21/10/2014, Piantoni, Rv. 261209).
Ma, se non vi e’ motivo di revocare in dubbio il principio richiamato, la posizione del ricorrente e’ all’evidenza del tutto diversa, dal momento che egli, non rivestendo certamente il ruolo di gestore di siti internet ovvero comunque di soggetto incaricato di raccolte pubblicitarie, si e’ limitato ad acquistare spazi pubblicitari al fine di ottenere la pubblicazione del messaggio che dava conto dell’attivita’ di meretricio delle due donne.
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