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1. Il ricorso e’ inammissibile, perche’ basato su motivi manifestamente infondati.
Occorre preliminarmente osservare che la ricostruzione della vicenda e la sua qualificazione giuridica non sono oggetto di contestazione da parte del ricorrente, il quale si limita a rivendicare la propria estraneita’, per essere il reato ipotizzato addebitabile esclusivamente alla persona della moglie, la quale ha fatto ricorso all’oblazione speciale.
Da quanto evidenziato nella sentenza impugnata emerge che gli accertamenti traevano origine dalla riscontrata presenza, nel fosso “(OMISSIS)”, di acque di colore marrone – rossiccio, che successive verifiche riconducevano all’allevamento gestito dalla societa’ degli imputati.
Ulteriori verifiche consentivano di appurare che una parte dei liquami presenti in una concimaia erano stati smaltiti sul terreno sottostante, come riscontrabile anche dalla documentazione fotografica acquisita agli atti.
Nella sentenza viene inoltre dato atto del fatto che quanto verificato non era certamente riconducibile ad attivita’ di fertirrigazione, in considerazione del periodo dell’anno e dell’assenza della relativa documentazione e che doveva anche escludersi lo spandimento accidentale dovuto alle piogge, perche’ un simile evento non avrebbe potuto determinare l’abbassamento del livello di letame solo ed esclusivamente in un angolo della concimaia, come invece era stato accertato.
A fronte della dichiarazione di estraneita’ alla vicenda da parte del ricorrente, il giudice del merito osserva che lo stesso rivestiva formalmente, al momento dei fatti, all’interno dell’azienda, la qualita’ di socio accomandatario e, come riferito dalla figlia nel corso della sua deposizione testimoniale, si occupava anche dei contratti per conto della societa’.
Aggiunge il Tribunale che le risultanze processuali non presentavano alcun elemento che consentisse di disattendere la qualifica formale di legale rappresentante della societa’, dando anche atto della presenza dell’imputato all’atto del controllo e del fatto che egli avrebbe ben dovuto rendersi conto di quanto accaduto, attivando i poteri gestori che discendevano dalla qualifica rivestita.
2. Cio’ posto, va osservato che le conclusioni cui e’ pervenuto il Tribunale appaiono conformi ai principi generali fissati in tema di rifiuti, pienamente condivisi dal Collegio.
Il Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 178 richiama, infatti, la responsabilizzazione e cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo di beni da cui originano i rifiuti ed il rispetto dei principi dell’ordinamento nazionale e comunitario e la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di evidenziare che, in tema di gestione dei rifiuti, le responsabilita’ per la sua corretta effettuazione, in relazione alle disposizioni nazionali e comunitarie, gravano su tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo dei beni dai quali originano i rifiuti stessi (Sez. 3, n. 32338 del 12/6/2007, Pozzi, Rv. 23782001; Sez. 3, n. 7746 del 27/11/2003 (dep.2004), Turati ed altro, Rv. 22740001).
Questa Corte ha inoltre precisato che il reato di cui al Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 256, comma 2, e’ configurabile nei confronti di qualsiasi soggetto che abbandoni rifiuti nell’ambito di una attivita’ economica esercitata anche di fatto, indipendentemente da una qualificazione formale sua o dell’attivita’ medesima, cosi’ dovendosi intendere il “titolare di impresa o responsabile di ente” menzionato dalla norma (Sez. 3, n. 38364 del 27/6/2013, Beltipo, Rv. 25638701).
3. Il ricorrente contesta, tuttavia, quanto rilevato dal Tribunale attraverso le argomentazioni, dianzi esposte, contenute nel primo e nel secondo motivo di ricorso.
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